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Rinnovato il 41 bis a Marco Mezzasalma: continua la pura vendetta di Stato
Ai primi di luglio i giudici che presiedono la sezione di sorveglianza hanno rinnovato a Marco Mezzasalma il regime detentivo del famigerato 41 bis per i prossimi quattro anno. Ancora una volta – come avviene da oltre 20 anni – verso Marco (ed altri pochi compagni) viene dilatata a dismisura […] L'articolo Rinnovato il 41 bis a Marco Mezzasalma: continua la pura vendetta di Stato su Contropiano.
Un mondo senza vendetta
Si è concluso alcuni giorni fa il 10° Simposio Internazionale UTOPIE IN MOVIMENTO organizzato on line e in 12 luoghi presenziali dal Centro Mondiale di Studi Umanista. Sono riuscito a seguire solo pochi interventi dei 120 previsti secondo un programma che si svolgeva durante 4 giorni in diretta streaming e ho trovato in essi una grande profondità di pensiero e proposte, idee e utopie molto interessanti e innovative. Devo dire che sono stati quattro giorni in cui abbiamo potuto prendere contatto e toccare con mano l’impegno di tante persone e organizzazioni, ma soprattutto una grande speranza che si esprime in molteplici visioni e attività e che porta il nostro sguardo oltre l’orizzonte, superando la follia che apparentemente pervade questo momento storico. Ma fra tutte gli interventi mi ha colpito particolarmente la sessione presenziale che si è svolta in Italia, dedicata al superamento della vendetta e a cui ho potuto partecipare personalmente. Che strano, mi sono detto, che qualcuno oggi si occupi di questo tema apparentemente così antico che richiama echi omerici di un passato ormai superato e sepolto. Poi, man mano che si svolgevano gli interventi, a partire da quello iniziale di Vito Correddu, continuando poi con quelli di Stefano Tomelleri, Loredana Cici, Annabella Coiro, Luciano Eusebi, Marcello Bortolato e Gherardo Colombo mi sono reso conto che il tema non è affatto superato e antico come credevo, ma piuttosto attuale e, anzi, tanto pervasivo che è alla radice di una mentalità violenta che oggi si esprime nella nostra società praticamente in ogni ambito, dalle relazioni internazionali, al sistema giuridico, alle relazioni personali. Solo per citare alcuni passaggi che mi hanno colpito, Vito Correddu, ricercatore del Centro di Studi Umanista, partendo come spunto dal racconto Utopia di Thomas More, analizza il meccanismo vendicativo e lo riconduce alla tanto radicata credenza della punizione di un colpevole: “Se la vendetta privata è considerata inaccettabile, la giustizia retributiva ne conserva la stessa logica: infliggere sofferenza per riparare un danno”. Nel suo intervento centra molto bene, a mio parere, la logica colpevole-punizione e accenna alle diverse alternative da applicare nel campo della giustizia. Stefano Tomelleri, professore ordinario di Sociologia generale presso il Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università degli Studi di Bergamo, approfondisce il meccanismo del capro espiatorio e come questo generi ancora oggi catene di violenza e ritorsioni da cui è necessario uscire, sottolineando quanto il meccanismo del dominio ancora contribuisca alla definizione di identità tra generi, per esempio. Loredana Cici, ex Capo dell’Ufficio legislativo del Presidente della Regione Campania affronta il tema della giustizia riparativa come una vera e propria rivoluzione culturale profonda, mentre Annabella Coiro, fondatrice della la rete di scuole ED.UMA.NA, mette in rilievo come la logica punitiva venga praticata e insegnata nella scuola, raccontando le diverse esperienze reali in cui si è trovata coinvolta. Sullo stesso piano continuano il professore di diritto penale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Luciano Eusebi e l’ex magistrato Gherardo Colombo, riferimento internazionale nel campo della giustizia e autore di numerosi libri tra cui Il legno storto della giustizia e La sola colpa di essere nati , impegnati entrambi nella trasformazione del sistema giudiziario da retributivo (di tipo punitivo) a quello riparativo, che si centra su un tipo di approccio completamente diverso. Anche il magistrato di sorveglianza del tribunale di Firenze e autore del libro Vendetta pubblica, Marcello Bortolato, racconta come il sistema giudiziario risponda completamente alla logica “infliggere il male a chi ha compiuto il male”. Insomma, mi sono reso conto di quanto la cosiddetta “vendetta” sia un tema fondamentale da trattare e sradicare per un vero cambiamento culturale che proietti la nostra specie verso un futuro profondamente e, finalmente, umano. Per chiunque fosse interessato ad approfondire, consiglio di leggere l’intervento di Vito Correddu che potete trovare qui oppure  di guardare i video dei diversi interventi sul canale Youtube del Centro di Studi Umanista. Fulvio De Vita
X Simposio del Centro Mondiale di Studi Umanista “Utopie in Movimento”, le foto
Si è conclusa ieri la prima giornata del X Simposio del Centro Mondiale di Studi Umanista “Utopie in Movimento” che si svolge ad Attigliano al Parco di Studio e Riflessione. Ecco le foto dei momenti significativi della giornata, dedicata al tema del superamento della vendetta. Il Simposio si concluderà oggi sia ad Attigliano che in una serie di sedi sparse tra l’America e l’Europa. Link all’articolo precedente. Redazione Italia
Oltre la vendetta e verso la riconciliazione: un’utopia possibile
Cosa significa oggi superare la vendetta e il risentimento?   Come si traduce questa speranza nei diversi campi dell’esperienza sociale, dalla giustizia all’educazione, dal diritto internazionale alla quotidianità dei rapporti sociali?   È questa forse un’utopia in movimento?   Oggi come non mai nella storia, è divenuto urgente un passo consapevole in direzione di una riconciliazione sincera. Occorre un coraggioso atto di trasformazione personale e sociale.   Nell’ambito del Simposio Internazionale del Centro Mondiale di Studi Umanista dal titolo Utopie in movimento si svolgerà il 10 maggio 2025 al Parco di Studi e Riflessione di Attigliano (Terni) una giornata interamente dedicata al tema Oltre la vendetta, con la partecipazione di Gherardo Colombo, Luciano Eusebi, Stefano Tomelleri, Marcello Bortolato, Annabella Coiro, Loredana Cici e Vito Correddu. Per partecipare in presenza iscriversi su: https://www.csusalvatorepuledda.org/iscrizionesimposio Per seguire on line su piattaforma Zoom e ricevere le password di collegamento: https://2025.worldsymposium.org/it/registration La partecipazione è gratuita La vendetta oggi Quanto è lecito oggi chiedersi sulla vendetta, quando essa risulta per molte persone superata e archiviata dalla moderna giustizia? Ha senso approfondire questo meccanismo così antico, se esso sembra quasi essere “innato” nella specie umana e quindi parte della stessa “natura” umana? È la riconciliazione profonda, personale e sociale, il cammino da percorrere oggi per uscire dalla trappola del risentimento e della violenza? Senza volerci addentrare in uno studio esteso sulle origini e sullo sviluppo storico del meccanismo psicologico e sociale della vendetta, intendiamo soffermarci in questo breve articolo soprattutto su alcuni aspetti. Per poter comprendere quanto ancora oggi la vendetta sia presente nei rapporti interpersonali, sociali e istituzionali è necessario partire dal radicato meccanismo culturale “colpevole-punizione”. Secondo la definizione di Silo del 2008, la vendetta va intesa come “la credenza profonda di vedere una soluzione nel far patire all’altro quello […] che l’altro ha fatto patire a noi stessi o ad altre persone”, ma anche “la credenza per la quale far soffrire l’altro compensa quello squilibrio cosmico che si è prodotto per l’ingiustizia che l’altro ha commesso”. Ossia, nella punizione inclusa nella vendetta, si stabilisce un’equivalenza speculare in cui la violenza subita deve essere compensata e riequilibrata da altrettanta (se non maggiore) violenza, che possa “far patire all’altro” la stessa sofferenza provocata. Paradossalmente si crede che al male sia necessario contrapporre altro male. Si crede che per porre termine alla violenza sia necessario operare altra violenza. Posto in questi termini risulta evidente che tale meccanismo punitivo più che offrire una soluzione e rendere quindi possibile il superamento della sofferenza e della violenza, non faccia altro, nella pratica, che perpetuare la catena di violenza di cui osserviamo quotidianamente gli effetti. Nella vendetta e nella punizione risiede dunque una sostanziale forma di violenza, giacché queste non sono possibili senza che si cerchi e si punisca un colpevole. È proprio nella ricerca del colpevole che risiede la possibilità di vendicarsi o di punire. Si può affermare quindi che la stessa ricerca di un colpevole, in ottica punitiva o vendicativa, sia un atto violento, seppur considerato legittimo nella mentalità comune o perfino nei sistemi giudiziari. Quando si invoca “giustizia”, quindi, cosa si sta chiedendo veramente? Si sta chiedendo proprio che il colpevole paghi il suo debito con il gruppo sociale o con l’individuo danneggiato. Il colpevole, avendo rotto le regole, gli equilibri, non ha più diritto di essere parte di quel gruppo, di quella società. Il male viene inflitto al colpevole per riequilibrare il danno che ha arrecato. Ossia una vendetta mascherata, sofisticata, ma pur sempre una vendetta. Solo dopo aver pagato, il colpevole ha diritto a essere riammesso all’interno della società, senza mai sentirsi riabilitato del tutto. Certamente il meccanismo vendicativo non attraversa solo i codici e le leggi, ma si estende ai rapporti sociali, ai rapporti personali e in sintesi all’intera cultura. È sufficiente osservare quanto tale “sentimento” sia presente in modo massiccio nella produzione cinematografica. Moltissimi film e serie TV hanno come motore principale una vendetta, privata o pubblica, dal famosissimo Kill Bill di Tarantino, a Old Boy (parte di una trilogia sulla vendetta), a Revenant, ecc. Oltre alla produzione dedicata alla vendetta individuale, nella produzione cinematografica e televisiva c’è anche quella che si svolge all’interno delle aule di tribunale. Simbolo tra tutti è il film Il momento di uccidere di Schumacher del 1996, in cui addirittura il pregiudizio razziale (l’imputato è un nero) viene superato e integrato attraverso il riconoscimento dell’atto di vendetta che l’uomo compie. Il potere, inoltre, nel corso dei secoli, ha storicamente rafforzato questa dinamica, facendo della vendetta, come gestione delle modalità punitive, una forma di controllo sociale. Le gerarchie — religiose, politiche, familiari — hanno spesso istituzionalizzato la punizione come unica via per garantire l’ordine. La giustizia si è così trasformata in un meccanismo di restituzione violenta, perpetuando un ciclo che non risolve mai veramente il dolore originario, ma lo moltiplica, lo tramanda, lo tramuta in rancore e paura. Il meccanismo vendicativo-punitivo è così pervasivo nella cultura e nelle relazioni sociali da apparire oggi quasi come “innato”, qualcosa da cui non si è possibile assolutamente prescindere e dal quale sembra, a volte, dipendere la stessa esistenza di una civiltà. Al contrario la compensazione del danno subito con altro danno non è la sola risposta possibile di fronte a un evento violento che offende o arreca un danno. Esistono molti altri modi per tentare di riequilibrare la situazione, di lenire la sofferenza o di riconciliare le parti e sono numerosi quelli che darebbero la possibilità di uscire dalla logica colpevole-punizione, in cui invece le società sembrano ancora imprigionate. Se la vendetta è una costruzione culturale, allora questa può essere smontata e sostituita.  Avere come proposito di una società umana quello di conoscere la verità è auspicabile ed entusiasmante, ma se tale processo termina nello stabilire chi sono i colpevoli e quali i nemici da combattere, allora stiamo chiudendo l’orizzonte della stessa verità che volevamo trovare. La riconciliazione non è rassegnazione. Riconciliazione, al contrario, è ribellione contro l’ingiustizia e il risentimento. Riconciliazione significa vedere coraggiosamente la verità di ciò che è accaduto e spingere lo sguardo oltre la sofferenza e la violenza. Vediamo come oggi si moltiplicano le esperienze di giustizia riparativa o trasformativa, di educazione alla nonviolenza, di pratiche sociali e politiche che scelgono il dialogo e la riconciliazione al posto della logica del colpevole. Dalla Commissione per la Verità e la Riconciliazione in Sudafrica, al lavoro delle Comunità di Pace in America Latina, dai programmi scolastici basati sull’empatia fino ai movimenti che promuovono un’etica della compassione e della cura. L’utopia di un mondo senza vendetta non solo è desiderabile, ma è già in atto. In che modo l’essere umano vincerà la sua ombra? Forse fuggendola? Forse lottando incoerentemente contro di essa? Se il motore della storia è la ribellione contro la morte, ribellati, ora, contro la frustrazione e la vendetta.» (Silo, 1981) Fulvio De Vita