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Catania, docenti universitari: “Quello che si sta consumando a Gaza è un genocidio!”
Continua a Catania la mobilitazione contro il genocidio del popolo palestinese. Dopo i grandi cortei degli ultimi giorni, in attesa della partenza dalla Sicilia Orientale della Global Sumud Flotilla, molte/i docenti dell’Università prendono posizione e si rivolgono al Rettore e agli organismi accademici con questa lettera aperta   ALL’ATTENZIONE DEL MAGNIFICO RETTORE ELETTO, PROFESSORE ENRICO FOTI ALL’ATTENZIONE DEL SENATO ACCADEMICO ALL’ATTENZIONE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE ALL’ATTENZIONE DELLA COMUNITÀ UNIVERSITARIA TUTTA   Agosto 2025: Quello che da quasi due anni sta accadendo a Gaza per mano del governo israeliano, sotto gli occhi di tutto il mondo e nell’inerzia generale dei decisori politici, viola ogni elementare principio di diritto internazionale e offende i valori di umanità e giustizia su cui dovrebbero fondarsi le pacifiche relazioni tra i popoli. Per questo noi tutti/e riteniamo che il silenzio e l’inazione non siano più opzioni percorribili. La morte e la distruzione inflitta per mano delle IDF alla popolazione civile palestinese – complici molti dei paesi occidentali (il nostro compreso) che hanno attivamente supportato la macchina bellica israeliana o hanno rifiutato di ricorrere ad alcun significativo strumento di dissuasione – ha già da molto tempo assunto dimensioni abnormi. Quello che si sta consumando a Gaza è, lo affermiamo senza incertezze, un genocidio: i crimini di guerra commessi dallo Stato di Israele rientrano infatti appieno nella definizione stipulata dalla Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del genocidio (a cui l’Italia ha aderito con legge n. 153 dell’11 marzo 1952), e che si propone di prevenire e punire gli atti “commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale” (art. II). Già il 26 gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia aveva giudicato “plausibile” l’accusa di genocidio rivolta contro Israele. Oggi, quella plausibilità è divenuta certezza, tanto che alcuni tra i più noti intellettuali israeliani, a partire da David Grossman, ammettono ormai “che a Gaza è in corso un genocidio” (1/08/2025). Ma più che le parole, oggi a parlare a Gaza sono i fatti. I dati raccolti da organizzazioni internazionali (ONU, UNHCR, UNICEF, UNESCO), ONG indipendenti (Amnesty International, MSF, Emergency) e studi pubblicati su accreditate riviste scientifiche accreditate (The Lancet) sono inequivocabili. Dal 2023 a oggi, l’offensiva israeliana ha provocato più di 60.000 morti diretti e oltre 150.000 feriti, in larghissima parte civili, con donne e bambini a rappresentare più della metà del totale. Circa 1,9 milioni di persone – l’85 % della popolazione – sono state sfollate, mentre abitazioni, strade, scuole, ospedali, luoghi di culto, biblioteche, archivi e siti di interesse storico-artistico sono stati sistematicamente distrutti. A queste vittime si aggiungono decine di migliaia di morti indirette, dovute a fame, malattie, assenza di cure mediche e collasso delle infrastrutture sanitarie. Altre cifre testimoniano di una distruzione pianificata e tutt’altro che casuale, mirata a silenziare l’informazione, a usare la fame come arma e a rendere invivibile Gaza non solo per le generazioni presenti, ma anche per quelle future. Al 25 agosto 2025, l’esercito israeliano aveva assassinato almeno 279 giornalisti, nel più grave massacro di operatori dei media nella storia recente. Da fine maggio ad agosto 2025, almeno 1760 palestinesi sono stati uccisi a Gaza dalle IDF mentre erano in fila per ricevere i (pochi) aiuti umanitari fatti entrare da Israele nella Striscia. Con un report dell’IPC rilasciato il 22 agosto 2025 e basato su studi di autorità indipendenti, l’ONU ha ufficialmente confermato lo stato di carestia a Gaza, indicando Israele come unico responsabile. Infine – ed è un dato che, per ovvie ragioni, ci tocca particolarmente da vicino – in Palestina è in atto quella che le Nazioni Unite hanno definito scolasticidio, ovvero la “distruzione sistematica dell’istruzione attraverso l’arresto, la detenzione o l’uccisione di insegnanti, studenti e personale, nonché la distruzione delle infrastrutture educative”. Tra le vittime della popolazione civile si contano infatti oltre 6.000 persone in età scolare, studenti universitari, insieme a insegnanti, ricercatori e personale universitario. Le forze di occupazione israeliana hanno saccheggiato e distrutto strutture scolastiche e i campus universitari di Al Azhar, Al Quds e Israa. Secondo UNESCO, è scomparso il 75% degli edifici scolastici, impedendo a circa 625.000 studenti e 22.500 insegnanti di frequentare i propri luoghi di crescita culturale e professionale e compromettendo definitivamente il futuro dell’istruzione palestinese. Alla luce di tutto questo, e in linea con la lettera sottoscritta da alcuni/e colleghi/e più di un anno fa, come membri della grande comunità accademica catanese domandiamo con forza che il Magnifico Rettore e il Senato Accademico si pronuncino con coraggio e senza ambiguità. Il tempo delle esitazioni è finito. Il piano di occupazione totale di Gaza, già avviato da Netanyahu e dal suo governo, prevede entro il prossimo 7 ottobre di cacciare dalla loro terra quasi due milioni di civili gazawi: occorre agire al più presto con la massima decisione per cercare di dare il nostro (certo limitato) contributo affinché questo ennesimo piano criminale, in violazione di ogni diritto internazionale, venga impedito. Sulla scorta di quanto accaduto anche a livello globale, già altre Università italiane si sono mosse in questo senso: l’Università per Stranieri di Siena (26/6/2024), l’Università di Padova (1/7/2025), l’Università del Salento (2/7/2025), l’Università di Pisa (17/7/2025), l’Università di Bologna (17/6/2025), l’Università di Roma La Sapienza (19/6/2025), la Scuola Normale Superiore di Pisa (22/7/2025), l’Università di Bari (22/7/2025), il Politecnico di Milano (4/8/2025). Seguendo il loro esempio, chiediamo che anche da noi si approvi una mozione che impegni a: 1. > Prendere una posizione netta e inequivoca di condanna di quanto attuato a > Gaza dal governo e dall’esercito israeliani, nominando esplicitamente le > responsabilità e stigmatizzando i crimini commessi contro la popolazione > civile; 2. > Interrompere gli accordi e le relazioni formali con università israeliane, > se in vigore, o comunque impegnarsi a non stipularne di nuovi sino alla > fine della crisi in atto, senza che ciò escluda rapporti di collaborazione > individuali con singoli colleghi/eisraeliani/e; 3. > Dichiarare esplicitamente che mai si stringeranno accordi con Università e > aziende israeliane con sede in territori palestinesi occupati > illegalmente; 4. > Sospendere gli accordi con quelle aziende come la Leonardo spa che > producono dichiaratamente tecnologie belliche, o che sono comunque > suscettibili di dual use; 5. > Fare pressione perché si rinnovi al più presto il bando nazionale IUPALS > per borse di studio destinate a studenti e studentesse palestinesi e, nel > frattempo, ampliare il finanziamento in modo che tutti/e coloro > risultati/e idonei/e nel bando che si è chiuso abbiano la possibilità > immediata di venire a studiare in Italia; 6. > Istituire forme collettive di ricordo per le vittime civili palestinesi, > per ribadire che quei morti non sono solo numeri e che non devono esistere > vite indegne di lutto. Il momento di agire è questo. Se tacciamo, se non interveniamo, se lasciamo che ancora una volta questioni di (malintesa) opportunità politica abbiano la meglio sul senso di giustizia e sul rispetto del diritto, ne dovremo rispondere davanti ai nostri figli e figlie, ai nostri nipoti, alle nostre coscienze. PRIMI FIRMTARI * ATTILIO SCUDERI – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * SOUADOU LAGDAF – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * GIANNI PIAZZA – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DISUM) * SALVATORE MARANO – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * ALESSANDRO PLUCHINO – DIPARTIMENTO DI FISICA E ASTRONOMIA * LORENZO COCCOLI – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DSPS) * CLAUDIA CANTALE – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DSPS) * ERIKA GAROZZO – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DSPS) * MARIA CARRERAS I GOICOECHEA – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * MICHELE CAMPOPIANO – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) SEGUONO ALTRE 306 FIRME, A QUESTO LINK Redazione Sicilia
Ponte di Messina, manca “solo” il progetto esecutivo
Una diffida al sindaco di Messina è stata preparata dal Comitato No Ponte Capo Peloro, affinché “quale primo responsabile per la tutela della salute pubblica in città” si astenga dall’adottare qualsiasi ulteriore atto volto alla realizzazione del progetto del Ponte sullo Stretto. In caso contrario i firmatari agiranno per “ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (inclusi biologici e morali).” Da domenica 7 agosto è in corso la raccolta delle firme presso “Casa Cariddi” (Qui il testo integrale).  L’ultima iniziativa messa in campo dal Comitato insieme ai cittadini di Messina che non si rassegnano a vedere la propria città devastata dai numerosi cantieri che potrebbero presto essere avviati. Cantieri che stravolgerebbero la città e la vita dei suoi abitanti senza nessuna garanzia che il Ponte sia davvero realizzabile. Che l’opera, pubblicizzata dal ministro Salvini e dall’intero governo come una “struttura vitale per il Sud, per l’Italia e per l’Europa”, non sia affatto urgente e che sia inutile per i residenti e per tutti coloro che devono transitare giornalmente tra Sicilia e Calabria, è presto detto. Per loro non sarebbe vantaggioso, né più rapido, attraversare un ponte collocato in alto per raggiungere il quale dovrebbero percorrere decine di chilometri di strada in pendenza, prima in salita, poi in discesa. Resterebbe più veloce e più pratico utilizzare un traghetto, soprattutto se il sistema (il cosiddetto “collegamento dinamico” tra Messina e Reggio/Villa) venisse ottimizzato con navi e aliscafi nuovi e con punti di attracco più efficienti. Una soluzione che, adeguatamente studiata e con traghetti progettatati sulle dimensioni dei nuovi treni ad alta velocità, potrebbe soddisfare anche l’esigenza dell’attraversamento ferroviario, con una spesa incomparabilemnte più bassa di quella del Ponte e con un bassissimo impatto ambientale. Ma di tutto questo non si parla più, è stata anzi annullata, senza alcuna motivazione, una gara già indetta per la costruzione di due nuovi traghetti. Proprio in concomitanza con il riavvio dell’attuale progetto di ponte sospeso.   >  LE QUESTIONI IRRISOLTE SONO ANCORA TANTE > > C’è il parere reiterato dell’ANAC, l’Autorità che vigila sul contrasto alla > corruzione, che fin dall’inizio ha ritenuto necessaria una nuova gara, > ritenendo l’appalto “sbilanciato a favore dei privati” > > Manca il parere dell’Unione Europea sul mancato rispetto delle direttive > ambientali comunitarie di cui abbiamo già detto. E c’è un nuovo reclamo > all’UE presentato all’inizio di agosto da Wwf e Legambiente, Greenpeace e > Lipu. Ci sono i ricorsi pendenti al Tar del Lazio, o gli esposti depositati > presso le Procure di Roma, Reggio Calabria e Messina su alcune illegittimità > dell’iter procedurale Di questo percorso accidentato del progetto del Ponte,  ancora non concluso,  troviamo una sintesi nella parte iniziale della diffida di cui abbiamo parlato all’inizio. Una diffida al sindaco – e, per conoscenza, al presidente della Regione Siciliana – sarà inviata, a conclusione della raccolta delle firme, da: Comitato No Ponte, CGIL, AVS, Pd e M5S. PER APPROFONDIMENTI LEGGI INTEGRALMENTEIL AL LINKATO SOTTO SU Redazione Sicilia
Incendi, come distruggere il nostro patrimonio boschivo
“In Italia è SOS incendi nel 2025. Dal primo gennaio al 18 luglio si sono verificati 653 roghi che hanno mandato in fumo 30.988 ettari di territorio pari a 43.400 campi da calcio. […] Il Meridione si conferma l’area più colpita dagli incendi con sei regioni in cima alla classifica per ettari bruciati. Maglia nera alla Sicilia, con 16.938 ettari in fiamme in 248 roghi” (Legambiente). Sughereta di Niscemi, Riserve di Capodarso, dello Zingaro e di Monte Cofano i luoghi maggiormente colpiti. Si tratta quasi sempre di incendi dolosi, o quanto meno colposi. L’autocombustione è, infatti, pressoché impossibile. Le condizioni esterne (temperatura, vento) facilitano la diffusione dell’incendio, ma è necessario il fattore scatenante (umano). Lo dimostra l’alto numero di inneschi che vengono trovati sul posto, spesso collocati in punti differenti della stessa area, proprio per evitare che l’incendio venga spento con un unico intervento. Una volta concluso l’incendio, in alcune delle aree interessate arriva il pascolo (l’erba da foraggio ricresce in fretta e permette di alimentare gli animali), in altre scattano meccanismi di speculazione edilizia. Ciò avviene anche perché molti comuni siciliani non aggiornano annualmente il Catasto Incendi (Legge 353/2000), che ha lo scopo di vincolare per almeno 15 anni le aree colpite dagli incendi, per evitare speculazioni edilizie o altri interventi che potrebbero danneggiare ulteriormente il territorio. Gli incendi, come scrive il WWF, sono “facilitati” perché: “Al notevole sforzo di rimboschimento non sono sempre seguite cure colturali adeguate. Le modeste ripuliture e diradamenti hanno reso i rimboschimenti di conifere mediterranee particolarmente vulnerabili agli incendi, mentre la rinaturalizzazione con specie autoctone, necessaria per ottenere popolamenti più stabili, è stata inconsistente”. Una mancanza di manutenzione, prevenzione e cura (sentieri tagliafuoco, pulizia periodica del secco, ecc.) e di controlli da parte degli organi istituzionali che rappresenta una parte del problema.Anche perché la forza lavoro che viene assunta in questo settore è spesso non adeguatamente formata. Ad aggravare il tutto, come scrive Linda Maggiori (Preessenza – International Pres Agency), il fatto che “La bonifica dei terreni non viene più fatta dai forestali ma con mezzi aerei che spesso utilizzano acqua marina, desertificando il suolo e intaccando le falde acquifere per anni”. A livello nazionale, molti imputano alla riforma Renzi/Madia, che nel 2016 ha soppresso il Corpo forestale dello stato, la difficoltà di difendere adeguatamente il territorio. Tra le altre incoerenze, va segnalato, in particolare, come scrive sempre Linda Maggiori, che “La flotta elicotteristica antincendio boschivo del Corpo forestale è stata divisa tra Carabinieri (che non li usa per spegnere gli incendi) e i Vigili del Fuoco. Questi, per motivi tecnici, riescono a mantenere operativi solo pochi elicotteri al giorno. Ne consegue che le Regioni sono obbligate ad affidarsi a società private […] I Canadair, di proprietà dello Stato, vengono gestiti da ditte private che noleggiano i piloti”. Per avere una idea dei costi basta ricordare che ogni ora di volo di un Canadair costa allo Stato tra 5 e 12.000 euro. In Sicilia, regione a statuto speciale, la riforma Madia non è stata applicata, ma non si può certo dire che le cose funzionino meglio. Il Corpo dipende dall’Assessorato del territorio e dell’ambiente della Regione e svolge funzioni di polizia ambientale e polizia forestale. Dalle quasi 1400 unità previste inizialmente, nel 2020 la pianta organica è stata ridotta a 800 unità. Anche perché, negli anni della “generosa” presidenza Cuffaro, gli operai forestali erano passati da 15.000 del 1996 ai 30.000 del 2010 ed erano stati assunti senza i necessari requisiti di professionalità (WWF). Solo pochi giorni fa la Regione ha dato il via libera a369 nuove assunzioni nel biennio 2025-2026, anche perché quasi la metà degli attuali forestali a tempo indeterminato nel 2027 andrà in pensione. Uno dei nodi è quello dell’alto numero dei contratti a tempo determinato. Su questo la Comunità Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione della direttiva europea che non consente la durata di questi contratti oltre i 36 mesi. E c’è dell’altro. I forestali a tempo determinato sono stati spesso accusati di appiccare i roghi per garantirsi le assunzioni. Secondo Maurizio Grosso (esponente del SIFUS, un sindacato di base) “Escludere che in un gruppo di 15 mila persone possano esserci mele marce sarebbe ingenuo, affermare che i roghi siano appiccati dagli operai però è totalmente insensato. Parliamo di lavoratori che rischiano la vita e che ogni tanto purtroppo ce la rimettono, senza contare che sanno di essere pagati per un numero fisso di giornate. La verità invece è che la Regione non solo non può fare a meno degli operai ma che ne avrebbe di bisogno tutto l’anno”. La stabilizzazione farebbe crescere di molto i costi, ma il vero problema, come scrive IL WWF Sicilia, non è il numero delle assunzioni, è la loro funzionalità. L’errore è pensare che un continuo crescendo delle risorse destinate agli incendi (non solo uomini ma anche mezzi) possa essere risolutivo. Quello che va cambiato è il sistema. Da quando la funzione sociale/ambientale dei rimboschimenti è stata sostituita con la funzione clientelare/assistenziale del sistema antincendio, è nato un cliché. “Sono gli incendi a fare piovere risorse per pagare le campagne antincendio dei forestali, i costi del volontariato della protezione civile, le strutture regionali inefficienti e sovradimensionate, i canadair, gli elicotteri, i droni, i mezzi ordinari e speciali per l’estinzione, ecc., in un continuo crescendo, più incendi, più risorse”. C’è anche l’Unione Europea che mette a disposizione personale e fondi per aiutare gli Stati membri nel difficile compito di salvaguardare il territorio boschivo. Obiettivo principale, il miglioramento della posizione degli agricoltori e la facilitazione dello sviluppo imprenditoriale sostenibile nelle zone rurali. E’ stato, inoltre,prorogato fino al 2027 il finanziamento Ue che permette agli Stati di acquistare e noleggiare aerei e elicotteri antincendio, in attesa che sia operativa la prima flotta europea destinata al contenimento degli incendi. Una opportunità che sia il governo nazionale sia quello siciliano non dovrebbero lasciarsi sfuggire, utilizzandola – però – per modificare radicalmente le attuali scelte politiche e organizzative. La proposta del WWF è quella di “creare un’unica struttura – snella, essenziale ed efficiente – che governi, con unica regia e unico portafoglio, il patrimonio forestale siciliano”. Toccherebbe a questa struttura riorganizzare gli interventi, razionalizzare le spese, formare e qualificare il personale, fare opera di prevenzione, puntando anche sul coinvolgimento di quella parte della società civile che non è disponibile ad assistere passivamente alla progressiva distruzione del nostro patrimonio. LEGGI ANCHE INCENDI, SEGNALARE SI PUÒ E SI DEVE. ANCHE I CITTADINI SI ORGANIZZANO Redazione Sicilia
Porticciolo di Ognina, responsabilità istituzionali nella privatizzazione del mare
Se ne è parlato poco, eppure è un atto che merita attenzione e che ci dice molte cose sulla nostra città e sulle nostre istituzioni. Ci riferiamo alla sentenza con cui il Tar di Catania ha rigettato il ricorso presentato dal Circolo Canottieri Jonica contro l’ampliamento della concessione rilasciata dall’Assessorato Territorio e Ambiente a La Tortuga nel Porticciolo di Ognina. La sentenza è recente, porta la data del 17 aprile e rappresenta una sconfitta non solo per la Canottieri Ionica e per Legambiente, intervenuta in giudizio ad adiuvandum, ma per tutti i cittadini che si sono mobilitati in difesa di un’area che la città frequenta assiduamente e sente propria. E alla quale dovrebbe rinunciare per favorire gli interessi di un privato. Di cosa comporti questo ampliamento abbiamo già parlato, prevede non solo la concessione di ulteriori 1650 mq di specchio acqueo e la posa di un pontile galleggiante, ma anche la recinzione dell’area e il taglio (di un metro e venti) del molo di ponente, il vecchio molo storico del porticciolo. Per chiederne il ritiro sono scesi in piazza cittadini, associazioni, partiti di opposizione e sembrava fosse sceso in campo anche il sindaco Trantino per “garantire il preminente interesse pubblico” e non interrompere il percorso iniziato con il concorso di progettazione per riqualificare e valorizzare il Borgo Marinaro, “con probabile demolizione del cavalcavia”. Come sappiamo, infatti, per riqualificare il Borgo di Ognina sono stati stanziati 15 milioni di fondi comunitari e il sindaco ha messo la faccia su questo intervento, anche se adesso la sta perdendo con la sua ambiguità sul destino del Porticciolo. Quando, infatti, ha chiesto alla Regione di ritirare il provvedimento, il sindaco non poteva non sapere che il Comune non si era presentato alla conferenza dei servizi decisoria del 31 maggio 2023 e che questa assenza aveva fatto scattare una sorta di silenzio-assenzo nei confronti della concessione. La notizia di questa mancata partecipazione alla conferenza dei servizi decisoria si conosceva già, tanto che il consigliere Bonaccorsi del M5S aveva presentato in proposito una interrogazione urgente in Consiglio comunale, senza ottenere nessuna spiegazione che giustificasse l’assenza. Il modo in cui si è arrivati alla concessione dell’ampliamento da parte della Regione e il ruolo che ha avuto l’assenza del Comune alla Conferenza dei servizi del 31 maggio, viene ben descritto e spiegato all’interno della sentenza di cui ci stiamo occupando. Partiamo dal settembre 2022, data in cui si svolge una prima Conferenza dei servzi alla quale il Comune è presente ed esprime un parere favorevole alla concessione. Favorevole ma condizionato, sia pure in modo blando. Chiede soltanto che il gazebo previsto dal progetto sia “su ruote, asportabile e facilmente amovibile, non ancorato al suolo definitivamente”. Nulla di essenziale se non, forse, il tentativo di legittimare la realizzazione del gazebo in un’area in cui il piano regolatore esclude l’aumento della consistenza edilizia, anche con costruzioni a carattere precario La concessione viene approvata, ma l’Assessorato, per non precisati vizi formali, la annulla in autotutela, facendo così decadere il parere di tutti gli enti presenti alla Conferenza dei servizi, Comune compreso. Un annullamento che, scrivono i giudici del Tar, costituisce una cesura netta, come se quel parere non ci fosse mai stato. Visto che La Tortuga non demorde, si riparte con una nuova Conferenza dei servizi, anch’essa decisoria e in modalità sincrona, tenuta il 31 maggio 2023, quella alla quale – come dicevamo in apertura – il Comune non partecipa. Una assenza non giustificata. Secondo quanto stabilito dalla normativa, il Comune avrebbe dovuto comunicare la propria assenza “almeno tre giorni prima della data fissata”, motivandola e “indicando le proprie determinazioni”. Si limita, invece, nella stessa data della conferenza, a chiedere un rinvio per poter espletare adempimenti relativi alle elezioni amministrative appena concluse. Troppo tardi. L’assenza del Comune, non preannunciata, viene considerata – da regolamento – come un assenso senza condizioni. Se il sindaco ne è al corrente, e non può non esserlo, perché nel mese di novembre 2024 chiede ufficialmente alla Regione l’annullamento del provvedimento di concessione? Forse solo per ‘apparire’ solidale con le posizioni prese dalla cittadinanza e non perderne il consenso? Ma c’è di più. L’Assessorato, dopo la Conferenza dei servizi da cui il Comune è stato assente, offre al Comune stesso un’altra chance. Gli chiede se sia interessato a quell’area. Il Comune poteva offrirsi di prenderla in concessione, probabilmente per una cifra irrisoria, ma non lo fa. Risponde in modo ambiguo e non solo perde l’occasione di mantenere il Porticciolo in mani pubbliche, ma crea una situazione poco chiara che induce l’Assessorato a sostenere di non avere avuto risposta. In verità il Comune ha risposto, sia pure in modo ambiguo, ma quando viene diffusa la notizia (l’abbiamo data anche noi) di questa mancata risposta, il sindaco non ne approfitta per impugnare il provvedimento di concessione per vizio di forma. Tace, e rivela, in sostanza, di non avere una reale intenzione di farsi carico della gestione del Porticciolo restituendolo alla città. Le sue responsabilità sono, quindi, innegabili. Ma ci sono responsabilità manifeste anche da parte di altre istituzioni che non hanno svolto con coscienza il loro ruolo Nell’esprimere i prorio giudizio favorevole a La Tortuga, la corte sottolinea come nessuna delle amministrazioni presenti alla Conferenza dei servizi decisoria avesse espresso un parere decisamente negativo sull’ampliamento della concessione. Non lo aveva fatto neanche la Capitaneria di Porto, l’unica che – nel 2022, nel corso della prima Conferenza dei servizi – avesse evidenziato la drastica riduzione degli spazi di ormeggio pubblico libero che la nuova concessione avrebbe determinato, oltre a segnalare alcune criticità connesse alla sicurezza della navigazione. Nella nuova Conferenza, del maggio 2023, la posizione della Capitaneria si è fatta più morbida, le “osservazioni” del parere precedente sono diventate “suggerimenti”, una sorta di invito a riservare un’adeguata percentuale di spazio agli aventi diritto all’ormeggio. Un invito così generico che i giudici finiranno per considerare “congruo” il numero di 6 posti barca riservati ai pescatori, un numero in verità del tutto inadeguato se paragonato alle 65 piccole imbarcazioni da diporto che attualmente in quel porticciolo fruiscono di libero ormeggio, tra cui anche quelle dei soci del Circolo Canottieri. Ancora più grave ci appare la posizione assunta dalla Soprintendenza che, dopo aver ribadito il valore non solo paesaggistico del Porticciolo, ha poi espresso parere positivo all’ampliamento della concessione senza neanche fare cenno al taglio di una porzione del molo di ponente. Un intervento invasivo e drastico, dal quale non si potrà tornare indietro e che – come notano i ricorrenti – non permetterà che si attui “l’integrale ripristino dello stato dei luoghi alla scadenza della concessione” (sentenza, pag 5). Su questo la Soprintendenza tace, limitandosi a porre soltanto delle condizioni che evitino il “disagio visivo del contesto in esame”. Chiede che, a lavori ultimati, si pervenga “ad un armonico inserimento delle opere previste in progetto”, e che si rispettino alcune prescrizioni relative alla dimensioni delle navi, ai colori e al materiale utilizzati, che “devono ottemperare a criteri di minimizzazione visiva” per non disturbare il paesaggio. Prescrizioni non attuabili (chi misurerà l’altezza delle imbarcazioni o controllerà il loro colore?) e assolutamente irrilevanti che non fanno altro che spostare l’attenzione su aspetti secondari, senza intervenire su quelli essenziali. Le responsabilità, quindi, sono plurime, ma la questione potrebbe non essere definitivamente chiusa. Il Circolo Canottieri ha fatto sapere che ricorrerà in appello, Legambiente deve decidere. Ma la città ha già avuto elementi sufficienti per valutare l’affidabilità delle proprie istituzioni. Nel frattempo, noi cittadini, profani di competenze giuridiche non possiamo non osservare alcune macroscopiche contraddizioni. Mentre era in corso l’iter per l’approvazione della nuova concessione di ampliamento, è – infatti – accaduto un altro fatto clamoroso. In data 31 gennaio 2024, si è concluso un contenzioso durato 16 anni, aperto da quattro residenti che hanno avuto il coraggio e la determinazione di sfidare Comune, Genio Civile, Soprintendenza, Assessorato, Capitaneria, Demanio, presentando un ricorso contro la concessione originaria rilasciata a La Tortuga nel 2007. Si è concluso con una sentenza del Tar di Catania che ha annullato tutti i titoli edilizi rilasciati dal Comune alla società La Tortuga perché illegittimi, aprendo la strada alla demolizione di tutte le edificazioni realizzate da La Tortuga nel Porticciolo. Durante questi 16 anni, il ricorso si è arricchito di “motivi aggiuntivi” via via che, all’originaria concessione edilizia, si aggiungevano altri provvedimenti emessi da differenti uffici. Tra sequestri, revoche e nuove autorizzazioni, la vicenda ha avuto un iter complesso e persino un risvolto penale con una condanna, confermata in appello, per alcuni membri della famiglia Testa, proprietari de La Tortuga, e per un funzionario comunale compiacente che aveva firmato un’autorizzazione illegittima. L’intervenuta prescrizione e la morte che ha portato via quasi tutti i protagonisti, hanno chiuso la vicenda dal punto di vista penale. La sentenza del Tar che annulla tutti i titoli edilizi rilasciati dal Comune a La Tortuga perché illegittimi, chiude l’aspetto amministrativo. Noi cittadini digiuni di competenze giuridiche non possiamo – tuttavia – non chiederci come si possano conciliare il riconoscimento che le costruzioni realizzate dalla Tortuga siano illegittime (e da demolire) e l’ampliamento della concessione appena concesso. Va bene che si tratta di due procedimenti diversi, va bene che l’ampliamento riguarda soprattutto lo specchio acqueo, ma c’è comunque qualcosa che non quadra. Come ha fatto l’Assessorato a concedere l’ampliamento sapendo che era in discussione una scabrosa questione di illegittimità delle opere a terra? Questa ed altre domande simili incombono sulla coerenza di molte di queste decisioni. Siamo davanti ad un paradosso. Constatiamo, tuttavia, che si apre un nuovo spazio per l’intervento del Comune, che dovrebbe demolire tutte le costruzioni realizzate da La Toruga nel Porticciolo. Sarebbe un’occasione per ritrovare un poco di credibilità. Non sappiamo se lo farà e confessiamo di dubitarne. Ma ce lo auguriamo, per il bene della città. Redazione Sicilia