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Per una critica radicale alla perfezione del corpo e alla chirurgia estetica
Il corpo è sempre stato un terreno di scontro, segnato dall’antica visione della paura e del sospetto nei suoi confronti in quanto origine di seduzione, desiderio, sregolatezza, terreno di perdizione, mozione delle pulsioni, sessualità, sensualità carnale, sessualizzazione, qualcosa di incontrollabile, origine di peccato e quindi oggetto di penitenza. “Controllerai i ventri e controllerai le genti” è il motto all’origine di quello che hanno attuato i regimi autoritari e che viviamo anche noi oggi in Occidente tanto con le retoriche allucinanti del natalismo, del familismo, del parto di Stato, degli imbarazzanti Fertility Day quanto sui temi etici riguardanti l’aborto legale, il suicidio assistito e l’eutanasia. La cristianità, ovvero la cultura sorta intorno al cristianesimo, ha tramandato un’idea rigida del corpo, come una “prigione della nostra anima”, un “sacco di sterco” come lo ha definito Teresa D’Avila, un mero “involucro” da abbandonare quando diventerà inservibile. Questo è stato il pensiero dualistico e gerarchico occidentale, tramandato anche dalla teologia tradizionale cristiana, che differisce totalmente dal cuore del cristianesimo (e dalla mistica cristiana) che si presenta – nonostante tutto – come l’unica, tra le religioni abramitiche, a dare una grande importanza alla corporeità: “Il Verbo si fece carne” si legge nel Vangelo secondo Giovanni (1:14). Il cristianesimo onora il corpo come principio dell’individualità senza cui l’anima non raggiungerebbe mai la sua pienezza. Come ci ricorda la teologa femminista Teresa Forcades: “Tommaso d’Aquino ha affermato che non possiamo essere “persone” senza il corpo. La sola anima non costituisce una persona. L’amore tra esseri umani non può esistere senza il corpo, perché l’essere umano non può esistere senza di esso. C’è un corpo terreno e un corpo celeste, un corpo fisico e un corpo spirituale. Ma rimane sempre il bisogno di avere un corpo come principio che personalizza la nostra identità.” – ed aggiungo io, la nostra unicità, la nostra diversità. Il cristianesimo parla dell’incarnazione di Gesù Cristo e di “resurrezione della carne” nello stesso modo in cui ha posto fine a qualunque iconoclastia, facendo fiorire l’incommensurabile arte nei suoi luoghi di culto fatta di statue carnali, corpi formosi, affreschi di angeli nudi, quadri di corpi nudi eleganti vestiti solo di veli, per non parlare dei corpi straziati e martoriati come San Sebastiano Martire sanguinante attraversato da frecce e Santa Giulia legata ad un palo mentre una forca le raspa il seno. L’arte cristiana, pur essendo in balia contrastante tra la teologia rigorista e il messaggio cristiano, ha esaltato il corpo sia nella sua bellezza sia nella sua crudezza. Nonostante ciò, la visione patriarcale è quella che ha continuato a vigere nella cristianità come nel capitalismo dei consumi di oggi dove utilitarismo, efficientismo ed apparenza vanno di pari passo con una cultura della competizione, della prestazione, della mercificazione e dello scarto. Come direbbe Papa Francesco, la “cultura dello scarto” è una “cultura della morte”. Ciò che non serve viene scartato, a meno che lo “scartato” si adegui/rispetti/rispecchi precisi canoni e può quindi tornare utile. Nella visione contemporanea, il corpo è ridotto a merce, oggetto di desiderio, desiderabile e commercializzabile, utilizzabile e usufruibile, discriminato e controllato. Il corpo deve essere prestante secondo precisi canoni/convenzioni di bellezza: esaltato quando “giovane”, scartato quando “vecchio” e recuperabile quando può ancora essere funzionale all’industria dell’immagine, a costo di essere medicalizzato e ritoccato. Nel 2023 è uscito il film Barbie, con protagonista Margot Robbie. Un “film in rosa” che ha incassato cifre astronomiche cercando di “combattere i pregiudizi sulle donne”, venendo addirittura definito assurdamente “femminista” e rivolto all’empowerment femminile. Nulla di più falso e intriso di purplewashing. Come ha dichiarato giustamente la comica Valentina Persia: “Barbie è un fake, un’illusione ottica, una menzogna. La prima che ha fatto bodyshaming a tutte noi, facendoci sentire inadeguate, grasse, povere e poco bionde…. Tutta apparenza e ostentazione, ma guadagnati come?  Chiedetelo a Ken che nel frattempo è sparito perché la signorina in questione gli ha fottuto tutto per fare la bella vita…” – afferma Persia sollevando una polemica – “Fate una bambola più vicina alle donne vere, quelle che si fanno il mazzo tutto il giorno, quelle donne che sorridono nonostante le chiappe e le tette cadenti, quelle donne che sanno essere donne nonostante siano nate in un corpo maschile, quelle donne che scappano spesso proprio da quel Ken che a differenza tua, invece di donare ville, roulotte o macchine rosa, picchia e picchia forte… Spostati biondina che siamo un esercito!” – concludeva la Persia. Interessante che a dire queste parole di estrema verità sia stata proprio la Persia che, non accettandosi fisicamente per come era, ha fatto ricorso alla chirurgia estetica. Il rincorrere le aspettative di questi canoni, nella nostra società attuale, ha preso di mira tutti, uomini e donne. Se Barbie ha fatto danni, ora è Ken a infliggere l’ennesima ansia da prestazione: sempre più ragazzi sono ossessionati dal mito del corpo palestrato, dalla pesistica, dal cross-fit, dal mito del virilismo, dal corpo apparentemente forte e muscoloso, ma in realtà reso tale solo dal gonfiore dato dalla ritenzione di liquidi e dall’assunzione spropositata di creatina in barba a qualunque attenzione per la propria salute. Anche se questo è un fenomeno in drastico aumento tra gli uomini, ad essere presi di mira sono la vecchiaia e il corpo delle donne attraverso la tossicità di tre strumenti: il photoshop, che ritocca o altera un’immagine di una persona espropriandola delle sue caratteristiche reali; l’intelligenza artificiale, vittima di bias cognitivi legati agli stessi stereotipi ageisti e di genere, oltre che alle norme/convenzioni e canoni di bellezza di cui noi stessi siamo vittima; e la chirurgia estetica, che alimenta un’industria dell’apparenza sulla pelle di migliaia di ragazze, adulte ed anziane, medicalizzandone e colonizzandone il corpo con sostanze chimiche e protesi artificiali per rincorrere canoni desiderabili e irraggiungibili su modello pubblicitario, ma funzionali alla norma vigente. Il grande psicanalista e filosofo argentino Miguel Benasayag, in Funzionare o esistere?, parla del concetto di plasticità: il vivente deve trasformarsi in un senza-forma iperplastico che si lascia plasmare, contro ogni forma di pensiero complesso. Nella “cultura dello scarto” gli anziani sono considerati “vecchi”, fuori dal ciclo produttivo, di sviluppo e di consumo e – per questo motivo – “inutili”, “senza funzione”, ovvero che non possono più funzionare. Lo stesso subiscono le donne a causa delle gravi ed ataviche connotazioni di genere dei canoni di bellezza, stratificati nella nostra cultura e funzionali al desiderio maschile: fino a quando sono giovani, belle, formose, fertili vengono considerate prestanti e utili; ma quando l’età avanza, arrivano la menopausa e le rughe, il corpo subisce degli sbalzi ormonali, ecco che la donna viene considerata non funzionale ad un sistema che – nutrendosi di maschilismo interiorizzato – rincorre il desiderio maschile. In una società consumistica, come la nostra, che ti obbliga ad inseguire questo flusso senza fine, le persone si sentono spinte ad inseguire il mito dell’eterna giovinezza, per essere utili, e dell’eterna bellezza, per essere prestanti e desiderabili. È la desacralizzazione dei corpi, come la chiamava Gandhi: il proprio corpo non è più un’entità che unisce spirito e fisico, un mezzo per esprimere i propri principi e per influenzare gli altri, o uno strumento di lotta politica e di resistenza, ma bensì un’immagine tra le altre che spesso viene trasformata plasticamente per compiacere qualcosa di esterno, in funzione degli altri, per trovare una falsa accettazione di Sé nella tendenza perversa di questa società post-moderna o ipermoderna. Nel marzo 2025, parlando del suo libro Il corpo gioia di Dio (Gabrielli editori) , in una interessantissima intervista di Ritanna Armeni per L’Osservatore Romano contenuta nell’ inserto Donne Chiesa Mondo, Teresa Forcades affermava: “Nella nostra cultura tardo capitalistica esiste lo sfruttamento e la mercificazione del corpo. Ragazze sempre più giovani (e anche ragazzi) vengono sessualizzati e sottoposti a standard di bellezza irrealistici e in costante mutamento.  L’età di chi si ammala di anoressia si è abbassata e la percentuale dei casi è aumentata. La chirurgia estetica è diventata comune e viene applicata alle parti più intime del corpo. C’è tanto da criticare nella nostra cultura per quanto riguarda il modo in cui tratta il corpo. (…) È l’ineludibile e irrisolvibile contraddizione del patriarcato: le donne sono viste come oggetto di desiderio (sono pure, ispirano, curano, guariscono) e al tempo stesso come inferiori (son malvage, bisognose di guida e di controllo, inaffidabili). È impossibile essere entrambe le cose. Il corpo delle donne deve essere “perfetto” secondo standard di bellezza sempre più irrealistici e deve essere controllato attraverso la violenza psicologica e fisica.” Spesso, attraverso i canoni di bellezza imposti dal mercato, dalla pubblicità e dalle illusorie manie di perfezione, assistiamo a una prepotente medicalizzazione dei corpi attraverso i più vari rami della chirurgia estetica che, in quanto frutto dei canoni propri delle società patriarcali, si trovano ad avere una forte connotazione di genere che vede nelle donne il bersaglio principale, il consumatore da conquistare fino ad arrivare a interventi chirurgici come la labioplastica, l’intervento di chirurgia estetica che consiste nel taglio delle piccole labbra della vulva per renderle uguali. È così che la medicalizzazione del corpo femminile diventa il braccio armato del nuovo capitalismo cognitivo fondato su omologazione, perfezione, competizione per l’immagine e il conformismo. Questa mentalità maniacale per la perfezione sta mettendo in serio pericolo anni e anni di conquiste femministe, oltre che la cultura della cura e dell’allattamento nelle giovani ragazze e madri. Purtroppo oggi, l’esterofilia americana dei “corpi perfetti” ha fatto dell’allattamento non più una conquista in nome dei diritti delle donne, dei bambini e della salute di entrambi, ma bensì un qualcosa di “obsoleto”, sostituibile con le nuove tecnologie e con i latti artificiali. Negli USA il seno è oggetto primariamente sessuale, a causa dell’uso distorto e sessualizzato che ne fanno l’industria cinematografica, l’industria pornografica e la pubblicità televisiva, intrise di eterosessismo. Spesso ciò porta le donne a non ricorrere all’allattamento naturale proprio per rincorrere i canoni di bellezza introiettati dalla società patriarcale secondo cui i loro corpi devono essere belli, perfetti, proporzionati ma soprattutto sessualizzati come nelle sfilate di moda e nella pubblicità. L’arrivo di un bambino e delle sue necessità vengono visti come un fenomeno di degradazione del seno: visione influenzata anche dall’atteggiamento dei partner che disincentivano le donne all’allattamento per motivi puramente estetici. La donna che allatta deve negoziare continuamente fra un ruolo sessuale e un ruolo materno, generando tensione, stress, difficoltà e ostacolo all’allattamento. Questo, a lungo andare porta culturalmente all’abbandono dell’allattamento, alla perdita della cultura della cura e a trovare la soluzione più semplice: il ricorso ai latti artificiali che fanno gola all’industria. Sicuramente la televisione, la pubblicità, l’industria cinematografica, il capitalismo cognitivo[1] hanno influito molto – dagli anni del riflusso in poi – a consolidare questi canoni tossici e un ricorso sempre più massivo alla chirurgia estetica. Attrici di successo, donne dello spettacolo, cantanti, showgirl, modelle, pornostar, ballerine, veline sono state rispettivamente – su modello di Hollywood – le prime a ricorrere alla chirurgia estetica con modificazioni sostanziali del viso, degli zigomi, delle labbra, delle gambe, dei glutei, del seno anche con mastoplastica additiva, dando inizio ad un effetto domino che oggi sembra inarrestabile soprattutto tra le giovani generazioni di ragazze. Ed ecco la dilagante moda della liposuzione per non parlare del filler in bellissime ragazze giovanissime, delle “labbra a canotto”, del botox, dei precocissimi “nasi da fata” in adolescenti e della ormai decennale guerra alle rughe inaugurata con botulino, acido ialuronico e lifting. Un’epidemia di non-accettazione e alienazione tra le donne, che non riescono ad essere loro stesse a causa delle forti pressioni delle convenzioni sociali, di mercato, e dei canoni tossici di bellezza. «Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Le ho pagate tutte care. C’ho messo una vita a farmele!» –  è la celebre frase che la grande attrice Anna Magnani disse al suo truccatore parecchi anni fa, quasi ad ironizzare sulla moda dilagante di fermare il tempo, partendo dal trucco fino ad arrivare a ritocchini o interventi chirurgici. Il concetto di bellezza è associato, nell’immaginario comune, alla giovane età e a una pelle liscia, elastica e luminosa, ma anche il viso di una persona matura esprime bellezza disarmante: la pelle e le rughe sanno raccontare la nostra storia e la nostra evoluzione, che passa attraverso esperienze diverse, disagi, gioie, dolori, lotte quotidiane e successi. Credo che nessuno possa smentire il fascino della cicatrice sul viso di Paola Turci. Come non definire tutto questo, bellezza? Anna Magnani più di mezzo secolo fa parlava di bodypositive quando ancora nessuno ne conosceva il significato. Un’estetica, la sua, basata sulla trasformazione dell’unicità in punto di forza, meravigliosamente descritta dalle sue stesse parole: «Ce metti una vita intera per piacerti, e poi, arrivi alla fine e te rendi conto che te piaci. Che te piaci perché sei tu, e perché per piacerti c’hai messo na vita intera: la tua. Ce metti una vita intera per accorgerti che a chi dovevi piacè, sei piaciuta… E a chi no, mejo così. Ce metti na vita per contà i difetti e riderce sopra, perché so belli, perché so i tuoi. Perché senza tutti quei difetti, e chi saresti? Nessuno. Quante volte me sò guardata allo specchio e me so vista brutta, terrificante. Co sto nasone, co sti zigomi e tutto il resto. E quando la gente me diceva pe strada “bella Annì! Anvedi quanto sei bona!” io nun capivo e tra me e me pensavo “bella de che?”. Eppure, dopo tanti anni li ho capiti. C’ho messo na vita intera per piacermi. E adesso, quando me sento dì “bella Annì, quanto sei bona!”, ce rido sopra come na matta e lo dico forte, senza vergognarmi, ad alta voce “Anvedi a sto cecato!”». Sulla stessa lunghezza d’onda la grandissima attrice statunitense Jamie Lee Curtis, 67 anni, vincitrice del premio alla miglior attrice non protagonista per Everything Everywhere All at Once, che in una recente intervista a The Guardian ha dichiarato: «mi sto auto-pensionando da 30 anni. Mi sto preparando a uscire di scena, in modo da non dover soffrire come ha fatto la mia famiglia. Voglio lasciare la festa prima di non essere più invitata». L’attrice ha avuto infatti la sua serie di ostacoli da affrontare sulla strada verso la fama fin dal suo esordio nel 1978 in Halloween, ma il colpo più duro è arrivato dall’ageismo di Hollywood quando ha assistito al declino della carriera dei suoi celebri genitori, gli attori Tony Curtis e Janet Leigh, in tarda età, a causa del fatto che Hollywood dà valore alla giovinezza sopra ogni altra cosa. «Ho visto i miei genitori perdere proprio ciò che ha dato loro fama, vita e sostentamento, quando a una certa età il settore li ha rifiutati» – dice Curtis a The Guardian – «Li ho visti raggiungere un successo incredibile per poi vederlo lentamente svanire fino a scomparire. E questo è molto doloroso». Proprio per questo Curtis non è disposta a rimanere in gioco ricorrendo alla chirurgia estetica. La star ha applaudito pubblicamente la famosa decisione di Pamela Anderson di ridurre il trucco nel 2023, proclamando via Instagram che «La rivoluzione della bellezza naturale è ufficialmente iniziata!». Curtis afferma di «credere che abbiamo cancellato una o due generazioni di aspetto umano naturale. L’idea che si possa alterare il proprio aspetto attraverso sostanze chimiche, interventi chirurgici, filler, sta sfigurando generazioni di persone, soprattutto donne». Com’è noto, la star ha accettato orgogliosamente i suoi capelli grigi e si è fatta fotografare senza indumenti intimi modellanti o ritocchi, due mosse che hanno aiutato le donne a capire che gli ideali da red carpet sono irraggiungibili come obiettivi quotidiani. La consapevolezza e la sicurezza di sé espressa, purtroppo non rispecchia quella delle nuove generazioni che –  dopo aver cavalcato per un breve periodo l’onda del bodypositive – sembrano oggi non riuscire a sfondare il muro delle convenzioni, scendendo a compromessi ed aderendo passivamente a canoni vecchi per paura di non essere accettati e di precludersi a varie possibilità anche lavorative e di carriera. Ciò che mi domando è se veramente c’è consapevolezza di quello che significa sfigurarsi il volto per opportunismo, o perché il mercato lo richiede, o perché il settore lavorativo lo richiede, o perché la convenzione sociale lo richiede, o perché il partner lo richiede, o perché la paura di invecchiare lo richiede, o perché le manie di perfezione lo richiedono. La domanda che sorge è: se non ci fossero tutte queste richieste esterne, voi come vi vorreste? Vi vorreste come siete o vorreste mostrare ciò che non siete? Mi domando cosa direbbe il grande filosofo Emmanuel Levinas difronte all’attuale modificazione sistematica del “volto”: lui che sul “volto”, inteso come “nudità dell’anima”, ha fondato tutta la sua teoria dell’etica della società. L’essere umano, come lo chiamavano i greci, è sia θάνατον (mortale), ma anche πρόσωπον, il “volto che ho di fronte”: l’essere umano che in relazione con gli esseri umani si riconosce tale. Per Levinas è nel volto che abbiamo di fronte che è racchiuso il segreto supremo della vita e che mai riusciremo ad afferrare per intero. Mi domando dunque oggi quale impatto possa avere la modificazione del viso. Quanto è difficile “il faccia a faccia con l’altro”, in un mondo che presenta non più “volti”, ma “maschere” (altro significato negativo di πρόσωπον) ricostruite omologate, sformate e trapiantate in un corpo. La domanda è chi abbiamo di fronte? Cosa nascondono queste maschere? Quale immensa fragilità e vulnerabilità abbiamo di fronte? Quale enorme smarrimento, confusione e perdita del Sé abbiamo di fronte in un mondo nichilistico che punta a somigliare al viso piallato di un avatar digitale piuttosto che ambire, come direbbero gli indù, alla condizione di avatara[2] reale? La paura della vecchiaia e il voler essere ciò che non si è, aspirando a modelli esterni, è una caratteristica assolutamente occidentale che l’occidentalizzazione ha diffuso nel mondo. Come direbbe Benasayag, “la nostra è la prima società che non sa cosa farsene del negativo. Le società ‘non moderne’, non occidentali, incorporano il negativo (inteso in senso generale, cioè la morte, la malattia, la tristezza, in una parola: la perdita) in modo organico, come qualcosa che fa parte del tutto.” In Occidente reprimiamo il “negativo” perchè lo definiamo tale e non lo concepiamo come parte integrante dei meccanismi di autoregolazione del mondo e della vita. Ecco dunque che ci fa paura la vecchiaia e il fatto di non essere considerati in base a fattori esterni esattamente come abbiamo paura della morte perché non accettiamo la caducità della vita. Concepiamo cristianamente e scientificamente il tempo come una linea retta infinita, un presente eterno, vivendo come se alcune cose non debbano mai cambiare, non debbano mai finire, per scombussolare la nostra comfort-zone mentale. “L’uomo, nella sua ricerca di gioia e di felicità, fugge dal proprio Essere, dal proprio Sè, che è la vera fonte di ogni gioia. Si considera molto brutto e noioso perché non è in grado di stabilire un rapporto intimo col proprio Essere. L’uomo cerca la gioia nel denaro, nelle proprietà materiali, nel potere, nell’amore egoista ed infine nella religione, che ugualmente lo attira al di fuori di se. Il problema è: che cosa si deve fare per interiorizzare la propria attenzione? Questo Essere interiore che è la nostra consapevolezza è energia.” – disse Shri Mataji Nirmala Devi in un suo celebre discorso sul Sahaja Yoga. La medicalizzazione del corpo, il nostro cambiamento fenomenologico, la chirurgia estetica, il rincorrere i modelli di perfezioni irreali e irraggiungibili, la repressione della vecchiaia e la cancellazione del volto nascono dall’alienazione e dalla non-accettazione di Sè perchè non siamo consapevoli della cosa più naturale di tutte: la caducità della vita. Siamo “volti”; siamo chi siamo; siamo autentici e non copie; siamo coloro che si guardano in faccia e si vedono per quello che sono; siamo il dettaglio che ci contraddistingue. Spesso ci comportiamo da “maschere” per nasconderci, ma non lasciamo che un parte del “negativo” ci totalizzi. Non siamo “maschere” perchè per ogni cosa che facciamo “ci mettiamo la faccia”.   Altre info: Lorenzo Poli, Guerra al latte materno: tra esterofilia, industria alimentare e medicalizzazione (pag 60) https://www.blog-lavoroesalute.org/wp-content/uploads/2023/04/lavoroesalute4aprile2023_lastlast.pdf Francesca Rigotti, De senectute, Giulio Einaudi Editore, 2018 Maria Rita Parsi, Noi siamo bellissimi. Elogio della vecchiaia adolescente, Mondadori novembre 2023 Paolo Mantegazza, Elogio della vecchiaia, Angelo Pontecorboli Editore, luglio 2017   [1] Il capitalismo cognitivo è un concetto che descrive un’evoluzione del capitalismo in cui la produzione di conoscenza e le capacità cognitive diventano elementi centrali per la creazione di valore e l’accumulazione di capitale. In questo contesto, il lavoro non è più limitato alle attività manuali o industriali, ma si estende alla sfera cognitiva, includendo la produzione di idee, informazioni, e competenze. [2] Nell’induismo, un avatara (in sanscrito) è la discesa di una divinità, in particolare Vishnu o Shiva, sulla Terra in forma fisica, per ristabilire l’ordine cosmico (dharma) e aiutare l’umanità. Gli avatara sono considerati manifestazioni divine che appaiono quando il male minaccia di prevalere sul bene. Lorenzo Poli
VERONA: CHIUSA L’OCCUPAZIONE DEL GHIBELLIN, MA “LA LOTTA È ANCORA APERTA”. TRASMISSIONE SPECIALE CON LE VOCI PROTAGONISTE
Si è chiusa l’esperienza di occupazione abitativa del Ghibellin Fuggiasco. Attiviste e attivisti del Laboratorio Autogestito Paratod@s di Verona hanno comunicato alla stampa una decisione presa già da alcuni mesi e che a portato alla chiusura definitiva dello stabile di viale Venezia 51, lo scorso 10 maggio. Il tempo intercorso da allora è servito a Paratod@s per elaborare una posizione politica da rendere pubblica e anche per continuare a trovare una soluzione abitativa alle decine di migranti che senza il Ghibellin non hanno un posto dove abitare. L’idea di occupare lo stabile abbandonato da trent’anni, che si trova a lato dello spazio Paratod@s, era stata presa nel 2021. All’epoca decine di giovani originari principalmente da alcuni paesi dell’Africa occidentale, erano stati ospitati nei locali in affitto da compagni e compagne, dove da dieci anni si svolgono attività politiche e culturali. Era poi scaturita l’idea di occupare la struttura adiacente al Laboratorio. Non doveva essere un’occupazione di lungo periodo, precisano nel comunicato diffuso oggi il collettivo Paratod@s, “pensavamo si trattasse di una situazione temporanea e non immaginavamo l’inizio di un percorso”. I coinquilini che alloggiavano al Ghibellin erano perlopiù lavoratori in regola con il permesso di soggiorno, provenienti principalmente da Mali, Burkina Faso, Senegal, Gambia e Nigeria. Oltre 150 quelli ospitati negli anni: hanno alloggiato nei due piani dello stabile occupato, in alcuni periodi, anche da 60 persone contemporaneamente. Negli stessi spazi aveva trovato alloggio anche Moussa Diarra, ventiseienne maliano ucciso dalla Polizia il 20 ottobre scorso. “Le condizioni igienico/sanitarie e le problematiche strutturali dell’edificio non consentivano più di garantire il pieno rispetto della dignità umana. E se non abbiamo tenuto fede all’impegno di chiudere prima dell’inverno è stato solo per non aggiungere altro disagio alla già grave emergenza freddo, gestita con numeri e modalità che da sempre riteniamo insufficienti e non adeguate”, è scritto nel comunicato stampa. “Negli anni si è venuta a creare una comunità di lotta composta da attivisti e migranti“, aggiungono ai nostri microfoni da Paratod@s, ripercorrendo l’esperienza. “Speravamo che l’enormità del problema sollevato e la nostra spinta dal basso avrebbero portato a risposte concrete e ad un cambio radicale di visione sul tema casa, accoglienza e dormitori”. Negli anni qualche risposta è arrivata, lo riportano i numeri diffusi oggi da Paratod@s: “15 persone sono stabilmente ospitate in strutture Caritas, attraverso l’intervento del vescovo Pompili, tra dicembre 2023 e gennaio 2024; 22 persone hanno una casa AGEC (tra quelle non comprese nel piano di riatto/assegnazione dell’ente) attraverso la collaborazione con la cooperativa La Casa degli Immigrati; 5 persone hanno ottenuto posti letto attraverso la collaborazione con la cooperativa La Milonga; 1 persona ha avuto posto letto attraverso i servizi sociali del Comune di Verona; circa 30 persone hanno ottenuto la residenza fittizia, attraverso il dialogo con l’ufficio anagrafe del comune di Verona e la collaborazione con la rete sportelli; 6 persone sono state escluse da qualunque tipo di percorso e soluzione da parte delle istituzioni, nonostante la pressione esercitata nei mesi successivi, affinché si trovasse una sistemazione”. Compagni e compagne di Paratod@s rivendicano un’esperienza che “ha mostrato come l’azione dal basso di autorecupero di un edificio abbandonato sia pratica possibile, realizzabile e necessaria. In una città come Verona, con centinaia di edifici pubblici vuoti, con un mercato immobiliare intossicato dal profitto, in cui a student3 universitari3 vengono chiesti 500 euro per un posto letto, i progetti di Hotel/cohousing sociale dovrebbero essere pubblici e accessibili”. Radio Onda d’Urto ha incontrato la comunità del Ghibellin presso il Laboratorio Autogestito Paratod@s e ha realizzato una trasmissione speciale con i protagonisti dell’esperienza dell’occupazione abitativa. La prima parte della trasmissione (37 minuti). Ascolta o scarica La seconda parte della trasmissione (42 minuti). Ascolta o scarica Con le voci di Rachele Tomezzoli, Giuseppe Capitano, Osasuyi, Alessia Toffalini, Bakari Traoré, Sekou.
Palestina: malnutrizione acuta a livelli record in due centri sanitari di MSF a Gaza
LA MALNUTRIZIONE A GAZA È IL RISULTATO DI DECISIONI DELIBERATE E CALCOLATE DELLE AUTORITÀ ISRAELIANE. Le équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) riscontrano un aumento considerevole e senza precedenti della malnutrizione acuta a Gaza. Nella clinica di Al-Mawasi, nel sud di Gaza, e nella clinica di MSF nella città di Gaza, a nord, osserviamo il maggior numero di casi di malnutrizione mai registrato dalle nostre équipe nella Striscia di Gaza. Più di 700 donne incinte e in fase di allattamento e quasi 500 bambini affetti da malnutrizione grave o moderata sono attualmente in cura nei centri di nutrizione terapeutica ambulatoriale di queste due cliniche. Nella clinica della città di Gaza, il numero di persone malnutrite è quasi quadruplicato in meno di due mesi. Il numero di casi è passato dai 293 di maggio ai 983 dei primi di luglio; 326 di questi sono bambini di età compresa tra sei e ventitré mesi. > « Questa è la prima volta che assistiamo a un tale numero di casi di > malnutrizione a Gaza », ha dichiarato Mohammed Abu Mughaisib, vice > coordinatore medico di MSF a Gaza. « La carestia qui è intenzionale e potrebbe > finire domani se le autorità israeliane permettessero l’ingresso di cibo in > quantità adeguata. » LA MALNUTRIZIONE SI INSERISCE IN UN CONTESTO DI COLLASSO GENERALE. La malnutrizione a Gaza è il risultato di decisioni deliberate e calcolate delle autorità israeliane. Queste limitano l’ingresso di cibo al minimo indispensabile, controllano e militarizzano le modalità di distribuzione e hanno distrutto la maggior parte della produzione alimentare locale. In un contesto di collasso generale, le persone rischiano la vita per ottenere appena il necessario per sopravvivere. Le quantità di cibo distribuite nei siti della fondazione umanitaria di Gaza, gestita da Israele e Stati Uniti, sono insufficienti. Le infrastrutture per il trattamento dell’acqua sono distrutte e le restrizioni sui carburanti limitano la produzione di acqua potabile. Il sistema sanitario è stato devastato e le condizioni di vita nei campi sovraffollati sono disastrose. Una madre palestinese riceve medicinali nella farmacia della clinica di MSF nella città di Gaza. Palestina, 2025. © Nour Alsaqqa/MSF  > « A causa della diffusa malnutrizione tra le donne incinte e delle pessime > condizioni della depurazione e del trattamento dell’acqua, molti bambini > nascono prematuramente », spiega Joanne Perry, medico di MSF. « La nostra > unità di terapia intensiva neonatale è estremamente sovraccarica. Ci sono da > quattro a cinque bambini per ogni incubatrice. » > > « Questa è la terza volta che vengo a Gaza, e non ho mai visto nulla di > simile. Le madri mi chiedono cibo per i propri figli e le donne incinte di sei > mesi spesso non pesano più di 40 chili. La situazione è più che critica. > » dice Joanne Perry. Prima di ottobre 2023, Gaza dipendeva già fortemente dagli approvvigionamenti esterni, con una media di 500 camion al giorno nella striscia di Gaza. Dal 2 marzo, ne sono entrati appena quel numero in totale. I valichi di frontiera destinati al passaggio degli aiuti umanitari sono spesso chiusi o soggetti a forti restrizioni. La produzione alimentare locale è quasi impossibile a causa degli scontri e della distruzione diffusa. I mercati sono vuoti o inaccessibili per la maggior parte delle persone. Di conseguenza, i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti alle stelle in tutta la Striscia di Gaza. La maggior parte dei beni di prima necessità viene venduta a prezzi esorbitanti. Secondo il World Food Programme, un chilo di zucchero costa in media $100, mentre un chilo di patate o di farina costa circa $40. Molte famiglie sopravvivono quindi con un solo pasto al giorno, spesso composto solo da riso, lenticchie o pasta. Non hanno né pane né verdure fresche e non assumono proteine in quantità sufficiente. Un bambino palestinese malnutrito viene visitato nella clinica di MSF nella città di Gaza. Palestina, 2025. © Nour Alsaqqa/MSF  LA MALNUTRIZIONE OSTACOLA LA GUARIGIONE I genitori saltano deliberatamente i pasti per dar da mangiare ai figli. Anche le donne malnutrite, che ricevono alimenti terapeutici, finiscono per darli ai propri figli. « Sono madre anch’io e non posso biasimarle, perché farei lo stesso », spiega Nour Nijim, responsabile dell’équipe infermieristico di MSF. « Tuttavia, mi sento impotente come professionista della salute. Le persone hanno fame e ci chiedono alimenti terapeutici, ma non ne abbiamo abbastanza e possiamo prescriverli solo a persone che hanno ricevuto una diagnosi di malnutrizione. »» Le persone malnutrite sono solo la parte visibile di una crisi ben più ampia. Nelle cliniche di MSF, le persone ferite chiedono cibo più che cure mediche. A causa di una carenza di proteine, le loro ferite non guariscono. I nostri medici riscontrano nelle persone in convalescenza una rapida perdita di peso, infezioni persistenti e affaticamento visibile. MSF lancia un appello urgente per ottenere un accesso degli aiuti umanitari senza restrizioni, l’approvvigionamento di cibo e assistenza medica a Gaza e la tutela dei civili. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dal francese di Simona Trapani. Revisione di Thomas Schmid. Medecins sans Frontieres
Nasce il Comitato “Class Action Vaccino Covid19” per la tutela dei cittadini che hanno assunto il vaccino Comirnaty (Pfizer/BioNTech)
È stato costituito il Comitato “Class Action Vaccino Covid19” per offrire tutela legale a tutti i cittadini italiani ed europei che hanno ricevuto il vaccino Comirnaty (𝙋𝙛𝙞𝙯𝙚𝙧/𝘽𝙞𝙤𝙉𝙏𝙚𝙘𝙝), volontariamente o per obbligo. L’iniziativa nasce per intraprendere una 𝙘𝙡𝙖𝙨𝙨 𝙖𝙘𝙩𝙞𝙤𝙣 contro l’azienda produttrice del vaccino, ritenuto dal Comitato un farmaco 𝗱𝗶𝗳𝗲𝘁𝘁𝗼𝘀𝗼 𝗲 𝗽𝗼𝘁𝗲𝗻𝘇𝗶𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗮𝗻𝗻𝗼𝘀𝗼. Le adesioni sono aperte fino al 𝟯𝟬 𝗼𝘁𝘁𝗼𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟱, salvo raggiungimento del limite massimo di 𝟭.𝟬𝟬𝟬 ricorrenti. Il termine legale per proporre il ricorso è fissato al 𝟭𝟱 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟱, prima della prescrizione. Di seguito riportiamo il comunicato stampa della Class Action.   Aversa (CE), lì 24 luglio 2025 È stato ufficialmente costituito il Comitato di Scopo “Class Action Vaccino Covid19”, con l’obiettivo di difendere i diritti di tutti quei cittadini italiani ed europei che hanno ricevuto, volontariamente o per obbligo, il vaccino Comirnaty, prodotto dalle aziende Pfizer e BioNTech. Il Comitato nasce per rappresentare TUTTI gli assuntori del vaccino PFIZER anti-Covid-19, dimostratosi un farmaco difettoso, imperfetto e pericoloso; la finalità del Comitato è quella di proporre e sostenere una o più azioni legali collettive (CLASS ACTION), come previsto dalla legge italiana, per tutelare i diritti di chi ha ricevuto la somministrazione del vaccino nei confronti delle case farmaceutiche coinvolte (Pfizer e BioNTech); l’azione potrà essere proposta da tre categorie di cittadini: > 1) da chi ha semplicemente ricevuto il vaccino Pfizer senza riportare > conseguenze, per i danni conseguenti all’assunzione di un prodotto difettoso; > > 2) da chi ritiene di aver subito danni o conseguenze negative in termini di > effetti avversi o peggioramento dello stato di salute generale in seguito > all’assunzione del vaccino Covid-19 Pfizer; > > 3) dagli eredi di cittadini deceduti in un periodo successivo alla > somministrazione del vaccino Pfizer e per un effetto avverso potenzialmente > correlabile; Attraverso questo strumento legale, il Comitato vuole offrire un punto di riferimento a chi si sente abbandonato o inascoltato, fornendo supporto, informazione e coordinamento a chi intende partecipare all’azione. Per tutti coloro che hanno vissuto disagi, dubbi o problematiche legate alla somministrazione del vaccino Pfizer, la class action proposta dal Comitato rappresenta un’occasione concreta per ottenere un risarcimento e far sentire la propria voce. Le adesioni sono aperte da oggi e fino al 30 ottobre 2025. Il limite temporale è dettato da ragioni sostanziali di tutela dei diritti coinvolti: è fondamentale proporre il ricorso entro e non oltre il 15 dicembre 2025, termine oltre il quale si verificherà la prescrizione quinquiennale dei diritti risarcitori. Per motivi di gestione pratica dell’azione giudiziaria è stato fissato un limite massimo di 1.000 ricorrenti; ove il numero massimo dei ricorrenti dovesse essere raggiunto prima del 30 ottobre 2025 non sarà più possibile aderire al ricorso e il Comitato avrà cura di comunicarlo. – VERSIONE PDF – Per saperne di più o aderire, visita il sito: www.classactionvaccinocovid19.org Contatti: info@classactionvaccinocovid19.org adesioni@classactionvaccinocovid19.org   Redazione Italia
Bari, fuoco e repressione nel CPR: la protesta che nessuno vuole vedere
In Puglia sono attualmente attivi due Centri di Permanenza per il Rimpatrio: uno a Bari-Palese, l’altro a Restinco, frazione di Brindisi 1. Entrambe le strutture si trovano in aree periferiche, militarizzate e difficilmente accessibili da osservatori esterni. Quello di Bari 2 è attivo come CPR dal 2017; ad oggi, vi sono state trattenute circa 750 persone. Ed è proprio in questo centro che, nella notte tra il 22 e il 23 luglio, è esplosa una nuova protesta. Le persone recluse hanno appiccato incendi all’interno dei moduli detentivi, incendiando materassi e suppellettili. Alcuni si sono rifugiati sui tetti per sfuggire al fumo, lanciando slogan come “libertà” e “tutti liberi”. Le rivolte sono l’esito di condizioni di detenzione estreme: caldo insopportabile, scarsa igiene, cibo avariato, deterioramento della salute fisica e mentale. Gli attivisti della rete Mai più lager – No ai CPR documentano un clima di disperazione, con episodi di autolesionismo e tentativi di fuga, in un contesto in cui l’unico orizzonte possibile resta la detenzione stessa. Secondo quanto riferito dai collettivi locali – che denunciano le «condizioni disumane» del centro e si sono recati subito sul posto documentando con foto e video gli incendi – una delle persone trattenute ha riportato fratture agli arti durante un tentativo di fuga, restando intrappolata per ore senza ricevere soccorsi. La Prefettura ha dichiarato che l’assistenza medica è avvenuta tempestivamente, ma la discrepanza tra le dichiarazioni ufficiali e le testimonianze raccolte all’interno alimenta il sospetto che il sistema operi in una condizione di opacità. L’intervento delle forze dell’ordine per sedare le proteste è stato descritto come violento da attivisti e testimoni diretti, con punizioni collettive e isolamento forzato. PROTESTA DI INIZIO LUGLIO E PROCESSO LAMPO Anche all’inizio di luglio erano state denunciate proteste da parte dei detenuti. La segnalazione era stata lanciata dalla comunità Intifada Studentesca, che ha riferito di «tantissime persone salite sui tetti in segno di rivolta» durante il primo fine settimana del mese, per chiedere di parlare con la direttrice della struttura. Un episodio specifico, avvenuto nei primi giorni di luglio, ha visto tre persone recluse – tutti incensurate – protagoniste di una protesta interna più contenuta, che è però sfociata in arresti in flagranza. Nel processo per direttissima, davanti al giudice Mario Matromatteo, hanno spiegato di aver agito dopo settimane di condizioni igienico-sanitarie degradanti e totale mancanza di ascolto da parte delle autorità. Dopo tentativi pacifici, come lo sciopero della fame, hanno deciso di protestare in modo più eclatante. «Portateci in carcere, ma non di nuovo in quell’inferno», è una delle frasi che hanno detto. 3 Assistiti dalle avvocate Loredana Liso e Uliana Gazidede, i tre hanno patteggiato sei mesi di reclusione con pena sospesa (dequalificati da “organizzatori” a semplici partecipanti), mentre il giudice ha disposto il trasferimento degli atti e del verbale dell’udienza alla Procura, affinché siano verificate le condizioni del centro e accertate eventuali responsabilità legate alla sua cattiva gestione. ATTI DI AUTOLESIONISMO Il 1° maggio 2025 un giovane trattenuto all’interno del centro, dopo una settimana di sciopero della fame, è stato portato all’ospedale San Paolo di Bari in seguito all’ingestione di shampoo. Accanto alla denuncia dell’evento, sono emerse testimonianze su atti di autolesionismo compiuti da un secondo “ospite” del centro e sul tentato suicidio di un terzo. L’assemblea No CPR Puglia ha inoltre segnalato l’abuso di psicofarmaci, l’uso sistematico di isolamento dei detenuti, l’erogazione di pasti deteriorati e una scarsa assistenza medica. STRETTA DEL GOVERNO SULLE VISITE ISPETTIVE NEI CPR Non sarà semplice, ora, poter appurare i fatti e verificare le condizioni dei detenuti: il diritto di ispezione sulle strutture è stato progressivamente compromesso. Una circolare del Ministero dell’Interno, datata 18 aprile 2025, ha introdotto nuove restrizioni formali all’accesso di parlamentari, consiglieri regionali ed eurodeputati nei CPR. Le visite “ispettive” sono state ridimensionate – nella pratica, ostacolate – imponendo che gli accompagnatori siano “soggetti funzionalmente incardinati”, una condizione non prevista dalla normativa primaria, che di fatto limita l’accesso indipendente a queste strutture di detenzione amministrativa. Approfondimenti/Circolari del Ministero dell'Interno/CPR, Hotspot, CPA CPR: VIETATO ENTRARE Il Ministero dell’Interno limita e depotenzia le visite ispettive ai Centri di Permanenza per i Rimpatri Avv. Arturo Raffaele Covella 18 Luglio 2025 Intanto in provincia di Gorizia, al CPR di Gradisca d’Isonzo, attivisti della rete No CPR e trattenuti denunciano da settimane la diffusione di un’epidemia di scabbia tra i reclusi, in un contesto di sovraffollamento, scarsa igiene e cibo di bassa qualità. Le tensioni, legate anche alla diffusione della malattia, hanno generato proteste ripetute. Non c’è più tempo da perdere. I CPR vanno chiusi. 1. Alla fine del 2024, la capienza effettiva della struttura era tornata a 48 posti. Fonte Action Aid. ↩︎ 2. La scheda di questo CPR su Action Aid ↩︎ 3. Bari, protesta dei migranti nel Cpr di Palese: atti ai Pm sulle condizioni del centro, La Gazzetta del Mezzogiorno (10 luglio 2025) ↩︎
ELSA, l’intelligenza artificiale della FDA che sta inventando studi inesistenti
A darne la notizia è la CNN che in un articolo di Sarah Owermohle – scritto con l’aiuto di Meg Tirrell, Dugald McConnell e Annie Grayer – afferma chiaramente che anche l’intelligenza artificiale ha imparato a mentire ed inventa cose che non esistono. E’ il caso dell’intelligenza artificiale adottata dalla Food and Drug Administration, la quale è arrivata a Washington per accelerare l’immissione sul mercato di nuovi farmaci salvavita, semplificare il lavoro nelle vaste agenzie sanitarie multimiliardarie e svolgere un ruolo fondamentale nel tentativo di ridurre gli sprechi di spesa pubblica senza compromettere il lavoro del governo stesso. Ad affermarlo sono proprio i funzionari sanitari dell’amministrazione Trump: “La rivoluzione dell’intelligenza artificiale è arrivata”, ha dichiarato il Segretario della Salute e dei Servizi Umani Robert F. Kennedy Jr. durante le udienze del Congresso tenutesi negli ultimi mesi. Di cosa si tratta? Stiamo parlando di ELSA (Efficient Language System for Analysis), modello di intelligenza artificiale introdotto dal Sistema Sanitario Nazionale Americano (HHS) con lo scopo di sveltire le pratiche di approvazione dei nuovi medicinali e dispositivi medici, conducendo ricerche su larga scala su tutta la documentazione scientifica già esistente. Le prime versioni di Elsa erano state sviluppate sulla base di un precedente modello di intelligenza artificiale su cui la FDA aveva iniziato a lavorare durante l’amministrazione Biden. “Stiamo già utilizzando questa tecnologia all’HHS per gestire i dati sanitari, in modo perfettamente sicuro, e per accelerare le approvazioni dei farmaci” – ha dichiarato alla Commissione Energia e Commercio della Camera a giugno. L’entusiasmo – almeno tra alcuni – era palpabile. Funzionari della FDA hanno dichiarato alla CNN che Elsa può essere utile per generare appunti e riepiloghi di riunioni o modelli di e-mail e comunicati. Ma, finchè si tratta di fare il riassunto di migliaia di ricerche scientifiche già pubblicate, ELSA è sicuramente uno strumento molto efficace. Il problema nasce quando le si chiede di dare una sua valutazione sulla eventuale efficacia e sicurezza di un nuovo farmaco, perchè a quel punto si è scoperto che ELSA si inventa anche ricerche scientifiche che non sono mai esistite: le famose “allucinazioni dell’IA”. A darne testimonianza sono tre attuali dipendenti della FDA e documenti visionati dalla CNN, mostrando chiaramente l’inaffidabilità del suo lavoro più critico. I dipendenti che hanno parlato con la CNN hanno testato le conoscenze di Elsa ponendogli domande come quanti farmaci di una certa classe siano autorizzati per l’uso sui bambini o quanti farmaci siano approvati: in entrambi i casi, ha dato risposte sbagliate. Un dipendente ha raccontato che Elsa aveva contato in modo errato il numero di prodotti con una particolare etichetta. Quando le è stato detto che era sbagliato, l’IA ha ammesso di aver commesso un errore. “Ma non ti aiuta comunque a rispondere alla domanda”, ha detto quell’impiegato. L’algoritmo ricorda poi agli utenti che si tratta solo di un assistente AI e che è necessario verificarne il funzionamento. “Tutto ciò che non si ha il tempo di ricontrollare è inaffidabile. È un’allucinazione di sicurezza” – ha detto un dipendente, ben lontano da quanto promesso pubblicamente – “L’intelligenza artificiale dovrebbe farci risparmiare tempo, ma vi garantisco che spreco un sacco di tempo extra solo a causa della maggiore vigilanza che devo avere” per verificare la presenza di studi falsi o travisati, ha affermato un secondo dipendente della FDA. Ad ammettere queste allucinazioni è anche Jeremy Walsh, responsabile dell’intelligenza artificiale della FDA: “Elsa non è diversa da molti [grandi modelli linguistici] e dall’intelligenza artificiale generativa “ , ha detto alla CNN. “Potrebbero potenzialmente avere allucinazioni”. Attualmente, Elsa non può contribuire al lavoro di revisione, il lungo processo di valutazione che gli scienziati dell’agenzia intraprendono per determinare se farmaci e dispositivi siano sicuri ed efficaci,  perché non può accedere a molti documenti rilevanti, come le richieste di autorizzazione dell’industria, per rispondere a domande di base come, per esempio, sul numero di volte in cui un’azienda ha presentato domanda di approvazione alla FDA; sula presenza sul mercato dei suoi prodotti correlati o altre informazioni specifiche dell’azienda. Tutto ciò solleva seri dubbi sull’integrità di uno strumento che, come ha affermato il commissario della FDA, il dott. Marty Makary, trasformerà il sistema di approvazione dei farmaci e dei dispositivi medici negli Stati Uniti, in una situazione completamente fuori controllo. Ad oggi non vi è alcun controllo federale per la valutazione dell’uso dell’intelligenza artificiale in medicina. “L’agenzia sta già utilizzando Elsa per accelerare le revisioni dei protocolli clinici, ridurre i tempi necessari per le valutazioni scientifiche e identificare obiettivi di ispezione ad alta priorità”, ha affermato la FDA in una dichiarazione sul suo lancio a giugno. Ma parlando con la CNN questa settimana presso la sede centrale della FDA a White Oak, Makary ha affermato che al momento la maggior parte degli scienziati dell’agenzia utilizza Elsa per le sue “capacità organizzative”, come la ricerca di studi e la sintesi di riunioni. Intanto i leader della FDA discutono sull’uso dello strumento di intelligenza artificiale dell’agenzia. Si parlava già da tempo di integrare l’intelligenza artificiale nel lavoro delle agenzie sanitarie statunitensi, prima che la seconda amministrazione Trump desse il via agli sforzi, ma la velocità con cui Elsa è entrata in funzione è stata insolita. Alcuni esperti sottolinearono gli sforzi del governo per sviluppare seriamente i piani sull’intelligenza artificiale nel 2018, quando il Pentagono iniziò a valutarne il potenziale per la sicurezza nazionale. Nel 2024, l’Unione Europea ha approvato e attuato l’AI Act, una legge “per proteggere i diritti fondamentali, la democrazia e lo stato di diritto” in merito all’uso rischioso dell’intelligenza artificiale, anche in ambito sanitario, promuovendo al contempo modelli di intelligenza artificiale trasformativi. Negli Stati Uniti non esistono queste norme e tutele di questo tipo. Un gruppo di lavoro governativo formato durante l’amministrazione Biden per esaminare la definizione di normative sull’uso dell’intelligenza artificiale, anche in ambito sanitario, è stato sciolto l’anno scorso con l’inizio della nuova Amministrazione Trump. A giugno 2025, un gruppo bipartisan di membri della Camera ha presentato una proposta di legge incentrata principalmente sul mantenimento del predominio degli Stati Uniti nella corsa all’intelligenza artificiale. Nello stesso mese, due senatori hanno presentato un disegno di legge mirato a impedire l’uso da parte degli Stati Uniti di un’intelligenza artificiale “avversaria” da parte di governi stranieri, tra cui la Cina. Altri sforzi, come un disegno di legge che richiederebbe test e supervisione normativa per i sistemi di intelligenza artificiale ad alto rischio (molto simili agli standard europei), sono rimasti bloccati. La versione precedente del “One Big Beautiful Bill”, l’ampia legge fiscale e di spesa del presidente Donald Trump, avrebbe incluso la prima legge radicale del Congresso sull’intelligenza artificiale: una moratoria decennale sull’applicazione delle normative statali sulla tecnologia. Ma il Senato ha bocciato la disposizione . Elsa è arrivata mentre il Congresso era alle prese con l’approccio legislativo alla regolamentazione dell’IA. Sebbene le commissioni del Congresso abbiano tenuto audizioni sui rischi dell’IA, come modelli distorti e minacce alla sicurezza informatica, il Congresso non ha approvato alcuna legge sostanziale per regolamentare l’IA. Trump, che ha fatto dello sviluppo e degli investimenti nell’intelligenza artificiale una priorità assoluta nella sua seconda amministrazione, ha annunciato un futuro luminoso per la tecnologia con l’aiuto dei suoi amici e sostenitori miliardari tecnofascisti. La scorsa settimana, durante un vertice sull’energia in Pennsylvania, ha dichiarato ai partecipanti: “Siamo qui oggi perché crediamo che il destino dell’America sia quello di dominare ogni settore ed essere i primi in ogni tecnologia, e questo include essere la superpotenza numero uno al mondo nell’intelligenza artificiale”. Senza normative federali, è difficile dire come sarebbe questa superpotenza. “L’intelligenza artificiale fa un sacco di cose, ma non è magia”, ha affermato il Dott. Jonathan Chen, professore associato di medicina alla Stanford University, che ha studiato l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito clinico. Sarebbe fantastico se potesse aiutare gli esperti a individuare la falsificazione dei dati o a fornire analisi rigorose sulla sicurezza dei pazienti, ma “questi problemi sono molto più sfumati” di ciò che una macchina può fare, ha aggiunto. “È davvero un po’ il Far West in questo momento. La tecnologia avanza così velocemente che è difficile persino capire esattamente di cosa si tratta.” – ha aggiunto Chen. Ulteriori informazioni: https://luogocomune.net/scienza-e-tecnologia/l%E2%80%99intelligenza-artificiale-ha-imparato-a-mentire https://edition.cnn.com/2025/07/23/politics/fda-ai-elsa-drug-regulation-makary The Application of Elsa Speak Software in English Teachingat Can Tho University of Technology – A Case Study https://ijsshr.in/v7i10/Doc/29.pdf https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-launches-agency-wide-ai-tool-optimize-performance-american-people   Lorenzo Poli
Lettera per salvaguardare la Sanità Territoriale
Quotidianamente si apprendono dai giornali, dai social, dagli stessi operatori, dai pazienti, informazioni riguardanti il nostro servizio sanitario a livello regionale e locale, motivo per cui un gruppo di cittadini: Sindaci, ex Sindaci, Amministratori di Enti pubblici e privati, ha ritenuto di evidenziare una serie di criticità che interessano (affliggono) il nostro territorio biellese, tramite una nota recapitata al Presidente della Provincia, Emanuele Ramella Pralungo, il giorno 3 del mese di luglio, proponendo di convocare al più presto un’assemblea dei sindaci. La richiesta è motivata proprio per il ruolo e i compiti che la legge affida ai Sindaci come rappresentanti sanitari, ovvero tutori della salute dei loro cittadini e che dovrebbe essere garantita da un rapporto stretto e sinergico con le istituzioni regionali e le ASL. Tra le problematiche rilevate: la carenza di Medici di medicina generale, la necessità di spostarsi verso grandi città per ricevere cure specifiche, con tempi di attesa più lunghi e difficoltà logistiche, specialmente per le persone anziane o con problemi di mobilità. I fondi PNRR (Missione 6) notoriamente sono destinati a sostenere l’assistenza territoriale, nonché la parte di digitalizzazione, pertanto la finalità è quella di potenziare il sistema sanitario locale e non riconvertire strutture già esistenti. Peraltro questi servizi sanitari, teoricamente più vicini ai cittadini (Case e Ospedali di Comunità) richiederanno ulteriori risorse umane di cui l’azienda sanitaria locale è carente. Il sistema sanitario nazionale sta attraversando una fase di cambiamento ed è quanto mai opportuno richiamare la massima attenzione di tutte le componenti politiche e istituzionali del territorio biellese, nella speranza che ci sia una coralità di voci verso Torino, a oggi sorda alle esigenze della Provincia di Biella. La mancanza cronica dei medici di medicina generale e nei reparti, le lista d’attesa, l’accesso difficoltoso se non impossibile per accedere alle prestazioni dipendono dalla nostra ASL. La salute è questione nazionale, regionale, ma che riguarda i cittadini delle nostre comunità, ecco perché si insiste nel sottolineare che è il Sindaco in primis ad avere una responsabilità in ambito sanitario. In questa lettera figurano tra i firmatari Sindaci con i propri consiglieri, Consiglieri senza il proprio sindaco, ex amministratori comunali, ex dirigenti che hanno prestato la propria attività presso la ASL di Biella e altri in altre aziende. Al Presidente Ramella rivolgiamo la richiesta di condividere e di sollevare la questione sanitaria biellese con tutti i Comuni della Provincia, allo scopo di mettere in luce le argomentazioni che abbiamo tentato qui di sintetizzare, avviando un confronto serrato tra istituzioni e cittadini, per pervenire a formulare un quadro di richieste precise alla Regione Piemonte. Al Presidente della Provincia di Biella Dott. Ramella Pralungo Emanuele   OGGETTO: Richiesta convoca Assemblea dei Sindaci dei comuni Biellesi – Problematiche Sanitarie Locali   In tema sanitario emergono criticità che destano preoccupazione nell’ambito del nostro territorio, in particolare nelle zone più periferiche, le problematiche più rilevanti risultano: * mancanza dei “Medici di famiglia” che ormai perdura da anni che ad oggi non ha trovato soluzioni strutturali: * tempi di attesa lunghi per le prestazioni sanitarie peggiorate nel periodo di covid, mai sanate e degenerate nel corso degli ultimi anni; * restrizione delle risorse nazionali e regionali e le relative conseguenze sull’erogazione dei servizi nel rispetto dei LEA; * carenza di personale medico, infermieristico e tecnico; * mancata realizzazione di Ospedali e case di comunità finanziati dal PNRR – Missione 6; * mancata pianificazione delle attività sanitarie in coordinamento con le risorse degli enti del terzo settore con la giusta e dovuta considerazione delle persone fragili. In considerazione del fatto che il Sindaco è la massima autorità sanitaria locale: art. 217 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, così come richiamato dall’art. 13 della legge 833 del 1978 e il 4° comma dell’art. 50 del D.lgs 267 del 2000. La gestione della salute con il D. Lgs 502 del 1992 è stata affidata ai Direttori Generali delle Aziende Sanitaria Locali, tuttavia il Sindaco è il responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio. Il consiglio comunale condivide questa responsabilità. Dovere del Sindaco è quello di svolgere il ruolo di garante dei cittadini nei confronti dell’azienda sanitaria sollecitando, ove necessario, il rispetto dei diritti alla salute della comunità. E’ importante ricordare che la L. R.18/1994 affida ai Sindaci e alla Conferenza locale sociale e sanitaria funzioni di indirizzo, controllo e valutazione. Le funzioni che la legge affida alla Conferenza locale sociale e sanitaria sono le seguenti: a) definizione, nell’ambito della programmazione regionale, delle linee di indirizzo per l’impostazione programmatica delle attività dell’azienda unità sanitaria locale; b) esame del bilancio pluriennale di previsione e del bilancio di esercizio dell’azienda unità sanitaria locale e trasmissione alla Giunta regionale delle relative osservazioni; c) verifica dell’andamento generale dell’attività dell’Azienda unità sanitaria locale. Le ASL, ricordiamo, sono responsabili dei bisogni dei cittadini, il loro compito è provvedere a soddisfare tali bisogni, erogando i LEA, con i fondi assegnati alle Regioni. Il Managment aziendale deve perseguire costantemente l’ECONOMICITA’, ovvero il bilanciamento tra risorse e finalità, cercando di mantenere l’efficienza e l’efficacia, mantenendo l’equilibrio economico e finanziario, incrementando il patrimonio tangibile e intangibile (capitale umano, competenze specializzate e di alta professionalità) così come deve conseguire la capacità di RISPONDERE adeguatamente ai BISOGNI DI SALUTE dei cittadini. Le Regioni sappiamo possono legiferare in materia nel rispetto dei principi generali posti dalla legislazione statale nonché dei livelli essenziali. Prestazioni e servizi inclusi nei LEA rappresentano il livello essenziale garantito a tutti i cittadini che le Regioni debbono assicurare, ciò non toglie che, utilizzando risorse proprie, le Regioni possano garantire servizi e prestazioni ulteriori rispetto a quelli previsti nei LEA. Occorre comprendere dinnanzi alla riduzione nazionale cos’ha previsto la Regione Piemonte e le ricadute locali. Fatte le dovute premesse e considerazioni, al fine di poter rassicurare la popolazione fornendo le giuste informazioni in merito alle. problematiche richiamate sopra chiediamo con urgenza di condividere le stesse all’Assemblea dei Sindaci. Utile allo scopo della comprensione per un eventuale approfondimento di quanto riportato nel documento il Piano di attività dell’ASL competente locale. Riepilogo firmatari Redazione Piemonte Orientale
La legge Duplomb un grave attacco delle destre francesi a tutto il mondo vivente
Pubblichiamo una rassegna stampa di quotidiani francesi sul disegno di legge del parlamentare di destra (Les Républicains) Laurent Duplomb che mira all’abolizione delle misure restrittive imposte all’attività agricola. “La Commissione Europea – scrive uno dei giornalisti in rassegna – ha intentato causa alla Francia per il mancato rispetto degli standard sanitari relativi ai nitrati nelle acque e per aver messo in pericolo la sua popolazione. La legge propone di espandere gli allevamenti senza terra, i cui effluenti sono la principale fonte del problema”. La legge reintroduce, in nome del liberismo econonico totalizzante, una deregolamentazione dei sistemi produttivi agricoli che – senza le misure  di tutela della salute – colpirà inesorabilmente la qualità della vita dei “cittadini-consumatori”, grazie a quel mix di consulenze tecniche agli agricoltori che spianeranno la vendita dei prodotti nocivi causa di malattie mortali, cancro in primis[accì]   Fleur Breteau, il nuovo volto della lotta contro i pesticidi: “Incarno le conseguenze di un sistema che sta andando a rotoli” HTTPS://WWW.MEDIAPART.FR/JOURNAL/FRANCE/180725/FLEUR-BRETEAU-NOUVEAU-VISAGE-DU-COMBAT-CONTRE-LES-PESTICIDES-J-INCARNE-LES-CONSEQUENCES-D-UN-SYSTEME-QUI-P Eliminare gradualmente tutti i pesticidi e sensibilizzare l’opinione pubblica sull'”epidemia” di cancro: questo è l’obiettivo del collettivo Cancer Anger, attraverso nuovi metodi d’azione. Abbiamo incontrato la fondatrice, che ha fatto irruzione nell’Assemblea Nazionale l’8 luglio durante il voto sulla legge “Duplomb”. Fleur Breteau, senza capelli né sopracciglia, con il viso ancora segnato dal calvario della malattia e delle sue cure, ha assistito martedì 8 luglio da uno dei balconi del Palais-Bourbon al voto formale sul disegno di legge del senatore Laurent Duplomb (deputato destra di Les Républicains), legge che ufficialmente “mira ad abolire le restrizioni all’attività agricola”. Fleur Breteau, quarantenne e fondatrice del collettivo Cancer Colère, è stata invitata da rappresentanti eletti di sinistra ad assistere al voto, insieme ad altri membri della società civile. Dopo l’adozione del disegno di legge da parte dei deputati delle destre e dei loro delegati del partito applaudita, Fleur Breteau ha gridato: “Siete gli alleati del cancro e lo faremo sapere!“. In risposta, come riportato dai giornalisti presenti, una risata ha riempito l’Aula. Questo è ciò che la maggioranza delle destre ha saputo opporre allo sgomento e all’indignazione di questa giovane donna e, attraverso di lei, alla preoccupazione della società civile e di tutte le comunità scientifiche coinvolte: ilarità disinvolta, cinismo sprezzante e virilità da ultrà. Il clamore di Fleur Breteau non può essere compreso se ci limitiamo a spiegare per cosa hanno votato i deputati. Soprattutto, dobbiamo spiegare contro chi hanno votato. Hanno votato, ovviamente, contro tutte le associazioni per la protezione dell’ambiente in Francia, ma non c’è da stupirsi. Soprattutto, hanno votato contro ventidue società scientifiche mediche, la Lega contro il cancro, gli amministratori e il personale dell’Agenzia nazionale per la sicurezza sanitaria, il terzo sindacato agricolo francese, la Fondazione per la ricerca medica, venti mutue, gruppi mutualistici e la Federazione delle mutue francesi, che rappresenta diversi milioni di assicurati, il Consiglio scientifico del CNRS, la Federazione delle autorità per l’acqua potabile e centinaia di medici e ricercatori che hanno firmato editoriali e lettere aperte intuitu personae.   Realtà solubile Anche le organizzazioni di ricerca hanno rotto il silenzio: una situazione senza precedenti. L’Istituto di Ecologia e Ambiente del CNRS ha dichiarato di “deplorare profondamente l’adozione di questa legge miope e le sue gravi conseguenze per l’ambiente, che ignora la salute e il benessere della popolazione, [così come] il ruolo delle specie selvatiche nella produzione agricola”. “La comunità scientifica non è stata ascoltata”, ha concluso l’Istituto con una frase così eufemistica da far sorridere.   LA LEGGE DUPLOMB RAPPRESENTA UN GRAVE ARRETRAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA Il disegno di legge del senatore dell’Alta Loira ha quindi scatenato una mobilitazione senza precedenti per portata e diversità, che ha coinvolto molti settori della società. Ma questa coalizione di fatto – la cui nascita è anche motivo di speranza – ha incontrato, in risposta alle sue sfide, solo un vuoto terrificante di argomentazioni. L’adozione della legge Duplomb rappresenta un momento di rottura democratica senza precedenti. I fatti sono stati considerati secondari, la realtà del mondo fisico dissolta negli interessi particolari di una piccola minoranza di agricoltori. Nessun dibattito è stato quindi possibile, né all’esterno né all’interno dell’Aula. Inoltre, come possiamo rispondere a Laurent Duplomb quando afferma che le siepi si stanno espandendo, quando il tasso della loro scomparsa (oltre 23.000 chilometri all’anno) è raddoppiato dal 2017? Come possiamo rispondere quando afferma che il cambiamento climatico è in realtà benefico per la sua regione?   Privatizzazione di un bene comune A questo livello di inversione della realtà, qualsiasi dibattito democratico è impossibile. La Commissione Europea ha intentato causa alla Francia per il mancato rispetto degli standard sanitari relativi ai nitrati nelle acque e per aver messo in pericolo la sua popolazione. La legge propone di espandere gli allevamenti senza terra, i cui effluenti sono la principale fonte del problema.   La Francia è incapace di ridurre l’uso di pesticidi. La legge reintroduce il mix di consulenza tecnica agli agricoltori e vendita dei prodotti (come ha sempre fatto la Monsanto-Bayer). Le popolazioni di uccelli, impollinatori e quasi tutti gli artropodi sono crollate a un ritmo vertiginoso negli ultimi trent’anni. Le riserve di acqua potabile non conformi stanno esplodendo a causa dei metaboliti dei pesticidi. La legge riapre la porta a sostanze vietate, tra le più pericolose mai sintetizzate dall’uomo. Suoli, fiumi e falde acquifere si stanno prosciugando a causa del riscaldamento globale. I giganteschi bacini che monopolizzano le risorse e inaridiscono i territori sono ora di “importante interesse pubblico”. Come può la privatizzazione di un bene comune, attuata a costo di distruggere l’ambiente e il paesaggio, essere considerata di “importante interesse pubblico”? Il testo della legge non solo riflette un’immagine speculare della realtà, ma sovverte anche il significato stesso delle parole. A coronamento di tutto ciò, un decreto, emanato il giorno del voto, sottopone di fatto il lavoro dell’Agenzia francese per l’alimentazione, l’ambiente e la salute e la sicurezza sul lavoro (ANSES) a un’influenza politica, imponendole l’ordine delle sue priorità di competenza. Tutto ciò si inserisce in un quadro programmatico più ampio: il sostegno all’agricoltura biologica crolla, le aree gestite senza apporti di sintesi sono in declino e le agenzie idriche, responsabili della gestione locale delle conseguenze delle negligenze statali, sono indebolite.   LA LEGGE DUPLOMB ILLUSTRA LA TENDENZA A CEDERE AL RISCHIO DI FABBRICARE I TUMORI E LE MALATTIE CRONICHE CHE SI RIVELERANNO NEI PROSSIMI TRENT’ANNI Come afferma Maxime Molina, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione per la Ricerca Medica, ci sono tutti i presupposti per iniziare a creare i tumori e le malattie croniche dei prossimi trent’anni. La Francia di Emmanuel Macron si avvicina sempre di più all’America di Donald Trump.   La petizione contro la legge Duplomb ha superato il milione di firme sul sito web del Parlamento HTTPS://WWW.MEDIAPART.FR/JOURNAL/FRANCE/200725/LA-PETITION-CONTRE-LA-LOI-DUPLOMB-DEPASSE-LE-MILLION-DE-SIGNATURES-SUR-LE-SITE-DE-L-ASSEMBLEE Di fronte al successo senza precedenti della petizione che chiedeva l’abrogazione del disegno di legge, la Presidente dell’Assemblea, Yaël Braun-Pivet, si è dichiarata “favorevole” all’organizzazione di un dibattito parlamentare sul merito di questa legge. Ma non prima dell’inizio dell’anno scolastico, e la sua revisione è fuori discussione. Un successo senza precedenti, nel corso di un fine settimana estivo. Poco prima delle 18:00 di domenica 20 luglio, una petizione che chiedeva l’abrogazione della legge Duplomb, e in particolare la sua contestatissima proposta di reintrodurre un insetticida, ha raggiunto un milione di firme sul sito web del Parlamento. L’affluenza è eccezionale, poiché sabato era stata raggiunta la soglia delle 500.000 firme, consentendo un dibattito parlamentare sul merito di questa legge, ma non la sua revisione. La petizione è stata lanciata il 10 luglio, due giorni dopo l’adozione del disegno di legge da parte del senatore repubblicano Laurent Duplomb, da Eléonore Pattery, studentessa magistrale di 23 anni in qualità e apprendista presso la SNCF. Da venerdì, ha riscosso un successo senza precedenti grazie alla sua attiva diffusione sui social media e negli ambienti di sinistra. Anche personalità come l’attore Pierre Niney e lo scrittore Nicolas Mathieu hanno offerto il loro sostegno. In un post su Instagram pubblicato sabato, la vincitrice del Premio Goncourt 2018 ha denunciato i politici che credono di “gestire il Paese come un’azienda, secondo obiettivi di governance ed efficienza, che non hanno più nulla a che fare con le elezioni o la rappresentanza nazionale”. Nel testo introduttivo della sua petizione, Eléonore Pattery denuncia una legge che “rappresenta un’aberrazione scientifica, etica, ambientale e sanitaria”. “Rappresenta un attacco frontale alla salute pubblica, alla biodiversità, alla coerenza delle politiche climatiche, alla sicurezza alimentare e al buon senso”, scrive la studentessa, che si definisce una “futura professionista della salute ambientale”. La legge, che non è ancora stata promulgata, contiene significativi ostacoli ambientali: la reintroduzione di un insetticida che uccide le api (neonicotinoide), la compromissione dell’indipendenza dell’Agenzia francese per la salute e la sicurezza alimentare, ambientale e del lavoro (ANSES), la facilitazione della costruzione di allevamenti intensivi e mega-stagni e l’indebolimento della protezione delle zone umide. Un dibattito non appena il Parlamento riprenderà i lavori La Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea Nazionale deve ora decidere se organizzare un dibattito. Ad oggi, nessuna petizione nella storia della Quinta Repubblica è mai stata discussa in Aula. E anche se si tenesse un dibattito, questo non innescherebbe una revisione sostanziale della legge, tanto meno la sua abrogazione. Domenica, su Franceinfo, la Presidente dell’Assemblea Nazionale Yaël Braun-Pivet si è dichiarata “ovviamente favorevole” all’organizzazione di un dibattito di questo tipo. “Il popolo francese ha firmato questa petizione. Possiamo organizzare un dibattito su questo tema non appena il Parlamento riprenderà i lavori”, ha dichiarato. La prossima Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea è prevista per metà settembre. Ma Yaël Braun-Pivet ha sottolineato che questo dibattito “non può in nessun caso annullare la legge approvata”, che, a suo dire, “salverà un certo numero di nostri agricoltori”. “Ora spetta al Consiglio Costituzionale pronunciarsi sulla legge e sulla sua legalità”, ha proseguito. “L’11 luglio, i deputati di sinistra hanno presentato ricorso al Consiglio Costituzionale. In questa fase, questa è l’opzione più realistica per impedirne la promulgazione.” “La petizione non può portare all’abrogazione della legge all’inizio dell’anno scolastico, ed è perfettamente normale”, ha affermato il Presidente dell’Assemblea. “Non possiamo avere una legittimità opposta; la rappresentanza nazionale e il Senato si sono pronunciati…” “Grazie a voi, la voce del popolo risuona un po’ più forte”, ha dichiarato Eleonore Pattery sul suo account Linkedin sabato pomeriggio, chiedendo di “raggiungere un milione di firme”. “È il momento di rivoluzionare il mondo oggi, di costruire la pace di domani”, ha esortato. Questo non mi ispira molto; significa che l’opposizione si sta facendo sentire. Laurent Duplomb commenterà il successo della petizione domenica. “Grazie alla vostra mobilitazione, l’Assemblea Nazionale dovrà nuovamente discutere questo disegno di legge, che mette in pericolo il nostro pianeta e la nostra salute!” ha reagito La France Insoumise, in un messaggio su X trasmesso dal suo leader Jean-Luc Mélenchon. “Di fronte alle lobby, siamo milioni: l’ecologia sta reagendo”, si è congratulata la segretaria nazionale degli Ecologisti, Marine Tondelier, per X, mentre l’ex ministra e deputata di Génération Écologie, Delphine Batho, ha chiesto a Emmanuel Macron di “non promulgare” la legge. Il leader dei parlamentari socialisti, Boris Vallaud, aveva chiesto sabato che la petizione fosse iscritta all’ordine del giorno dell’Assemblea per consentire un dibattito. L’autore della legge, il senatore repubblicano Laurent Duplomb, ha espresso il suo disappunto su Franceinfo. “Non mi ispira molto, significa che l’opposizione sta parlando”, ha detto. Aggiungendo: “Dietro, ci sarà sicuramente un dibattito organizzato all’Assemblea Nazionale per dire quello che diciamo da sei mesi”. Il parlamentare ha espresso preoccupazione per la “concorrenza sleale” che si verificherebbe per gli agricoltori qualora il testo, che consente la reintroduzione di un pesticida vietato in Francia ma autorizzato in Europa, non venisse attuato. Su BFMTV, ha poi attaccato “i firmatari di petizioni che non si preoccupano della redditività delle attività economiche”. Arnaud Rousseau, presidente della FNSEA, il principale sindacato agricolo fortemente favorevole alla legge Duplomb, ritiene che l’agricoltura francese “scomparirà” se le verranno imposti “standard più elevati” rispetto a quelli dei suoi vicini europei. Aberrazione La petizione chiede anche “una revisione democratica delle condizioni in cui è stata adottata la legge Duplomb”. In Parlamento, è stata accelerata con una mozione preliminare di reiezione, presentata dal suo stesso relatore, Julien Dive (LR), che si era espresso a favore del disegno di legge. Il deputato ha giustificato la sua decisione denunciando “l’ostruzionismo” della sinistra, che aveva presentato diverse migliaia di emendamenti. La mancanza di un vero dibattito in aula è una delle argomentazioni avanzate dai deputati che hanno presentato ricorso al Consiglio Costituzionale. Il disegno di legge ha finalmente trovato la maggioranza in Assemblea l’8 luglio. Ma, fuori dal Palais Bourbon, i suoi oppositori si sono mobilitati. Anche al suo interno. Dalla tribuna pubblica, Fleur Breteau, membro esperto di media del collettivo Cancer Anger, si è rivolta ai deputati: “Siete alleati del cancro e lo faremo sapere”. » Al contrario, è stata fermamente difesa dalla FNSEA (Federazione Nazionale dei Sindacati Agricoli) e dai Giovani Agricoltori, venuti a manifestare davanti al Palais Bourbon con i loro trattori. “Dovrebbe esserci una discussione su questa petizione, perché no. Ma ricominciare tutto da capo sarebbe una grande perdita di tempo e una sconfitta per il mondo agricolo”, ha dichiarato sabato all’AFP Quentin Le Guillous, segretario generale dei Giovani Agricoltori. Oggi “passiamo da un problema all’altro”, ha commentato Christian Convers, segretario generale del Coordinamento Rurale. La Confédération paysanne (Confederazione Agricola) ha osservato che la legge Duplomb “non è affatto sostenuta dalla società, vista la velocità con cui vengono raccolte le firme” sulla petizione. “Speriamo davvero di poter avere un dibattito democratico”, ha sottolineato il suo portavoce, Thomas Gibert.   TRADUZIONE DI TURI PALIDDA   Redazione Italia
A qualcuno piace caldo
A QUALCUNO PIACE CALDO, CRONACHE DAL PIANO CLIMA DI ROMA di Lorenzo Paglione e Alessandra Valentinelli, Roma Ricerca Roma Lo scorso 25 giugno, la Protomoteca ha ospitato la presentazione del “Piano Caldo”, ultimo spin off della Strategia di Adattamento lanciata nel gennaio 2024 dall’Ufficio Clima di Roma. Il momento scelto per illustrare dinamiche e risposte alle ondate di calore attese in città certo non poteva essere più propizio per un raffronto diretto con quanto emerso dai vari contributi: di lì a qualche giorno avremmo vissuto le settimane più torride degli anni recenti, sperimentando così in prima persona portata e bontà delle informazioni fornite. Oltre agli esempi di pavimentazioni (drenanti, riflettenti, assorbenti…) e agli elenchi di potenziali rifugi climatici ispirati ai comuni normalmente attivi contro i picchi di temperatura, tra le novità dell’incontro, vale in particolare segnalare la serie di mappe sulla distribuzione delle isole di calore romane. Modellate su cartografie forse non perfettamente aggiornate, tali mappe riflettono la geografia della crescita mal governata della Capitale; una scena desolante di edificato compatto, carenza di verde, piastre logistiche e commerciali sovradimensionate, dove il termometro registra i valori massimi. Restituisce le asimmetrie generate dal consumo di suolo che chiunque, girando i quartieri nel pieno dell’ondata di caldo dei giorni successivi, ha potuto misurare nella loro dimensione fisica: l’asfalto infuocato, la scomparsa di ogni refolo d’aria, la preoccupante assenza di calo termico nelle ore notturne, fresco e ombra confinati sotto le (rare) gallerie arboree, vicino all’acqua, nei varchi aperti verso l’Agro o il mare. Così però si delinea anche l’altra mappa, utile ad adattare i nostri spazi quotidiani al clima contrastandone la ferocia: non semplici rifugi, ma polmoni verdi, piazze giardino, strade alberate e aiuole spugna disseminati in tutta la città. In un simile quadro spicca ciò di cui agli incontri dell’Ufficio Clima si continua a non parlare, confermando un’attuazione del Piano che, nonostante i paralleli encomiabili sforzi per sistematizzare in dettaglio gli impatti climatici, procede senza garanzie né di sinergia fra gli interventi cittadini, né di coerenza strategica con la pianificazione di ambiti chiave per la gestione di quelle temperature che non sono più eccezionali, ma ordinarie, ovvero le dotazioni e le tutele ambientali, la mobilità e la sostenibilità energetica. In questo senso, se sicuramente risultano migliorativi gli interventi legati al posizionamento delle nuove pensiline alle fermate del trasporto pubblico di superficie, manca ancora una visione complessiva, capace di leggere il TPL non solo come mitigatore di emissioni climalteranti, ma come vero e proprio strumento per affrontare le disuguaglianze sociali anche legate all’esposizione al calore, dal momento che, sempre per quanto riguarda la mobilità, la riduzione del parco automobili circolanti non può che essere un obiettivo centrale per ridurre le temperature in città. Stesso discorso per quanto riguarda il favorire l’autoproduzione di energia, in un contesto in cui, specialmente per le fasce più vulnerabili (o per la popolazione più esposta), la climatizzazione rappresenta un salvavita: le Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS), strumento chiave per affrontare questa problematica (al netto di una rivisitazione complessiva dei vincoli sull’aspetto esterno degli edifici, in particolare nella città consolidata della periferia storica), restano purtroppo fuori dal documento conclusivo, nonostante gli sforzi condotti proprio dall’Amministrazione per la stesura del regolamento, mentre i blackout di alcune aree di Roma di questi giorni dimostrano quanto sia fragile l’infrastruttura energetica cittadina quando sottoposta a fortissime sollecitazioni dovute alla climatizzazione degli ambienti. Sin dai suoi esordi la Strategia climatica ha insomma rinunciato all’integrazione delle politiche settoriali per l’adattamento diffuso, privilegiando la realizzazione di opere meglio beneficiate dai finanziamenti. Una strada utile ma insufficiente. Come mostrano Parigi o Barcellona, se si vuol essere efficaci, serve un’organica regia operativa, correlata alle condizioni del territorio, alle intensità di rischio, alla vulnerabilità dei soggetti esposti. Per quanto la Giunta dichiari assumerne le priorità, enumerando alberi piantati, superfici decementificate, persino nuovi parchi, il Piano Clima è solo uno strumento volontario, perseguibile nel singolo appalto ma privo di cogenza sugli altri strumenti ben altrimenti prescrittivi in capo all’Amministrazione. Senza un radicamento nei capitolati delle opere pubbliche, nel Regolamento del Verde, in quello Edilizio o nel Piano Regolatore, senza standard prestazionali obbligatori per gli interventi, dagli spazi minuti dei marciapiedi fino alle nuove piazze, Roma continuerà a fare come ha sempre fatto. E’ difficile infatti non riconoscere, negli esiti delle piazze inaugurate per il Giubileo o nella Rambla di Pietralata, lo scollamento cui si è assistito tra l’elaborazione del Piano Clima e l’adozione delle Norme Tecniche, che si ripropone ora nella programmazione degli interventi, ora nei tanti piccoli e grandi cantieri sparsi per la città; oggi contro il caldo, domani contro le piogge o l’erosione costiera. Lo spazio pubblico, anche superando concezioni tradizionali sul suo aspetto monumentale, deve invece diventare un grande laboratorio di sperimentazione di pratiche di adattamento al clima aperte alle istanze dal basso, dove le comunità partecipano al processo di cambiamento necessario per evitare che nei prossimi dieci anni, Roma sia resa invivibile più che dagli estremi stagionali, dal calore o dagli allagamenti intrappolati e potenziati dalla sua stessa massa di cemento e asfalto. Il 25 giugno, l’Assessore all’Urbanistica Veloccia ha finalmente accennato ad un “prossimo” studio per integrare nel Regolamento edilizio le indicazioni su materiali, colori e cappotti termici. La Strategia di Adattamento suggeriva anche un aggiornamento della Rete Ecologica che l’Assessora all’Ambiente Alfonsi non pare aver ad oggi raccolto. Quel giorno soltanto Ispra ha richiamato la Direttiva europea per il “Ripristino della Natura” che impone il mantenimento di zone verdi e coperture arboree esistenti; contraddizioni nel processo di adattamento della città che, a più di un’anno dall’uscita del Piano, non possono credersi solo apparenti, ma semmai coerenti con la mission ambientale dell’Ufficio Clima di questa Amministrazione. (nella foto in alto: Gualtieri all’inaugurazione della “Rambla” di Pietralata, 25 giugno 2025) L'articolo A qualcuno piace caldo proviene da Roma Ricerca Roma.
Bolgare, Consiglio Comunale all’unanimità dice NO all’inceneritore di Montello
Il Consiglio Comunale di Bolgare (BG) all’unanimità ha detto NO all’inceneritore di Montello, approvando la Mozione urgente in merito all’impianto di termovalorizzazione proposto dalla Montello Spa. In data 25 giugno 2025, il Consiglio Comunale ha approvato la mozione urgente proposta dai consiglieri Lorenzo Belotti capogruppo di “Impegno per Bolgare-BG-Lega Salvini Lombardia ” e Marco Esposito del gruppo “Spazio Comune Lista Civica Bolgare” in rappresentanza dei rispettivi consiglieri del Consiglio Comunale di Bolgare, ai sensi dell’art. 55 del Regolamento di C. C. Il testo della mozione: RILEVATO CHE La proposta presentata dalla Montello Spa, volta alla realizzazione di un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti aziendali per la produzione di energia elettrica e termica destinata all’autoconsumo, è da mesi oggetto di dibattito nell’opinione pubblica bergamasca. L’iniziativa, interamente privata, si basa sulla normativa introdotta dalla Regione Lombardia che con l’intento di promuovere l’Economia Circolare, permette l’incenerimento dei propri rifiuti non riciclabili in deroga al Programma Regionale di Gestione dei Rifiuti (PRGR). Tale normativa affida alle Province il compito di coordinare tecnicamente l’iter autorizzativo, raccogliendo le informazioni necessarie, tenendo conto dei pareri degli enti competenti e valutando tutte le osservazioni formulate dagli stakeholders territoriali. EVIDENZIATO CHE L’impianto in Valutazione di Impatto Ambientale avrà una potenza di 154 MW, diventando uno dei più grandi d’Italia. I 13 termovalorizzatori della Lombardia soddisfano già ampiamente il fabbisogno di smaltimento rifiuti grazie alla raccolta differenziata e trattano anche rifiuti da altre regioni d’Italia La proposta ha suscitato oltre 140 osservazioni, inclusa l’opposizione di 46 sindaci rappresentanti 200.000 cittadini, citando preoccupazioni sanitarie, ambientali ed economiche. Esprime la sua opposizione alla costruzione dell’inceneritore, facendo proprie e ribadendo le preoccupazioni e le inquietudini manifestate da 46 sindaci rappresentanti una popolazione di oltre 200 mila bergamaschi. Invita i livelli istituzionali superiori a riconsiderare – anche alla luce dei possibili effetti distorsivi che può generare su una micro-area tra le più inquinate d’Europa – il quadro normativo in vigore, che, con l’obiettivo condivisibile di limitare il conferimento di rifiuto trasformandolo in risorsa aziendale, di fatto apre le porte alla proliferazione di impianti di qualsivoglia dimensione, senza prevedere una valutazione d’insieme e senza rapportarli al programma regionale di gestione dei rifiuti. Mozione in contrarietà all’inceneritore di Montello Delibera di Consiglio Comunale N° 14 del 25/06/2025   Redazione Sebino Franciacorta