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USA: SCONTRO TRA GIUDICI FEDERALI E PRESIDENZA, L’ULTIMA PAROLA SPETTERÁ ALLA CORTE SUPREMA. L’INTERVISTA A MARTINO MAZZONIS
Giornata no per Donald Trump: dopo la bocciatura dei dazi dei giorni scorsi, oggi con due voti a favore e uno contrario, una corte d’appello federale della capitale statunitense ha reintegrato Rebecca Slaughter, commissaria della Federal Trade Commission (FTC) nominata da Biden e licenziata dal Tycoon, La Corte ha giudicato illegale il suo licenziamento, ma la Casa Bianca ha già dichiarato che presenterà ricorso alla Corte Suprema. Tuttavia, nell’ordinanza della Corte d’appello, si legge che “è improbabile che il governo vinca in appello perché qualsiasi sentenza a suo favore da parte di questa Corte dovrebbe sfidare i precedenti vincolanti, pertinenti e ripetutamente preservati della Corte Suprema” E non solo. Una Corte d’appello federale ha inoltre stabilito che l’uso del contestato Alien Enemies Act – il decreto voluto da Trump per deportare più rapidamente presunti membri di gang venezuelane – è illegale e ne ha bloccato l’uso in diversi stati del sud degli Stati Uniti. Secondo il giudice, Trump non può utilizzare una legge di guerra del 1798, invocata per la prima volta a marzo, per portare avanti il proprio piano di espulsioni in Texas, Louisiana e Mississippi. Infine l’ambasciatore americano Matthew Whitaker presso la NATO, ha bocciato la contabilità creativa degli stati dell’Unione Europea e anche l’Italia: il ponte sullo stretto di Messina non potrà essere pagato con i fondi NATO, ha detto l’ambasciatore. Su questi temi abbiamo intervistato il giornalista e americanista Martino Mazzonis. Ascolta o scarica
Perché la destra politicizza il denaro?
Con il licenziamento di Lisa Cook, Donald Trump ha cominciato a rompere l’ultimo dei tabù: l’indipendenza della Fed. Con buona pace di Federico Rampini, che ora dovrà cercare nuovi argomenti per celebrare la superiorità dell’Occidente nei confronti delle autocrazie e del Grande Sud, Trump non si è limitato a sbeffeggiare per mesi Jerome Powell, è «passato all’atto». I mercati sono ovviamente agitati, temendo il controllo politico della banca centrale più importante del mondo, quanto meno di quel pezzo di mondo che si autodefinisce davvero libero. Colpendo Lisa Cook, tra l’altro, Trump è riuscito a unire istanze strettamente economiche, ovvero il governo della moneta e del suo costo, con la politica del simbolico: Cook, prima donna nera nel board della Fed, è simbolo di ciò che il movimento MAGA qualifica come «capitalismo woke». Ma si tratta evidentemente di una mossa che, nel confermare la furia ideologica del trumpismo, fa anche saltare in aria le coordinate alle quali l’apologia dei tecnici del denaro (da Volcker a Draghi), negli ultimi decenni, ci aveva abituato. L’attacco alla Fed ha un primo, e fondamentale, obiettivo: far ripartire l’inflazione. E già qui, le bussole, funzionano poco. Non è l’inflazione un modo per ridurre il peso del debito per i debitori, ovvero per le fasce più povere della società che, per consumare, per esempio per acquistare una casa, debbono necessariamente indebitarsi? E non è – ancora – l’aumento dei prezzi, uno stimolo per gli imprenditori e gli investimenti, stimolo che, se ben gestito, favorisce la ripresa dell’occupazione? Sarebbe dunque, Trump, un vero amico della classe operaia e del ceto medio impoveriti, come insiste il movimento MAGA? Occorre allargare lo sguardo. I creditori contro i quali si vuole scagliare Trump, imponendo alla Fed l’abbassamento del costo del denaro e, a seguire, favorendo la dinamica inflativa, non sono tanto i miliardari americani, che comunque saranno favoriti dall’azzeramento delle tasse, ma tutti coloro che pagano l’enorme debito pubblico americano (ad agosto, oltre i 37 mila miliardi di dollari). > Il debitore mondiale non è più l’Europa, come subito dopo la Seconda guerra > mondiale, ma sono gli Stati Uniti d’America. L’inflazione è dunque un modo, come d’altronde lo fu in parte per Richard Nixon nel 1971, per «ristrutturare» unilateralmente il debito pubblico.    Pensate alla Grecia nel 2015. Un Paese povero, afflitto dal debito e martellato dai suoi creditori (banche, fondi di investimento, fondi previdenziali, ecc.), è sottoposto a una “cura” fatta di vessazioni, umiliazioni e, soprattutto, compressione del welfare, abbassamento dei salari reali, disoccupazione, suicidi, biografie spezzate, giovinezza rubata. Un impero, come gli Stati Uniti, procede diversamente. Dicevamo di Nixon: nel giorno di Ferragosto del 1971 (la scelta del giorno per l’incontro con Putin in Alaska sarà stata casuale?), dichiarò il dollaro non più convertibile in oro. Tutti coloro che possedevano dollari, per esempio diversi paesi europei (la Francia in testa), ma non solo, si sono tenuti la carta, senza poter ottenere l’oro che gli Stati Uniti, a Bretton Woods nel 1944, si erano impegnati a consegnare su richiesta. Un furto, tra l’altro accompagnato – e nessuno in questi mesi lo ha ricordato – dall’introduzione di dazi del 10%. Ovviamente c’è un problema: se la Fed abbassa il costo del denaro, e l’inflazione riparte, in giro per il mondo molti paesi che da decenni fanno incetta del dollaro, considerandolo valuta di riserva per eccellenza, potrebbero – come già in diversi stanno facendo – smettere di acquistare Titoli di Stato, che sono denominati in dollari e, alla forza del dollaro, della Fed e dell’economia americana più in generale, devono la loro affidabilità. Powell, più nello specifico, teme per i titoli a lunga scadenza, il cui rendimento l’altro ieri (26.08) è salito non poco, così come è aumentato il differenziale con quelli a breve scadenza. Segnale che, in prospettiva, l’affidabilità del debito americano si fa scarsa e, coloro che lo acquistano, pretendono rendimenti sempre più importanti. > La mossa di Trump, però, va letta insieme al Genius Act, ovvero al pieno > sostegno normativo della sua Amministrazione alle monete digitali private, le > stablecoin. Pur trattandosi di criptovalute, si definiscono stabili e non oscillanti/speculative perché ancorate a monete legali, quali il dollaro ovviamente. L’obiettivo di Trump è quello di rispondere alla crisi del dollaro, della sua funzione di comando politico sul mercato mondiale, attraverso la diffusione delle stablecoin. In tendenza, qualora si affermassero, e favorite dagli effetti di rete, le stablecoin potrebbero in parte realizzare il sogno del sodale di Pinochet, l’economista premio Nobel che, per difendere la libertà, riteneva giusto sostenere il fascismo (come Peter Thiel di Palantir, d’altronde): Friedrich von Hayek. In un saggio del 1976, dal titolo La denazionalizzazione della moneta, Hayek proponeva di far saltare in aria il monopolio della Fed sull’emissione di moneta legale, favorendo una molteplicità di monete private in competizione tra loro. Monete private espressione di un regime di free banking, sistema tutt’altro che marginale nel XIX secolo americano e che ha rallentato di diversi decenni, negli Stati Uniti, la nascita di una vera e propria banca centrale. Da non dimenticare, infatti, che la Fed nasce soltanto nel 1913, diversi secolo dopo la Bank of England (1694), ma anche oltre un secolo dopo la fondazione napoleonica della Banque du France (1800). Ora, sembrerebbe dunque che l’attacco di Trump alla Fed sia solo il rilancio delle più spericolate teorie neoliberali degli anni Settanta. Lo è, in parte, ma solo in parte. Il free banking è una tendenza, che si realizzerebbe compiutamente solo con stablecoin più che affermate su scala mondiale. La Commissione europea, qualora decidesse di promuovere un’interpretazione estensiva del suo Regolamento in merito (MiCA), aprendo così le porte alla piena fungibilità in zona euro delle stablecoin denominate in dollari, darebbe un grosso aiuto al progetto trumpiano. La realizzazione del progetto, però, non è immediata. Trump, in verità, sta parlando anche al suo mondo, al movimento MAGA. Sta dicendo agli «sconfitti della globalizzazione» che il Presidente fa sul serio, piegando la Fed all’autorità politica, del governo. > Come con la Corte suprema, si tratta di affermare che, chi vince le elezioni, > comanda: sulla giustizia e, soprattutto, sull’economia, in particolare sul > denaro. Non sarebbe la prima volta, nella storia, che l’estrema destra decide di politicizzare la moneta. Ci pensarono già due nazisti che andrebbero studiati con attenzione, la stessa con la quale li studiava il liberale Keynes: Hjalmar Schacht e Walther Funk. Il secondo, in particolare, progettò nel 1940 una «moneta generale», per l’Europa germanizzata, alternativa al dominio dell’oro, che, allora e anche se ancora per poco, voleva dire dominio della sterlina e della City di Londra. Trump non restituirà le fabbriche agli Stati Uniti, ma intanto sta acquisendo il controllo di Intel e US Steel – fatto non banale. Trump sta restituendo agli impoveriti l’immagine di una politica che non si genuflette ai tecnici e ai dogmi dell’economia. La socialista americana Alexandria Ocasio-Cortez il problema ce l’ha chiaro, tanto che, affidandosi (anche troppo) alla Modern Monetary Theory, sta tentando di fare, del denaro e del suo costo, dell’inflazione, temi su cui la sinistra prende parola – politicamente. In Europa, purtroppo, dopo il movimento Blockupy il tema è uscito dall’agenda delle sinistre – una parte delle quali, quando si tratta di denaro, passa la parola ai banchieri centrali o comunque agli economisti di professione. Un disastro, perché a breve, come segnala Ignazio Angeloni della BCE, le destre europee imiteranno Trump, impallinando la BCE con scopi tutt’altro che redistributivi. In ultimo, ma non per importanza: e se obiettivo di Trump fosse anche quello di controllare l’economia, dai dazi alla moneta, alle grandi corporation, per avanzare nella lunga preparazione della resa dei conti bellica con la Cina? D’altronde, gli anni Trenta tedeschi, questo ci insegnano.     Immagine di copertina da Kaboompics.com L'articolo Perché la destra politicizza il denaro? proviene da DINAMOpress.
ANALISI CRITICA DEI FATTI ECONOMICI CON ANDREA FUMAGALLI: LA CONFERENZA SULLA RICOSTRUZIONE UCRAINA; I DATI OCSE SUI SALARI REALI (E AL PALO) IN ITALIA; L’ORO ITALIANO NEI CAVEAU STATUNITENSI
Consueto appuntamento del venerdì mattina con l’Analisi critica dei fatti economici della settimana con l’economista e collaboratore di Radio Onda d’Urto Andrea Fumagalli. Nella puntata di venerdì 11 luglio viene approfondita la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina a guerra ancora in corso e senza vedere all’orizzonte spiragli di tregua; un approfondimento anche sui dati economici, dai numeri Ocse sui salari reali in Italia – ancora fanalino di coda – e sui dati della produzione in calo a maggio, con il comparto auto in forte crisi; in ultimo un focus sulle riserve auree italiane nei caveau degli Stati Uniti che preoccupano gli economisti. La puntata di venerdì 11 luglio 2025. Ascolta o scarica.
PALESTINA: GI USA SANZIONANO FRANCESCA ABANESE PER AVER DENUNCIATO LE AZIENDE COMPLICI DEL GENOCIDIO A GAZA
Usa e Israele definiscono a Washington la loro idea di “tregua” tra campi di concentramento – come quello con il quale vogliono confinare 600mila palestinesi a Rafah – e riconoscimento di fatto dell’occupazione totale della Palestina, dalla Striscia di Gaza a gran parte della Cisgiordania. Hamas vuole che nel documento vi siano un impegno esplicito per la fine permanente dei combattimenti, il ritiro totale delle truppe di Tel Aviv dalla Striscia e l’esclusione della finta ong israelo-statunitense GHF dalla lista delle organizzazioni che gestiranno gli aiuti umanitari. Le trattative non sembrano quindi vicine alla firma di un accordo come vorrebbe, almeno nelle dichiarazioni, Trump. Nel frattempo, l’esercito israeliano prosegue il genocidio: almeno altri 13 palestinesi sono stati uccisi in un raid che ha colpito Deir el Balah. Altre 4 persone sono state uccise in un attacco sul campo profughi di Al Bureij. In totale sono almeno 24 i palestinesi massacrati dai bombardamenti israeliani soltanto nelle prime ore di stamattina. L’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari fa sapere che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi più di 15.000 studenti a Gaza. Secondo un conteggio effettuato dalle autorità educative della Striscia il 1° luglio, “almeno 15.811 studenti e 703 membri del personale educativo sono stati uccisi, mentre 23.612 studenti e 315 membri del personale educativo sono stati feriti, molti dei quali con conseguenze fisiche o psicologiche permanenti”. Raid, aggressioni e demolizioni da parte delle forze di occupazione israeliane continuano anche in Cisgiordania, dov’è ogni giorno più esplicita la volontà di espandere gli insediamenti dei coloni, cacciare la popolazione locale e annettere i territori allo stato di Israele. Stamattina i coloni hanno aggredito una donna a Masafer Yatta, nell’area di Hebron. Demolite poi dai bulldozer israeliani due case a Salfit. A Betlemme invece gli israeliani hanno sottratto altra terra ai palestinesi per costruire una strada tra diversi insediamenti coloniali. L’esercito occupante, infine, ha assaltato il quartiere di Al-Hadaf di Jenin facendo irruzione in alcune abitazioni. I militari hanno perquisito e danneggiato alcune case ed effettuato arresti, tra intimidazioni e spari. Gli Usa, infine, imporranno sanzioni a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi occupati. Lo ha annunciato il segretario di stato Usa Rubio, che farnetica di “illegittimi e vergognosi sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte Penale Internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani”. La “colpa” di Albanese – per statunitensi e israeliani – è quella di aver presentato un dettagliato rapporto sulle aziende coinvolte nel business del genocidio in Palestina, molte delle quali sono statunitensi, da Amazon ad Alphabet, da Microsoft a Palantir e Lockheed Martin. Il collegamento con Meri Calvelli cooperante in Palestina per ACS Associazione di Cooperazione e Solidarietà e direttrice del Centro Vik. Ascolta o scarica
PALESTINA: “NEGLI USA C’È UNA TRATTATIVA AMERICANI-AMERICANI”, MENTRE I BULLDOZER SONO AL LAVORO IN CISGIORDANIA E IL GENOCIDIO PROSEGUE
Genocidio a Gaza: anche stamattina le forze israeliane continuano a colpire Gaza, un campo profughi dopo una giornata di attacchi in cui sono morti almeno 95 palestinesi. 16 le persone uccise a partire dalle prime ore di questa mattina. Tra queste, otto persone sono state uccise in un attacco al campo profughi di Shati, due sono state uccise nel bombardamento di una casa a Deir el-Balah e due sono state uccise in un attacco con drone contro le tende a Khan Younis. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si sono incontrati per la seconda volta ieri per discutere di un cessate il fuoco a Gaza, ma non sembra esserci stata alcuna svolta. Secondo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu  si stanno aprendo opportunità per ampliare gli Accordi di Abramo. Lo riporta Haaretz.  Hamas afferma che “Gaza non si arrenderà” dopo che Netanyahu ha dichiarato che libererà i prigionieri israeliani rimasti nell’enclave devastata dalla guerra e sconfiggerà il gruppo palestinese. L’esercito israeliano ha rivendicato attacchi a diversi veicoli nel nord e nel sud del Libano, affermando che uno di questi attacchi ha ucciso un comandante di Hamas a Tripoli. Abbiamo chiesto a Shoukri Hroub, dell’UDAP – Unione Democratica Arabo Palestinese – un commento sul fronte diplomatico e gli aggiornamenti sull’iniziativa di solidarietà internazionale Freedom Flotilla. Ascolta o scarica
GAZA: HAMAS VALUTA LA PROPOSTA DI CESSATE IL FUOCO. LE STRAGI ISRAELIANE CONTINUANO
Continua il genocidio per mano israeliana in Palestina. Dall’alba di oggi sono già 73 i palestinesi uccisi dai raid incessanti e decine quelli feriti nella Striscia di Gaza. Le forze di occupazione israeliane hanno bombardato una scuola che ospitava sfollati e persone in attesa di aiuti a ovest di Gaza city, e una tenda nel campo profughi di Al-Mawasi, a ovest di Khan Yunis. Preso di mira anche un centro di riabilitazione di Jabalia, a nord. Oltre 30 dei palestinesi ammazzati stamattina erano in fila per il cibo presso le trappole mortali che la finta ong israelostatunitense Ghf chiama “centri di distribuzione aiuti”. A questo proposito Associated Press riferisce come i contractor statunitensi che sorvegliano i siti gestiti dalla finta ong utilizzino armi da fuoco e granate stordenti. Gli operatori sentiti da AP affermano che il personale di sicurezza assunto è spesso non qualificato, non è  controllato ed è armato fino ai denti. I video forniti da uno dei contractor mostrano centinaia di palestinesi ammassati tra il rumore di proiettili, granate stordenti e il bruciore dello spray al peperoncino. Altri video mostrano conversazioni tra uomini di lingua inglese che discutono su come disperdere la folla. Prosegue anche l’assalto di militari e coloni in Cisgiordania. Le forze di occupazione israeliane hanno demolito un tornio per la lavorazione di metalli a est di Nablus, mentre un camionista palestinese è rimasto ferito dagli spari dei militari israeliani a est di Betlemme. I bulldozer israeliani, inoltre, hanno demolito strutture residenziali, agricole e raso al suolo terreni nella zona di Rawabi al-Issawiya, a nord-est di Gerusalemme occupata. Ieri il ministro israeliano della Giustizia, Yariv Levin, parlando con il leader dei coloni Yossi Dagan, ha detto esplicitamente ciò che è chiaro da tempo: “è tempo di annettere la Cisgiordania”. Sul lato diplomatico esponenti di Hamas avrebbero espresso “soddisfazione” per il fatto che è stata avanzata una nuova proposta per un cessate il fuoco a Gaza e avrebbero osservato che i mediatori stanno compiendo grandi sforzi per raggiungere un accordo tra le parti. A sostenerlo è il media saudita Asharq News, dal quale però fanno sapere che il movimento islamico palestinese contesta ancora alcuni punti. In particolare, i punti che riguardano l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia e il ritiro delle truppe di occupazione israeliane non indicano date specifiche né presentano mappe allegate. Entro domani sera dovrebbe presentare la risposta. Intanto, ad Ankara, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha incontrato Abu Omar Hassan, presidente del Consiglio della Shura di Hamas e altri rappresentanti dell’organizzazione. Gli aggiornamenti e il commento con il giornalista palestinese Samir Al Qaryouti. Ascolta o scarica
ATTACCO USA AI SITI NUCLEARI IN IRAN. ANALISI E COMMENTI SU RADIO ONDA D’URTO
Il mondo resta in attesa di capire cosa accadrà dopo che tra sabato 21 e domenica 22 giugno gli Stati Uniti sono entrati in guerra a fianco di Israele contro l’Iran bombardando i 3 sisi nucleari iraniani di Fordow, Isfahan e Natanz. Il presidente Usa Trump ha parlato di un “grande successo” degli attacchi che – dice – avrebbero annientato “tutti i siti nucleari”, notizia che però non trova conferme. Al contrario, il regime di Teheran, avvertito dagli Usa dei raid imminenti, prima degli attacchi avrebbe trasferito in località segrete le materie prime e i macchinari per mettere in sicurezza il programma nucleare. Il tycoon – smentendo ancora una volta se stesso, il suo staff e gli altri esponenti del suo governo – è anche tornato a fare riferimento all’opzione del cosiddetto “regime change” nonostante lui stesso avesse più volte affermato che questo non rientra negli obiettivi Usa: “Se l’attuale regime iraniano non è in grado di rendere l’Iran di nuovo grande, perché non dovrebbe esserci un cambio di regime?”, ha scritto provocatoriamente sul suo social network lanciando il surreale acronimo “MIGA, Make Iran Great Again”. Il Parlamento iraniano, intanto, discuterà un disegno di legge sulla sospensione della cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Non solo, dopo gli attacchi delle scorse ore l’Iran ha minacciato di “serie conseguenze” gli Stati Uniti, facendo riferimento a un “ampliamento” della guerra. Intanto oggi, lunedì 23 giugno, il ministro degli esteri iraniano Araghchi incontra il presidente russo Putin per chiedere maggiore sostegno alla Federazione russa. Un cambio di regime non può avvenire per decisione di “paesi terzi”, ha detto il portavoce del Cremlino Peskov. Allineato, su questo, il ministro degli esteri francese Barrot, mentre la Repubblica popolare cinese ha chiesto di nuovo che i lavori per una de-escalation. Le attenzioni degli stati, degli attori economici internazionali, ma anche di lavoratori e lavoratrici di tutto il mondo, alle prese con il carovita e condizioni sempre più dure anche a causa di guerre e riarmo, si concentra anche sulle conseguenze economiche dell’ulteriore escalation in Medio oriente segnata dai raid Usa in Iran. Il prezzo del petrolio, infatti, è già salito di oltre il 4 per cento, quello del gas è aumentato di due punti percentuali. Se Teheran dovesse decidere di chiudere lo stretto di Hormuz, dal quale transita il 30% per cento del petrolio mondiale e un quinto del gas naturale liquefatto, le conseguenze sull’economia globale, in particolare sul costo dell’energia, sarebbero pesanti. La decisione finale sulla chiusura spetta al Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano. A pagare il prezzo maggiore sarebbe l’Europa. In caso di chiusura di Hormuz, infatti, Bruxelles non avrebbe altra scelta che comprare tutto il petrolio e il gas di cui necessita dagli Stati Uniti, gli unici a guadagnarci, vista anche l’impossibilità di acquistare dalla Russia per via delle sanzioni relative alla guerra in Ucraina. Continuano intanto gli attacchi incrociati tra Israele e Iran. Nelle ultime ore si segnalano bombardamenti intorno alla capitale iraniana Teheran e sui siti nucleari iraniani. I caccia di Tel Aviv hanno colpito di nuovo anche la sede della tv pubblica, mentre l’Iran continua a lanciare batterie di missili balistici dirette verso lo stato israeliano. Nel sud di Israele è stata colpita un’importante infrastruttura elettrica e l’energia risulta interrotta. A partire dalla mattinata di lunedì 23 giugno 2025, la redazione di Radio Onda d’Urto raccoglie analisi e commenti sulla situazione: * Rafat Ahmad, giornalista iraniano. Ascolta o scarica. * Martino Mazzonis, giornalista, americanista e nostro collaboratore. Ascolta o scarica. * Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea e Storia della globalizzazione presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Ascolta o scarica. * Michele Giorgio, corrispondente da Gerusalemme de Il Manifesto, direttore di Pagine Esteri e nostro collaboratore. Ascolta o scarica.
USA: 2MILA MANIFESTAZIONI E MILIONI DI PERSONE IN PIAZZA PER IL “NO KINGS DAY” CONTRO LE POLITICHE DI TRUMP
Trump annuncia una mano ancora più dura contro i migranti. “Dobbiamo ampliare gli sforzi per detenere e deportare i migranti A Los Angeles, Chicago e New York, dove vivono milioni di immigranti senza documenti”, ha detto, mentre per le strade di Los Angeles restano migliaia di caschi della Guardia Nazionale e 700 Marines, che hanno effettuato il primo arresto nei confronti di un civile statunitense. Contro le deportazioni dell’amministrazione Trump e le sue politiche guerrafondaie, si sono svolte lo scorso sabato 14 giugno migliaia di manifestazioni convocate dal movimento “No Kings day”. Milioni le persone in strada in tutto il Paese, mentre Donald Trump, nel giorno del suo compleanno, si trovava a Washington per festeggiare i 250 anni dell’esercito. Di repressione globale dei migranti si parla anche al G7 al via oggi a Kananaskis, in Alberta, Canada. La sessione sui migranti sarà affidata all’italiana Meloni. Al centro del vertice, oltre alle guerre, ci sono soprattutto i dazi. “Evitare il protezionismo” è il monito della Commissione Europea, pronta ad accettare un dazio fisso del 10% sugli scambi commerciali con gli Usa, a patto che “l’accordo sia definito con criteri chiari e condivisi” L’obiettivo è evitare tariffe più elevate su automobili, farmaceutica ed elettronica. Abbiamo anche fatto il punto sulla posizione del governo statunitense in seguito all’escalation dei conflitti in Medio Oriente, nell’intervista con Marina Catucci, giornalista e corrispondente da New York per Il Manifesto. Ascolta o scarica
USA: SI ALLARGANO LE PROTESTE “CONTRO L’IDENTITARISMO ESTREMO DEI MOVIMENTI DI DESTRA” CHE VOGLIONO DEPORTARE I MIGRANTI. INTERVISTA A LUCA CELADA
Braccio di ferro tra Donald Trump e il governatore della California Gavin Newsom, che ha annunciato una seconda causa contro la decisione dell’amministrazione Trump di dispiegare altri 2mila uomini della Guardia nazionale e 700 marines per le rivolte di Los Angeles. Da tre giorni la città californiana è teatro di rivolte e scontri per le politiche anti-migratorie trumpiane e che stavano portando a raid ed espulsioni a tappeto. Nelle ultime settimane le operazioni della polizia hanno portato all’arresto di centinaia di persone: all’origine delle retate di migranti, che hanno fatto esplodere le proteste, c’è un netto cambio di strategia imposto dalla Casa Bianca, scontenta dei numeri ritenuti ancora troppo bassi di migranti arrestati e deportati ad gennaio ad oggi. Nel frattempo, le proteste contro l’ICE – l’agenzia governativa incaricata di dare la caccia, casa per casa, ai migranti per deportarli – si allargano. Manifestazioni e scontri si sono verificati a San Francisco, con 150 arresti. Cortei a in Texas (a Austin, dove sono state arrestate almeno 10 persone), Boston, New York, Atlanta, Seattle, Dallas, Louisville e tante altre città degli Stati Uniti. Il collegamento da Los Angeles con Luca Celada, giornalista del quotidiano Il Manifesto. Ascolta o scarica
USA: CONTINUA LA LOTTA CONTRO LE RETATE ANTI-MIGRANTI. TRUMP MANDA I SOLDATI IN CALIFORNIA
L’Amministrazione Trump intensifica la sua guerra contro i migranti, inviando la Guardia Nazionale a Los Angeles per sedare le proteste contro le sue retate deportative. Con l’intervento di 2.000 soldati e la minaccia di dispiegare altri 500 marines, il clima di repressione cresce, con lacrimogeni, proiettili di gomma e manganelli a colpire chi scende in piazza per opporsi a questa escalation. La scorsa notte , altri 30 arresti sono stati effettuati a Los Angeles, con l’ordine diretto di arrestare chiunque si copra il volto o indossi mascherine; altri 60 arresti a San Francisco. Nonostante la repressione, la rabbia popolare non si placa, tanto che diversi veicoli della polizia e dell’agenzia ICE (Immigration and Customs Enforcement) sono stati dati alle fiamme in tutta la California, uno degli Stati più progressisti e antitrumpiani, dove la comunità migrante è particolarmente forte. La sindaca di Los Angeles, Karen Bass, ha affermato che non c’è bisogno di truppe federali per le strade della città e che l’intervento della Guardia nazionale ha creato un “caos intenzionale”. “Sembra che le truppe siano state schierate in modo provocatorio e non vedo come questo possa essere utile a Los Angeles in questo momento: non è il tipo di risorse di cui abbiamo bisogno in città”, ha attaccato la sindaca in un’intervista alla Cnn sottolineando che prima della decisione del presidente americano Donald Trump lei aveva assicurato alle autorità federali che la situazione “era sotto controllo” Il governatore Gavin Newsom ha accusato la Casa Bianca di attuare pratiche da “dittatore”, una denuncia che ha suscitato la reazione del governo Trump, che ha minacciato addirittura di arrestare Newsom. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’intervento di Mario Maffi, ex docente di Cultura angloamericana all’Università Statale di Milano. Ascolta o scarica.