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Megaprogetti in pericolo – Dateci piu’ soldi! L’Appello di Quattro Grandi Opere Transfrontaliere
I Promotori di quattro Grandi Opere TEN-T lanciano un Appello alla Commissione europea per ottenere più finanziamenti nel Bilancio UE 2028-2034 Linea ferroviaria Rail Baltica – Tunnel ferroviario Torino-Lione  Tunnel ferroviario del Brennero – Canale navigabile Senna/Escaut Questi quattro Megaprogetti transfrontalieri stanno registrando gravi ritardi e presentano costi crescenti Siamo di fronte ad un’inedita iniziativa di lobbying poco comunicata (non ve ne è traccia nei media europei) che è stata concretizzata a Bruxelles il 25 giugno 2025 con la firma di un Appello nel Palazzo Carlo Magno, il cui obiettivo sarebbe quello di influenzare le prossime decisioni della Commissione europea relativamente ai finanziamenti CEF3 2028-2034 ai progetti TEN-T. I dirigenti a libro paga di quattro società pubbliche incaricate di realizzare quattro Grandi Opere infrastrutturali transfrontaliere finanziate da sei Stati membri (Italia, Francia, Austria, Estonia, Lettonia, Lituania) e dall’Unione Europea (CEF) si sono sostituiti in questa circostanza ai loro datori di lavoro (gli Stati) e hanno deciso di interloquire direttamente con la Commissione europea e il Parlamento europeo per garantire un futuro ai loro periclitanti progetti. Essi sono dirigenti delle società RB Rail AS (Linea ferroviaria Rail Baltica Global Project), TELT sas (Tunnel ferroviario a servizio della seconda linea ferroviaria Torino-Lione), BBT SE (Tunnel ferroviario di base del Brennero) e Société du Canal Seine-Nord Europe (Canale navigabile Senna/Escaut). Hanno inviato il 25 giugno scorso una Lettera contenente un Appello a Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea e a Roberta Metsola, Presidente del Parlamento, tre settimane prima che la Commissione europea presentasse il 16 luglio 2025 la bozza del Bilancio UE 2028-2034. Essi affermano nell’Appello, con enfasi militaresca, che queste Grandi Opere sono ben più di nuove linee ferroviarie, tunnel o canali, ma impegni europei essenziali per un’Unione più forte, più competitiva e più connessa. L’Europa non può permettersi di ridimensionare le proprie ambizioni in un momento in cui le infrastrutture strategiche (sic) sono più importanti che mai. Il completamento di questi progetti è un requisito fondamentale per gli interessi economici, sociali, ambientali e geopolitici (sic) a lungo termine dell’Europa. Nel loro Appello, qui “tradotto” in un linguaggio più comprensibile, chiedono in sintesi: 1. che la UE rafforzi i finanziamenti CEF3 nel periodo 2028-2034 per sostenere il celere completamento dei quattro progetti infrastrutturali transfrontalieri in grave ritardo, 2. che sia data la priorità ai corridoi di trasporto europei come investimenti strategici per la mobilità militare, 3. che i finanziamenti siano garantiti a lungo termine, evitando che essi dipendano da bilanci nazionali frammentati, 4. che siano ridotti gli oneri amministrativi e le eccessive condizionalità che potrebbero ritardare (ulteriormente N.d.R.) i progetti critici già in fase di costruzione, e sia rispettata la sussidiarietà dei promotori pubblici che agiscono per convincere l’accettazione dei progetti da parte dei residenti e dell’opinione pubblica, 5. che sia prevista la possibilità di accedere a finanziamenti privati e che la UE fornisca al contempo un cofinanziamento sufficiente per ridurre i rischi dei grandi progetti con tempi di realizzazione lunghi. Questo elenco pare piuttosto un diktat alle Istituzioni europee: “o ci aiutate o le vostre ambizioni transfrontaliere andranno a rotoli”. Osserviamo che i dirigenti delle quattro società, che per statuto dovrebbero eseguire gli “ordini” dei loro azionisti, ossia costruire le opere, si sostituiscono ai rappresentanti ufficiali degli Stati azionisti (Presidenti, Ministri) e agiscono in modo indipendente al posto dei rispettivi Governi ai quali tale lettera non è stata inviata neppure in copia. Questo è un altro esempio di come i dirigenti di queste società si siano attribuiti un potere “ultra statale”, dato che normalmente le trattative per orientare i finanziamenti sono portate avanti dagli Stati membri attraverso riunioni e negoziazioni dei Governi all’interno del Consiglio europeo e/o con la Commissione, oppure su iniziativa di MEPs nelle Commissioni Trasporti e Budget del Parlamento europeo. Ci pare inoltre che questa mossa sia stata in parte assunta anche per “mettere le mani avanti” di fronte a possibili critiche sul loro operato di fronte ai gravi ritardi nell’esecuzione di questi megaprogetti e alla deriva dei costi. Come è noto queste quattro società hanno continuato a ricevere da anni ingenti finanziamenti europei per realizzare progetti infrastrutturali transfrontalieri TEN-T entro le scadenze negoziate con CINEA, nonostante i continui e gravi ritardi nella loro realizzazione. Inoltre la Commissione europea non ha rispettato il principio europeo “o li usi o li perdi” riferito ai finanziamenti non utilizzati a causa dei ritardi. Riteniamo che questi ritardi mettano a rischio le ambizioni di tutti i progetti TEN-T, e un’asimmetrica e prioritaria erogazione di maggiori fondi CEF ai quattro megaprogetti rallenta il completamento di centinaia di altri medi e piccoli progetti utili che ricevono finanziamenti di gran lunga inferiori. In conclusione, una visione olistica del miglioramento dell’efficienza della rete dei trasporti nella UE consiglierebbe di dare più attenzione e fondi ai numerosi medi e piccoli progetti più utili e diffusi nei territori, evitando di dare la priorità ai megaprogetti che assorbono gran parte dei fondi europei e che per tradizione richiedono per la loro realizzazione tempi e denaro molto superiori a quelli previsti inizialmente. Link ai Ritardi dell’Esecuzione di queste 4  Grandi Opere Tunnel Torino – Lione Tunnel del Brennero Canale Senna /Escaut Ferrovia baltica PresidioEuropa No TAV
La Commissione UE è un disco rotto: “dietro la mozione di sfiducia c’è la Russia”
La Commissione Europea, attraverso il suo portavoce Thomas Regnier, ha fatto sapere che, grazie alle analisi condotte da “fact-checker” indipendenti, è stato possibile ricondurre la mozione di sfiducia presentata recentemente contro la presidente von der Leyen ad operazioni di influenza russa contro la UE. Già così, la notizia risulta alquanto […] L'articolo La Commissione UE è un disco rotto: “dietro la mozione di sfiducia c’è la Russia” su Contropiano.
Gli inesistenti progressi dell’Italia
In Italia sta andando tutto bene: è questa la conclusione a cui si arriva ascoltando le quotidiane dichiarazioni di esponenti del Governo o della maggioranza che lo sostiene in Parlamento. Sarà vero? Un’occasione per verificare la distanza tra propaganda e realtà è fornita dall’obbligo di presentare entro il 30 aprile al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea il Documento di Finanza Pubblica (DFP), che in Italia è stato approvato dal Governo il 9 aprile e dal Parlamento il 24 aprile. Il DFP 2025 è suddiviso in due parti: la prima sezione include la “Relazione annuale sui progressi compiuti nel 2024″, mentre la seconda sezione fornisce “Analisi e tendenze della finanza pubblica”. La prima parte è sicuramente la più interessante, perché va ricordato che il 19 giugno 2024 la Commissione europea ha pubblicato un Rapporto, in cui ha valutato la conformità alla disciplina di bilancio prevista dalle regole dell’Unione Europea da parte degli Stati membri. A conclusione dell’analisi dei fattori rilevanti, la Commissione europea ha proposto l’apertura di una procedura di infrazione (PDE) per sette Paesi: Belgio, Francia, Malta, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Italia. Ovviamente, per questi Paesi che si trovano sotto la lente di ingrandimento dell’Istituzione europea è fondamentale dimostrare di aver intrapreso una strada virtuosa, per evitare pesanti sanzioni. Infatti, nella Relazione del DFP presentata dall’Italia si legge: “Le previsioni e le simulazioni aggiornate in questo Documento suggeriscono di ritenere che le misure incluse nella manovra di bilancio per il triennio 2025-2027 siano state efficaci nel conseguire gli obiettivi che il Governo italiano si era prefissato e che la Commissione confermerà molto probabilmente questo giudizio nella sua valutazione sulle azioni previste ai fini della procedura PDE in corso” (pag. 78-79). Da notare che il Governo – in modo non corretto – prefigura già il giudizio della Commissione europea. In realtà, leggendo la Relazione inviata in Europa sui progressi compiuti dall’Italia nel 2024, c’è da dubitare di quel “confermerà molto probabilmente” un giudizio positivo. Ecco i punti fondamentali della DFP: 1. Nel complesso la pressione fiscale è salita nel 2024 al 42,6 per cento dal 41,4 per cento nel 2023. L’incremento del fabbisogno ha contributo all’aumento del rapporto debito/PIL, che dal 134,6 per cento del 2023 è passato al 135,3 per cento del 2024 (pag. 43). 2. Per il 2025 “risulterebbe un lieve aumento della pressione fiscale complessiva”, mentre il rapporto debito/PIL del 2025 è previsto al 136,6 per cento (pag. 48). Nel 2026 il rapporto debito/PIL arriverà al 137,6 per cento (pag. 50). 3. La spesa per interessi sul debito pubblico nel 2023 è stata di 78 miliardi di euro, pari al 3,7 per cento del PIL. Nel 2024 e nel 2025 è previsto che la percentuale sul PIL salga al 3,9% (pag. 68). Nel 2026 salirà al 4,0% e nel 2027 al 4,2% (pag. 73). In sintesi, sono aumentate la pressione fiscale, il debito pubblico e la spesa per interessi. E nei prossimi anni si prevede un peggioramento. Tutto ciò non va sicuramente nella direzione indicata dalla Commissione europea che aveva chiesto esplicitamente che “il Governo italiano adotti, o programmi, misure discrezionali di bilancio efficaci volte a porre fine in modo duraturo all’eccesso di deficit, rispettando gli obiettivi indicati nella raccomandazione” (pag.77). È interessante constatare che ad aumentare è soltanto il debito delle amministrazioni centrali: 2.905 miliardi di euro nel 2024, 3.021 miliardi nel 2025, 3.138 nel 2026 e 3.218 nel 2027. Invece, quello delle amministrazioni locali è relativamente piccolo e in continuo calo: 109 miliardi di euro nel 2024, 108 miliardi nel 2025, 106 nel 2026 e 104 nel 2027 (pag. 54). Da anni si discute di federalismo fiscale, ma nella realtà continua a prevalere il centralismo in deficit. Nel DFP c’è anche un elemento sicuramente positivo: “Il risultato raggiunto nel 2024 dall’attività di contrasto all’evasione fiscale rappresenta il valore più elevato registrato negli ultimi anni in termini di recupero di gettito. L’Agenzia delle entrate ha infatti riscosso complessivamente 26,3 miliardi, ovvero 1,6 miliardi in più rispetto al 2023” (pag. 97). Resta però da spiegare perché nel 2025 il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che ha raggiunto questi risultati record, sia stato sostituito. Viene il dubbio che forse l’Agenzia sia diventata “troppo” efficiente… Rocco Artifoni
Sull’attenti e competenti! Arriva l’Unione delle competenze
La Commissione europea ha appena pubblicato un nuovo documento destinato anche al mondo della formazione: l’Unione delle competenze.  Eravamo rimasti al “patto per un’Europa del lavoro, nel sodalizio perverso fra l’educazione, l’istruzione e il mercato del lavoro”, testimoniato dalla crescente sovrapposizione tra competenze trasversali da assimilare a scuola e qualifiche professionali da utilizzare nel mondo del lavoro – una fra tutte la competenza chiave dell’imprenditorialità, possibilmente fin dai banchi della scuola primaria – un patto che proprio attraverso il dispositivo delle competenze imponeva il nuovo modello di governamentalità neoliberale: diritti precari solo nella miseria del lavoro precario.  Oggi nasce il nuovo patto per un’Europa della guerra che, ancora una volta, si fonda sulla formazione dei giovani, attraverso il “piano inclinato di politiche educative che hanno trasformato progressivamente la cultura scolastica in cultura d’impresa”. Civile o militare, poco importa: business is business. Competenti e sull’attenti, incalza dunque l’Unione europea: dal welfare al workfare e oggi al warfare, a scuola il passo si configura brevissimo.     --------------------------------------------------------------------------------   Nei giorni scorsi, mentre ci baloccavamo con il video semiserio di Haidja Labib – commissaria Ue per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi – in cui ci si propone un kit di sopravvivenza per resistere 72 ore con opportuno necessaire ad ogni tipo di emergenza, dalla presidente Ursula von der Leyen arrivava il documento serissimo “Preparedness Union Strategy: reinforcing Europe’s resilience in a changing world”, che prevede una serie di misure, strategie e piani tesi a “rafforzare la preparazione e la prontezza civile e militare dell’Europa per affrontare le crescenti sfide alla sicurezza odierne, in materia di salute, migrazione, sicurezza tecnologica, clima, difesa o economia”[1] e che chiama in causa il mondo della formazione. Una pianificazione globale che, accanto al riarmo europeo da 800 miliardi di euro, impone tutta una serie di azioni unitarie e comuni di immediato utilizzo per fronteggiare una crisi, in primis militare: protezione e preparazione delle persone, con un approccio che coinvolge l’intera società, compreso il mondo accademico; rafforzamento della partnership con la Nato per contribuire agli impegni condivisi per proteggere la sicurezza globale; aumento della cooperazione pubblico-privato e civile-militare nel settore della sicurezza e della difesa. Questa strategia di preparazione agli eventi verrà realizzata attraverso 30 azioni pianificate collegate agli obiettivi indicati, allineandosi ad altre iniziative dell’Ue già esistenti in tema di sicurezza. Tra queste, oltre al Libro Bianco sulla difesa europea e la strategia dell’Ue per l’adattamento ai cambiamenti climatici, troviamo l’Unione delle competenze, proposta dalla Commissione europea per incrementare la prosperità, la competitività, la resilienza economica e la sicurezza dell’Ue, come indicato nel rapporto Draghi[2] e nella relazione “Safer together” di Sauli Niinisto[3] (già presidente della repubblica finlandese) sulla preparazione militare e civile dell’Unione europea. Alla nuova ossessione securitaria e bellicista dei decisori europei, debitamente amplificata dal pensiero unico mainstream che avviluppa in Italia informazione e opinione pubblica in una folle glorificazione del militarismo, del patriottismo, della guerra, “sola igiene del mondo”[4], si accompagna dunque la vecchia ossessione delle competenze chiave standardizzate, omologate, adattabili, misurabili ma gestite – in questa nuova fase storica di preparazione, prontezza o riarmo che dir si voglia – attraverso la creazione di una governance europea poiché, scrive la Commissione in grassetto, “sebbene gli sforzi degli Stati membri in materia di istruzione e competenze siano aumentati, le sfide sono troppo grandi e urgenti per essere affrontate dai soli Stati membri”[5]. Occorre dunque una struttura solida, centralizzata e unitaria, capace di sviluppare capitale umano e competitività, essenziali “per promuovere la preparazione e la sicurezza nell’attuale situazione geopolitica”[6]: un Consiglio europeo di alto livello per le competenze, che informerà le decisioni in materia di investimenti e di riforme a livello nazionale e della Ue, fermo restando la “responsabilità collettiva e l’impegno che Stati membri, parti sociali, comunità imprenditoriale, università e scuole”[7] sono espressamente chiamati ad assumersi. Tra le principali direzioni di sviluppo indicate nel documento, accanto alle ben note ‘innovazione’, ‘digitalizzazione’ e  ‘decarbonizzazione’ spicca la nuova parola d’ordine ‘preparazione’ che, oltre a prevedere un aumento della consapevolezza dei rischi e delle minacce nella popolazione e a sviluppare linee guida per raggiungere un’autosufficienza della popolazione di almeno 72 ore” (sic), include “la ‘preparazione’ nei programmi di istruzione scolastica e nell’aggiornamento del personale educativo”[8] con appositi curricoli formativi, come espressamente indicato nel set delle 30 azioni chiave da implementare a livello europeo. In una scuola in cui già da tempo i dettami performativi e competitivi dell’Ue hanno imposto la visione funzionalista e economicista delle competenze trasversali, della valutazione standardizzata, dell’orientamento al lavoro, del tutoring e del customer care[9], da oggi si impongono le nuove competenze di resilienza, di preparazione, di pronta risposta alle crisi e ai conflitti, considerate come “condizione abilitante” per gli sventurati abitanti di questa nuova Europa guerrafondaia in cui “l’Unione delle competenze propone un nuovo approccio, che combina le politiche dell’istruzione, della formazione e dell’occupazione, unite intorno a una visione comune della competitività”[10]. Civile o militare[11], poco importa: business is business. Eravamo rimasti al “patto per un’Europa del lavoro, nel sodalizio perverso fra l’educazione, l’istruzione e il mercato del lavoro”[12], testimoniato dalla crescente sovrapposizione tra competenze trasversali da assimilare a scuola e qualifiche professionali da utilizzare nel mondo del lavoro – una fra tutte la competenza chiave dell’imprenditorialità, possibilmente trasmissibile fin dalla scuola primaria[13] – un patto che proprio attraverso il dispositivo delle competenze imponeva il nuovo modello di governamentalità neoliberale: diritti precari solo nella miseria del lavoro precario. Oggi nasce il nuovo patto per un’Europa della guerra che, ancora una volta, si fonda sulla formazione dei giovani, attraverso il “piano inclinato di politiche educative che hanno trasformato progressivamente la cultura scolastica in cultura d’impresa”[14] e che si fonda su un’ulteriore torsione educativa della scuola, dove non solo una volontà politica nazionale e sovranazionale impone da tempo che le conoscenze storiche, artistiche, letterarie e scientifiche vengano sostituite da competenze pratiche, immediate e operative – tutte orientate al lavoro oggi nei settori produttivi bellici e securitari, soprattutto in quelli strategici “come la sicurezza informatica, l’areospazio e la difesa”[15] – ma dove d’ora in poi si dovranno insegnare, imparare ed esercitare, con i curricoli formativi in preparazione a Bruxelles, precise competenze di guerra: preparazione, prontezza, resilienza, sopravvivenza. Competenti e sull’attenti, incalza dunque l’Unione europea. Dal welfare al workfare e oggi al warfare, a scuola il passo si configura brevissimo.     --------------------------------------------------------------------------------   [1] Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Strategia dell’Unione per la preparazione. Rafforzare la resilienza dell’Europa in un mondo in cambiamento, marzo 2025 [2] M. Draghi, The future of European Competitiveness, settembre 2024 [3] S. Niinisto, Safer together: Stengthening Europe’s Civilian and Military Preparedness and Readiness. [4] F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909. [5] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 4. [6] Ibidem, p. 1. [7] Ibidem, p. 20. [8] Strategia dell’Unione per la preparazione, marzo 2025, p. 10. [9] A. Angelucci e G. Aragno, Le mani sulla scuola. La crisi della libertà di insegnare e di imparare, Castelvecchi, Roma 2020. [10] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 20. [11] Sotto questo profilo, si segnala l’importantissimo lavoro dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole. [12] R. Puleo, Invalsi fra Big Data e Data Despota, laletteraturaenoi.it, 31 marzo 2025. [13] R. Latempa, Piccoli imprenditori crescono: i modelli MIUR per le scuole elementari e medie, ROARS, 12 aprile 2018. [14] R. Latempa e D. Borrelli, Leggere “La nuova scuola capitalistica oggi”, Le parole e le cose, 10 marzo 2025. [15] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 15.