Costruire pratiche collettive contro la guerraDal 28 al 30 marzo oltre cento persone hanno partecipato all’incontro nazionale
contro la guerra Rearm? No, reset! promosso dalla Rete per lo Sciopero Sociale
Eco-Transfemminista contro la guerra (RESET Against the War). Nell’arco dei tre
giorni, singole soggettività, appartenenti a spazi sociali, collettive
studentesche, coordinamenti e sindacati di base hanno accettato la sfida di
affrontare il disorientamento che da tre anni attraversa i movimenti, mettendo
la guerra al centro della discussione. I quattro tavoli tematici hanno permesso
un confronto aperto e franco, che ha consentito di fare passi avanti condivisi
nell’analisi della fase attuale e verso il superamento di blocchi e automatismi
che hanno costituito un limite evidente in questi anni. Per questo, i report dei
tavoli che mettiamo a disposizione [Regime di guerra e diritto alla città;
Riconversione economica? Guerra, produzione e riproduzione; Quale “nuovo”
internazionalismo di fronte alla guerra?; Cassetta degli attrezzi per movimenti
insorgenti] contengono ipotesi, pongono problemi, smontano linguaggi e
categorie.
L’incontro non solo ha raccolto il lavoro di mesi di preparazione da parte di
singol*, gruppi e collettivi, ma ha affermato praticamente l’urgenza di
costituire un luogo aperto per ripensare il nostro modo di fare movimento, oltre
le formule e le pratiche consolidate, guardando con lenti diverse la realtà di
una guerra che non parla da sola e non è confinata allo scontro militare sui
campi di battaglia, ma scandisce incessantemente il nostro presente.
Organizzarsi per lottare dentro e contro la guerra è l’urgenza che l’incontro
consegna e da cui ripartire. Per quanto registriamo positivamente la ripresa di
iniziative di contestazione delle politiche di riarmo avviate nel contesto
europeo e di rifiuto del genocidio in atto in Palestina, affermiamo al tempo
stesso l’importanza di costruire e ampliare un percorso di crescita collettiva e
trasformazione sociale che sappia produrre un linguaggio comune, superando i
blocchi che sin qui hanno impedito lo sviluppo di un movimento esteso e radicale
contro la guerra e la sua logica trasversale.
Manifestazione a Coltano, giugno 2022
In opposizione alla guerra, che produce morte e distruzione su molteplici
fronti, frammentandoli, l’incontro ha riconosciuto l’orizzonte comune che li
lega e che connette ciò che accade lungo questi fronti con le trasformazioni
transnazionali – economiche, politiche e sociali – che attraversano ogni
territorio e realtà nazionale. La guerra produce oggi una violenta
riaffermazione di gerarchie e ruoli sociali, coazione al lavoro e sfruttamento,
limitazione degli spazi di liberazione di cui possono beneficiare solo gli Stati
e il capitale. Ma sbaglia chi pensa che questi ultimi abbiano, con il ricorso
alla guerra, ripreso il controllo del disordine sistemico. Stato e capitale
devono imporre con l’uso della forza e con una continua e incessante propaganda
e militarizzazione i loro propositi: inseguire un lavoro vivo riottoso a farsi
sfruttare e arruolare per il bene dello Stato e delle imprese; individuare
sempre nuovi nemici nei migranti, nelle donne, nelle persone LGBTQI+, nei
lavoratori e nelle lavoratrici e in chiunque contesti lo stato di cose presenti.
Alcun* di noi hanno usato in questi anni modi diversi per riferirsi e registrare
questo cambiamento di scenario, parlando di “regime di guerra” o “terza guerra
mondiale”. Si tratta di una discussione aperta e che continuerà, di cui i report
restituiscono alcuni elementi. L’uso di queste diverse formule non ha tuttavia
impedito di puntare alla costruzione di un discorso comune: ciò su cui vogliamo
porre l’accento è che registrare la centralità politica della guerra, del suo
ritorno sulla scena mondiale, più che riattivare parallelismi storici, serve a
indicare la condizione generale in cui ci troviamo, dove la guerra viene
mobilitata come principio d’ordine, scontrandosi con l’instabilità irriducibile
di ogni assetto sociale e politico
> Nella drammaticità del momento, riconosciamo nella guerra una posta in gioco
> che chiama in causa i movimenti organizzati e chiunque voglia qualcosa di più
> della miseria di questo presente. Cogliere questa posta in gioco è oggi
> decisivo per non rimanere invischiati nella logica del nemico, nella
> geopolitica dei fronti e dei blocchi che fanno degli Stati, delle
> rappresentazioni omogenee e monolitiche dei popoli, delle identità, gli unici
> soggetti legittimi all’ombra del capitale.
Opporsi alla guerra e alle sue logiche è oggi il punto di partenza per ogni
lotta che punti a non essere meramente residuale e reattiva: contrastare le
pretese ordinatrici del militarismo, della violenza patriarcale, del razzismo,
dello sfruttamento e della devastazione ambientale è il punto di partenza per
fare della pace un orizzonte reale di lotta al di là di ogni condivisibile, ma
insufficiente, evocazione morale. Serve dunque costruire praticamente una
politica altra, che sappia finalmente produrre un piano di comunicazione tra
soggetti sociali, precarie, migranti, donne e soggetti LGBTQI+ che subiscono
ovunque gli effetti e i costi sociali della guerra e li rifiutano con i loro
comportamenti e le loro rivendicazioni.
Organizzare l’opposizione alla guerra, imporre la sua fine, vuol dire per noi
oggi rifiutare ogni arruolamento per affermare un terreno comune di lotte capaci
di richiamarsi, sostenersi, rafforzarsi, allargarsi. Significa valorizzare ciò
che c’è, al fine di superarlo e attivare altro, trovando parole condivise per
produrre iniziativa e sapendo che la ricerca di queste parole può essere il
terreno su cui scontare anche conflittualmente le nostre divergenze. Non ci
serve richiamare parole d’ordine abusate, insufficienti quando non
controproducenti, ma costruire un discorso e una pratica condivisi capaci di
fare i conti con le differenze tra soggetti organizzati, condizioni sociali e
geografiche. Sottrarsi, disertare, resistere, non è più sufficiente: ciò che è
necessario è costruire le condizioni per le quali i soggetti colpiti dalla
guerra e dalle sue logiche di sfruttamento, razzismo, patriarcato, devastazione
ambientale possano convergere, acquisire potenza e sovvertire.
Ciò rende decisivo pensare oltre i confini nazionali, ripensare
l’internazionalismo oltre la tradizione dell’internazionalismo stesso. Per
quanto possiamo considerare odiose e bisognose di risposta le politiche portate
avanti dal governo o le condizioni che dobbiamo affrontare nei territori e negli
spazi metropolitani, infatti, non è più rinviabile riconquistare una capacità di
immaginazione e azione transnazionale. Ciò non significa solo riconoscere che
tutte e tutti siamo presi in processi che agiscono su questa dimensione, ma
anche comprendere che è su questo piano che possiamo trovare la forza necessaria
per contrastare quei processi, a partire dalla dimensione europea. Alla sterile
opposizione tra europeisti e non europeisti dobbiamo opporre una politica in
grado di rovesciare un’Europa di guerra che va ben oltre il piano di riarmo e si
profila come spazio in cui il comando sul lavoro vivo diventa sempre più
violento, sotto il segno dell’autoritarismo, del patriarcato, del razzismo e
dello sfruttamento. Essere parte dell’elaborazione di un discorso e di una
pratica di lotta transnazionali ed europei, capaci di guardare l’Europa oltre i
suoi confini istituzionali, è parte integrante dell’opposizione alla guerra.
Per andare in questa direzione – oltre a continuare a stare nei percorsi e nelle
mobilitazioni in cui siamo impegnat* e a cui parteciperemo nei prossimi mesi
portando l’approccio che ha caratterizzato la residenza – vogliamo promuovere
ulteriori incontri aperti di discussione che permettano di approfondire le
ipotesi e i temi qui sollevati.
> Non vogliamo aggiungere date a calendari già pieni di scadenze che ci vedono
> in molte occasioni coinvolt*, ma riaprire un terreno di confronto e
> discussione per alimentare un processo di accumulo di capacità di
> comunicazione e organizzazione.
Chiamiamo sciopero questo processo organizzativo, dal momento che deve essere in
grado di interrompere le logiche di sfruttamento, razzismo, patriarcato e
devastazione ambientale che la guerra estende a tutta la società. Interrompere
non significa inseguire momenti decisivi, ma fare di ogni momento una
possibilità affinché chi è più colpito da questo presente di violenza e
sfruttamento possa riconoscersi in una condizione comune e tornare a cospirare
insieme.
Immagini di copertina e nel corpo del testo di Andrea Tedone, manifestazione a
Coltano, giugno 2022
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