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Dieci anni perduti. Rapporto sul sabotaggio dell’Accordo di Parigi
A pochi giorni dall’inizio della COP30 di Belém, in Brasile, ReCommon lancia oggi il rapporto “Dieci anni perduti – Come i protagonisti dell’estrattivismo fossile italiano hanno minato l’Accordo di Parigi”. Lo studio si concentra sulle attività dei protagonisti del comparto fossile e finanziario pubblico e privato oggetto delle campagne dell’associazione: ENI, Snam, SACE e Intesa Sanpaolo, di fatto tutti impegnati a sabotare l’Accordo di Parigi. Alla COP21 tenutasi nel 2015 nella capitale francese, vale la pena ricordarlo, i Paesi firmatari dell’accordo, compresa l’Italia, avevano promesso di «tenere le temperature ben al di sotto di 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, e proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali». Dalla COP21 di Parigi, in Italia si sono succeduti cinque governi ed ENI ha prodotto in totale circa 6,39 miliardi di barili equivalenti di petrolio e gas, dichiarando ogni anno la propria volontà di aumentare la produzione di combustibili fossili almeno fino al 2030. Così la più importante multinazionale italiana potrebbe sforare del 73% (2024) e dell’89% (2025) i parametri previsti dagli scenari di zero emissioni nette (NZE) dell’Agenzia Internazionale dell’Energia per raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento di temperatura entro 1,5 gradi. Nello stesso lasso di tempo, Snam e le altre grandi società di trasporto del gas hanno speso fino a 900mila euro in attività di lobbying a Bruxelles, riuscendo a ottenere quasi 50 incontri con i massimi funzionari politici della Commissione Europea per discutere i loro progetti di gasdotti da costruire o acquisire. La società di San Donato Milanese è divenuta in pochi anni il più grande operatore della rete di trasporto del gas in Europa per infrastrutture controllate, corrispondenti a oggi a una rete di oltre 40mila chilometri di gasdotti, terminal di rigassificazione per 28 miliardi di metri cubi di capacità annua gestita, depositi di stoccaggio per 16,9 miliardi di metri cubi. Piani di investimento incentrati su petrolio e gas che non sarebbero possibili senza la mediazione e il supporto delle istituzioni finanziarie, a partire da quelle pubbliche. Controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, SACE è l’agenzia di credito all’esportazione italiana. Il suo ruolo è quello di rilasciare garanzie – cioè un’assicurazione pubblica – sia alle aziende, i cui progetti all’estero possono essere assicurati, sia alle banche commerciali, per garantire i prestiti ai progetti esteri delle aziende. Negli ultimi 10 anni, SACE ha rilasciato garanzie per il settore dell’energia fossile pari a 22,18 miliardi di euro. È l’operatività di SACE a fare dell’Italia il primo finanziatore pubblico dell’industria fossile in Europa e il quarto a livello globale. C’è, infine, il più grande gruppo bancario privato italiano: Intesa Sanpaolo. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel solo 2024 i finanziamenti a carbone, petrolio e gas da parte della banca di Corso Inghilterra sono aumentati del 18% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la cifra di 11 miliardi di dollari, mentre gli investimenti sono saliti del 16% (10 miliardi a inizio 2025). ENI si conferma come la corporation fossile più finanziata da Intesa Sanpaolo; forte è anche la crescita del sostegno a Snam (+60% negli investimenti e +96% di finanziamenti nel 2024). «Quando si parla di crisi climatica c’è chi ha maggiori, incomparabili, responsabilità rispetto al singolo individuo: i gruppi industriali e finanziari, che sono parte strutturale di un sistema improntato sull’energia fossile. L’Italia non fa eccezione», commenta Simone Ogno di ReCommon. «Per troppo tempo questa crisi è stata raccontata come un fenomeno astratto, nascondendo così il fatto che ne stiamo già pagando letteralmente le conseguenze sul piano materiale. Crisi climatica significa infatti impatti sociali, economici e ambientali. È arrivato il momento che i responsabili siano in prima fila a pagare i costi di questa crisi», conclude Ogno.     Re: Common
Milano, 30 ottobre: Seminario “Università e industria bellica: intrecci, finanziamenti e responsabilità”
GIOVEDÌ, 30 OTTOBRE 2025, AULA 201 ORE 16:30-19 MILANO, VIA FESTA DEL PERDONO, 7 Si svolgerà giovedì 30 ottobre 2025 a Milano dalle ore 16:30 alle ore 19 presso l’aula 201 dell’Università Statale di Milano il Seminario dal titolo “Università e industria bellica: intrecci, finanziamenti e responsabilità”. L’evento è organizzato dal Coordinamento UNIMI per la Palestina in collaborazione con Rete Università e Ricerca per la Palestina e l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Interverrà per l’Osservatorio la presidente Roberta Leoni con una relazione dal titolo: “Le competenze militari nel mondo dell’istruzione”.
Assemblea degli azionisti 2025, Intesa Sanpaolo si conferma la prima banca fossile italiana
Intesa Sanpaolo, la più importante banca italiana, continua ad aumentare i suoi finanziamenti e investimenti a favore di petrolio e gas. Nel giorno della sesta assemblea degli azionisti consecutiva a porte chiuse, l’istituto di credito torinese ha risposto alle domande scritte presentate da ReCommon di fatto ribadendo il suo forte e incessante impegno in favore del comparto fossile. Nel 2024, i finanziamenti a carbone, petrolio e gas da parte del Gruppo Intesa Sanpaolo sono aumentati del 18% e ammontano a 11 miliardi di dollari. Anche gli investimenti sono in crescita: a gennaio 2025 sono saliti del 16% rispetto al gennaio 2024, per un totale di 10 miliardi di dollari. ENI si conferma come la multinazionale più finanziata da Intesa Sanpaolo tra quelle con i maggiori piani di espansione nell’estrazione di energie fossili su scala globale. Anche SNAM, colosso europeo nel trasporto di gas, entra con forza negli interessi della prima banca italiana, con un innalzamento del 60% negli investimenti e quasi un raddoppio (96%) dei finanziamenti nel 2024 rispetto all’anno precedente. Di fatto Intesa Sanpaolo non ha risposto in maniera adeguata alle domande poste da ReCommon sui numerosi progetti fossili sostenuti, ribadendo che non intende apportare significativi aggiornamenti sulle sue policy relative al carbone e all’oil&gas, nonostante numerosi competitor europei si stiano muovendo con più coraggio nella direzione di ridurre il sostegno al comparto fossile: le francesi BNP Paribas e Crédit Agricole, per esempio, dall’anno scorso hanno smesso di comprare bond nel settore oil&gas, mentre l’olandese ING ha interrotto i finanziamenti alle compagnie con nuovi progetti di estrazione di petrolio e gas e dall’anno prossimo smetterà di finanziare nuovi progetti per terminal di esportazione del GNL. Tuttavia, le linee guida che si è data la banca torinese impedirebbero finanziamenti a progetti in Paesi dove sono in atto conflitti armati, come in Mozambico, dove Intesa Sanpaolo potrebbe entrare a sostegno dei nuovi impianti per l’estrazione del gas al largo della costa e su terra promossi da ENI, che rispondono rispettivamente al nome di Coral North FNLG e Rovuma LNG. Anche su questo punto però non c’è chiarezza, mentre vale la pena rammentare che l’altro principale istituto di credito italiano, UniCredit, già dal 2023 aveva dichiarato che non finanzierà Rovuma LNG e lo scorso ottobre si è chiamato fuori anche da Coral North FNLG, progetto che attualmente è in attesa di chiudere l’accordo di investimento e su cui Intesa invece non si è mai espressa nonostante le sollecitazioni da parte di numerose organizzazioni della società civile internazionale. I progetti per l’estrazione del gas nella provincia settentrionale del Mozambico di Cabo Delgado hanno contribuito a esacerbare una situazione già profondamente segnata dal conflitto in atto promosso da milizie islamiste, che finora ha provocato oltre 4mila vittime e circa un milione di sfollati. «Intesa Sanpaolo dovrebbe prendere posizione pubblicamente evitando di finanziare nuovi progetti di estrazione e liquefazione in Mozambico, considerata anche la profonda crisi che sta attraversando il Paese, e fare così un passo in controtendenza rispetto ai grandi investimenti nel settore del GNL degli ultimi anni e al forte sostegno a Eni che proprio in Mozambico è capofila dei progetti Coral North FLNG e Rovuma LNG» ha dichiarato Susanna De Guio di ReCommon. «Ci sorprende inoltre che le assemblee degli azionisti della più importante banca italiana continuino a svolgersi a porte chiuse, azzerando la partecipazione democratica che noi di ReCommon abbiamo esercitato attraverso lo strumento dell’azionariato critico» ha dichiarato Daniela Finamore di ReCommon.     Re: Common