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Sanità: il pubblico arretra sempre più, mentre i privati occupano gli spazi vuoti
  La spesa delle famiglie è ormai schizzata oltre i € 41 miliardi e dal 2022 al 2024 +1,7 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie. Il privato convenzionato domina le RSA e la riabilitazione, ma mostra segni di crisi. Boom invece del privato puro: in 7 anni +137% di spesa out-of-pocket. Sono alcuni dei dati snocciolati da Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE, al 20° Forum Risk Management di Arezzo, presentando un’analisi indipendente sull’ecosistema dei soggetti privati in sanità e sulla privatizzazione strisciante del SSN. Un’analisi che documenta come il progressivo indebolimento della sanità pubblica lasci sempre più spazio all’espansione silenziosa di una moltitudine di attori privati, spesso identificati erroneamente con le sole strutture private accreditate. La Fondazione GIMBE indica 4 macro-categorie di soggetti privati: erogatori che forniscono servizi e prestazioni sanitarie e socio-sanitarie; investitori che immettono capitali con finalità di sviluppo del settore e di produzione di utili; terzi paganti (fondi sanitari, assicurazioni, etc.) che svolgono la funzione di pagatore intermedio tra erogatori e cittadini; realtà che stipulano partenariati pubblico-privato (PPP) con Aziende Sanitarie, Regioni e altri enti. Ciascun soggetto privato può avere natura giuridica profit o non-profit: questi ultimi, se non rappresentano una minaccia per il SSN, nella percezione pubblica finiscono per essere considerati alla stregua di attori privati con elevata propensione ai profitti. Nel 2024 la spesa sanitaria a carico dei cittadini (out-of-pocket) ammonta a € 41,3 miliardi, pari al 22,3% della spesa sanitaria totale: percentuale che da 12 anni supera in maniera costante il limite del 15% raccomandato dall’OMS, soglia oltre la quale sono a rischio uguaglianza e accessibilità alle cure. In Italia la spesa out-of-pocket in valore assoluto è cresciuta da € 32,4 miliardi del 2012 a € 41,3 miliardi del 2024, mantenendosi sempre su livelli compresi tra il 21,5% e il 24,1% della spesa totale. “Con quasi un euro su quattro di spesa sanitaria sborsato dalle famiglie, ha sottolineato Cartabellotta, oggi siamo sostanzialmente di fronte a un servizio sanitario “misto”, senza che nessun Governo lo abbia mai esplicitamente previsto o tantomeno dichiarato. Peraltro, la spesa out-of pocket non è più un indicatore affidabile delle mancate tutele pubbliche, perché viene sempre più arginata dall’impoverimento delle famiglie: le rinunce alle prestazioni sanitarie sono passate da 4,1 milioni nel 2022 a 5,8 milioni nel 2024”. In altre parole, la spesa privata non può crescere più di tanto perché nel 2024 secondo l’ISTAT 5,7 milioni di persone vivevano sotto la soglia di povertà assoluta e 8,7 milioni sotto la soglia di povertà relativa. Dal Sistema Tessera Sanitaria è possibile identificare chi “incassa” la spesa a carico dei cittadini. Nel 2023, anno più recente a disposizione, i € 43 miliardi di spesa sanitaria privata sono così suddivisi: € 12,1 miliardi alle farmacie, € 10,6 miliardi a professionisti sanitari (di cui € 5,8 miliardi odontoiatri e € 2,6 miliardi ai medici), € 7,6 miliardi alle strutture private accreditate e € 7,2 miliardi al privato “puro”, ovvero alle strutture non accreditate e € 2,2 miliardi alle strutture pubbliche per libera professione e altro. Si tratta di numeri che fotografano con chiarezza che la privatizzazione della spesa sta determinando una progressiva uscita dei cittadini dal perimetro delle tutele pubbliche, con l’acquisto diretto sul mercato delle prestazioni necessarie. Secondo l’Annuario Statistico del Ministero della Salute, nel 2023 delle 29.386 strutture sanitarie censite, il 58% (n. 17.042) sono strutture private accreditate e il 42% (n. 12.344) strutture pubbliche. Il privato accreditato prevale ampiamente in varie tipologie di assistenza: residenziale (85,1%), riabilitativa (78,4%), semi-residenziale (72,8%) e, in misura minore, nella specialistica ambulatoriale (59,7%). Nell’assistenza residenziale il pubblico arretra del 19,1% mentre il privato accreditato cresce del 41,3%; nell’assistenza semi-residenziale il pubblico segna -11,7% a fronte di un aumento del 35,8% del privato. Nell’assistenza riabilitativa crescono entrambi, ma con percentuali molto diverse (+5,3% pubblico vs +26,4% privato). Infine, nell’altra assistenza territoriale, pur con un aumento assoluto più rilevante nel pubblico, il privato accreditato registra una crescita percentuale quasi doppia (+35,3% vs +18,6%). “Diverse Regioni, sottolinea il presidente della Fondazione GIMBE, hanno favorito un’eccessiva espansione del privato accreditato senza disporre di risorse adeguate, visto che l’imponente definanziamento del SSN ha mantenuto ferme le tariffe di rimborso delle prestazioni”. Per quanto riguarda, infine, il privato non convenzionato, ovvero le strutture sanitarie, prevalentemente di diagnostica ambulatoriale, che erogano prestazioni esclusivamente in regime privato, senza alcun rimborso a carico della spesa pubblica, negli ultimi anni vi è stata la crescita più marcata: tra il 2016 e il 2023 la spesa delle famiglie verso le strutture non convenzionate è aumentata del 137%, passando da € 3,05 miliardi a € 7,23 miliardi, con un incremento medio di circa € 600 milioni l’anno. Nello stesso periodo la spesa delle famiglie per il privato accreditato è cresciuta solo del 45%; di conseguenza il netto divario tra spesa delle famiglie verso il privato “puro” e verso il privato convenzionato si è praticamente azzerato passando da € 2,2 miliardi nel 2016 a soli € 390 milioni nel 2023. Qui per approfondire: https://www.gimbe.org/pagine/341/it/comunicati-stampa. Giovanni Caprio
LA GIORNATA LAVORATIVA TROPPO LUNGA È CAUSA DI STROKE
Sul quotidiano on line degli infermieri, www.nurse24.it, è stato qualche anno fa pubblicato un articolo di Silvia Stabellini, infermiera, dal titolo “Rischio stroke correlato all’orario prolungato di lavoro”. L’autrice faceva riferimento a uno studio, pubblicato sull’American Heart Journal, il quale riportava che “l’attività lavorativa che supera le 10 ore al giorno condotta per almeno 50 giorni all’anno rappresenta un potenziale fattore di rischio per lo stroke”. Dai dati scientifici emergeva come la giornata lavorativa troppo lunga (Long Working Hours, LHW), possa essere causa di ictus. Infatti “Sono stati condotti altri studi sulla relazione diretta o indiretta delle condizioni di lavoro sull’aumento del rischio di stroke, aritmie cardiache o coagulopatie in soggetti in LWH e viene sottolineato che turni irregolari, lavoro notturno e lavori particolarmente stressanti (fisicamente e mentalmente) non sono condizioni lavorative salutari.” Nell’articolo Silvia Stabellini cita poi l’esempio della propria professione, spiegando che da CCNL per gli infermieri è prevista una giornata lavorativa lunga fino a 12 ore e 30 minuti, e già di per sé questo è un elemento gravoso, senza contare altri elementi di disagio quali i turni, il lavoro notturno e lo stress lavorativo. Le giuste osservazioni dell’autrice mi sembrano analogamente riferibili alle mansioni ferroviarie di macchinista, capotreno e TPT cargo i quali, da contratto, hanno prestazioni lavorative fino a 10 ore (11 per i macchinisti dei treni merci), alle quali si devono poi sommare, tanto per citare i principali fattori di gravosità, l’aciclicità dei turni, il lavoro notturno, il riposo di sole 7 ore in caso di servizi con RFR, la solitudine lavorativa da quando è stato introdotto l’agente solo alla guida. Su tutti questi fattori sarebbe necessario intervenire, per evitare che la pesantezza del lavoro vada ad intaccare la salute dei lavoratori, come invece sta purtroppo accadendo: lo dimostra la scia dei 175 macchinisti prematuramente scomparsi per malattie dal 2015 ad oggi. Fonte: https://www.nurse24.it/dossier/ictus/rischio-stroke-correlato-orario-prolungato-lavoro.html L'articolo LA GIORNATA LAVORATIVA TROPPO LUNGA È CAUSA DI STROKE proviene da Ancora in Marcia!.
SONNO E STANCHEZZA, FARE PREVENZIONE PRIMA CHE CAPITINO GLI INFORTUNI: Da un articolo sulla condizione dei turnisti svizzeri alcuni spunti di riflessione per la normativa di lavoro di noi macchinisti.
Sonno, stanchezza, salute e lavoro: quale correlazione c’è tra questi elementi e quale dovrebbe essere il corretto approccio del datore di lavoro? La Rivista svizzera della Commissione federale di coordinamento per la sicurezza sul lavoro (CFSL, www.prevenzione-in-ufficio.ch) ha affrontato questo argomento con un articolo di qualche anno fa (25 ottobre 2019) di Reto Etterli, psicologo del lavoro, dal titolo “Stanchezza: un rischio sottovalutato per la sicurezza, la salute e l’economia.” Il primo dato riportato è che “un adulto su tre in Svizzera soffre di disturbi del sonno.” Inoltre “gli infortuni e le assenze per malattia sono più frequenti per i collaboratori con deficit di sonno e anche il loro rendimento è inferiore. Chi lavora di notte o a turni è particolarmente svantaggiato.” L’articolista cita una ricerca scientifica del 2015 dalla quale è emerso che “per le persone che dormono male o poco, il rischio di infortunio sul lavoro e nel tempo libero è quasi due volte superiore al normale. Basti pensare che un infortunio professionale su cinque è dovuto a disturbi del sonno e si presume che la percentuale sia analoga per gli infortuni nel tempo libero.” Viene inoltre evidenziata un’analogia tra il dormire poco e l’essere sotto l’effetto di sostanza alcoliche, al punto che “La carenza di sonno … altera il nostro comportamento nelle situazioni di rischio al pari dell’alcol.” A questo punto viene naturale fare un collegamento con le norme del lavoro dei macchinisti italiani, che prevedono controlli periodici a sorpresa per verificare l’eventuale uso di alcool: perché non vengono effettuati controllo anche per vedere se c’è carenza di sonno, visto che, dati alla mano, gli effetti sono analoghi? Dormire poco non ha solo conseguenze sul come si lavora, ma a lungo termine anche sulla salute del lavoratore, in quanto “I disturbi cronici del sonno riducono l’aspettativa di vita”. Ma quale è l’approccio delle imprese al problema? Etterli osserva che “Tutti i datori di lavoro vorrebbero avere collaboratori attenti alla sicurezza, sani ed efficienti. Questo comporta, tra l’altro, che siano riposati. Conviene quindi investire nella loro salute, sensibilizzarli a una corretta igiene del sonno e creare condizioni di lavoro che non causino notti insonni.” L’articolo cita quindi l’esempio di alcune imprese “virtuose” che “hanno capito l’importanza di collaboratori riposati”, anche multinazionali, e mettono in atto iniziative conseguenti. Sarebbe una cosa buona se anche le imprese ferroviarie seguissero questi esempi positivi, anzi la condizione ottimale sarebbe che il ministero dei trasporti italiano e l’ANSFISA, al fine di garantire che la circolazione dei treni avvenga in sicurezza, intervenissero anche su queste tematiche. Sarebbe quindi opportuno istituire l’obbligatorietà, da parte di tutte le imprese ferroviarie operanti nel nostro Paese, di monitorare periodicamente lo stato di stanchezza ed eventuale carenza di sonno dei propri dipendenti impegnati in mansioni connesse con la sicurezza dell’esercizio. L'articolo SONNO E STANCHEZZA, FARE PREVENZIONE PRIMA CHE CAPITINO GLI INFORTUNI: Da un articolo sulla condizione dei turnisti svizzeri alcuni spunti di riflessione per la normativa di lavoro di noi macchinisti. proviene da Ancora in Marcia!.
Immunoterapia contro l’invecchiamento: siamo vicini a rompere il ciclo vitale?
Dai primi miti sulla fonte dell’eterna giovinezza alle moderne terapie cellulari, la ricerca umana di prolungare la vita sembra entrare in una nuova fase, dove la scienza converge con un desiderio ancestrale. Da quando l’essere umano è consapevole della sua finitezza, ha sognato di sfuggirle. Nel Poema di Gilgamesh (circa 2100 a.C.), l’eroe mesopotamico intraprende un viaggio alla ricerca della pianta che dona la vita eterna. Gli alchimisti medievali cercavano instancabilmente l’elisir di lunga vita e le leggende della Fontana della Giovinezza hanno popolato l’immaginario delle culture di tutto il mondo. Oggi, quel sogno millenario viene perseguito nei laboratori di biotecnologia (eredi di quegli antichi alchimisti e dei loro laboratori), dove si sta sviluppando un vaccino progettato non per prevenire una malattia specifica, ma per combattere il processo stesso dell’invecchiamento. Una rivoluzione nella comprensione dell’invecchiamento L’invecchiamento, considerato per secoli un declino inevitabile e omogeneo, è ora inteso come un processo biologico con meccanismi specifici e potenzialmente curabili. Uno di questi meccanismi chiave è la senescenza cellulare. Nel corso della vita, alcune cellule smettono di dividersi ma non muoiono. Invece di contribuire al tessuto, secernono sostanze infiammatorie che danneggiano le cellule vicine e creano un ambiente favorevole alla malattia. La proposta è un’immunoterapia senolitica. Il suo obiettivo è quello di addestrare il sistema immunitario a riconoscere ed eliminare in modo preciso ed efficiente queste cellule senescenti. In questo modo, si attacca una delle cause profonde del deterioramento fisico associato all’età e di patologie come il cancro, dove queste cellule proteggono i tumori. Questo approccio rappresenta un cambiamento di paradigma: non si tratta solo di allungare la vita, ma di prolungare gli anni di vita sana, comprimendo i periodi di malattia e dipendenza. Come funziona questo vaccino contro l’invecchiamento? A differenza di un vaccino preventivo tradizionale, si tratta di un trattamento personalizzato. Sebbene i dettagli tecnici siano complessi, il concetto può essere semplificato: 1. Vengono isolate le cellule senescenti specifiche del paziente. 2. Queste cellule vengono utilizzate per insegnare al sistema immunitario del paziente a riconoscere la loro firma unica. 3. Il sistema immunitario, così addestrato, mobilita le sue risorse per cercare e distruggere le cellule senescenti in tutto il corpo. Negli studi preclinici sugli animali, questo approccio ha mostrato risultati straordinari, non solo migliorando i marcatori di salute, ma aumentando l’aspettativa di vita di oltre il 100%. Immorta Bio, con sede a Miami, ha già presentato la documentazione normativa necessaria alla FDA statunitense per avviare la prima sperimentazione clinica sull’uomo, inizialmente incentrata su pazienti con cancro ai polmoni in stadio avanzato. Cosa significa rompere il ciclo? Lo sviluppo del trattamento ci pone di fronte a un profondo bivio filosofico ed etico. La finitezza è stata, storicamente, un motore essenziale della cultura, dell’arte, della trascendenza e del senso di urgenza vitale. Cosa succede quando questo confine si confonde? La prospettiva di vivere più a lungo in piena salute è potente. Significherebbe ridurre la sofferenza delle malattie degenerative, prolungare il tempo di contribuzione e creatività e ridefinire le fasi della vita. È la materializzazione di un desiderio antico quanto l’umanità. Sorgono inevitabili domande. Chi avrà accesso a queste terapie? Come influenzerà le dinamiche demografiche, le pensioni o le relazioni intergenerazionali? Cambierà la nostra percezione del valore del tempo? Già nel XVII secolo il filosofo francese Blaise Pascal rifletteva su come l’inquietudine umana derivi dalla nostra incapacità di stare seduti in silenzio in una stanza, un’inquietudine che la finitezza acuisce. La scienza sta avanzando verso la possibilità tecnica di allungare il ciclo. Tuttavia, come società, dobbiamo riflettere se siamo pronti per questo. La storia di Gilgamesh si conclude con l’eroe che perde la pianta dell’immortalità, un promemoria del fatto che la ricerca, più che il destino, può essere ciò che ci definisce. Oggi, la pianta potrebbe germogliare in un laboratorio, e il suo raccolto dipenderà non solo dalla biologia, ma anche dalla saggezza con cui decideremo di usarla. Le informazioni su SenoVax si basano sui comunicati della società Immorta Bio e sulla sua domanda di brevetto internazionale PCT/WO2025184665. Il trattamento è in fase preclinica avanzata e i risultati sugli esseri umani devono ancora essere determinati in futuri studi clinici. Ci troviamo di fronte a una nuova sfida per l’umanità, la vita e il significato di tutto ciò che esiste. Quim De Riba
Uganda, l’infermiera che scala le montagne coi vaccini
In Uganda c’è una scala di tronchi alta quasi 300 metri. E ogni giorno un’infermiera la sale per salvare dei bambini. Si chiama Agnes Nambozo, ogni mattina parte alle 6: moto–fango–foresta, e poi quella scala incredibile. La cima del monte Elgon la raggiunge solo dopo quattro ore e mezza. Lassù l’aspettano bambini da vaccinare, madri da assistere, le comunità dei villaggi arroccati che senza di lei non vedrebbe mai un operatore sanitario. In Uganda, la mortalità infantile è scesa da 145 a 40 bambini ogni 1000 nati in venticinque anni. Questo risultato è stato possibile anche grazie a infermiere come lei che portano la salute dove nessuno arriva. Oggi però la sfida è enorme: i tagli ai fondi USAID hanno lasciato interi distretti senza personale. Colleghi licenziati, servizi ridotti, comunità isolate. Eppure Agnes continua a salire. Sempre. Guarda il servizio di Stefano Pancera.   Africa Rivista
UNICEF Italia: 3 dicembre, ‘Giornata internazionale delle persone con disabilità’
UNICEF Italia evidenzia che la disabilità colpisce un bambino su dieci della popolazione mondiale e il 4,5% degli scolari italiani. “In occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità (3 dicembre), dedicata quest’anno al tema Promuovere società inclusive nei confronti delle persone con disabilità per favorire il progresso sociale, l’UNICEF ricorda che un bambino su dieci nel mondo, ovvero quasi 240 milioni di bambini, ha una disabilità” ha dichiarato il Presidente dell’UNICEF Italia Nicola Graziano. In Italia, l’UNICEF ha individuato la situazione dei bambini e degli adolescenti con disabilità tra le priorità sulle quali le istituzioni, la società civile, l’opinione pubblica dovrebbero essere più attente, per sostenere le famiglie e garantire i diritti di questi minorenni. A partire dalla mancanza di dati sui i bimbini più piccoli, alle discriminazioni che bambini e adolescenti vivono in tutti gli ambiti della vita: dalla scuola (il numero di insegnanti di sostegno non è adeguato, la loro formazione da migliorare), agli assistenti all’autonomia e alla comunicazione (non garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale), alla partecipazione, al diritto al gioco, allo sport. “Per questo chiediamo che nel lavoro in corso sui Livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da ultimo presente nella legge di bilancio in discussione, venga introdotta un’attenzione permanente ai diritti delle persone con disabilità, compresi ovviamente i minorenni. Abbiamo ricevuto dai Comitati ONU indicazioni chiare: auspico che, grazie alla collaborazione con la Ministra della Disabilità e con la neo istituita Autorità di Garanzia per le persone con disabilità, operando in rete con l’associazionismo, si possa agire per ottenere un’attenzione costante ai diritti dei bambini e degli adolescenti con disabilità nelle norme, nelle politiche e nelle pratiche. Dobbiamo promuovere il loro pieno coinvolgimento, così come previsto anche dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia che, insieme a quella sui diritti delle persone con disabilità che oggi ricordiamo, forniscono un quadro di riferimento certo, al quale ispirarsi per ottenere il necessario cambiamento”, ha dichiarato il Presidente dell’UNICEF Italia Nicola Graziano. Nell’anno scolastico 2023/2024 sono quasi 359mila gli alunni con disabilità che frequentano le scuole di ogni ordine e grado (il 4,5% degli iscritti, fonte MIM), circa 21mila in più rispetto all’anno precedente (+6%). La quota di alunni con disabilità è più alta nella scuola primaria e secondaria di primo grado, dove si attesta al 5,5%, mentre diminuisce nella scuola dell’infanzia e nella secondaria di secondo grado, rispettivamente il 3,2% e il 3,5% (Report ISTAT, Inclusione scolastica degli alunni con disabilità – marzo 2025). In coerenza con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e la Convenzione ONU sui diritti per le persone con disabilità, l’UNICEF Italia lavora per garantire che i bambini e le bambine con disabilità e le loro famiglie abbiano pari opportunità rispetto ai loro coetanei, in tutti i contesti di vita quotidiana ovunque vivano, sia in condizioni di stabilità che in situazioni di emergenza umanitaria. L’UNICEF Italia, in coerenza con le indicazioni internazionali, promuove politiche e leggi adeguate a favore dei bambini e delle bambine con disabilità, oltre ad investimenti adeguati per la conseguente attuazione dei loro diritti. UNICEF
Presentato il libro bianco Burlo e Cattinara verso il 2030 e oltre – Un progetto sbagliato
Il libro bianco Burlo e Cattinara verso il 2030 e oltre – Un progetto sbagliato, a cura di Walter Zalukar, Marino Andolina, Laura Stabile, Paolo Radivo e Gianluca Paciucci, è stato presentato il 25 novembre durante una conferenza stampa nel palazzo del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia a Trieste. All’incontro hanno preso la parola Walter Zalukar, Marino Andolina, Paolo Radivo, i consiglieri regionali Francesco Russo e Furio Honsell, nonché Alberto Russignan. Scopo di questo libro bianco è sensibilizzare le persone e la politica al fine di rivedere un progetto datato vent’anni, concepito in era pre-pandemica e con criteri ormai obsoleti. Continuare con questo progetto andrebbe a detrimento sia dell’ospedale per adulti sia di quello pediatrico e condannerebbe Trieste ad avvalersi di un ospedale non al passo con i tempi per i prossimi decenni. Marino Andolina ha evidenziato  che il progetto dello spostamento del Burlo a Cattinara è sbagliato e inficerà il suo ruolo di riferimento regionale e nazionale. Degenze e servizi dedicati ai bambini verranno distribuiti anche al di fuori dell’edificio principale, creando un’innaturale commistione di adulti e bambini, con disagio per i bambini e pericolo virologico per gli anziani più fragili. Nel progetto non risultano adeguati spazi per le stanze dedicate al trapianto di midollo, quindi il primo centro trapianti pediatrico d’Italia verrà chiuso e presumibilmente trasferito a Udine. Walter Zalukar ha parlato della convivenza tra cantieri e ospedale, ovvero nove anni di rischi e disagi intollerabili. La convivenza tra ospedali e cantieri di lavoro è sempre stata molto difficile ma a Cattinara ancora di più per il sovrapporsi di altre criticità. All’apertura dei cantieri nel 2017 era già iniziato il ridimensionamento degli ospedali triestini con la chiusura di reparti e taglio di posti letto. La riforma sanitaria aveva previsto per Trieste il sacrificio di 156 posti letto, da 764 a 608 cioè un calo di oltre il 20%. Nel 2018 furono eseguite le demolizioni interne dei piani dall’11 al 15 della torre medica. Nel 2020 il Covid trovò l’ospedale impreparato: pochi i posti letto rimasti e quasi tutti in stanze a due e a quattro letti, il che rendeva impossibile il contenimento del virus. Nel 2025 quattro piani rimangono inagibili. Laura Stabile ha esposto l’idea dell’ospedale del futuro con stanze tutte singole e immerso nel verde. Dieci anni fa Umberto Veronesi affermava l’esigenza di avere “ospedali che possano garantire una camera singola ad ogni malato e la possibilità di ricevere i propri cari durante tutto l’arco della giornata. Anche questa è etica. Anche questo serve a guarire. Costa ma serve”. Non si tratta però “solo” di una questione di rispetto di privacy e dignità. E’ in gioco il controllo delle infezioni: l’Italia ha il primato in Europa per le morti da infezioni da germi resistenti agli antibiotici, 11.000 morti all’anno in Italia nel periodo pre-Covid a fronte di 33.000 in tutta Europa. L’ECDC (EuropeanCentre for DiseasePreventionand Control) nelle statistiche sui fattori di rischio per le infezioni ospedaliere effettua il monitoraggio delle percentuali di letti in stanza singola negli ospedali dei diversi Paesi e purtroppo l’Italia non brilla. L’OMS considera l’edilizia ospedaliera un cardine della preparazione a future possibili pandemie. Nella pubblicazione 2023 “Hospitals of the future -A technical brief on re-thinking the architecture of hospitals” suggerisce quale migliore soluzione le stanze singole da impiegare in modo flessibile, per esempio utilizzando il secondo letto (quello dell’accompagnatore) in caso di maxiemergenze. Durante la pandemia un’importante fonte di diffusione dei contagi sono stati proprio gli ospedali e, per un’infezione respiratoria, non dare importanza al fatto che i degenti siano costretti a respirare la stessa aria ventiquattr’ore al giorno vuol dire proprio non vedere gli elefanti nella stanza. Paolo Radivo ha spiegato perchè il trasloco del Burlo a Cattinara è un devastante effetto domino ambientale. I lavori all’ospedale di Cattinara una volta finiti avranno causato l’abbattimento di almeno 554 alberi e 94 arbusti, più quelli rimossi per ampliare il depuratore fognario. La strada da Altura al polo cardiologico cancellerà poi altri 185 alberi e parecchi arbusti. Spariranno così (e in buona parte sono già sparite) piante capaci di produrre ossigeno, catturare sostanze inquinanti, smorzare il vento, mitigare il freddo d’inverno, offrire ombra e fresco d’estate, attenuare i rumori, smaltire l’acqua piovana, rassodare il terreno, migliorare la salute umana, abbellire il paesaggio, offrire un’aula verde alle vicine scuole, proteggere dall’elettrosmog, dare riparo a vari animali. In compenso avremo più cemento, asfalto, traffico, emissioni nocive e rumore. Finora delle compensazioni vegetali promesse non si è vista traccia. Una volta trasferito il Burlo, ci attendono disastri ambientali anche in via dell’Istria? Redazione Friuli Venezia Giulia
Bambini sfruttati e affumicati nei campi della California
Silvana Melo Molto lontano dai campi di Entre Ríos o Santa Fe, i bambini contadini della California lavorano dagli 11 ai 12 anni, sfruttati, mal pagati, in terreni affumicati con pesticidi e con il terrore di essere deportati insieme alle loro famiglie di migranti. Tra i cinquemila e i diecimila bambini di famiglie migranti raccolgono […]
Riflessione sul patto di fiducia tra Stato e cittadini, a partire da una triste sentenza
Pubblichiamo di seguito la riflessione che la giurista Rosanna Pierleoni ha scritto per Pressenza Italia come commento alla vicenda della famiglia anglo-australiana che vive nel bosco in Abruzzo. Un riflessione intrisa di umanesimo che fornisce un parere critico ed esplicativo da parte di una persona competente in materia. Di pochi giorni fa l’ordinanza del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che sta portando sul fronte popolare tanto malcontento e che sta avviando, forse per la prima volta, una dolorosa ma inevitabile riflessione sull’articolato sistema che regola la sottrazione di minori nel nostro Paese. Credo sia importante lasciare che questo tema abbia dignità di tema pubblico, perché si tratta di prassi che toccano il rapporto di potere tra Stato e cittadini, e delineano i confini della potestà sui minori: magistratura e assistenti sociali da un lato, le famiglie dall’altro. È altresì importante, a mio avviso, che il tema venga trattato nel rispetto delle parti, delle visioni, e della immane sofferenza dei bambini e delle famiglie coinvolte, che sono all’incirca 35.000 ogni anno, cifre in aumento ogni anno. Il discorso nasce con quella che viene definita a livello mediatico “la famiglia nel bosco”, una famiglia che ha scelto di vivere nella casa di proprietà, nel verde, a 10 km dal centro abitato a Palmoli, in Abruzzo, e di garantirsi sostentamento in modo autonomo. La miccia che ha innescato un discorso controverso e appassionato nel nostro Paese, forse perché ogni rimosso cerca prima o poi l’espediente per uscire fuori. E questa è una ferita del nostro apparato giuridico e democratico troppo grave perché noi si possa continuare a tenerla nascosta o quale unico appannaggio di qualche associazione e qualche – poco partecipata – manifestazione dei parenti dei bambini. È giunto il momento che società civile e istituzioni si facciano carico di questo peso e diano qualche risposta concreta. Alle tante critiche mosse a coloro che prendono le parti della famiglia ricordo che il buon cittadino è colui che si impegna, si interessa alle cose della 𝑝𝑜𝑙𝑖𝑠, chiede conto, perché tirerà fuori la parte migliore di chi lo governa, che è un uomo come noi e – in quanto tale – è soggetto ai richiami più limpidi e a quelli più oscuri della mente. Un atteggiamento servile, pigro, fanatico, stimolerà sempre il volto peggiore del potere. Dunque, a mio avviso, non bisogna temere di esprimere il proprio giudizio. Inoltre, è verissimo che gli organi di magistratura devono essere liberi nel loro operato, ma allo stesso tempo il nostro sistema tollera molto bene la critica pubblica, no? Facciamone buon uso, senza mai trascendere in comportamenti violenti e persecutori verso i singoli. I fatti: la famiglia ha uno stile di vita che si discosta dalla media per una scelta personale, coerente e ragionata, nonché condivisa dai due genitori. Ha elettricità tramite fotovoltaico, usa la rete per videochiamare i parenti e per lavoro o per guardare qualche documentario, ha il riscaldamento tramite camino e stufa termica (essendo soli 40 mq c’è una temperatura media molto alta in inverno, sui 21/22 gradi), ha un bagno a secco esterno, ha una casa che a detta dei giornalisti con cui ho parlato personalmente e dei vicini è dignitosa e ben tenuta. I bambini conoscono due lingue e hanno molte competenze pratiche, dal cucito, alla cura dell’orto, dal riuso di materiali, alla costruzione di piccoli oggetti; consumano cibo dell’orto autoprodotto e altro cibo reperito una volta a settimana in città. I bambini sono abituati a partecipare attivamente al benessere e alle incombenze familiari. Fanno equitazione con il cavallo di famiglia, sotto la guida della madre che è istruttrice di equitazione. Hanno rapporti quotidiani con altri animali. Sono curati da medici di fiducia; sono sani. Sono seguiti con istruzione domiciliare. Intrattengono relazioni costanti con persone del vicinato, adulti e bambini. Vanno in biblioteca spesso. Viene loro letta una fiaba ogni sera nel letto. Nel provvedimento si parla – solo in riferimento alla bimba di 8 anni, dacché i gemelli ne hanno ancora sei – di un ritardo nel far pervenire alla scuola statale l’attestazione dell’istruzione impartita: una falla burocratica dunque, rientrata presto. Tutto qua. Secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito, risulta regolarmente espletato l’obbligo scolastico (ANSA, 24 novembre 2025). Interroga come una faccenda risolvibile con poco approfondimento sia stata inserita quale motivazione nell’ordinanza di allontanamento. Si parla poi di condizioni abitative non idonee in quanto l’abitazione non avrebbe i requisiti di agibilità e non rispetterebbe la normativa antisismica. Anche se la documentazione del geometra e dell’ingegnere che attestano l’assenza di lesioni strutturali non fosse considerata valida, questa mi sembra una motivazione non sufficiente se prendiamo in esame le condizioni edilizie e antisismiche di oltre metà degli istituti scolastici italiani (con bambini rimasti seppelliti sotto le macerie mentre erano tra i banchi di scuola), ma anche di alloggi per gli studenti universitari, case popolari, case private abusive, soluzioni abitative precarie assegnate dopo calamità varie. Basti poi pensare agli scandali legati agli abusi o a mancate regolarità di tipo edilizio da cui sono scaturiti danno e morte, come ad esempio nel famoso caso di Rigopiano o della Casa dello Studente a L’Aquila, solo per restare in Abruzzo. Affinché i cittadini non vivano questa motivazione come faziosa e la sentenza in modo persecutorio è importante limare il divario tra quanto si esige dai cittadini e quanto le istituzioni fanno a loro volta. Nella sentenza si propone poi una dottrina pedagogica secondo cui i bambini versavano in condizioni di isolamento e su come questo li avrebbe esposti tra qualche anno a rischi relazionali seri, facendo loro maturare condotte aggressive, tra cui il bullismo. Si fa coincidere il bisogno di socialità unicamente con la frequenza scolastica, nonostante il nostro ordinamento preveda l’istruzione parentale, considerandola dunque adeguata. Inoltre si prendono in esame non dei danni certi e attuali, ma dei danni prevedibili e futuri. Si ipotizza, rendendo questa ipotesi una certezza, che questi bambini matureranno condotte aggressive. Nella mia esperienza come mediatrice familiare nelle scuole ho potuto vedere come i casi di bullismo siano in continua crescita. Dobbiamo dunque considerare che il modello educativo dominante, condiviso dalla maggior parte degli italiani, non sia molto migliore in tal senso. Sottrarremo allora i bambini anche a tutti quei nuclei familiari che hanno ragazzi con problemi di bullismo, e a tutti coloro i cui figli trascorrono molte ore chiusi in casa davanti a internet? Ricordiamo che la sindrome da ritiro sociale “hikikomori” è in continuo aumento nella nostra società. Se questo non accade dobbiamo ritenere che la dottrina pedagogica a fondamento dell’ordinanza sia ideologicamente orientata: essa ritiene un sistema educativo idoneo, anche se causa ritiro sociale e violenza, e l’altro non idoneo, nonostante non ci siano prove attuali che dimostrino la sua idoneità a creare simili condotte. Ma anche se questo rischio di socialità ridotta fosse reale, non si può in alcun modo immaginare di intervenire allontanando forzatamente il minore dal proprio nucleo familiare, impedendo il rapporto con il padre e una relazione normale e libera con la madre, che ricordiamo si trova nella medesima struttura impossibilitata a vederli liberamente: quella con i genitori è la relazione primaria per sperimentare l’alterità. In alcun modo la frequentazione dei propri pari può essere considerata in alternativa al rapporto con i genitori, da cui i figli, soprattutto nei primi anni di vita, traggono sicurezza, protezione, senso di appartenenza, riconoscimento. Nella sentenza si parla poi di come questi bambini abbiano un ritardo rispetto ai bambini della loro età. Viene introdotto un concetto di “metro”: qual è insomma il metro di questo paragone se noi abbiamo bambini, e persino adulti, che non conoscono affatto la propria lingua, che sono abituati a ripetere slogan anziché chiedersi il perché delle cose, che hanno perso ogni forma di sapere, mestiere, conoscenza, sia di tipo letterario artistico che di tipo manuale? L’ordinanza spiega anche che la decisione sia maturata perché la famiglia avrebbe danneggiato i bambini esponendoli a livello mediatico nel programma “Le Iene”. Si fa qui riferimento a delle normative internazionali che prevedono la tutela della privacy. Stupisce un uso così improprio delle fonti indicate: queste norme tutelano da violazioni della privacy compiute da terzi che siano in conflitto di interessi con gli interessati. Vi si potrebbe ricorrere, quindi, per proteggere e risarcire la famiglia dalla vergognosa esposizione mediatica del loro caso, ma su questo mi sembra che ben poco sia stato fatto. La famiglia aveva un atteggiamento piuttosto riservato, non essendo nemmeno presente sui social: dobbiamo presumere abbiamo partecipato alla trasmissione per avere quell’ascolto che dalle istituzioni non riuscivano ad avere, per dimostrare agli italiani di essere in grado di curare i loro figli, perché avevano il terrore di perderli. Ma in alcun modo possiamo immaginare che volessero danneggiare i propri figli, come emerge dall’ordinanza. Che dire allora di tutti quei genitori che fanno uso intensivo dei social, condividendo foto e spezzoni della vita dei propri figli, e ancor di più di coloro che traggono da questa attività seguiti professionali, vendite, introiti di diverso genere? Si tratta di famiglie di “influencer” sotto gli occhi di tutti, a cui non risulta siano mai stati sottratti i figli. A questi si aggiungono tutti quei minori che aprono illegalmente account e ne fanno un uso quanto meno improprio, evidentemente senza adeguato controllo dei genitori. Vi chiedo: che ruolo dà la nostra società alla diversità, non a parole, nei fatti? Simili condotte mediatiche e giudiziarie sono pericolosamente prossime alla vera e propria persecuzione delle minoranze. Questi provvedimenti sembrano fare continuo riferimento a un concetto di “norma”, che come sappiamo nelle varie epoche ha sempre generato violenza e oscenità. Quali sono il ruolo del diritto e della psicologia nel farci comprendere un simile concetto, in che modo possono aiutarci a non farcene schiacciare? Urge una riforma urgente e radicale dell’intero sistema di sottrazione di minore in Italia. I casi di allontanamento devono essere di extrema ratio perché nessuna casa famiglia né famiglia affidataria potrà mai garantire quel senso di appartenenza che il bambino sperimenta con le proprie radici. Il legame con i genitori va preservato ad ogni costo, fatti salvi casi estremi di violenza non risolvibili e non gestibili altrimenti ove non vi sia neppure l’aiuto di altri familiari. In tutti gli altri casi, nonostante il rilievo di alcune criticità, lo Stato deve aiutare in ogni modo il nucleo familiare a farcela in autonomia. Inoltre, le decisioni di allontanamento devono essere riviste ciclicamente e in tempi brevi e mai si dovrebbe venire a sapere di genitori che per anni non riescono più ad avere un contatto che sia uno con i loro figli o che non sappiano neppure dove siano stati destinati. Sono certa che qualora le istituzioni iniziassero un cammino di risanamento di questo strappo, istituendo commissioni esterne e professionisti indipendenti; qualora facessero marcia indietro su alcune valutazioni parziali o superficiali, e attribuissero le responsabilità laddove rinvenute, il patto di fiducia tra Stato e cittadini tornerà a saldarsi e il malcontento popolare scemerà automaticamente e i cittadini acquisiranno nuova fiducia per digerire quei casi comunque dolorosi, ma residuali, di allontanamento. Qualora questo non accadesse il patto di fiducia già gravemente compromesso non potrà che spezzarsi una volta per tutte. Nonostante tutto, ho fiducia.   ROSANNA PIERLEONI Rosanna Pierleoni nasce nel 1984 ad Avezzano. Dopo il liceo classico, consegue la laurea magistrale in giurisprudenza all’Università Tor Vergata di Roma. Completa poi tre master interdisciplinari che le forniscono competenze psico-educative e giuridiche nell’ambito dei minori e della famiglia, con abilitazione alla mediazione familiare e alla consulenza specialistica. È autrice di un saggio sull’adozione internazionale e di diversi romanzi.   Redazione Italia
Trasparenza e ricerca pubblica: perché oltre 10.000 cittadini chiedono di fermare la nomina del Prof. Bassetti
Esiste un principio semplice, scolpito nella nostra Costituzione e nel senso comune: chi esercita una funzione pubblica deve essere libero da qualsiasi condizionamento privato. È su questo principio – non su una polemica personale – che si fonda l’iniziativa del Comitato di Scopo per la Tutela della Salute Pubblica, che nelle scorse ore ha inviato una richiesta formale di revoca della nomina del Prof. Matteo Bassetti a Presidente del nuovo Gruppo di lavoro del Ministero dell’Università e della Ricerca. La lettera ufficiale, protocollata via PEC alla Ministra Anna Maria Bernini e al Ministro della Salute, documenta con precisione gli elementi di criticità che rendono questa nomina incompatibile con i criteri di imparzialità, indipendenza e trasparenza che devono governare l’uso delle risorse pubbliche. Un caso che non ha bisogno di interpretazioni, ma di chiarezza Durante l’audizione alla Commissione parlamentare COVID del 17 novembre 2025, il Prof. Bassetti ha dichiarato che la collaborazione economica con aziende farmaceutiche rappresenta “una delle parti del mio lavoro”. Quella frase – riportata senza alcuna manipolazione – configura ciò che le norme chiamano conflitto d’interesse strutturale. E non è l’unico elemento che desta preoccupazione: * le segnalazioni ufficiali dell’Associazione Liberi Specializzandi sulla gestione della Scuola di Specializzazione diretta dal Professore, con carenze di tutoraggio e supervisione; * la condanna civile del Tribunale di Genova (2023) per dichiarazioni ritenute offensive e prive di fondamento scientifico. Non si tratta di giudizi soggettivi. Si tratta di atti, dichiarazioni e provvedimenti ufficiali. Per questo motivo, affidare a questa figura la valutazione, la selezione e l’assegnazione di risorse pubbliche nell’ambito della ricerca non è solo inopportuno: è pericoloso per la credibilità delle istituzioni. Una mobilitazione civile: oltre 10.000 firme in pochi giorni Mentre la stampa mainstream ha scelto – almeno finora – di ignorare la questione, i cittadini hanno risposto in massa. La petizione lanciata parallelamente alla lettera ufficiale ha superato le 10.000 adesioni in pochissime ore, segno di una sensibilità diffusa per il tema dell’indipendenza della ricerca pubblica. QUI puoi firmare la Petizione ufficiale. L’adesione non riguarda appartenenze politiche. Non riguarda simpatie o antipatie personali. Riguarda una cosa sola: la difesa dell’interesse pubblico. La posta in gioco è molto più grande di un nome: ciò che è in discussione non è il curriculum di un singolo professionista, ma il modello di governo della ricerca e della formazione medica in Italia. Un modello che deve essere: * trasparente, * indipendente, * immune da condizionamenti economici privati, * coerente con i principi costituzionali di imparzialità e onore. Per questo, nella lettera ufficiale il Comitato chiede non solo la revoca della nomina, ma anche: 1. la pubblicazione obbligatoria dei conflitti di interesse di tutti i membri delle commissioni ministeriali; 2. criteri di esclusione automatica per chi intrattiene rapporti economici continuativi con aziende del settore oggetto delle valutazioni. Non si tratta di richieste radicali, sono standard internazionali. Restituire credibilità alle istituzioni Se vogliamo ricostruire fiducia nella scienza, nelle università e nelle istituzioni, dobbiamo iniziare da qui: eliminare ogni possibile dubbio sulla trasparenza di chi decide come vengono spesi i soldi pubblici per la ricerca. La scienza deve essere indipendente. Le istituzioni devono essere credibili. Le decisioni pubbliche devono essere imparziali. È questo che chiedono i firmatari della petizione, è questo che ribadiamo in questa iniziativa, è questo che dovrebbe pretendere chiunque abbia a cuore la qualità e la dignità del nostro sistema di ricerca. AsSIS