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Global Strike for Gaza: ogni giovedì, in tutto il mondo
Proposta da una giovane palestinese testimone dell’assedio e del genocidio, la settimanale astensione dal fare acquisti e transazioni finanziarie viene promossa da molte organizzazioni e associazioni di tante nazioni. In Italia è stata ‘rilanciata’ dalla delegazione nazionale del Global Movement To Gaza formato dalla coalizione che aggrega alcuni partecipanti alla Global March to Gaza e alla Carovana Al-Samoud e gli equipaggi della Freedom Flottila, tutti insieme cooperanti anche nella missione della GDF / Global Sumud Flottilla in partenza il 30 AGOSTO dalla Spagna e il 4 SETTEMBRE dalla Tunisia e altri porti nel Mediterraneo. L’obiettivo del Global Strike for Gaza (sciopero globale per gaza) è di coinvolgere quante più persone possibile ad astenersi dal fare acquisti un giorno alla settimana – il giovedì – per far sentire il peso del dissenso. L’iniziativa ha lo scopo di attirare l’attenzione dei media, così dei politici, sul genocidio dei palestinesi e la carestia a Gaza. Il primo giovedì di sciopero globale è stato indetto per il 21 AGOSTO scorso, una delle tre giornate – giovedì 22, venerdì 23 e domenica 24 agosto – dal movimento Hamas indicate per la mobilitazione de “i popoli liberi del mondo e le nazioni arabe e islamiche” in segno di solidarietà della popolazione di Gaza. L’idea del Global Strike for Gaza è stata concepita dalla 27enne Bisan Owda, che ha presentato la proposta in un video-messaggio di tre minuti. Bisan Owda è nata e cresciuta a Beit Hanun, una cittadina al centro di un territorio rurale nell’area a nord-est della Striscia di Gaza fino al 2023 popolata da 35˙000 abitanti da dove 2005 Hamas aveva lanciato i razzi qassam che colpirono insediamenti e centri urbani israeliani nel Negev e in cui nella notte dell’8 novembre 2006 avvenne la strage di Beit Hanun, dopo il 7 ottobre 2023 uno dei primi bersagli degli attacchi dell’esercito israeliano. Nell’ottobre del 2023 la sua città veniva evacuata e Bisan Owda e i suoi familiari furono trasferiti a Gaza City, prima alloggiati all’ospedale Al-Shifa e poi in un’abitazione nel quartiere di Rimal, in seguito distrutta… Una cooperante ad alcuni progetti dell’UE sul cambiamento climatico, anche una EU Goodwill Ambassador, e un membro dell’UN Women’s Youth Gender Innovation Agora Forum, Bisan Owda nell’estate del 2023 aveva realizzato un programma televisivo, intitolato Hakawatia, trasmesso dall’emittente giordana Roya TV. Come nella primavera 2021, durante il conflitto armato combattuto tra Hamas e Israele dal 6 al 21 maggio di quell’anno, Bisan Owda dall’ottobre 2023 utilizza il proprio account Instagram per divulgare foto e video che documentano la realtà nella Striscia di Gaza. Da un anno i suoi reportage vengono pubblicati da Al Jazeera Media Network in una serie di video, intitolata It’s Bisan from Gaza and I’m Still Alive (Qui Bisan da Gaza, ancora viva), che a maggio 2024 è stata insignita di un Peabody Award e a luglio 2024 è stata candidata per l’assegnazione degli Emmy Awards. Sfruttando questa notorietà per dare visibilità su media e social-media a un’iniziativa che mobilita i cittadini di ogni nazione del mondo, Bisan Owda ha proposto il Global Strike for Gaza: «Facciamo quello che gli fa più male: fermare l’economia», spiega nel presentare lo sciopero che tutti possono praticare facilmente ovunque, semplicemente astenendosi dal fare acquisti e transazioni finanziarie. “Se anche solo il 5% dei consumatori per un giorno non fa nessun acquisto, globalmente la contrazione delle spese ammonterebbe di circa 2-2,5 miliardi di dollari – precisa FANRIVISTA riportando le analisi del collettivo inglese Humanti Project – Un importo di tali dimensioni verrebbe notato dagli economisti. Se l’azione viene ripetuta il suo impatto si moltiplica, i media se ne accorgeranno e nemmeno i politici lo potranno ignorare”. Maddalena Brunasti
L’Università di Calabria per la Palestina
Riceviamo e diffondiamo dall’Università della Calabria Nei giorni scorsi abbiamo elaborato il testo della seguente mozione di ferma condanna del genocidio israeliano in Palestina, approvato e adottato dal Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed ecologia dell’Università della Calabria. Adesso vorremmo trasformarlo in un appello aperto alla sottoscrizione di chiunque lo condivida, a partire dalle persone con cui collaboriamo e che stimiamo. Riportiamo il testo dell’appello al seguente  collegamento alla pagina contenente il modulo per la sottoscrizione. Il Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed ecologia dell’Università della Calabria condanna fermamente il genocidio in atto in Palestina. Lo Stato di Israele sta commettendo sotto i nostri occhi un orrendo genocidio nei confronti della popolazione palestinese, e diffondendo deliberatamente il seme della guerra per tutto il Medio Oriente. Le radici e gli arbusti infestanti di questo amarissimo seme stanno già estendendosi per tutto il mondo, e presto produrranno i più velenosi frutti, di cui saremo tutti costretti a mangiare. Per questo, come docenti del Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed ecologia, riteniamo che sia assolutamente: urgente pretendere che Israele cessi immediatamente i massacri e gli attacchi che sta sistematicamente portando avanti a Gaza, in Palestina e in Medio Oriente, e revochi gli effetti di molti decenni di politiche e pratiche coloniali di aggressione, occupazione, sfruttamento, depredazione, inferiorizzazione e disumanizzazione della popolazione palestinese; urgente pretendere che le istituzioni pubbliche italiane e tutti gli altri attori nazionali e locali si uniscano nella più ferma condanna a queste atrocità, e concretamente adoperino le più pronte, efficaci ed estese misure di pressione e sanzione delle politiche israeliane, a cominciare dalla messa al bando delle vili attività di produzione e commercio di armamenti, così come di qualunque altro rapporto di collaborazione o servizio complice, indifferente o di natura semplicemente non umanitaria, con Israele; urgente che il nostro Ateneo, e auspicabilmente tutti gli altri, recedano immediatamente e in modo definitivo da tutti i partenariati e gli accordi di ricerca con aziende e istituzioni direttamente o indirettamente coinvolte nella produzione e fornitura di armamenti e tecnologie militari utilizzati nell’aggressione contro il popolo palestinese e mediorientale. Mantenere tali legami significa, in ultima analisi, rendersi complici di un abominio; urgente che tutte le persone che in Università studiano e lavorano si organizzino per contribuire a creare e diffondere consapevolezza del terrificante genocidio in atto, e si attivino per incidere, attraverso proteste e iniziative efficaci e concrete, sul corso della storia che sembra precipitare verso l’abominio abissale di una nuova grande guerra. Ciò che sta avvenendo a Gaza e in Medio Oriente, in assenza di un movimento generalizzato e forte di trasformazione e protesta, ben presto toccherà in sorte a noi stessi e al mondo intero. Seguendo i criteri di calcolo adottati da uno studio pubblicato da The Lancet nel gennaio scorso, sarebbero quasi 100 mila le persone uccise dalla cieca violenza delle Forze sioniste di “Difesa” israeliane nella sola Gaza, considerando soltanto gli ultimi 22 mesi; di queste, il 60% sarebbero donne e bambini. Come documentano le inequivocabili immagini, testimonianze e denunce in circolazione, migliaia sono le vittime di vili bombardamenti scientemente diretti contro le folle di persone radunate in attesa della ripartizione dei pochissimi aiuti umanitari distribuiti dalla complice ONG israelo-statunitense denominata Gaza Humanitarian Foundation. L’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza è peraltro sistematicamente bloccato dal governo israeliano, in violazione del diritto umanitario internazionale. Queste pratiche criminali messe in atto dallo Stato di Israele usano la cooperazione come dispositivo di guerra – nel solco di un preciso programma di collaborazione tra i settori della cooperazione internazionale e gli apparati militari, da tempo invalso anche in ambito NATO, sotto il nome di CIMIC (Civil-Military Cooperation) e di una tendenza più ampia alla militarizzazione degli aiuti. Tali operazioni di guerra sono compiute in una regione-carcere, qual è la Striscia di Gaza, che è stata trasformata in un vero e proprio campo di concentramento e sterminio a cielo aperto, la cui popolazione è ridotta in condizioni estreme di fame e deprivazione pressoché assolute. Le atrocità commesse dall’esercito israeliano, per altro, non uccidono soltanto i loro bersagli intenzionali e diretti: il numero altissimo di suicidi registrato tra i soldati israeliani impegnati in queste sanguinarie operazioni, infatti, è solo uno dei tanti, tragici, indici di disumanizzazione sistematica e generalizzata che le istituzioni pubbliche guidate e coordinate dal criminale di guerra Benjamin Netanyahu stanno determinando anche negli animi dei loro perpetratori. D’altronde, la foga guerrafondaia e sterminatrice dello Stato israeliano, non si limita a Gaza. Negli ultimi mesi, infatti, si sono intensificate e ulteriormente estese le ciniche e barbare pratiche di saccheggio compiute dall’occupazione sionista a danno della popolazione palestinese anche al di fuori della Striscia. Mentre gli occhi sono giustamente puntati su Gaza, privata di servizi di base, cibo e acqua, in Cisgiordania si assiste a dinamiche di violenza crescente da parte dei coloni per l’accaparramento sistematico di terre e a raid condotti dall’esercito israeliano con l’obiettivo di smantellare quel residuo di sovranità alimentare e i mezzi di sussistenza (come le sementi delle comunità palestinesi). Le Forze israeliane stanno muovendo guerra anche ai territori della Siria, del Libano, dell’Iran, dello Yemen, per un totale di 35 mila attacchi registrati negli ultimi 20 mesi – secondo i dati dell’Armed Conflict Location and Event Data Project. Tale circostanza non è affatto inopinata, d’altronde: lo Stato di Israele è un cuore nero che pompa veleno e morte da ormai quasi un secolo per i territori della Palestina e dell’intero Medio Oriente; esso è la coda impazzita del progetto colonialista e imperialista occidentale che, di fatto, gli Stati Uniti d’America e le élite delle principali potenze europee ancora accompagnano, sostengono e talvolta, letteralmente, commissionano e guidano in quella regione. A fronte di questa terrificante situazione e nonostante la persistente criminalizzazione delle proteste, aumentano le iniziative di mobilitazione sociale contro la guerra e a supporto del popolo palestinese in tutto il mondo: manifestazioni e cortei, appelli internazionali, campagne di boicottaggio, carovane e tentativi di ingresso nella Striscia di Gaza per portare aiuti e solidarietà. Tra queste azioni, la Freedom Flotilla Coalition ha organizzato due missioni navali nel corso di questa estate per cercare di raggiungere la costa di Gaza e recapitarvi aiuti umanitari, quali cibo, farmaci e giocattoli, destinati soprattutto a feriti, infermi, donne, affamati, bambini. In entrambi i casi, le due navi – la Madleen il 9 giugno, e la Handala il 26 luglio – hanno subito veri e propri atti di “pirateria” da parte delle Forze israeliane, essendo state bloccate e violentemente abbordate in acque internazionali – in spregio alle fondamentali regole del diritto di navigazione, oltreché del senso d’umanità. Le imbarcazioni e il loro carico di aiuti sono state, quindi, sequestrate, e i loro equipaggi – composti rispettivamente da 12 e 21 persone, provenienti da molti Paesi del mondo – sono stati “rapiti”, più o meno lungamente trattenuti, in qualche caso anche brutalmente malmenati e, finalmente, espulsi con la ridicola e infondata accusa di immigrazione irregolare. A bordo della Handala si trovava anche Antonio Mazzeo: docente, giornalista e ricercatore impegnato e militante delle battaglie anti-militariste, pacifiste e del movimento No Ponte, che in più occasioni ha generosamente contribuito alle attività sia del Corso di Laurea magistrale in Cooperazione e sviluppo e del Dottorato in Politica, Cultura e Sviluppo, sia delle iniziative dei movimenti studenteschi e cittadini gravitanti attorno all’Università della Calabria, tenendo seminari sempre molto partecipati e di grande spessore scientifico, morale e politico. Nostro preciso dovere etico e politico, osservando e vivendo la storia da questa particolare parte della Terra, è di prendere posizione rispetto a questo sistema e a questa tradizione a cui Luciano Canfora ha dato il nome di “modo di produzione bellico”, visto che d’esso ne siamo allo stesso tempo vittime minori e soggettività che ne sono, in certa misura, anche beneficiate e complici. Testimoni della sua persistenza, perseveranza e nuova pervasività, noi dobbiamo scegliere da quale parte stare di questa “storia”: se obbedirle e contribuire, quindi, a moltiplicare lo sterminio; o se disattenderla e cercare di interromperla, salvando noi stessi e gli altri. Valgano quindi da monito i versi di Isaac Munther, pastore luterano testimone dell’abominio genocida, pronunciati a Betlemme, nella notte di Natale del 2023: «Noi palestinesi ci risolleveremo,  l’abbiamo sempre fatto,  anche se questa volta sarà più difficile.  Non so voi, però,  voi che siete rimasti a guardare  mentre ci sterminavano.  Non so se potrete mai risollevarvi». (da “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”). Redazione Italia
Freedom Flotilla Coalition, intervista ad Antonio Mazzeo
Freedom Flotilla, la coalizione internazionale che associa cittadini comuni, attivisti e operatori umanitari, ha lo scopo di fare pressione sul governo israeliano affinché cessi l’assedio che dal ’48 perpetra ai danni del popolo palestinese, con alterne accelerazione dei soprusi nei loro confronti, sfociato nella creazione di Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Con la decisa sterzata a destra dell’ultimo ventennio, fino all’attuale coalizione governativa, ostaggio delle fazioni più oltranziste, conservatrici e islamofobe, l’assedio, frutto marcio di un colonialismo di insediamento, così come viene sistematizzato ed applicato al popolo palestinese secondo lo storico israeliano Ilan Pappé, si è addirittura trasformato in genocidio: uno sterminio in mondovisione dove le immagini e le cifre si rincorrono a suon di fake-news che negano la realtà dei fatti. Tornando alla Freedom Flotilla e al caso della nave Handala, l’obiettivo è quello di rompere il blocco illegale agli aiuti umanitari, entrando nell’unico corridoio, il porto di Gaza, che in teoria non richiederebbe il “permesso” del governo sionista perché, appunto, è territorio palestinese. Lo scopo più importante però è quello di aprire una breccia nel muro spietato dell’indifferenza, uno spiraglio di speranza contro il genocidio e su questo, come sempre, ci sono venuti in aiuto i bambini e le bambine della Sicilia e della Puglia con i loro giocattoli da consegnare ai loro fratellini gazawi. Pur non avendo l’autorità legale per assaltare la nave, rapirne l’equipaggio e poi detenerlo e deportarlo nel proprio territorio, Israele lo ha fatto compiendo un gesto terroristico, nonché un atto di guerra non dichiarato preventivamente: un attacco non provocato infatti  è considerato “crimine di guerra” (Art. 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Come ha dichiarato Ann Wright, membro del comitato direttivo della Freedom Flotilla, “non si tratta di una questione di giurisdizione interna israeliana. Si tratta di cittadini stranieri che operano secondo il diritto internazionale in acque internazionali. La loro detenzione è arbitraria, illegale e deve cessare”. L’assalto dei militari israeliani è avvenuto in acque internazionali a 40 miglia nautiche dalle coste di Gaza nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2025, quindi si configura come l’ennesimo crimine commesso da Israele nel totale disprezzo del diritto internazionale. I 21 membri della Freedom Flottilla sono stati rapiti e incarcerati. Gli è stata data la possibilità di essere rimpatriati subito firmando un documento precompilato, ma alcuni di loro non hanno accettato e sono ancora detenuti in attesa di processo per l’espulsione forzata, in teoria dopo 72 ore e dopo avere subito un processo per direttissima con l’accusa paradossale di “immigrazione clandestina”: sulla base di questa accusa fantasiosa lo Stato d’Israele non sarebbe mai dovuto nascere! Antonio Mazzeo, uno dei due italiani che ha scelto di tornare immediatamente in Italia, dopo aver risposto alle domande tipiche dei media mainstream (“Come ti hanno trattato?”, “Dove stanno gli altri membri dell’equipaggio?”, oppure “Quando verranno rilasciati?”, ecc. ecc.) tentando ogni volta di riportare il discorso sulla situazione tragica di Gaza, sui massacri, sul genocidio e sulle complicità dei governi “occidentali”, primo fra tutti quello più fedele a asservito alla coppia USA-Israele, l’Italia, si è soffermato su uno degli aspetti più emozionanti che aveva in serbo la missione. Antonio, parlaci dei giocattoli e dell’obiettivo di portare questi regali, simbolo di unione tra i bambini di Siracusa e Gallipoli (l’ultima tappa prima di prendere il largo verso le coste palestinesi) e i loro fratelli, ancora oggi sotto le bombe a Gaza Il fatto stesso che la nave si chiamasse Handala, un personaggio dei fumetti con cui sono cresciute intere generazioni di giovani palestinesi, conteneva un messaggio particolare. Non eravamo una delle tante navi umanitarie che hanno tentato di forzare il blocco, ma una nave pensata principalmente per il suo rapporto con i bambini. La nave si è “arricchita”, a dimostrazione di quanto fosse stato colto questo segnale, nelle due soste a Siracusa e a Gallipoli, dove è stata visitata da centinaia di bambini e bambine. Volevano vedere proprio la nave Handala, quella che portava gli aiuti ai loro amichetti di Gaza! Tutti sentivano il bisogno di portare qualcosa, in questo caso bambolotti, peluche e giocattoli. La cosa più bella e commovente è avvenuta la mattina dell’arrivo ad Ashdod. Stava albeggiando, eravamo tutti sdraiati sul ponte e mi sono accorto che ognuno di noi dormiva abbracciato a uno dei peluche con cui avevamo navigato in quegli ultimi 10 giorni. Eppure stiamo parlando di persone dai 70 anni e più, sino ai 25! Anch’io ho portato con me un souvenir dall’Handala, uno di quei bambolotti. Ecco, forse questa è la cosa più bella, il segnale più bello, perché probabilmente tra i bambini del mondo, ma anche tra quei bambini a cui l’umanità viene negata, i bambini di Gaza, il luogo più disumanizzato e più disumanizzante che esista, c’è ancora lo stesso bisogno di protezione e di dolcezza. I bambini avrebbero potuto vedere una nave che portava degli aiuti, ma soprattutto i regalini dei loro cuginetti dall’altra parte del Mediterraneo. Allora, questo sì che è un segno di speranza anche per le nostre giovani generazioni. Questa situazione, la strage per fame e oggi il genocidio per fame a Gaza, mi fa venire in mente soltanto un’altra vicenda storica, dei primi anni ’60, dopo l’indipendenza della Nigeria: in quegli anni in Biafra morivano migliaia e migliaia di bambini, come oggi, ma con la differenza che sono passati 60 anni e questi fatti si ripetono ancora. Inoltre all’epoca si trattava di una sorta di guerra civile tutta svolta all’interno di uno Stato, mentre oggi assistiamo a uno Stato che sta occupando e facendo morire di malnutrizione i cittadini di un altro Stato. Antonio, ti porto i ringraziamenti di Nancy Hamad*, la studentessa laureanda in economia con cui sono in contatto direttamente da Gaza. Quando le ho raccontato di questa iniziativa mi ha chiesto di dirti quanto questo supporto morale sia fondamentale per loro. Grazie a voi! * Per leggere le corrispondenze e conoscere la vicenda di Nancy Hamad di Gaza, vai ai nostri articoli pubblicati su Pressenza: articolo1 – articolo2 – articolo3 Stefano Bertoldi
L’esercito israeliano ha attaccato Handala in acque internazionali e rapito 21 civili disarmati
La Freedom Flotilla Coalition conferma che la nave civile Handala, in navigazione per rompere l’illegale e genocida blocco imposto da Israele alla popolazione palestinese di Gaza, è stata violentemente intercettata dalle forze militari israeliane in acque internazionali, a circa quaranta miglia nautiche dalla costa. Alle ore 11:43 (ora palestinese), le forze di occupazione hanno disattivato le telecamere a bordo della Handala e ogni comunicazione con l’equipaggio è stata interrotta. La nave, disarmata e impegnata in una missione umanitaria, trasportava beni di prima necessità destinati alla popolazione civile: latte in polvere per neonati, pannolini, alimenti e medicinali. L’intero carico era di natura civile e non militare, destinato alla distribuzione diretta a una popolazione stremata dalla fame indotta e dal collasso sanitario provocato dal blocco. A bordo della Handala si trovavano 21 civili provenienti da 12 Paesi, tra cui parlamentari, avvocatə, giornalistə, sindacalisti, ambientalisti e difensorə dei diritti umani. L’equipaggio comprende: Stati Uniti: Christian Smalls (fondatore dell’Amazon Labor Union), Huwaida Arraf (avvocata per i diritti umani, Palestina/USA), Jacob Berger (attivista ebreo-americano), Bob Suberi (veterano di guerra ebreo statunitense), Braedon Peluso (attivista e marinaio), Frank Romano (avvocato internazionale e attore, Francia/USA). Francia: Emma Fourreau (eurodeputata e attivista, Francia/Svezia), Gabrielle Cathala (parlamentare ed ex operatrice umanitaria), Justine Kempf (infermiera di Médecins du Monde), Ange Sahuquet (ingegnere e attivista per i diritti umani). Italia: Antonio Mazzeo (insegnante, ricercatore per la pace e giornalista), Antonio “Tony” La Picirella (attivista per la giustizia climatica e sociale). Spagna: Santiago González Vallejo (economista e attivista), Sergio Toribio (ingegnere e ambientalista). Australia: Robert Martin (attivista per i diritti umani), Tania “Tan” Safi (giornalista e attivista di origini libanesi). Norvegia: Vigdis Bjorvand (attivista per la giustizia di 70 anni). Regno Unito / Francia: Chloé Fiona Ludden (ex funzionaria ONU e scienziata). Tunisia: Hatem Aouini (sindacalista e attivista internazionalista). A bordo come giornalisti: Marocco: Mohamed El Bakkali (giornalista senior di Al Jazeera, con base a Parigi). Iraq / Stati Uniti: Waad Al Musa (cameraman e reporter di campo per Al Jazeera). Poco prima dell’arrembaggio, l’equipaggio della Handala aveva annunciato che, in caso di detenzione, avrebbe intrapreso uno sciopero della fame e rifiutato ogni forma di cibo dalle forze di occupazione israeliane. L’attacco alla Handala rappresenta il terzo atto di aggressione israeliana contro missioni civili della Freedom Flotilla nel solo 2025. A maggio, un drone ha bombardato la nave civile Conscience in acque europee, ferendo quattro persone e mettendo fuori uso l’imbarcazione. A giugno, la nave Madleen è stata illegalmente sequestrata e dodici civili — tra cui un membro del Parlamento europeo — sono stati rapiti. Israele continua a ignorare le ordinanze vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia, che obbligano lo Stato occupante a facilitare l’accesso umanitario alla Striscia di Gaza. Gli attacchi contro missioni civili e pacifiche rappresentano una gravissima violazione del diritto internazionale. “Israele non ha alcuna autorità legale per detenere civili internazionali a bordo della Handala,” ha dichiarato Ann Wright, membro del comitato direttivo della Freedom Flotilla. “Non si tratta di una questione interna a Israele. Parliamo di cittadini stranieri che agivano nel rispetto del diritto internazionale e si trovavano in acque internazionali. La loro detenzione è arbitraria, illegittima, e deve cessare immediatamente.” Appello alla mobilitazione civile: facciamo sentire la nostra voce Chiediamo con forza ai Ministri degli Esteri, alle ambasciate e alle autorità consolari dei Paesi coinvolti di attivarsi subito per la liberazione immediata delle persone rapite e per la condanna pubblica di questo atto vile, illegale e intimidatorio da parte delle forze di occupazione israeliane. Invitiamo la cittadinanza a mobilitarsi ovunque: * Scriviamo ai ministri e alle ambasciate * Tempestiamo di email i rappresentanti politici * Contattiamo la stampa, i giornalisti, le ONG * Riempiamo i social di messaggi di denuncia Ogni minuto di silenzio è complicità. È il momento di agire, dal basso, con forza e dignità. La legalità non può essere sospesa ancora una volta quando si tratta di Palestina. La libertà di Gaza passa anche dal mare. Noi non ci fermeremo: continueremo a salpare fino a che la Palestina sarà libera. Inviare mail a: Ministro degli Esteri Antonio Tajani: segreteria.ministro@esteri.it Ambasciata d’Italia a Tel Aviv: amb.telaviv@esteri.it Unità di crisi Farnesina (per tutela cittadini all’estero): unita.crisi@esteri.it Redazione Italia
Freedom Flotilla Coalition in diretta su Instagram: unire le lotte per porre fine al genocidio
Huwaida Arraf, organizzatrice della Freedom Flotilla Coalition e avvocato internazionale, e Chris Smalls, fondatore ed ex presidente dell’Amazon Labour Union, a bordo dell’Handala, saranno raggiunti dal corrispondente di Al Jazeera e membro del Sindacato dei giornalisti palestinesi Hani Abuishaiba, direttamente da Gaza. In diretta su Instagram – 25 luglio, ore 17 CET https://instagram.com/gazafreedomflotilla/ Dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, la famosa scrittrice palestinese Susan Abulhawa e il poeta Saul Williams aggiungono le loro voci a questo urgente dialogo globale e discutono le connessioni tra le diverse lotte e i legami di solidarietà che le uniscono. Insieme esploreranno le profonde connessioni tra la liberazione globale, dalla Palestina agli Stati Uniti, e il motivo per cui la solidarietà internazionale non è mai stata così urgente.   Redazione Italia
La nave Handala della Freedom Flottilla Coalition è salpata dal porto di Siracusa
Handala è salpata domenica 13 luglio alle ore 12.30, dal porto di Siracusa in Sicilia. Il vento espero soffiava da Ovest e nonostante le preoccupazioni della crew le manovre di partenza sono state fatte senza problemi. La nave a motore costruita in Norvegia nel 1968 è diretta a Gaza carica di baby formula e protesi per parti del corpo amputate al popolo Palestinese dalle IDF. La nave farà uno scalo di tre giorni a Gallipoli, in Puglia, anche per raccogliere il supporto della prima regione d’Italia a interrompere i rapporti con Israele. Mohammed Mustafa, dottore volontario nella striscia riafferma l’efficacia dell’Handala, non solo come speranza per il popolo Palestinese, ma soprattutto come operazione di sensibilizzazione, di raccolta d’informazione al fine di controllare la narrazione tramite i media. Stiamo assistendo ad un genocidio live e l’equipaggio dell’Handala sta mettendo il proprio corpo in vicinanza alla sofferenza palestinese per riportare da vicino la crudeltà del governo sionista israeliano. Nei dieci giorni di navigazione gli occhi del mondo saranno puntati sulla Handala, Israele ha chiuso le acque internazionali, la speranza non è tanto che arrivi quella barca, ma che ne arrivino a migliaia, che la gente non smetta nemmeno per un attimo di pensare ed agire per la Palestina, boicottando le aziende come la Leonardo s.p.a, citata da Antonio prima della partenza della barca e soverchiando un governo che supporta finanziariamente il genocidio. Vittoria Antonioli Arduini Redazione Italia
Liberi gli ultimi tre volontari della Madleen
Tutti i volontari della Madleen sono usciti di prigione e stanno tornando a casa dopo la loro detenzione illegale da parte di Israele. Vi invitiamo a continuare a mobilitarvi! La Freedom Flotilla Coalition conferma che tutti i difensori dei diritti umani e i giornalisti internazionali che si trovavano a bordo della nave di aiuti civili Madleen stanno tornando a casa. I dodici sono stati rapiti e detenuti con la forza dall’esercito israeliano mentre cercavano di rompere l’assedio illegale e disumano di Israele su Gaza e di portare aiuti umanitari alla popolazione assediata. Gli ultimi tre volontari della Freedom Flotilla Marco van Rennes, Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi sono stati rilasciati la mattina del 16 giugno dalla detenzione israeliana e hanno iniziato il loro ritorno in patria attraverso il confine giordano. Le rispettive ambasciate faciliteranno il loro rientro dalla Giordania. Ringraziamo Adalah, il Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele, per aver rappresentato con forza e professionalità questi detenuti e invitiamo i nostri sostenitori in tutto il mondo a unirsi a noi per donare fondi a sostegno del loro importante lavoro. Questa missione si è svolta mentre i palestinesi di Gaza affrontavano la più devastante campagna di pulizia etnica e genocidio della storia recente. Il blocco israeliano di Gaza, che dura da quasi due decenni, è stato ripetutamente giudicato una violazione del diritto internazionale, anche nel rapporto della Missione d’inchiesta delle Nazioni Unite del 2009 e in numerose analisi giuridiche successive. Nel 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha ritenuto plausibile che Israele stesse commettendo un genocidio a Gaza e ha emanato misure provvisorie vincolanti per impedire tali atti. Nonostante ciò, il blocco letale di Israele continua con il pieno appoggio di Stati Uniti, Unione Europea e altri governi complici. La missione Madleen fa parte di uno sforzo della società civile durato 17 anni per affrontare, sfidare e rompere il blocco illegale di Gaza da parte di Israele. Sulla base dei precedenti, sapevamo che i rischi – tra cui attacchi, lesioni e persino la morte – erano elevati, ma crediamo che il costo dell’inazione sia più alto. Il nostro obiettivo è rompere l’assedio, non simbolicamente, ma materialmente e politicamente, il che richiede la mobilitazione non solo della società civile ma anche dei governi. In questo senso, questa missione è riuscita a riaccendere la consapevolezza, la speranza e l’immaginazione globale attraverso il potere della solidarietà tra le persone e dell’azione diretta. Non ci fermeremo e invitiamo il mondo a unirsi a noi. La nostra missione ha cercato di superare l’affanno dei media e di ricordare al mondo che Gaza rimane sotto un blocco illegale. Il silenzio internazionale non è neutralità, è complicità. I palestinesi hanno il diritto di vivere in dignità, libertà e giustizia e di ricevere aiuti, tutto ciò di cui hanno bisogno, senza il controllo della potenza occupante illegale. Siamo grati per la solidarietà della gente con la nostra missione, con i nostri volontari e, soprattutto, con il popolo palestinese di Gaza, affamato e assediato. Vi chiediamo di continuare a mobilitarvi, di tenere d’occhio gli annunci della nostra prossima azione contro il blocco e di far volare la vostra solidarietà. Continueremo a navigare finché il blocco non sarà rotto, il genocidio non avrà fine e la Palestina sarà libera, dal fiume al mare. Freedom Flotilla Coalition   Pressenza IPA
Tre volontari della Freedom Flotilla ancora in carcere. Adalah chiede che vengano liberati e possano partire dalla Giordania
La Freedom Flotilla Coalition denuncia su X la situazione degli ultimi tre volontari rimasti in Israele. Con l’attacco di Israele all’Iran, gli aeroporti sono stati chiusi e i tre membri della Madleen rimasti, i francesi Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi e l’olandese Marco van Rennes potrebbero rimanere per oltre un mese nella prigione di Givon. Si tratta di una detenzione illegale, che fa parte delle continue violazioni del diritto internazionale compiute da Israele. Sono detenuti in condizioni disumane, con una sola ora di luce al giorno e gravi infezioni cutanee dovute a infestazioni di cimici nei letti.  Non sono prigionieri, ma ostaggi. Tutti e tre dovevano essere rilasciati e tornare dalle loro famiglie il 13 giugno. I governi francese e olandese devono trovare percorsi alternativi per riportare a casa i loro cittadini. L’organizzazione per i diritti umani Adalah chiede il loro rilascio immediato e la partenza attraverso la Giordania, dato che i voli da Amman sono ripresi oggi.     Redazione Italia
Break the siege on Gaza by sea, by land, by air. Freedom Flotilla Coalition, Global March to Gaza e Sumud Caravan uniscono le forze
Le iniziative della Freedom Flotilla Coalition sono svolte all’insegna del motto Break the siege on Gaza (Rompiamo l’assedio di Gaza) e sostenute dai coordinatori delle due mobilitazioni, la Global March to Gaza e la Sumud Caravan, che puntano a convergere al valico di Rafah. Insieme, i gruppi di attivisti dichiarano: «La carovana di Sumud, la Global March to Gaza e la Freedom Flotilla Coalition stanno unendo le forze in un’azione comune, urgente e determinata. Abbiamo costituito un Comitato di coordinamento internazionale per sostenere e rafforzare le iniziative della società civile che, in questo mese di giugno, attraversano frontiere e barriere per portare speranza, solidarietà e resistenza alla popolazione palestinese. Chi non può intervenire fisicamente, può contribuire da casa, diffondendo e condividendo i messaggi di libertà, giustizia sociale e resistenza che derivano dalle azioni in corso». Gli attivisti di 54 nazioni si stanno radunando al Cairo per attraversare il deserto. Purtroppo, come raccontato in questo articolo, molti attivisti arrivati per partecipare alla Global March to Gaza sono stati fermati all’aeroporto del Cairo. Nel frattempo i coordinatori di Freedom Flotilla Coalition stanno intervenendo in ogni sede giudiziaria e diplomatica per ottenere il rilascio incondizionato degli 8 membri dell’equipaggio e passeggeri della Madleen imprigionati nelle carceri di Israele e a cui è stata ingiunta l’espulsione, prevista in esecuzione nelle giornate di oggi, mercoledì 12, e domani, giovedì 13 giugno. Le partenze infatti sono state pianificate prevedendo il trasferimento prima, mercoledì 12, di Rima Hassan e Reva Viard a Parigi, Suayb Ordu e Yasemin Acar a Berlino e Thiago Avila a Madrid e poi, giovedì 13, di Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi in Francia e di Marco van Rennes ad Amsterdam. Ma Yasemin Acar e Thiago Avila, referenti di Freedom Flotilla Coalition e coordinatori della missione della Madleen, nel frattempo separati dai compagni, condotti in altre carceri e sottoposti a un regime detentivo più restrittivo, prima di partire vorrebbero incontrare tutti i membri del gruppo, perciò si sta aspettando la risposta delle autorità israeliane alla loro richiesta. In queste ore la Freedom Flotilla Coalition ha diramato i messaggi scritti da Marco van Rennes, Pascal Maurieras e dal giornalista Yanis Mhamdi e sta cercando di ottenere, anche con il supporto delle associazioni e delle organizzazioni umanitarie e della autorità giudiziarie internazionali, che a Israele sia imposta la restituzione del carico di cibo e medicinali imbarcato nella nave diretta a Gaza e la revoca dell’ingiunzione, rivolta alle persone che erano a bordo della Madleen, che le bandisce dallo Stato israeliano, impedendo così loro anche di entrare nei territori palestinesi occupati dai coloni e dall’esercito israeliano. La flotta umanitaria che aggrega i volontari impegnati a soccorrere la popolazione di Gaza chiede a tutti di sostenere il suo impegno firmando la lettera Formal Notice Regarding the Civilian Humanitarian Vessel Madleen and the Legal Obligations of the State of Israel Under International Law indirizzata a numerosi funzionari dell’ONU ed esponenti del governo israeliano e l’appello ALL EYES ON DECK – Demand An Independent Investigation into the Attacks on the ‘Conscience’ and an End to Israel’s Blockade of Gaza con cui si propone di raccogliere almeno, possibilmente più di 51˙200 firme. Attualmente è arrivata a 43 mila. Informazioni e adesioni : BREAK THE SIEGE ON GAZA: BY SEA, BY LAND, BY AIR   Maddalena Brunasti
Attivisti della Madleen arrestati in Israele: 4 rilasciati ed espulsi e 6 detenuti
Alle 14:30 di oggi, martedì 10 giugno, la Freedom Flotilla Coalition ha diffuso la notizia che alcuni membri del gruppo sono stati rilasciati ed espulsi da Israele e altri sono ancora imprigionati nel carcere di Ramla e verranno giudicati da un tribunale israeliano. A tutti i 12 catturati a bordo della Madleen era stata offerta l’opzione di firmare il consenso all’espulsione immediata, o di venire trattenuti in Israele per essere sottoposti al processo in merito all’accusa loro rivolta dalle autorità dello Stato, cioè di essere entrati illegalmente nella sua giurisdizione. Eppure l’imbarcazione battente bandiera inglese che era diretta a Gaza per consegnare un carico di cibo e medicinali è stata assaltata e sequestrata dalla Marina Militare israeliana mentre navigava nelle acque internazionali del Mediterraneo. A testimoniarlo è anche Francesca Albanese, giurista specializzata in diritto internazionale e diritti umani e relatrice all’ONU sulle condizioni dei palestinesi nei “territori occupati”, che proprio mentre la nave veniva assalita stava conversando al telefono con il comandante e ha dettagliatamente riferito dei fatti accaduti sulla Madleen nella dichiarazione video-registrata che la  Freedom Flotilla Coalition ha divulgato su Facebook. Poi la Madleen è stata condotta al porto di Ashdod, dove gli attivisti sono stati arrestati e trasferiti al carcere di Ramla; nella mattinata del 10 giugno le autorità israeliane li hanno informati che sarebbero stati rilasciati non appena avessero accettato l’immediata espulsione. I referenti della Freedom Flotilla Coalition hanno suggerito ai detenuti di acconsentire e, una volta liberati, far sapere all’opinione pubblica cosa era loro accaduto. A seguire le indicazioni della FFC sono stati Omar Faiad, cittadino francese e corrispondente di Al Jazeera, la svedese Greta Thunberg, il francese Baptiste Andre, il turco Suayb Ordu e lo spagnolo Sergio Toribio. «Affermando che la legge israeliana non si applica a loro, che la loro missione era di natura umanitaria e che sia l’intercettazione dell’imbarcazione che la loro detenzione sono illegali, tutti hanno esplicitamente ed espressamente contestato per iscritto l’accusa di ingresso illegale nei confini dello Stato israeliano», ha riferito FFC nel comunicato stampa diramato nel pomeriggio. Invece i francesi Rima Hassan, Pascal Maurieras e Reva Viard, la tedesca Yasemin Acar, il brasiliano Thiago Avila, l’olandese Mark van Rennes e il giornalista francese Yanis Mhamdi hanno preferito non accettare le condizioni offerte dalla polizia israeliana. «I detenuti sono in attesa del processo – spiega il comunicato di FFC. <<Tranne il giornalista, assistito dai legati della casa editrice, il team di avvocati che li rappresenta sosterrà che l’intercettazione e il sequestro della Madleen sono stati illegali e che l’arresto e la detenzione delle persone a bordo sono azioni arbitrarie. Inoltre rivendicherà che tutti i detenuti devono essere rilasciati senza espulsione e che ai rilasciati debba esser permesso tornare sulla Madleen per proseguire a svolgere la loro legittima missione a Gaza. Ma il tribunale in cui verrà discussa la loro causa sicuramente propenderà a ordinare la loro espulsione forzata. Conosciamo bene il sistema giuridico israeliano e sappiamo che funziona principalmente per legittimare e consolidare la colonizzazione, l’occupazione e l’apartheid – dichiara contestualmente FFC, fornendo dati che lo confermano – Secondo Addameer Prisoner Support and Human Rights Association, al 4 giugno 2025 nelle prigioni israeliane erano detenuti oltre 10˙400 palestinesi, di cui più di 400 bambini e più di 3˙500 trattenuti senza essere stati sottoposti a processo o senza che siano state convalidate le accuse del loro arresto». Oltre a partecipando alle manifestazioni di solidarietà nei confronti degli attivisti che erano a bordo della Madleen e sono imprigionati nelle carceri israeliane, tutti possono aderire alla petizione ALL EYES ON DECK che Freedom Flotilla Coalition promuove dal maggio scorso, dopo l’attacco alla Conscience. Per raggiungere o superare l’obiettivo della raccolta di 51˙200 firme ne mancano ancora duemila circa. Maddalena Brunasti