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Arborio: blocco degli aiuti contro il presidio anti-allevamento
Attivistə antispecistə protestano contro l’apertura del maxi allevamento aviario di Arborio; per rispondere all’abuso delle forze dell’ordine,  che hanno impedito ogni aiuto alle manifestanti, viene indetto uno sciopero della fame. Ieri 28 giugno inizia un presidio pacifico ad Aborio (VC), davanti al cantiere dell’allevamento di Bruzzese. L’intento dichiarato dalle attiviste è quello di denunciare la costruzione del maxi-allevamento intensivo di 275.000 galline ovaiole che Bruzzese stava portando avanti nel silenzio, fino a quando poche settimane fa, la popolazione è stata informata a mezzo stampa che il cantiere in essere era proprio un allevamento. Le forze dell’ordine hanno sequestrato per 9 ore i documenti delle presenti, insieme a ombrelloni e acqua, lasciando le attiviste sotto il sole e senza viveri in una giornata di fine giugno con 35°C. Una condotta questa, che ha portato una delle attiviste presenti a essere condotta in ospedale in ambulanza. Per tutto il giorno le forze dell’ordine hanno minacciato lo sgombero, bloccando le persone passanti che giungevano per dare acqua e cibo in solidarietà. Oggi, 29 giugno, le forze dell’ordine ripetono l’abuso di ieri contro le ultime due attiviste presenti, continuando a presidiare l’intera strada che passa davanti al cantiere e bloccando ogni macchina circolante, minacciando il sequestro dei veicoli in caso di avvicinamento o collaborazione con le manifestanti. Questa condotta mette a serio rischio la salute delle persone in presidio, come già accaduto. Per rispondere a questo abuso, usato per sgomberare una manifestazione pacifica, le manifestanti indicono uno sciopero della fame. Nel frattempo, a supporto diversi gruppi si stanno organizzando per portare viveri e ombra alle persone rimaste sotto il sole in questa giornata di fine giugno, e testimoniare sull’operato delle forze dell’ordine dirette dalla questura di Vercelli. È vergognoso il dispiegamento di forze che si sta adoperando per impedire a delle attiviste di esporre l’operato di Bruzzese e per difendere il nome di un colosso dell’allevamento intensivo. Ribellione Animale   Redazione Italia
“Cose che accadono sulla terra”. Il film di Michele Cinque arriva nelle sale italiane
Michele Cinque racconta i nuovi cowboys italiani in lotta contro il cambiamento climatico. “Cose che accadono sulla terra”, prodotto e distribuito da Lazy Film in collaborazione con Trent Film, inizia il tour nelle sale cinematografiche, le arene e i festival di tutta Italia, a partire da giugno fino a dicembre. Il film, che ha vinto il prestigioso Festival dei Popoli e ora il premio della distribuzione della Regione Lazio, torna da un tour negli Stati Uniti dove è stato premiato all’58°Houston International Film Festival nella categoria Feature documentary e selezionato in concorso al Big Sky documentary festival in Montana. Michele Cinque, regista del pluripremiato Iuventa, co-sceneggiatore e produttore creativo del lungometraggio di Netflix, attualmente in lavorazione, ispirato alla storia dell’ONG tedesca Jugend Rettet, torna a dirigere un documentario per il cinema su un altro tema urgente: il rapporto tra uomo e natura ai tempi della crisi climatica. A 50 km dal Grande Raccordo Anulare, nel “selvaggio west italiano” dei Monti della Tolfa, una famiglia di cowboys ha una missione: continuare ad allevare il proprio bestiame e difenderlo dagli attacchi dei lupi, senza però compromettere l’equilibrio dell’ecosistema. Narrato al femminile e girato nell’arco di due anni, il film esplora il profondo legame tra madre e figlia. Brianna, una bambina di 6 anni, in un dialogo con la madre Francesca, si interroga sulla sua vita e sul suo futuro, rivelando col suo sguardo innocente e originale alcuni temi urgenti con cui lo spettatore è chiamato a fare i conti. Francesca e Giulio, che gestiscono oltre 1.000 ettari, si sono accorti che ormai anche il pascolo brado, una pratica tramandata dai cowboy italiani, i butteri, non è più sostenibile e che la sopravvivenza dei loro animali è strettamente legata alla salute del suolo. Secondo l’International Panel on Climate Change, attualmente il 30% dei suoli mondiali è degradato e si prevede un incremento fino al 90% nel 2050, con gravissime conseguenze sulla produzione alimentare globale. Di fronte alla desertificazione del proprio territorio e alla perdita di molti capi per la siccità, Francesca e Giulio decidono di intraprendere una rivoluzione verde applicando la teoria del pascolo rigenerativo.  Già molto diffusa in diverse aree siccitose in Australia, in Africa, Messico e Stati Uniti, questa tecnica di pascolo invece di utilizzare l’assistenza di fertilizzanti di sintesi e dell’agricoltura intensiva, ottimizza il rapporto tra suolo, piante e animali con mutui benefici per l’ecosistema. L’idea è semplice: imitare il comportamento dei grandi erbivori selvatici, che migrano costantemente per l’effetto delle stagioni e della predazione. Il movimento continuo dei pascoli accelera il ciclo di formazione dell’humus, favorendo la rigenerazione dei suoli e il sequestro del carbonio. Questa pratica, secondo la Royal Society, l’associazione scientifica britannica, è una soluzione a basso costo e a basso contenuto tecnologico che può contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici, riducendo le emissioni di gas serra associate all’agricoltura convenzionale. Un report della FAO indica le filiere zootecniche come responsabili del 15% delle emissioni globali di gas serra di origine antropica. Ma mentre sono ormai palesi gli impatti ambientali degli allevamenti intensivi, il consumo di carne a livello globale continua a salire; sempre secondo la FAO dalla seconda metà del Novecento è aumentato di 5 volte e le proiezioni al 2050 indicano il trend in continua crescita. Se da un lato si investe su prodotti come la carne sintetica e alternative vegane, la pratica del pascolo rigenerativo ci invita a riflettere sulle modalità di allevamento dei bovini e sul loro impatto sul pianeta. La piccola rivoluzione di Francesca e Giulio, come quelle di migliaia di allevatori in tutto il mondo che si oppongono alle pratiche intensive, testimonia che se usati nel modo corretto gli erbivori possono diventare un alleato nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. In una sorta di “richiamo della foresta” contemporaneo, “Cose che Accadono sulla Terra”, si confronta anche con un’altra tematica di estrema attualità: la presenza dei lupi. La Commissione Europea ha recentemente approvato la modifica di status da “strettamente protetti” a “protetti”, concedendo maggiore flessibilità agli Stati nella gestione della popolazione dei lupi, che è stimata in circa 20.000 esemplari in Europa, di cui 3.300 solo in Italia, 950 nelle regioni alpine e 2.400 nel resto della penisola. Nel film di Michele Cinque, il lupo è un antagonista per la famiglia di allevatori, ma nel corso della narrazione diventa, in un gioco di specchi, una metafora dell’uomo stesso. La presenza del lupo risveglia paure ancestrali, ma anche la nostra appartenenza al mondo animale e la nostra responsabilità nella sua salvaguardia. Date proiezioni: 23-24-25 giugno Torino, Cinema Massimo 24 giugno, San Donato, Orbetello – Festival Terramara, presso Azienda La Selva 30 giugno, 1-2 luglio Milano, Cinema Palestrina 1-3-4 luglio Bologna, Cinema Arlecchino, Jolly e Bristol 1-4 luglio Bergamo, Cinema Conca Verde 2 luglio Firenze, Arena apriti Cinema dell’estate Fiorentina in Piazza Pitti 4 luglio Ussita, Festival Cosa accade se abitiamo 7 luglio Fermo, Arena Capo d’arco 9-10-11 luglio Roma, Cinema Farnese Il tour prosegue fino a dicembre nei capoluoghi del Lazio e nel resto d’Italia. Su richiesta è disponibile il link per la visione riservata del film. Redazione Italia
PIANURA PADANA PIEGATA DA OZONO, TEMPERATURE ESTREME E NUBIFRAGI. MA REGIONE LOMBARDIA “SORVOLA” SULLE CAUSE
Cambiamento climatico e Pianura Padana. Dopo giorni di temperature fino a 10 gradi sopra la media, a partire dal weekend il Nord Italia – a macchia di leopardo – si è trovato sott’acqua. Disagi, allagamenti e forti grandinate; treni fermi tra Verona e Vicenza per il vento che ha compromesso la stabilità del parapetto di un cavalcavia. Frana invece sul monte Antelao, nel Cadore, sulla Statale di Alemagna, la cosiddetta “strada delle Olimpiadi” (quelle invernali 2026) che porta a Cortina D’Ampezzo. Nel Bresciano invece, a Chiari, danni al reparto Radiologia dell’ospedale, con esami riprogrammati per il ripristino. Proprio la Lombardia – e il Pirellone in particolare – sono nel mirino di Legambiente, che sottolinea come la proposta di legge sul clima, in discussione al Consiglio regionale, escluda elementi chiave causa dell’inquinamento del territorio. Metano e numeri eccessivi degli allevamenti intensivi sono i grandi assenti. “Ormai si parla di inquinamento climatico, se non vogliamo vanificare gli investimenti dobbiamo accelerare la transizione ecologica.” Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. Ascolta o scarica.
Oltre gli allevamenti intensivi, per una riconversione agro-ecologica della zootecnia
Gli impatti degli allevamenti intensivi, soprattutto nelle zone in cui queste attività sono più concentrate, come la Pianura Padana, sono ormai ampiamente documentati: riguardano principalmente le emissioni di ammoniaca (NH3) e il conseguente inquinamento da polveri fini (PM 2,5), responsabili ogni anno di migliaia di morti premature in Italia. Le grandi quantità di azoto prodotto rappresentano inoltre un problema per l’inquinamento del suolo e dei corpi idrici, soprattutto nelle regioni ad alta densità zootecnica. L’enorme numero di animali allevati in modo intensivo nel nostro Paese (più di 700 milioni all’anno) richiede un grande uso di risorse, spesso sottratte al consumo diretto umano (due terzi dei cereali commercializzati nell’Unione Europea diventano mangime e circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale). L’Italia è seconda solo alla Polonia in Europa per morti premature da esposizione a PM 2,5, con quasi 50 mila decessi prematuri nel 2021. Non solo, ma il nostro Paese è anche in procedura d’infrazione per il mancato rispetto della Direttiva europea sui nitrati. Greenpeace, ISDE, Lipu, WWF e Terra! hanno lanciato nello scorso febbraio un Manifesto pubblico “OLTRE GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI. Per una riconversione agro-ecologica della zootecnia” alla base di una Proposta di Legge presentata da un gruppo di parlamentari della XIX Legislatura appartenenti a diversi partiti politici (AC 1760) per una riconversione del settore zootecnico che metta al centro, tanto delle politiche quanto dei meccanismi di sostegno, le aziende agricole di piccole dimensioni che adottano metodi agroecologici, e non più il sistema dei grandi allevamenti intensivi, così come avviene attualmente (a titolo di esempio, l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse di un 20% di grandi aziende agricole). L’obiettivo è quello di creare le condizioni per un sistema produttivo che sia ripensato sulla piccola scala, con margini di guadagno più equi per i produttori e con politiche di sostegno ai prezzi che permettano a tutta la popolazione di accedere a cibi sani e di qualità, che rispondano ai valori positivi del “Made in Italy”. Inoltre, le associazioni Greenpeace, Lipu, Medici per l’ambiente-ISDE, Terra! e WWF Italia, hanno anche predisposto una mozione utile ad avvicinare i territori al processo di conversione agro-ecologica del settore zootecnico. La mozione è volta, da un lato, a promuovere un dibattito scientifico pubblico e dall’altro a favorire la discussione generale dell’iniziativa legislativa. Una mozione che una volta approvata dai Consigli Comunali impegna il Sindaco e la Giunta a: promuovere forme di sensibilizzazione della collettività e delle categorie economiche sui benefici derivanti da una transizione ecologica del sistema zootecnico; collaborare all’organizzazione di eventuali iniziative pubbliche promosse dalle associazioni proponenti la proposta di legge nel territorio comunale; farsi parte attiva presso il Parlamento, il Governo nazionale e regionale, affinché si giunga all’approvazione della proposta di legge; incentivare sul territorio le aziende agricole locali che adottano metodi di allevamento sostenibili e rispettosi del benessere animale; attivarsi affinché, per quanto di competenza dell’ente comunale, nella programmazione e pianificazione comunale si tenga conto dei principi che ispirano la proposta di legge depositata alla Camera dei deputati il 6 marzo 2024. Già tre Comuni, Spoltore, in provincia di Pescara, San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone, e Castenedolo, in provincia di Brescia hanno approvato la mozione promossa da Greenpeace, ISDE, Lipu, Terra! e WWF per una transizione in chiave agro-ecologica del sistema degli allevamenti intensivi. “L’approvazione della mozione in tre Comuni di tre diverse regioni è un primo, significativo segnale di cambiamento che parte dai territori. È da qui che può prendere slancio una spinta concreta verso una legislazione nazionale capace di tutelare salute, biodiversità e la sostenibilità socio-economica del comparto agricolo, dichiarano le cinque associazioni promotrici. L’attuale modello zootecnico italiano – sempre più concentrato in grandi realtà intensive e industriali – sta penalizzando le piccole e medie aziende, mettendone a rischio la sopravvivenza. Con la nostra proposta di legge vogliamo offrire un’alternativa credibile: un percorso di transizione che permetta al settore di resistere nel tempo, tutelando ambiente, salute pubblica e giustizia sociale”. Pierluigi Bianchini, sindaco di Castenedolo, che ha già approvato la mozione, ha sottolineato la necessità di “un cambio di rotta nel modo di fare zootecnia, sostenendo la riconversione degli allevamenti intensivi in modelli più sostenibili e rispettosi di salute, ambiente e animali. Non possiamo rimanere indifferenti davanti a un tema che riguarda tutti”. Auspicando “che tanti altri Comuni scelgano di unirsi a questo percorso, per costruire insieme un sistema agricolo più giusto, allo stesso tempo vogliamo esprimere il nostro sostegno alle piccole realtà agricole locali, che ogni giorno lavorano con cura e rispetto per la terra, rappresentando un’alternativa concreta e preziosa”. Qui per approfondire e scaricare la mozione: https://www.associazioneterra.it/news/allevamenti-intensivi-i-primi-comuni-che-approvano-la-nostra-mozione-per-fermarli.   Giovanni Caprio