Tag - mobilitazione

“UDINE È CON LA PALESTINA: FUORI ISRAELE DALLA FIFA!”: APPELLO ALLA MOBILITAZIONE CONTRO LA PARTITA ITALIA – ISRAELE DEL 14 OTTOBRE 2025
“Udine è con la Palestina: fuori Israele dalla FIFA! Appello alla mobilitazione per il 14 ottobre 2025 a Udine in vista della partita FIFA Italia – Israele”: Comitato per la Palestina Udine, Comunità Palestinese FVG e Veneto, ODV Salaam Ragazzi dell’Olivo Comitato di Trieste, BDS Italia e Calcio e Rivoluzione hanno lanciato un appello alla mobilitazione contro la partita di calcio Italia – Israele valida per le qualificazioni alla Coppa del mondo 2026, in programma il 14 ottobre 2025 a Udine. L’iniziativa si inserisce nel contesto della campagna internazionale “Show Israel the red card”. Si tratta della seconda partita tra la nazionale di calcio italiana e quella israeliana che si disputa a Udine nel giro di un anno esatto. Già il 14 ottobre 2024, le realtà friulane solidali con la Palestina avevano organizzato un corteo contro la partita di andata. Tremila persone avevano manifestato contro il genocidio in Palestina, contro l’occupazione e per chiedere che la nazionale di Tel Aviv – utilizzata come potente mezzo di propaganda da governo ed esercito israeliani – venga esclusa dalle competizioni ufficiale internazionali così come accaduto per la Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina. Sulle frequenze di Radio Onda d’Urto abbiamo presentato l’appello alla mobilitazione con Davide Castelnovo, del Comitato per la Palestina di Udine. Ascolta o scarica.  
Piacenza antifascista e antirazzista si mobilita contro le aggressioni
Mercoledì 25 giugno, dopo un corteo indetto dai gruppi nazifascisti piacentini contro “il degrado”, un branco dei loro adepti ha aggredito due ragazzi migranti al grido “i nordafricani non devono stare qui”. I due giovani, figli del nostro Benkara, delegato USB nell’hub di IKEA, sono finiti all’ospedale e secondo le […] L'articolo Piacenza antifascista e antirazzista si mobilita contro le aggressioni su Contropiano.
BRESCIA: GIORNATA DI MOBILITAZIONE STRAORDINARIA CONTRO GLI SFRATTI E PER IL DIRITTO ALLA CASA
Attiviste e attivisti dell’associazione Diritti per tutti, insieme a Centro Sociale Magazzino 47, Collettivo Onda Studentesca, Collettivo Gardesano Autonomo, hanno lanciato per giovedì 3 luglio 2025 una giornata di mobilitazione straordinaria contro gli sfratti e per il diritto alla casa. Sono infatti ben quattro gli appuntamenti per impedire lo sfratto di altrettanti nuclei nella città di Brescia e nello stesso giorno. Negli ultimi anni, pur essendo diminuto il numero degli sfratti in città e provincia, permane il problema di chi resta senza un’abitazione “e in certi casi diventa anche più difficile da risolvere”, ha detto nei nostri studi Umberto Gobbi dell’Associazione Diritti per tutti. Aumentano infatti gli sfratti per finita locazione. E’ il caso ad esempio di famiglie con reddito e in regola con il pagamento dell’affitto che vengono “cacciate di casa perché la proprietà intende sfruttare per finalità più redditizie il proprio alloggio e quindi magari sfratta una famiglia con una locazione normale per poi fare gli affitti brevi turistici”. Un fenomeno aumentato esponenzialmente non solo nelle “tradizionali” destinazioni turistiche come il lago di Garda, ma anche nella città di Brescia. Oggi il settore privato offre pochissimi appartamenti in affitto e tanti nuclei familiari, anche con contratto a tempo determinato e quindi con capacità reddituale, non trovano assolutamente un altro alloggio quando il contratto scade e non viene rinnovato. L’offerta pubblica invece è largamente insufficiente. Per esempio nella città di Brescia, l’ultimo bando per alloggi pubblici ha messo a disposizione 52 appartamenti a fronte di circa 1000 domande, “significa che un nucleo familiare su 20 potrà avere le chiavi della casa popolare”. Tra questi nuclei familiari, denuncia da tempo l’Associazione Diritti per tutti, “ci sono famiglie con disabili, anziani anche soli” e tantissime altri nuclei familiari senza particolari fragilità ma il cui reddito medio basso non permette di poter avere dei punteggi sufficienti per rientrare nelle graduatorie per le case gestite dal comune di Brescia o dall’Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale. Quattro gli accessi degli ufficiali giudiziari nella giornata di giovedì 3 luglio, per l’esattezza a San Polino in via Lucio Fiorentini, in via Albertano da Brescia, nel quartiere del Carmine in vicolo 3 Archi e in via Morosini. Particolarmente attenzionati da attiviste e attivisti per il diritto all’abitare sono lo sfratto previsto in via Albertano da Brescia e in via Morosini, dove “sarà probabilmente presente la polizia ed è quindi richiesta una mobilitazione robusta”. Ai nostri microfoni Umberto Gobbi, dell’Asssociazione Diritti per tutti. Ascolta o scarica    
Dialoghi dalla Sardegna ep.4 - ReteLiber*diLottare e interventi dalla piazza di Cagliari (1/2: Rete Liber* di Lottare)
L’ultimo episodio raccoglie una riflessione di un compagno della Rete Liber* di Lottare riguardo gli ultimi due mesi al seguito del decreto sicurezza. Nominiamo diversi casi piuttosto allarmanti: le diverse infiltrazioni in Potere al Popolo e Cambiare Rotta, quanto avvenuto a Venezia in questi giorni, i domiciliari al compagno di Cagliari, come anche la segnalazione nei confronti dell’avvocato di Alfredo Cospito. Infine concludiamo questo redazionale riportando 2 interventi, fra i diversi che sono stati fatti in piazza, di due compagne durante la manifestazione di mercoledì 25 giugno a Cagliari. Alleghiamo una lettera scritta da Luca dai domiciliari:    Per me la resistenza palestinese non ha il solo merito di non demordere anche davanti alla più brutale delle oppressioni, svelandoci la forza di un popolo fiero che si oppone alle cause della sua miseria, ma ha anche quello di aver contagiato centinaia di migliaia di persone in tutto il pianeta, dando vita ad una mobilitazione internazionale dalle varie forme ed espressioni. Per chi, come me, è cresciuto nel nuovo millennio, gli esempi simili scarseggiano. A fianco, una situazione geopolitica angosciante, tra conflitti aperti, continui sconvolgimenti e l’opzione di una guerra nucleare dietro l’angolo. E così inizia a scricchiolare anche il nostro privilegio europeo, gradualmente fiaccato da un costo della vita sempre più proibitivo, mentre ci si consola con l’idea, sbiadita anch’essa, che “tanto qui le bombe non arriveranno mai”. Anche qui, nello Stato italiano (sotto il quale siamo costretti a vivere pur essendo sardi) il quadro non è meno preoccupante. Se da un lato le condizioni della vita peggiorano e i nostri territori sono sempre più esposti alla predazione delle multinazionali (energetiche, di estrazione di materiali e così via) dall’altro le porte del carcere si aprono sempre più facilmente per chi decide di organizzarsi ed opporsi. La Sardegna ne è esempio lampante: alta disoccupazione, stipendi da fame, scarsa assistenza sanitaria. Ad aumentare sono solo i progetti di estrattivismo energetico, gli aerei militari sulle nostre teste e le sezioni speciali nelle prigioni. E non dimentichiamoci che cosa significa, in un periodo di conflitto come quello che stiamo attraversando, vivere circondati da basi militari. Non solo per l’intensificarsi delle attività, e questi ultimi giorni ne sono una conferma, ma anche per la consapevolezza di essere sempre un “buon bersaglio”. Io, che attualmente mi trovo agli arresti domiciliari per aver partecipato ad un corteo a Cagliari in solidarietà al popolo palestinese e contro l’occupazione militare in Sardegna, sono accusato proprio di alcuni dei reati (resistenza, lesioni e minacce a pubblico ufficiale) per i quali il decreto sicurezza prevede un aumento delle pene. Una sorte che temo toccherà a tanti e tante. Una sorte inevitabile per chi decide di non tacere davanti ai soprusi e alle imposizioni. Mando un saluto a Tarek, con il quale ho orgogliosamente condiviso la piazza del 5 ottobre a Roma, ad Anan, Alì e Mansour, che sulla loro pelle pagano il prezzo del servilismo italiano nei confronti dello Stato d’Israele e a tutti i giovani e le giovani che in giro per il mondo rischiano la propria libertà, per la libertà del popolo palestinese e per una vita diversa. E un abbraccio fraterno a Paolo Todde*, rinchiuso nel carcere di Uta (Cagliari), in sciopero della fame dall’8 maggio per protestare contro le condizioni detentive. Sempri ainnantis Sardinnia libera Palestina libera Casteddu, 23 giugno 2025 Luca   *Paolo todde attualmente ha interrotto lo sciopero della fame
Costruire pratiche collettive contro la guerra
Dal 28 al 30 marzo oltre cento persone hanno partecipato all’incontro nazionale contro la guerra Rearm? No, reset! promosso dalla Rete per lo Sciopero Sociale Eco-Transfemminista contro la guerra (RESET Against the War). Nell’arco dei tre giorni, singole soggettività, appartenenti a spazi sociali, collettive studentesche, coordinamenti e sindacati di base hanno accettato la sfida di affrontare il disorientamento che da tre anni attraversa i movimenti, mettendo la guerra al centro della discussione. I quattro tavoli tematici hanno permesso un confronto aperto e franco, che ha consentito di fare passi avanti condivisi nell’analisi della fase attuale e verso il superamento di blocchi e automatismi che hanno costituito un limite evidente in questi anni. Per questo, i report dei tavoli che mettiamo a disposizione [Regime di guerra e diritto alla città; Riconversione economica? Guerra, produzione e riproduzione; Quale “nuovo” internazionalismo di fronte alla guerra?; Cassetta degli attrezzi per movimenti insorgenti] contengono ipotesi, pongono problemi, smontano linguaggi e categorie. L’incontro non solo ha raccolto il lavoro di mesi di preparazione da parte di singol*, gruppi e collettivi, ma ha affermato praticamente l’urgenza di costituire un luogo aperto per ripensare il nostro modo di fare movimento, oltre le formule e le pratiche consolidate, guardando con lenti diverse la realtà di una guerra che non parla da sola e non è confinata allo scontro militare sui campi di battaglia, ma scandisce incessantemente il nostro presente. Organizzarsi per lottare dentro e contro la guerra è l’urgenza che l’incontro consegna e da cui ripartire. Per quanto registriamo positivamente la ripresa di iniziative di contestazione delle politiche di riarmo avviate nel contesto europeo e di rifiuto del genocidio in atto in Palestina, affermiamo al tempo stesso l’importanza di costruire e ampliare un percorso di crescita collettiva e trasformazione sociale che sappia produrre un linguaggio comune, superando i blocchi che sin qui hanno impedito lo sviluppo di un movimento esteso e radicale contro la guerra e la sua logica trasversale. Manifestazione a Coltano, giugno 2022 In opposizione alla guerra, che produce morte e distruzione su molteplici fronti, frammentandoli, l’incontro ha riconosciuto l’orizzonte comune che li lega e che connette ciò che accade lungo questi fronti con le trasformazioni transnazionali – economiche, politiche e sociali – che attraversano ogni territorio e realtà nazionale. La guerra produce oggi una violenta riaffermazione di gerarchie e ruoli sociali, coazione al lavoro e sfruttamento, limitazione degli spazi di liberazione di cui possono beneficiare solo gli Stati e il capitale. Ma sbaglia chi pensa che questi ultimi abbiano, con il ricorso alla guerra, ripreso il controllo del disordine sistemico. Stato e capitale devono imporre con l’uso della forza e con una continua e incessante propaganda e militarizzazione i loro propositi: inseguire un lavoro vivo riottoso a farsi sfruttare e arruolare per il bene dello Stato e delle imprese; individuare sempre nuovi nemici nei migranti, nelle donne, nelle persone LGBTQI+, nei lavoratori e nelle lavoratrici e in chiunque contesti lo stato di cose presenti. Alcun* di noi hanno usato in questi anni modi diversi per riferirsi e registrare questo cambiamento di scenario, parlando di “regime di guerra” o “terza guerra mondiale”. Si tratta di una discussione aperta e che continuerà, di cui i report restituiscono alcuni elementi. L’uso di queste diverse formule non ha tuttavia impedito di puntare alla costruzione di un discorso comune: ciò su cui vogliamo porre l’accento è che registrare la centralità politica della guerra, del suo ritorno sulla scena mondiale, più che riattivare parallelismi storici, serve a indicare la condizione generale in cui ci troviamo, dove la guerra viene mobilitata come principio d’ordine, scontrandosi con l’instabilità irriducibile di ogni assetto sociale e politico > Nella drammaticità del momento, riconosciamo nella guerra una posta in gioco > che chiama in causa i movimenti organizzati e chiunque voglia qualcosa di più > della miseria di questo presente. Cogliere questa posta in gioco è oggi > decisivo per non rimanere invischiati nella logica del nemico, nella > geopolitica dei fronti e dei blocchi che fanno degli Stati, delle > rappresentazioni omogenee e monolitiche dei popoli, delle identità, gli unici > soggetti legittimi all’ombra del capitale. Opporsi alla guerra e alle sue logiche è oggi il punto di partenza per ogni lotta che punti a non essere meramente residuale e reattiva: contrastare le pretese ordinatrici del militarismo, della violenza patriarcale, del razzismo, dello sfruttamento e della devastazione ambientale è il punto di partenza per fare della pace un orizzonte reale di lotta al di là di ogni condivisibile, ma insufficiente, evocazione morale. Serve dunque costruire praticamente una politica altra, che sappia finalmente produrre un piano di comunicazione tra soggetti sociali, precarie, migranti, donne e soggetti LGBTQI+ che subiscono ovunque gli effetti e i costi sociali della guerra e li rifiutano con i loro comportamenti e le loro rivendicazioni. Organizzare l’opposizione alla guerra, imporre la sua fine, vuol dire per noi oggi rifiutare ogni arruolamento per affermare un terreno comune di lotte capaci di richiamarsi, sostenersi, rafforzarsi, allargarsi. Significa valorizzare ciò che c’è, al fine di superarlo e attivare altro, trovando parole condivise per produrre iniziativa e sapendo che la ricerca di queste parole può essere il terreno su cui scontare anche conflittualmente le nostre divergenze. Non ci serve richiamare parole d’ordine abusate, insufficienti quando non controproducenti, ma costruire un discorso e una pratica condivisi capaci di fare i conti con le differenze tra soggetti organizzati, condizioni sociali e geografiche. Sottrarsi, disertare, resistere, non è più sufficiente: ciò che è necessario è costruire le condizioni per le quali i soggetti colpiti dalla guerra e dalle sue logiche di sfruttamento, razzismo, patriarcato, devastazione ambientale possano convergere, acquisire potenza e sovvertire. Ciò rende decisivo pensare oltre i confini nazionali, ripensare l’internazionalismo oltre la tradizione dell’internazionalismo stesso. Per quanto possiamo considerare odiose e bisognose di risposta le politiche portate avanti dal governo o le condizioni che dobbiamo affrontare nei territori e negli spazi metropolitani, infatti, non è più rinviabile riconquistare una capacità di immaginazione e azione transnazionale. Ciò non significa solo riconoscere che tutte e tutti siamo presi in processi che agiscono su questa dimensione, ma anche comprendere che è su questo piano che possiamo trovare la forza necessaria per contrastare quei processi, a partire dalla dimensione europea. Alla sterile opposizione tra europeisti e non europeisti dobbiamo opporre una politica in grado di rovesciare un’Europa di guerra che va ben oltre il piano di riarmo e si profila come spazio in cui il comando sul lavoro vivo diventa sempre più violento, sotto il segno dell’autoritarismo, del patriarcato, del razzismo e dello sfruttamento. Essere parte dell’elaborazione di un discorso e di una pratica di lotta transnazionali ed europei, capaci di guardare l’Europa oltre i suoi confini istituzionali, è parte integrante dell’opposizione alla guerra. Per andare in questa direzione – oltre a continuare a stare nei percorsi e nelle mobilitazioni in cui siamo impegnat* e a cui parteciperemo nei prossimi mesi portando l’approccio che ha caratterizzato la residenza – vogliamo promuovere ulteriori incontri aperti di discussione che permettano di approfondire le ipotesi e i temi qui sollevati. > Non vogliamo aggiungere date a calendari già pieni di scadenze che ci vedono > in molte occasioni coinvolt*, ma riaprire un terreno di confronto e > discussione per alimentare un processo di accumulo di capacità di > comunicazione e organizzazione. Chiamiamo sciopero questo processo organizzativo, dal momento che deve essere in grado di interrompere le logiche di sfruttamento, razzismo, patriarcato e devastazione ambientale che la guerra estende a tutta la società. Interrompere non significa inseguire momenti decisivi, ma fare di ogni momento una possibilità affinché chi è più colpito da questo presente di violenza e sfruttamento possa riconoscersi in una condizione comune e tornare a cospirare insieme. Immagini di copertina e nel corpo del testo di Andrea Tedone, manifestazione a Coltano, giugno 2022 SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Costruire pratiche collettive contro la guerra proviene da DINAMOpress.