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Aumentano i chirurghi pediatrici in Uganda
Entebbe (Uganda), 17 set. – Chirurghi che fanno crescere l’Africa. Capaci di renderla più forte e più in salute, grazie a un impegno comune che permette la condivisione di esperienze e competenze. “Qui in Uganda nel 2012 c’era un solo chirurgo pediatrico, mentre adesso sono in 12” calcola Giacomo Menaldo, direttore nazionale di Emergency, già al lavoro in aree di crisi e conflitto come l’Afghanistan e l’Iraq. Alle spalle i mattoni di terra cruda del Centro pediatrico di Entebbe, disegnato dall’architetto Renzo Piano e aperto dall’ong italiana nel 2021, aggiunge: “Noi ovviamente speriamo che presto siano 20, 30 o 50 certificati, con un approccio panafricano che garantisca l’eccellenza della formazione insieme con un alto livello di competenze e la qualità delle cure”. I chirurghi, in arrivo non solo dall’Uganda ma anche dall’Etiopia o dal Sudan, li incontriamo nelle corsie e nei reparti del Centro pediatrico. “Questo ospedale è divenuto parte della rete del Cosecsa, il Collegio dei chirurghi dell’Africa centrale, orientale e meridionale” spiega Menaldo: “Un risultato raggiunto negli ultimi due anni, grazie alla collaborazione con il Mulago Hospital, che nella capitale Kampala è un fiore all’occhiello”. Istituto nel 1999, il Collegio ha stabilito la propria base ad Arusha, in Tanzania. Si propone di alzare lo standard professionale, garantendo livelli uniformi tra i Paesi del continente. Il training riguarda le diverse branche del settore, dalla chirurgia pediatrica a quella ortopedica, dalla cardiochirurgia alla neurochirurgia. La cura dei bambini, in particolare nei casi di malformazioni congenite, ha un valore particolare: secondo le statistiche internazionali, l’età media della popolazione supera di poco i 19 anni. “Qui da noi arrivano fellow e studenti che, in un percorso di specializzazione triennale, si fermano da noi per tre mesi” riprende Menaldo. “I nostri punti di forza sono la chirurgia addominale, quella urologica e quella plastica”. Di formazione parliamo anche al Mulago Hospital, all’ultimo piano di un grattacielo, mentre gli alberi nel cortile sono sferzati da un temporale tropicale. Ci accoglie il vice-direttore della struttura, John Sekabira, esperto e figura di riferimento: fino a poco più di dieci anni fa era proprio lui l’unico chirurgo pediatrico dell’Uganda. “Gli specializzandi devono poter imparare nei nostri Paesi e non essere costretti ad andare lontano, magari nel Regno Unito o in Sudafrica come è capitato a me” sottolinea il dottore. “Il rischio è che poi restino all’estero, mentre qui ci sono tanti bisogni e servono specialisti e professionalità: solo in questi padiglioni abbiamo 1.700 posti letto”. Buone notizie stanno arrivando anche grazie a una collaborazione tra Cosecsa e Kids Operating Room, un’organizzazione internazionale che si è impegnata per la chirurgia pediatrica a partire dal 2018, con un primo progetto proprio a Kampala, realizzato insieme a Sekabira. Programmi di tirocinio hanno coinvolto Paesi che non hanno mai avuto specialisti, come il Burundi: i suoi primi chirurghi generali che si stanno specializzando in pediatria si chiamano Alliance Niyukuri e Carlos Nsengiyumva.     Redazione Italia
PNRR in dirittura d’arrivo, ma per la Sanità speso solo il 34% dei fondi
A nove mesi dalla scadenza del PNRR la Missione Salute rischia di rimanere inattuata poiché è stato speso solo il 34,4% dei fondi disponibili, 6,6 miliardi di euro, e solo un terzo dei progetti è stato completato. Una situazione che potrebbe portare al non raggiungimento degli obiettivi e ad una perdita delle risorse del PNRR, traducendosi in una mancata risposta per le persone e in un ennesimo incentivo per il mercato privato della salute. È quanto emerge dai risultati del monitoraggio sull’attuazione degli investimenti della Missione 6 del PNRR effettuato dall’Area Stato sociale e Diritti della CGIL elaborando i dati del sistema ReGiS del Mef, aggiornati al 30 giugno 2025. Per le Case della Comunità sono stati finanziati progetti per 1.415 strutture per un valore complessivo di 2,8 miliardi di euro. A giugno 2025 risultano effettuati pagamenti per 486,1 milioni di euro, dunque, a pochi mesi dalla scadenza, è stato speso solo il 17,1% dei fondi disponibili. “Osservando l’andamento delle spese effettuate, si legge nel Report, si evidenzia come i lavori procedano troppo a rilento. A dicembre 2024 i pagamenti erano pari al 9,2% dei finanziamenti, poi passati al 12,4% a marzo 2025: con questo andamento, ci vorranno almeno 5 anni per terminare le opere. Dei progetti finanziati, ne risultano completati 50, pari al 3,5% del totale. Sono ancora numerosi i progetti che presentano ritardi nell’esecuzione dei lavori o fermi alla fase di progettazione, poche le opere completate e collaudate ed è basso il livello delle spese effettuate in rapporto ai finanziamenti. Uno scenario allarmante che conferma il rischio di non conseguire gli obiettivi strategici entro le scadenze previste. A distanza di 3 mesi dalla precedente rilevazione, effettuata a marzo, non c’è stato lo scatto necessario a recuperare i ritardi accumulati finora”. Stando ai dati ReGis, le situazioni più allarmanti si fotografano in Molise (dove i pagamenti In nessuna regione i pagamenti effettuati hanno superato la metà dei finanziamenti. effettuati sono fermi all’1,6% dei finanziamenti complessivi), in Sardegna (7,2%), Campania (7,8%) e Calabria (9,4). Per quanto riguarda gli Ospedali di Comunità, sono stati finanziati progetti per 428 strutture, per un valore complessivo di 1,3 miliardi di euro, dei quali solo 4 risultano completati e collaudati. Così come per le Case della Comunità, preoccupano i ritardi accumulati: a giugno 2025 risultavano pagamenti effettuati per soli 190,1 milioni di euro, pari al 15,1% dei fondi. A dicembre 2024 i pagamenti erano pari al 7,9% dei finanziamenti, poi passati al 11,0% a marzo 2025. Dei progetti finanziati, ne risultano completati solo 14, pari al 3,3% del totale. “Con questo ritmo, sottolinea la CGIL, ci vorranno almeno 6 anni per terminare tutto.” Le regioni con i maggiori ritardi sono: il Molise (dove i pagamenti effettuati sono fermi all’1,7% dei finanziamenti complessivi), la Provincia Autonoma di Bolzano (3,9%), la Sardegna (6,2%), la Basilicata (6,4%). A parte la Valle d’Aosta (dove i pagamenti effettuati rappresentano l’80,9% dei finanziamenti) in nessuna regione le spese superano il 30% dei fondi disponibili. Resta poi il nodo del personale. Il DM 77/2022 ha stabilito specifici standard di personale per queste strutture, prevedendo la presenza di medici, infermieri, operatori sociosanitari, assistenti sociali e altre figure professionali indispensabili per rendere operative tutte le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità. Per rispettare tali standard sarebbe necessario assumere almeno 35 mila unità di personale, senza contare i medici. Con 1.450 Case della Comunità e 428 Ospedali di Comunità finanziati, si stima la necessità di un numero compreso tra 12.901 e 19.417 infermieri, 1.414 assistenti sociali e un numero di operatori sociosanitari variabile tra 8.787 e 13.888. A oggi non risulta nessuna interlocuzione tra Ministro della salute e Ministro dell’economia a garanzia delle coperture economiche necessarie. “Continua ad essere preoccupante e incerta la situazione della realizzazione delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità, strutture, sottolinea la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi, strategiche per l’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale. Nella propaganda del Governo e di alcune Regioni l’attuazione del PNRR andrebbe a gonfie vele, ma i numeri lo smentiscono clamorosamente. È forte il rischio che gli investimenti previsti nella Missione 6 vengano restituiti al mittente o riorientati verso altri obiettivi, magari a favore dell’industria bellica. Dalla riforma dell’assistenza territoriale con l’apertura di una rete di strutture pubbliche, passa la capacità del sistema di dare risposte alle persone, implementare la prevenzione, aggredire anche l’odioso problema delle liste d’attesa, evitare i ricoveri inappropriati e le lunghe attese nei pronto soccorso, garantire la presa in carico. Chi rassicura ma nella pratica boicotta la riforma dimostra la volontà di privatizzare la risposta ai bisogni di salute, impoverendo stipendi e pensioni“. Qui il Focus della CGIL sullo stato di attuazione dei progetti di edilizia sanitaria aggiornamento al 30.6.2025 Giovanni Caprio
Rinnovo del PdS per cure mediche: accertata la mancanza di assistenza adeguata in Tunisia
Il Tribunale di Bari ha riconosciuto il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno per cure mediche a un cittadino tunisino affetto da grave patologia psichiatrica cronica. Il ricorrente ha potuto ritirare il permesso nella giornata dell’1 agosto, ma solo dopo la diffida del legale inviata al Questore e al Capo di Gabinetto. Il ricorso era stato presentato contro il diniego della Questura di Foggia, che aveva motivato il rifiuto con presunte carenze documentali. Il Tribunale ha evidenziato che, in casi come questo, è prevalente il diritto alla salute, un valore primario tutelato dalla legge, e non un semplice interesse legittimo dell’immigrato. La valutazione della gravità della patologia e dell’impossibilità di ricevere cure adeguate in Tunisia, confermata dalle COI (informazioni sui Paesi di origine) aggiornati sulle condizioni del sistema sanitario tunisino, ha portato i giudici a riconoscere il rinnovo del permesso per un anno, con possibilità di ulteriori rinnovi finché persisteranno le condizioni sanitarie che giustificano la protezione. Tribunale di Bari, sentenza n. 2471 del 25 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Gerarda Carbone per la segnalazione. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per cure mediche
Spesa sanitaria pubblica: l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi del G7
Per la spesa sanitaria pubblica pro-capite il nostro Paese nel 2024 si è collocato al 14° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. Una spesa sanitaria pubblica che si è attestata al 6,3% del PIL, percentuale inferiore sia alla media OCSE (7,1%), sia a quella europea (6,9%). E per la spesa pro capite il gap con i Paesi europei è di € 43 miliardi. Sono i dati di un recente Report della Fondazione GIMBE, che ancora una volta evidenziano come il sottofinanziamento pubblico della sanità italiana sia ormai una questione strutturale che si scarica pesantemente sui cittadini, costretti a confrontarsi ogni giorno con liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali e sociali sempre più marcate e la necessità sempre più frequente a pagare di tasca propria visite e prestazioni sanitarie fino a rinunciare del tutto. Nel 2024 sono state costrette a farlo ben 5,8 milioni di persone, quasi 1 su 10. La fonte utilizzata dalla Fondazione GIMBE è il dataset OECD Health Statistics, aggiornato al 30 luglio 2025. I confronti con i paesi OCSE e con quelli europei sono stati effettuati sulla spesa sanitaria pubblica, sia in termini di percentuale del PIL che di spesa pro-capite in dollari a prezzi correnti e a parità di potere d’acquisto. È utile ricordare che la spesa sanitaria pubblica di ciascun Paese include diversi schemi di finanziamento, di cui uno generalmente prevalente: fiscalità generale (es. Italia, Regno Unito), assicurazione sociale obbligatoria (es. Germania, Francia), assicurazione privata obbligatoria (es. USA, Svizzera). Nel 2024 la spesa sanitaria pubblica pro-capite in Italia si è attestata a $ 3.835, un valore nettamente inferiore sia alla media OCSE ($ 4.625) con una differenza di $ 790, sia soprattutto alla media dei Paesi europei ($ 4.689) con una differenza di $ 854. Tra gli Stati membri dell’Unione Europea, sono 13 i Paesi che investono più dell’Italia: si va dai +$ 58 della Spagna ($ 3.893) ai +$ 4.245 della Germania ($ 8.080). Come ha sottolineato il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, “l’Italia è prima tra i paesi poveri: precede solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa Meridionale, visto che Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna investono più di noi. Fino al 2011, la spesa sanitaria pro-capite in Italia era allineata alla media europea; poi, per effetto di tagli e definanziamenti operati da tutti i Governi, il divario si è progressivamente ampliato, raggiungendo i $ 430 nel 2019. Il gap si è ulteriormente allargato durante la pandemia, quando gli altri paesi hanno investito molto più dell’Italia; il trend si è confermato nel 2023, con una spesa stabile in Italia, e nel 2024, quando l’incremento è stato inferiore alla media degli altri Paesi europei. L’entità di questo progressivo definanziamento  è imponente: al cambio corrente dollaro/euro il gap pro-capite nel 2024 ha raggiunto € 729. Applicato all’intera popolazione residente, corrisponde un divario complessivo di € 43 miliardi. Una erosione progressiva di risorse pubbliche al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, soprattutto dopo la pandemia, è sempre più in affanno”. Nel 2024 l’Italia si è quindi confermata come il fanalino di coda con una spesa pro-capite di $ 3.835, mentre la Germania l’ha più che doppiata raggiungendo i $ 8.080. Particolarmente significativo è il caso del Regno Unito, che condivide con l’Italia un modello sanitario universalistico: se fino al 2019 ha registrato una crescita modesta, a partire dalla pandemia ha progressivamente aumentato in modo consistente la spesa pubblica, superando in soli cinque anni Canada e Giappone e posizionandosi poco al di sotto della Francia. Per la Fondazione GIMBE è proprio dall’impietoso confronto con gli altri Paesi europei e del G7 che bisogna ripartire, affinché Governo e Parlamento prendano atto dell’enorme e crescente divario strutturale rispetto agli altri Paesi avanzati, senza trasformare il tema in scontro politico. È urgente pianificare un progressivo rilancio del finanziamento pubblico della sanità: non per risalire le classifiche internazionali, ma per restituire forza e dignità al SSN e garantire a tutte le persone, ovunque vivano e a prescindere dal loro reddito, l’inalienabile diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione. Perché se non investiamo sulla salute, pagheremo tutto con gli interessi: in disuguaglianze, malattia, impoverimento e perdita di futuro. Qui per approfondire: https://www.gimbe.org/pagine/341/it/comunicati-stampa.  Giovanni Caprio
Covid-19, Studio italiano: “Aumento dei tumori dopo i vaccini a mRNA”
E’ un tema che abbiamo già trattato approfonditamente e che di recente abbiamo proposto come tema di attualità nell’ambito del diritto alla salute. Il rischio di cancro è aumentato del 23% nelle persone che hanno ricevuto il vaccino COVID-19, secondo uno studio peer-reviewed pubblicato su EXCLI Journal nel luglio 2025. Lo studio ha dimostrato che il rischio di cancro al seno è aumentato del 54% e quello di cancro alla vescica del 62% entro 180 giorni dalla prima vaccinazione. “Si tratta di dati reali e piuttosto preoccupanti”, ha affermato il commentatore medico John Campbell, nel suo programma YouTube mentre illustra i risultati. Lo studio è stato il primo a scoprire prove statisticamente significative di un aumento del rischio di cancro a seguito della vaccinazione contro il COVID-19. I ricercatori hanno esaminato la relazione a lungo termine tra le vaccinazioni contro la SARS-CoV-2 ed i ricoveri ospedalieri per cancro in una coorte di quasi 300.000 residenti della provincia di Pescara, in Italia. I residenti di età pari o superiore a 11 anni sono stati seguiti da giugno 2021 a dicembre 2023 utilizzando i dati ufficiali del Sistema Sanitario Nazionale. I modelli statistici sono stati adeguati per età, sesso, comorbilità, precedenti tumori e precedenti infezioni da SARS-CoV-2, rendendolo il follow-up più completo fino ad oggi sulle diagnosi di cancro dopo la vaccinazione contro il COVID-19.   > “Lo studio ha rilevato che il rischio di diagnosi di cancro era superiore del > 23% per le persone vaccinate con una o più dosi entro 180 giorni dalla prima > vaccinazione, rispetto ai non vaccinati. > Tra le 296.015 persone studiate, 3.134 sono state diagnosticate con cancro.”   Le persone che hanno ricevuto almeno tre dosi del vaccino contro il COVID-19 hanno avuto un aumento del 9% del rischio di diagnosi di cancro entro 180 giorni dalla terza vaccinazione, rispetto ai non vaccinati. Due fattori contribuiscono alla diminuzione dell’aumento del rischio con un numero maggiore di dosi di vaccino, ha affermato Campbell. “Uno è che le persone predisposte al cancro lo avevano già sviluppato” prima che fosse raggiunto il termine di 180 giorni dopo la terza dose, ha affermato Campbell. “Quindi forse l’aumento del 23% dei tumori a sei mesi significa che le persone che svilupperanno il cancro… potrebbero svilupparlo precocemente”. In secondo luogo, il follow-up del cancro richiede decenni per un’analisi adeguata, ha affermato. Non sono stati condotti studi a lungo termine sul vaccino COVID-19, e “questo è stato il problema”, ha affermato Campbell. “Hanno vaccinato i gruppi di controllo in tempi molto brevi… quindi l’intera faccenda è stata un completo disastro”. I tumori al seno, alla vescica e al colon-retto hanno mostrato gli aumenti più elevati e statisticamente significativi nei pazienti vaccinati rispetto a quelli non vaccinati. Il rischio di cancro al seno è aumentato del 54% e quello di cancro alla vescica del 62% nelle persone che hanno ricevuto almeno una dose del vaccino COVID-19, 180 giorni dopo la somministrazione. Il cancro al colon-retto è aumentato del 34%. Nelle persone che avevano ricevuto almeno tre dosi del vaccino contro il COVID-19, 180 giorni dopo la terza dose, il rischio di cancro al seno era aumentato del 36% e quello di cancro alla vescica del 43%. Il rischio di cancro colon-rettale è aumentato del 14%, ma questo aumento non è stato considerato statisticamente significativo a causa delle dimensioni ridotte del campione dello studio. Anche i tumori dell’utero e delle ovaie hanno mostrato un aumento dopo una e tre dosi, sebbene i numeri non fossero statisticamente significativi. Campbell ha spiegato: “Sembra che ci sia un aumento reale, ma se si tiene conto del fatto che persone sono state ricoverate con tumori, quando si suddivide per tipo di tumore, a volte i numeri non sono sufficienti per dare un risultato statisticamente significativo”. Oltre ad analizzare il rischio di cancro, lo studio ha valutato il rischio di mortalità per tutte le cause associato allo stato di vaccinazione contro il COVID-19. Durante lo studio, i risultati hanno mostrato che le persone vaccinate hanno dimostrato una minore probabilità di morte per tutte le cause. “Questo è quasi certamente attribuibile a quello che chiamiamo effetto del vaccinato sano”, ha detto Campbell. “Ci è stato detto, manipolato, mentito, chiamatelo come volete, che questo vaccino era buono per la nostra salute. Quindi, le persone interessate alla salute hanno avuto la tendenza a farsi vaccinare”. Gli autori dello studio hanno affermato che il pregiudizio del “vaccinato sano” che induce a pensare che i vaccini riducano i decessi, potrebbe sottovalutare i rischi di cancro. Si legge nello studio: “il bias dei vaccinati sani, analogamente a come probabilmente porta a una sovrastima dell’efficacia del vaccino contro la mortalità per tutte le cause, potrebbe anche portare a una sottostima del potenziale impatto negativo della vaccinazione sui ricoveri ospedalieri dovuti al cancro. Essendo, lo stile di vita più sano, tipicamente associato alla vaccinazione che può ridurre il rischio di carcinomi”.   > Video di John Campbell che analizza lo studio:     Fonte: LO STUDIO “VACCINAZIONE CONTRO IL COVID-19, MORTALITÀ PER TUTTE LE CAUSE E RICOVERO OSPEDALIERO PER CANCRO: STUDIO DI COORTE DI 30 MESI IN UNA PROVINCIA ITALIANA”  –  QUI LA VERSIONE PDF  https://childrenshealthdefense.org/defender/covid-vaccine-linked-sharp-rise-cancer-italian-researchers-find-john-campbell/ Lorenzo Poli
SARDEGNA: APPROVATA LA LEGGE SUL FINE VITA, “UNA QUESTIONE DI DIRITTI ED AUTODETERMINAZIONE”
La Sardegna diventa la seconda regione italiana ad avere una legge sul “fine vita”, dopo la Toscana. Il Consiglio regionale ha votato il testo della maggioranza del Campo Largo, sulla base di quello proposto dall’associazione Luca Coscioni, con 32 voti favorevoli, 19 contrari e una astensione. La legge disciplina il suicidio medicalmente assistito secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nel 2019. Con il via libera del consiglio regionale, l’isola può ora accogliere e valutare le richieste di suicidio assistito ed eventualmente avallarle coprendone i costi. La decisione spetta ad una commissione di esperti. Le principali condizioni per accedere al suicidio assistito sono la malattia irreversibile, l’esito infausto certo e la dipendenza da trattamenti sanitari quali presidi meccanici o l’alimentazione o la respirazione forzata. Le associazioni cosiddette pro vita hanno già chiesto al governo di impugnare la legge, come accadde per la regione Toscana. Intanto tutte le proposte di legge depositate in Parlamento rimangono ferme. “Un argomento certamente trasversale perché riguarda la dignità delle persone” – ha dichiarato ai nostri microfoni Aldo Luchi coordinatore della cellula Coscioni Cagliari. “Chiunque abbia avuto modo di vivere o di osservare esperienze di malati in condizioni terminali e di gravissima limitazione della loro dignità o della loro capacità di gestione autonoma della propria vita, non può che essere sensibile a questo argomento”. Ascolta o scarica
Chiude anche il poliambulatorio di Borgo Vittoria
Apprendiamo che è in vendita l’immobile in via del Ridotto dove attualmente si trova il Poliambulatorio a servizio di un’importante fetta di Borgo Vittoria. Un annuncio su un sito di compravendita immobiliare, nessuna comunicazione alla cittadinanza, nessuna soluzione alternativa: la Regione non ritiene evidentemente sia un problema tanto ci sono gli ambulatori privati! Inoltre, le spiegazioni frettolose dell’ASL (Picco), la quale si è difesa dicendo che alcune sale mediche saranno aperte nella nuova struttura sanitaria di Largo Cigna (Ex Astanteria Martini) non ci soddisfano: ad oggi non c’è nessuna assicurazione che tutti i servizi erogati dal poliambulatorio verranno garantiti nella nuova struttura. Inoltre, dal momento in cui Torino versa in una situazione di grave carenza di servizi sanitari, riteniamo che la direzione giusta sia quella di aumentare i servizi, non accorparli o, peggio, tagliarli. D’altronde lo stesso approccio è stato usato per il Poliambulatorio di via Le Chiuse: cercando di far passare tutto sotto silenzio, senza offrire una proposta capace di sopperire a questa mancanza sanitaria sul territorio, in questo caso del quartiere San Donato. Quando la politica sottomette il diritto alla salute al profitto, questi sono i risultati. Invece di moltiplicare le strutture sanitarie, queste diminuiscono e si accentrano, lasciando campo libero al privato (costruttori o ambulatori privati che siano). Ci guadagnano tutti, tranne noi cittadini e cittadine. Le nostre idee sulla sanità sono diverse: pubblica, gratuita, laica e accessibile. Per questo pretendiamo spiegazioni dalla Regione in merito alla chiusura del poliambulatorio di Via del Ridotto 9. Potere al Popolo – Torino Potere Al Popolo
Regione Lombardia, le associazioni denunciano la quantità di inceneritori
Lunedì 15 settembre, conferenza stampa online da parte di numerose associazioni sul problema degli inceneritori in Lombardia. Conosco bene Medicina Democratica, una delle associazioni che promuovono la riunione. Conosco la loro storica serietà, il loro impegno. Partecipare a una conferenza stampa, per noi “mediattivisti” vuol già dire supportarli, aiutarli ad avere forza. Per quanto riguarda i contenuti della conferenza leggete per favore il comunicato sottostante, sono stati elencati dati precisi. In sintesi, si chiede alla Regione Lombardia di aprire un tavolo di discussione che fornisca i dati precisi, compia quello che in passato aveva promesso, ascolti le associazioni formate da cittadini attenti, preparati e fortemente preoccupati sulle condizioni di inquinamento di questa regione. Chi vive in Lombardia conosce bene l’atteggiamento di queste giunte di destra che governano dal 1995, 30 anni. Si potrebbe restringere tutto a una parola sola: affari. I cittadini, la partecipazione spesso invocata, sono in realtà snobbati, bistrattati, irrisi. L’indifferenza di chi ci governa è impressionante: fanno quello che vogliono, come vogliono. Le conseguenze le paghiamo tutti e tutte, a partire dai tumori (punta dell’iceberg di altre malattie dovute alle condizioni ambientali in cui viviamo). I dati della Lombardia primeggiano a livello europeo. Queste associazioni si sono messe insieme e questo è importantissimo; durante la conferenza stampa si ascoltavano gli accenti delle varie province lombarde. Un’unione che deve consolidarsi. Sono decisi: se non inizierà un confronto col potere bisognerà farsi sentire sotto i palazzi. Come Pressenza assicuriamo che ci saremo, ogni volta che ce lo chiederanno. Comunicato stampa di Medicina Democratica Sono ben sette le associazioni che hanno inviato un documento al Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e al Consiglio Regionale per chiedere un tavolo di confronto urgente sulla situazione degli inceneritori e sulla gestione dei rifiuti: le richieste sono state illustrate il 15 settembre nel corso di una conferenza stampa convocata da Rete Ambiente Lombardia, ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente), Medicina Democratica, Zero Waste Europe, Zero Waste Italy, 5R Zero Sprechi e Cittadini per l’Aria. Innumerevoli e pesanti le criticità rilevate: ”L’incenerimento è di per sé una tecnologia obsoleta e in contrasto con gli obiettivi dell’economia circolare. Inoltre perpetua l’impatto ambientale della sovrapproduzione delle merci e dello spreco delle materie. L’incenerimento contribuisce a determinare danni ambientali e sanitari, sia per le emissioni che per i rifiuti pericolosi a loro volta prodotti”, è quanto hanno dichiarato Raffaella Mattioni, Rete Ambiente Lombardia, Marco Caldiroli, Medicina Democratica e Celestino Panizza ISDE Medici per l’Ambiente, intervenuti a nome di tutte le associazioni. La Lombardia detiene il primato del numero degli impianti e della capacità di combustione: operano 12 impianti (24 linee) di incenerimento di rifiuti urbani (contro i 3 nel Veneto, 1 in Piemonte, 8 in Emilia per limitarci al Nord Italia), cui si aggiungono l’inceneritore di rifiuti speciali più grande d’Italia, 5 cementifici che praticano la co-combustione e 11 inceneritori industriali. La Lombardia detiene un altro primato: il rapporto rifiuti ISPRA del 2024 mostra che il 43% dei rifiuti bruciati proviene da fuori regione. Nel 2023 sono stati bruciati 2.289.000 tonnellate di rifiuti nei 12 impianti a fronte di una capacità autorizzata di oltre 3 milioni di tonnellate; i rifiuti indifferenziati prodotti dai cittadini sono stati 1.226.000 tonnellate, gli altri impianti hanno combusto ulteriori rifiuti di vario genere per 1.300.000 tonnellate. Le associazioni ritengono inoltre irrazionale la dislocazione degli impianti: nella sola provincia di Bergamo sono attivi 4 impianti ed è in atto il processo autorizzativo per un quinto impianto a Montello. Le associazioni denunciano inoltre la completa assenza di programmi di monitoraggio epidemiologico, messi in atto invece da Piemonte ed Emilia Romagna. A fronte dell’innegabile pericolosità degli impianti che, anche con le migliori tecnologie, emettono inquinanti persistenti (diossine, furani, PFAS), aumentando inevitabilmente il rischio sanitario, le associazioni chiedono un aggiornamento del Piano Regionale Gestione Rifiuti, PRGR, e presentano le seguenti richieste: una moratoria sulla costruzione/ampliamento di ogni tipo di impianto che brucia rifiuti; l’adeguamento della capacità di incenerimento all’effettiva produzione regionale, riducendola con l’attuazione delle politiche di riciclo e soprattutto di prevenzione dei rifiuti; l’attuazione di un monitoraggio epidemiologico delle popolazioni esposte agli impatti ambientali integrato con biomonitoraggi e corrette valutazioni di impatto sanitario; la completa trasparenza e informazione, a livello provinciale, su composizione, raccolta, effettivo riciclo e smaltimento dei rifiuti, come delle politiche di riduzione e prevenzione; la modifica radicale del Piano regionale di gestione dei Rifiuti, in scadenza nel 2027, con la graduale chiusura degli impianti sovrabbondanti rispetto alle esigenze del territorio con impianti di trattamento a freddo e recupero di materia: è dimostrato che una consistente quota di rifiuti destinata all’incenerimento sia ancora recuperabile.       Andrea De Lotto
ReSST lancia ciclo di webinar per riaffermare dignità e diritti delle persone sopravvissute a tortura
Se c’è una urgenza che torna con forza nella discussione pubblica, è quella di non lasciare sole le persone che hanno subito torture: nel corpo, nella mente, nelle relazioni, nei loro percorsi quotidiani. È da questo bisogno che nasce “ReSST – Rete di Supporto per le Persone Sopravvissute a Tortura”, che promuove un ciclo di webinar dedicato a prendersi cura, sostenere, riflettere. Comunicati stampa e appelli TORTURA: NASCE LA RESST, LA RETE ITALIANA PER SUPPORTARE I SOPRAVVISSUTI A TORTURA Il comunicato delle realtà fondatrici Caritas, Ciac, La Kasbah, MCT, MSF, MEDU, Naga, SaMiFo 8 Aprile 2025 Un percorso formativo gratuito e aperto rivolto a operatori e operatrici dell’accoglienza, professionisti della salute mentale, avvocati, mediatori, chiunque lavori a contatto con i rifugiati, le persone migranti, le vittime di tortura. Attraverso questi incontri, la Rete intende diffondere buone pratiche, modelli di presa in carico efficaci, strumenti multidisciplinari, esperienze concrete messe in campo da organizzazioni che già operano sul territorio. IL CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI 2025 23 settembre, ore 18Sopravvissuti a tortura: sfide e prospettive in vista dell’attuazione del Patto sulla Migrazione e l’Asilo dell’UEGianfranco Schiavone, esperto migrazioni; Caterina Bove, avvocata ASGI 28 ottobre, ore 18Geografia delle vulnerabilità: identificazione e supporto ai sopravvissuti a tortura sul territorio e nel sistema di accoglienzaChiara Peri (IPRS), Fabrizio Coresi (ActionAid) 25 novembre, ore 18La certificazione medico-legale sugli esiti di tortura e il Protocollo di IstanbulCristina Cattaneo (Labanof), Duarte Nuno Vieira (Università di Coimbra, esperto forense ONU) La partecipazione è gratuita. È sufficiente registrarsi per ricevere i dettagli del collegamento.
Una festa in giro per l’Italia per mettere al centro le persone con demenza e i loro familiari
L’Alzheimer Fest è probabilmente il maggior evento pubblico in Italia che mette al centro le persone con demenza, i loro familiari e gli operatori di cura. Un evento, anzi una serie di eventi, unici nel loro genere, promossi da un’Associazione di Promozione Sociale – APS, l’Alzheimer Fest,  nata nel 2017 per iniziativa di malati, familiari, medici, artisti e operatori, con l’obiettivo di promuovere una nuova narrazione sull’Alzheimer e sulle altre forme di demenza. Su sogni e bisogni di chi ci convive. L’Alzheimer Fest è una festa itinerante: dal 2017 al 2024 ha toccato venti località in undici regioni italiane, da Treviso a Bologna, dal Trentino alla Puglia.  Ogni festa si celebra in uno spazio aperto al pubblico, che può variare da luogo a luogo: ad esempio negli anni passati l’Alzheimer Fest ha toccato il lungolago di Varese, il parco di Levico Terme e quello della sede della Provincia di Treviso, gli ospedali di Bologna e Baggiovara, una storica colonia sul mare di Cesenatico, la piazza della Santissima Annunziata a Firenze, il centro storico di Giovinazzo, il molo di La Spezia e tanti altri posti. “La missione, come sottolineano dall’Associazione, è semplice e ardua al tempo stesso: vincere lo stigma, promuovere l’inclusione sociale, fornire informazioni e conoscenze, condividere esperienze, gioie e fatiche. Perché la demenza non implica una ritirata dalla vita, a condizione che non abbia come alleati la solitudine e l’isolamento”. In questi anni, migliaia di persone hanno partecipato agli Alzheimer Fest, e centinaia sono intervenute per dare un contributo: persone sane e meno sane, anonime e famose, anziane e giovani. Il coinvolgimento delle nuove generazioni, dal mondo della scuola a quello delle attività ludiche e culturali, è stato e resta un perno cruciale del nostro percorso di crescita collettiva. Ma che cosa si fa all’Alzheimer Fest? Gli ingredienti sono quelli di una vera festa popolare che si mescola a un convegno scientifico.  Si uniscono esperienze e competenze, si fa il punto sulla prevenzione e sulla ricerca. Fondamentale la chiamata a raccolta di tutta la comunità, a partire da chi vive la malattia sulla propria pelle. Senza dimenticare le persone che magari non ne sono toccate ma vorrebbero saperne di più. In questi anni tante esperienze e incontri sempre gratuiti a base di musica, arte, letteratura, teatro, danza, hanno avuto sempre al centro le persone più fragili. L’Alzheimer Fest vuole essere una rassegna di tutte le cose belle che già si fanno nell’ambito della cura e di quelle che mancano ancora all’appello. Dignità e indignazione: mettersi insieme per esigere che le cose cambino per il meglio. Senza nascondere le difficoltà, moltiplicando le energie. In queste settimane è in pieno svolgimento l’Alzheimer Fest 2025: due tappe per ogni week-end (con qualche eccezione), con un programma ricco, come sempre. Si sono già svolte le tappe di Treviso, di Valdagno, di  Gavirate, di Brescia e di Monza. Sabato 20 settembre la tappa sarà invece a Casale Monferrato: tutto il Piemonte a raccolta nel centro della splendida cittadina del Monferrato. Ma sabato 20 sarà anche la volta di Melegnano, al Castello. Domenica 21 settembre la tappa sarà a Chiavari, con appuntamento in piazza Matteotti, nell’ex chiesa di San Francesco d’Assisi trasformata in auditorium, a due passi dai portici e vicino al Parco Botanico Villa Rocca. Il 22 settembre 2025 alle ore 19 l’Alzheimer Fest sbarca all’Etna Book Festival di Catania. Giovedì 25 settembre sarà la volta di Rosignano Marittimo, a due passi dal mare, nelle piazze intorno al Cine-Teatro Solvay. Sabato 27 settembre ci si sposterà a Monteriggioni. A 3 km dal borgo c’è la frazione di Abbadia a Isola, un incanto nel verde dove ha sede il Museo Archeologico di Monteriggioni. L’Abbazia è dell’anno 1001. Sabato 4 ottobre sarà la volta della capitale: a Roma, a Testaccio, in un complesso architettonico che malgrado il nome per cui è conosciuto (l’ex Mattatoio) pullula di vita. Lunedì e martedì 6-7 ottobre sarà in festa Bologna, con la Conferenza annuale di Alzheimer Europe al Bologna Congress Center (polo fieristico) in piazza Costituzione 4/a. Isernia sarà la tappa di sabato 11 ottobre: per la prima volta in Molise, per raccontarne i progressi e dare manforte alle famiglie in difficoltà. Domenica 12 ottobre, invece, ci si sposterà a Monteverde, in un delizioso “Comune non Comune” in provincia di Avellino, campione di accoglienza e accessibilità. Il 18 e 19 ottobre il tour sarà a Brindisi per un gran finale, nel centro di una città portuale ricca di storia e di novità. “MI SO’ SCORDATO IL TITOLO!”: è questo il titolo dell’inno dell’Alzheimer Fest 2025. Un inno alla libertà della smemoratezza, che nasce per definizione sconfinata, a dispetto della pur nobile memoria, per definizione limitata. Da qualche tempo i malati di Alzheimer e le loro famiglie sono alle prese con le rette delle RSA che il nostro Paese fa fatica ad accollarsi interamente. A stabilirlo è una giurisprudenza ormai consolidata (a partire dall’Ordinanza della Corte di Cassazione 26943/2024 e dalla sentenza del Consiglio di Stato 3074/2025), che ha ribadito come le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria debbano essere interamente a carico dello Stato. Secondo i dati del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia oltre 1 milione di persone soffre di malattie neurodegenerative e tra queste circa 600.000 di Alzheimer. Intorno a loro ruotano quasi 3 milioni di familiari e caregiver, spesso lasciati soli a gestire un carico assistenziale, emotivo e soprattutto economico sempre più insostenibile. L’Alzheimer Fest 2025 è anche l’occasione per ribadire la necessità di una norma chiara e definitiva che tuteli questi cittadini fragili, ma anche per far conoscere gli strumenti legali già disponibili per ottenere  economicamente ciò che è già un diritto costituzionale. Qui per approfondire: https://www.alzheimerfest.it/.   Giovanni Caprio