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Sessualità, scuola e nazione: politiche globali dell’obbedienza
Il disegno di legge sul “consenso informato preventivo”, proposto dal ministro Valditara, esclude l’educazione sessuale dalla scuola primaria e subordina ogni attività didattica su sessualità e genere all’autorizzazione scritta delle famiglie. Una misura che riduce l’autonomia della scuola e mette sotto controllo il lavoro educativo, come se pluralismo e pensiero critico fossero elementi da contenere. Non si tratta di un provvedimento isolato, ma di una visione complessiva in cui la scuola è sempre meno spazio di confronto e sempre più luogo di normalizzazione. > L’identità viene definita entro confini rigidi e tutto ciò che li mette in > discussione viene marginalizzato o espulso. Questa impostazione si inserisce in una tendenza più ampia, che coinvolge diverse democrazie. In Italia, come altrove, cresce la presenza delle forze armate nel sistema scolastico: cerimonie, attività e programmi sulla “cultura della difesa” contribuiscono a diffondere un’idea di cittadinanza fondata su disciplina e appartenenza nazionale. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la retorica del riarmo è diventata parte del linguaggio politico dominante. La scuola ne risente, con più spazio per la logica militare e meno per le parole e i temi della pace. Negli ultimi anni, l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha documentato decine di episodi in cui l’Esercito entra nelle scuole attraverso cerimonie, attività pseudo-formative ed esercitazioni promosse in accordo con il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Difesa. Si diffonde così una “cultura della difesa” che normalizza la presenza militare nei percorsi educativi. Basta farsi un giro nella gallery fotografica dell’Osservatorio per farsene un’idea. È questa la figura di cittadinanza che si va affermando: un soggetto conforme, disciplinato, educato all’allineamento più che all’autonomia, orientato all’obbedienza più che alla partecipazione. In diversi contesti – Italia, Stati Uniti, Russia, Israele – si assiste a una convergenza tra educazione repressiva, mobilitazione identitaria e retoriche securitarie. L’obiettivo non è formare personalità critiche, ma modelli di cittadinanza funzionali al controllo e alla conservazione dell’ordine. In questo schema, tutto ciò che sfugge al binarismo di genere diventa sospetto. In Italia lo si vede nelle polemiche contro il linguaggio inclusivo, ma anche nella criminalizzazione della carriera alias, una pratica ormai consolidata in molte scuole per studenti che si identificano con un genere diverso da quello assegnato alla nascita, che permette di utilizzare un nome che rispecchia la propria identità di genere, all’interno del contesto scolastico. Negli Stati Uniti, l’ondata legislativa promossa dal trumpismo no-gender ha colpito, in particolare, proprio la popolazione transgender, limitandone diritti, visibilità e accesso alla salute, all’istruzione, allo sport. Si tratta di una logica illiberale che preferisce silenziare invece che nominare, criminalizzare piuttosto che riconoscere. Il risultato è una cittadinanza costruita sulla conformità: maschile, eterosessuale, tradizionale, perfettamente inserita dentro ogni binarismo possibile. Senza spazio per la complessità, per il dissenso o per la differenza. > Il ritorno di un modello patriarcale non è solo un effetto collaterale, ma un > elemento strutturale. La cultura della violenza patriarcale, intesa come > costruzione sociale, continua a fornire giustificazioni simboliche per la > subordinazione delle soggettività non conformi e per l’esclusione della > differenza. È su questa base che si costruisce la legittimità di politiche educative escludenti. Ma una scuola che rinuncia a parlare di sessualità, affettività e identità plurali tradisce la sua natura di istituzione laica, costituzionalmente orientata al pluralismo, al superamento delle diseguaglianze e alla promozione dell’uguaglianza sostanziale, non solo formale. Allo stesso modo, una scuola che assume la retorica del conflitto come riferimento non educa alla pace, ma contribuisce alla normalizzazione della violenza, secondo una visione del mondo fondata sul confronto permanente tra “noi” e “loro”, piuttosto che sulla cooperazione. Educare significa aprire possibilità, coltivare autonomia, stimolare lo spirito critico e offrire strumenti per immaginare alternative fondate su libertà, uguaglianza e pari opportunità. E in alcuni contesti queste possibilità esistono già. A partire da quella galassia di insegnanti, spesso precari, che, anche a costo di finire sotto lo sguardo del “grande occhio” ministeriale, sceglie ogni giorno di parlare in classe di sessualità, affettività, identità e consenso. Lo fa spesso con risorse minime, ma con la consapevolezza che educare significa anche esporsi, creare spazi di parola, offrire strumenti per leggere il presente. Accanto a loro, in tante scuole, si muovono collettivi studenteschi che portano avanti rivendicazioni su educazione sessuoaffettiva e carriere alias, e associazioni di genitori che difendono l’apertura della scuola alla complessità del reale, opponendosi alla censura.  A queste esperienze si affiancano quelle di molti Centri Anti Violenza che nei territori promuovono percorsi di prevenzione e sensibilizzazione nelle scuole e quelli di diversi nodi locali di Non Una Di Meno, che realizzano progetti di educazione transfemminista nelle scuole e di tante associazioni, della rete Educare alle Differenze, che da oltre dieci anni promuove in tutta Italia la diffusione di buone pratiche di educazione sessuo-affettiva, sostenendo chi lavora nella scuola e mettendo in rete pratiche e materiali.  Pratiche che dimostrano come un’altra scuola – e un’altra educazione – non solo siano possibili, ma siano già in atto, nonostante il controllo, la sorveglianza e la censura. L’immagine di copertina è di Sicco2007 (Flickr) SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Sessualità, scuola e nazione: politiche globali dell’obbedienza proviene da DINAMOpress.
Decreto sicurezza: “gravissimi profili di incostituzionalità”. L’appello promosso dai giuristi supera le 5.000 firme
Il Decreto Sicurezza “presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità“. In primo luogo, la decretazione d’urgenza, “senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza” costituisce una “violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti” delle prerogative del Parlamento. Nel merito, poi, è un decreto che punta a reprimere il dissenso e comprime alcuni diritti fondamentali, tassello fondamentale in qualunque democrazia. Non usa mezzi termini l’appello pubblico promosso da 237 i giuristi italiani, tra cui tre presidenti emeriti della Corte Costituzionale. Le firme sono raccolte sul sito di Articolo21. -------------------------------------------------------------------------------- Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo dell’appello: È compito dei giuspubblicisti nei periodi normali della vita del paese interpretare ed insegnare la nostra Costituzione. È anche compito dei singoli giuspubblicisti assumere delle posizioni individuali all’esterno dell’Università. Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme delle pubbliche posizioni. È questo il caso che si è verificato nei giorni scorsi quando il disegno di legge sulla sicurezza, che stava concludendo il suo iter dopo lunghi mesi di acceso dibattito parlamentare dati i discutibilissimi contenuti, è stato trasformato dal Governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone. Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere. È accaduto spesso in passato ed anche in tempi recenti che la dottrina si trovasse a denunciare l’uso abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, Presidenti delle Camere hanno più volte preso posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati. In quest’occasione la violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti, dato che l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art. 77 Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza, al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso rappresentati. Quanto al merito, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne impedisce la preventiva conoscibilità. Numerosi sono i principi costituzionali che appaiono compromessi. Solo a scopo esemplificativo vogliamo ricordarne alcuni: il principio di uguaglianza non consente in alcun modo di equiparare i centri di trattenimento per stranieri extracomunitari al carcere o la resistenza passiva a condotte attive di rivolta; in contrasto con l’art. 13 Cost. e la tutela della libertà personale è il c.d. daspo urbano disposto dal questore che equipara condannati e denunciati; non meno preoccupante è la previsione con cui si autorizza la polizia a portare armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio. Una serie di disposizioni del decreto-legge aggravano gli elementi di repressione penale degli illeciti addebitati alla responsabilità di singoli o di gruppi solo per il fatto che l’illecito avvenga “in occasione” di pubbliche manifestazioni, disposizione che per la sua vaghezza contrasta con il principio di tipicità delle condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la specifica protezione costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico (art. 17 Cost.) mentre altre disposizioni violano palesemente il principio di determinatezza e di tassatività tutelato dall’art. 25 Cost.: si punisce con la reclusione chi occupa o detiene senza titolo “un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze”; si rischiano pene fino a sette anni per l’occupazione di luoghi che presentano un’estensione del tutto imprecisata e rimessa a valutazioni e preferenze del tutto soggettive dell’interprete. Torsione securitaria, ordine pubblico, limitazione del dissenso, accento posto prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e sui diritti rappresentano le costanti di questi interventi Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura. Confidiamo che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano alta l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia, pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il ruolo di garante della legalità e dei diritti.