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Palermo, movimento pro-Pal in corteo condanna il blocco navale sionista
Manifestazione spontanea blocca il traffico in centro dopo l’intercettazione delle navi della Freedom Flotilla e della Thousand Madleens. “Di nuovo in strada – recita uno dei tanti commenti pubblicati sui social – per rompere le complicità con l’economia di guerra e per mandare a casa tutti i governi alleati del sionismo, che tagliano le spese sociali per dirottarli alle spese militari”_   Dopo l’ennesimo atto di pirateria consumato dalla marina militare sionista, messo a segno con l’assalto compiuto – nelle prime ore dell’alba nella giornata di ieri – ai danni della nave Conscience, la principale della Freedom flotilla coalition, insieme ad altre otto imbarcazioni della spedizione Thousand Madleens, il movimento panormita si è ritrovato in serata ancora in piazza a manifestare, dapprima con un presidio davanti la sede della Prefettura, per denunciare l’assordante silenzio di cui è complice il governo italiano: di fronte a  “questa politica che si macchia di crimini contro l’umanità – si scrive in un altro post FB – non possiamo stare a guardare. La nostra risposta deve essere la continuazione della mobilitazione popolare, nelle piazze e davanti ai palazzi del potere”. Ricordiamo che l’operazione d’attacco è scattata attorno alle 4.00 del mattino, a 120 miglia nautiche circa dalle coste palestinesi. Quindi il blocco navale sarebbe avvenuto in acque internazionali, benché Israele considera la zona sottoposta alla sua giurisdizione: ben otto navi della marina militare appoggiate da una squadriglia di elicotteri hanno avuto ragione delle barche della missione umanitaria transnazionale (22 paesi coinvolti fra cui l’Italia con sei partecipanti) che trasportavano, oltre le 18 tonnellate di aiuti umanitari per Gaza, un nutrito numero di personale sanitario medico-infermieristico, nonché giornalisti e attivisti, per un totale complessivo di 250 persone, trascinati verso il porto di Ashdod e che ora rischiano le stesse sorti della Global Simud Flotilla. La gran massa di giovani palermitani, che ha animato successivamente il corteo spontaneo e pacifico, protestavano contro l’inerzia, se non la complicità passiva del governo-Meloni, di fronte alla ennesimo violazioni  del diritto internazionale che ha visto attaccare impunemente in acque internazionali una missione umanitaria e disarmata: “Non condanna, non agisce. Si limita a ‘seguire la situazione’ e a parlare di ‘assistenza consolare’, come se si trattasse di uno smarrimento bagaglio e non di un sequestro di persona”. Per la cronaca bisogna dire che in questi giorni – così come hanno ripreso tutti i mass media – è stata presentata (sostenuta da più di 35mila cittadini) formale denuncia innanzi alla CPI – Corte Penale Internazionale avverso il governo italiano (primo ministro e i ministri della difesa e degli esteri), unitamente all’AD della Leonardo Spa, Roberto Cingolani. La base su cui poggia l’azione legale internazionale è l’articolo 15 dello Statuto di Roma, il trattato costitutivo della succennata CPI, con il quale si permette agli stati membri, alle agenzie ONU, alle organizzazioni internazionali e non governative, e alle cosidette «fonte affidabile» (ritenute tali dalla Corte), “di presentare deposizioni in cui viene chiesto al procuratore generale di indagare su una questione (anche una che la Corte sta già prendendo in considerazione)”. Ad avviso dei proponenti dell’azione legale, così come hanno sottolineato diverse testate: « il governo italiano lo avrebbe fatto dando sostegno politico al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, non esprimendosi contro le sue politiche e legittimando il blocco navale imposto da Israele». Inoltre è stata segnalata la mancata tutela dei nostri cittadini e degli stessi attivisti internazionali, impegnati nella missione della Flotilla. Toni Casano
Gli avvocati di Adalah denunciano il trattamento brutale riservato agli attivisti delle flottiglie
Nella serata di mercoledì 8 ottobre, e per tutta la notte, gli avvocati di Adalah hanno fornito assistenza legale a circa 100 dei 145 partecipanti della Freedom Flotilla Coalition e della Thousand Madleens to Gaza, le cui imbarcazioni sono state intercettate illegalmente in acque internazionali dalla Marina israeliana, mentre si dirigevano verso Gaza nelle prime ore di mercoledì. Le navi sono state trainate fino al porto di Ashdod. Dopo le procedure di identificazione e interrogatorio, la maggior parte dei partecipanti – come già accaduto per la Global Sumud Flotilla – è stata trasferita nella prigione di Ketziot, tristemente nota per le sue condizioni dure e per i trattamenti abusivi. Tre partecipanti con cittadinanza israeliana sono stati portati a un interrogatorio dalla polizia: restano attualmente in stato di detenzione e dovrebbero comparire oggi in tribunale. Secondo le prime informazioni, alcuni parlamentari turchi sarebbero stati deportati tra la tarda notte di mercoledì e le prime ore di giovedì. Adalah sta verificando la notizia con le autorità israeliane. Numerosi partecipanti della flottiglia hanno denunciato maltrattamenti fisici, umiliazioni e trattamenti disumani durante e dopo l’intercettazione: – calci, schiaffi, strattoni ai capelli e prese violente da parte dei soldati; – obbligo di rimanere per ore in ginocchio, con la testa bassa e le mani legate dietro la schiena, o seduti sulle ginocchia sotto il sole; – insulti, derisioni e coercizioni psicologiche, compreso l’essere costretti a ripetere frasi degradanti, come dichiarazioni d’amore per Israele o di disprezzo verso il proprio Paese. Le udienze dei tribunali sono previste per oggi, giovedì 9 ottobre. Le persone con cittadinanza israeliana compariranno al tribunale di Ashkelon. Aggiornamento Gli avvocati di Adalah si trovano attualmente alla prigione di Ketziot e presso il tribunale per assistere alle udienze, visitare i partecipanti e richiedere l’accesso ai cinque membri ancora detenuti della Global Sumud Flotilla. Questa mattina, 9 ottobre 2025, gli avvocati di Adalah hanno partecipato a oltre 50 udienze presso il tribunale interno alla prigione di Ktzi’ot, dove sono detenuti numerosi partecipanti alla missione della Freedom Flotilla. Gli avvocati hanno potuto anche visitare diversi altri prigionieri, continuando a ricevere segnalazioni di comportamenti aggressivi e violenti da parte delle autorità israeliane, sia durante che dopo l’intercettazione illegale delle imbarcazioni. Le condizioni di detenzione restano estremamente precarie: accesso limitato all’acqua potabile e, in alcuni casi, maltrattamenti fisici e verbali. Le udienze sono iniziate senza la presenza degli avvocati difensori e, al momento, più di 20 persone tra i detenuti non hanno ancora potuto incontrare i propri legali, in palese violazione del diritto di difesa. Diversi partecipanti, tra cui parlamentari di vari Paesi, sono già stati deportati (immunità parlamentare ndt). Adalah ha inoltre rappresentato oggi davanti al Tribunale della Magistratura di Ashkelon tre partecipanti con cittadinanza israeliana (alcuni con doppia nazionalità), arrestati e interrogati con l’accusa di “infiltrazione in area militare non autorizzata”. Le autorità avevano richiesto un’estensione della detenzione per altri sette giorni, ma il tribunale ha proposto il rilascio con condizioni restrittive: divieto di ingresso a Gaza per sei mesi, obbligo di presentarsi agli interrogatori su convocazione e una cauzione sospesa di 4.000 NIS (circa 1.060 euro) ciascuno. I detenuti hanno rifiutato di firmare tali condizioni arbitrarie, basate su accuse false, poiché sono stati di fatto rapiti in acque internazionali, a circa 120 miglia nautiche da Gaza. L’applicazione di questa legge in tali circostanze non ha alcun fondamento legale, nemmeno secondo la legislazione israeliana. In base al diritto internazionale, i partecipanti avevano pieno diritto di dirigersi verso Gaza, e la loro detenzione continua rappresenta una grave violazione dei diritti umani fondamentali. Adalah presenterà ricorso contro questa decisione nelle prossime ore.   Redazione Italia
Studenti e insegnanti alla mobilitazione dell’8 ottobre: tante voci in un coro unanime
Mentre si diffondeva il manifesto dei dirigenti scolastici, a Casale Monferrato si svolgeva un incontro pubblico sul tema LA MILITARIZZAZIONE DELLA SCUOLA E DELLA SOCIETÀ e tra gli striscioni esposti al presidio di Novara spiccava uno con scritto SOLDI ALLA SCUOLA, NON ALLA GUERRA. Intanto, si prepara la mobilitazione globale SINDACATI PER LA PACE, organizzata in concomitanza con la SETTIMANA PER IL DISARMO. “Dopo la recente repressione, in acque internazionali, della missione civile e umanitaria della Flotilla, riteniamo sia giunto il momento di dare pubblicamente voce al nostro sdegno – è proclamato nel documento, firmato da 250 dirigenti scolastici campani e aperto all’adesione di tutti gli altri di tutta Italia – Perché a Gaza sta morendo l’Occidente con la sua civiltà. Perché le ragioni dell’umano prevalgano sempre sulla barbarie, continueremo a lavorare nelle scuole che dirigiamo promuovendo innanzitutto lo sviluppo del pensiero critico e l’educazione alla cittadinanza attiva”. A Napoli gli studenti hanno occupato tre isitituti e il manifesto elaborato dai dirigenti delle scuole campane fa eco alla protesta dei giovani affermando che la scuola italiana la scuola “trova nella Costituzione il suo faro e i suoi valori di riferimento”, che il proprio lavoro li impegna a formare persone “consapevoli, capaci di leggere il presente e comprendere la complessità del mondo, persone che non perdano mai la speranza nella nostra umanità” e “che non perdano la fiducia nella conoscenza e nella democrazia e siano in grado di schierarsi a favore dei diritti, della dignità umana e della pace”. Di queste responsabilità degli educatori e dei docenti nel presente l’8 ottobre hanno parlato le torinesi Alessandra Alberti, referente della Rete Università per la Pace e dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e rappresentante del sindacato di base CUB Scuola Università e Ricerca, e Maria Teresa Silvestrini, insegnante di scienze umane e filosofia all’Istituto Einstein di Torino e referente della Scuola per la Pace, intervenendo all’incontro pubblico svolto a Casale Monferrato (AL) sul tema LA MILITARIZZAZIONE DELLA SCUOLA E DELLA SOCIETÀ, prima del ciclo di 6 conferenze nel programma di attività esperienziali, didattiche e formative PACIF I CARE : COSTRUIRE PERCORSI DI SOLUZIONE DEI CONFLITTI. Casale Monferrato, AL / 8 OTTOBRE 2025 – Mirella Ruo, Maria Teresa Silvestrini e Alessandra Alberti al tavolo della conferenza Contemporaneamente, a Novara nel presidio di sostegno per gli equipaggi della Freedom Flotilla Coalition sequestrati dalla marina militare israeliana in violazione dei principi e delle norme di diritto internazionale veniva esposto lo striscione con scritto SOLDI ALLA SCUOLA, NON ALLA GUERRA. E l’8 ottobre alle sedi locali della CGIL veniva recapitata la lettera del segretario generale, Maurizio Landini, per la partecipazione degli italiani allo sciopero del 25 ottobre prossimo e, dal 24 al 31 ottobre, alla settimana di mobilitazione globale SINDACATI PER LA PACE indetta, in occasione della Settimana ONU per il disarmo, dall’ITUC CSI IGB / International Trade Unions Confederation che aggrega 340 rappresentanze nazionali e 191 MILIONI di lavoratori di 169 stati. MANIFESTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI Le sottoscrizioni al possono venire inviate alla casella di posta elettronica dspergaza@libero.it * Gaza, 250 presidi campani firmano contro il genocidio: “Sta morendo la civiltà dell’Occidente” / IL FATTO QUOTIDIANO – 7 OTTOBRE 2025 * Gaza, protesta nelle scuole a Napoli e duecento presidi firmano per la Palestina / LA REPUBBLICA – 7 OTTOBRE 2025   “La militarizzazione della scuola e della società”, conferenza a Casale Monferrato / PRESSENZA – 7 OTTOBRE 2025   ‘Democrazia al Lavoro’: piattaforma manifestazione nazionale 25 ottobre 2025 / CGIL – 8 OTTOBRE 2025 La CGIL aderisce alla campagna del sindacato mondiale “Unions for Peace” – Mobilitazione globale dal 24 al 31 ottobre 2025 / CGIL – 8 OTTOBRE 2025   Maddalena Brunasti
L’esercito israeliano ha attaccato la Flottiglia in acque internazionali a 120 miglia nautiche (220 km) da Gaza
La Freedom Flotilla Coalition (FFC) e Thousand Madleens to Gaza (TMTG) confermano che le imbarcazioni in viaggio verso Gaza sono state intercettate e illegalmente attaccate dall’esercito israeliano alle 04:34, a 120 miglia nautiche (220 km) da Gaza, in acque internazionali. Gli equipaggi disarmati, composti principalmente da medici, giornalisti e rappresentanti parlamentari, sono stati rapiti, sottoposti a sequestro di persona, insieme a 18 tonnellate di aiuti umanitari presenti sulla Conscience, tra cui medicinali, apparecchiature respiratorie e forniture alimentari destinate agli ospedali di Gaza, ormai allo stremo. “Israele non ha alcuna autorità legale per detenere volontari internazionali a bordo di queste navi”, ha dichiarato David Heap, membro della Canadian Boat to Gaza e del Comitato di Coordinamento della Freedom Flotilla Coalition. “Questo sequestro viola apertamente il diritto internazionale e sfida le ordinanze vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia, che impongono un accesso umanitario senza ostacoli a Gaza. I nostri volontari non sono soggetti alla giurisdizione israeliana e non possono essere criminalizzati per aver consegnato aiuti o contestato un blocco illegale. La loro detenzione è arbitraria, illegittima e deve terminare immediatamente.” Questo nuovo attacco segue il sequestro illegale e la detenzione arbitraria delle persone a bordo delle navi della Global Sumud Flotilla, e le precedenti Handala e Madleen, oltre all’attacco con droni israeliani contro la nave Conscience, avvenuto all’inizio dell’anno nelle acque europee, che aveva lasciato l’imbarcazione in fiamme e fuori uso. Questi attacchi ripetuti contro civili disarmati dimostrano la volontà deliberata di Israele di intensificare la violenza e la totale incapacità dei governi di far rispettare il diritto internazionale. Israele continua ad agire nell’impunità più assoluta, violando le ordinanze vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia che impongono il libero passaggio degli aiuti umanitari verso Gaza, ignorando le leggi internazionali che tutelano la navigazione civile e disprezzando le richieste di milioni di persone nel mondo che invocano la fine dell’assedio illegale e del genocidio in corso. La Freedom Flotilla Coalition e Thousand Madleens to Gaza chiedono: La fine immediata del blocco illegale e mortale imposto alla Striscia di Gaza; La fine del genocidio israeliano contro la popolazione di Gaza; Il rilascio immediato di tutti i volontari rapiti; La consegna diretta e immediata degli aiuti umanitari ai palestinesi; La piena responsabilità e condanna per gli attacchi militari contro le imbarcazioni della flottiglia. Redazione Italia
Freedom Flotilla e Thousand Madleens verso Gaza per rompere l’assedio israeliano
Una nuova flotta umanitaria si avvicina a Gaza: la missione congiunta di Freedom Flotilla Coalition, che da 18 anni sfida il blocco navale imposto da Israele, e di Thousand Madleens con 120 persone, fra cui 92 tra medici, infermieri e soccorritori. Sono 11 in totale le imbarcazioni in mare, attualmente in acque internazionali, all’altezza della città egiziana di Alessandria, decise a rompere l’assedio israeliano. 11 nuove barche della Freedom Flotilla cariche di medicine stanno navigando nel Mediterraneo, ormai prossime alle coste di Gaza, decise a rompere l’assedio israeliano. Novanta medici, infermieri, operatori sanitari, tra cui sei italiani, sono a bordo di quello che loro stessi hanno definito “un ospedale galleggiante pieno di farmaci”. Una vera e propria seconda ondata della Freedom Flotilla Coalition, coordinata con Thousand Madleens, sempre con lo stesso scopo umanitario, ma mirata proprio a portare aiuto sanitario a una popolazione che rischia di morire anche per una banale infezione. “Se Israele arresterà professionisti della sanità protetti dalle convenzioni internazionali, i governi dei loro Paesi non potranno non intervenire con maggiore forza rispetto a quanto fatto con la Sumud” hanno detto.  E il motivo è che i medici non possono essere arrestati nell’esercizio delle proprie funzioni, secondo la Convenzione di Ginevra. Ma abbiamo già visto quanto vale il diritto internazionale per il governo criminale di Netanyahu. A loro, a tutti i medici, infermieri, operatori sanitari, va tutta la nostra gratitudine per quello che stanno facendo. Chi pensava che sarebbe bastato abbordare la Global Sumud Flotilla per fermarli, non ha capito il senso profondo della Flotilla e quello che ha risvegliato. Se esiste ancora un barlume di umanità, è in questi scatoloni, su quelle barche. Radio Onda d’Urto ha sentito Laura, dall’imbarcazione Leïla Khaled della Thousand Madleens to Gaza. Ascolta o scarica. L’8 ottobre tutti mobilitati per Gaza e per la seconda ondata delle flotillas. Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre, le imbarcazioni della missione Thousand Madleens to Gazala assieme alla nave Conscience della Freedom Flotilla Coalition, dirette verso la Striscia di Gaza, entreranno nella zona rossa. Le imbarcazioni sono partite dai porti italiani di Catania e Otranto, con a bordo centinaia di attivisti, volontari, operatori sanitari e tonnellate di aiuti umanitari.       Osservatorio Repressione
Una nuova flottiglia di dieci navi salpa per rompere il blocco di Gaza
Il Comitato Internazionale per Rompere l’Assedio di Gaza ha annunciato sabato 27 settembre il lancio di una nuova ondata di imbarcazioni verso Gaza. La flottiglia comprende dieci imbarcazioni civili in partenza dal porto di San Giovanni li Coti a Catania. La flottiglia comprende circa 70 attivisti di oltre 20 nazionalità, età e background diversi, tra cui nove parlamentari eletti da Paesi europei e dagli Stati Uniti, che sostengono la richiesta di porre fine al blocco illegale israeliano su Gaza. Il comitato ha sottolineato in un comunicato stampa che questo passo arriva in un momento in cui l’aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza continua da quasi due anni, attraverso bombardamenti, carestia e uccisioni deliberate di bambini e civili, prendendo di mira giornalisti, personale medico e ospedali, e il ripetuto sfollamento di famiglie. Tutto questo avviene nel silenzio globale e con la complicità di governi che continuano ad armare Israele e a proteggerlo dalle sue responsabilità. Il comitato ha sottolineato che questa nuova ondata è un’estensione delle marce delle navi “Madeleine” e “Handala” e delle decine di imbarcazioni varate dalla Freedom Flotilla Coalition negli ultimi 15 anni, nonché delle barche della “Global Sumud Flotilla”, che sono state ripetutamente attaccate in acque internazionali dalle forze di occupazione. La flottiglia comprende volontari e rappresentanti provenienti da Francia, Irlanda, Belgio, Danimarca, Spagna e Stati Uniti, oltre a personalità della cultura e dei diritti umani, in particolare: * Farida Al Amrani: sindacalista e politica francese di origine marocchina, parlamentare dal 2022  di La France Insoumise. * Melissa Camara: parlamentare europea (Verdi/ALE, Francia), attivista per le questioni ambientali e di giustizia sociale. * Alma Dufour: parlamentare francese (dal 2022 – France Insoumise), con una lunga storia di attivismo ambientale e sociale. * Barry Heneghan (Barra Ó hÉanaíchain): membro indipendente del Parlamento irlandese per la Baia di Dublino Nord dal 2024. * Jimena González: accademica e politica spagnola del partito Más Madrid, eletta nel 2023. * Bénédicte Liénard: membro del Parlamento per la Vallonia ed ex Ministro dell’Infanzia, della Salute, della Cultura, dei Media e dei Diritti delle Donne nella Comunità Francofona del Belgio. * Ellen Reid: membro del Parlamento per lo Stato americano del New Hampshire, in rappresentanza di Newmarket. * Victoria Velásquez: membro del Parlamento danese (Alleanza Rosso-Verde), relatrice sulle questioni dell’immigrazione e sostenitrice della giustizia sociale. * Claude Girod: membro del movimento Via Campesina (presente in 81 Paesi), attivista contro gli accordi di libero scambio e sostenitore dell’agricoltura. * Pierre-Yves Dermagen: politico belga – Ministro dell’Economia e del Lavoro nel governo De Croo dal 2020 al 2025. * Karim Ali: co-fondatore della squadra ciclistica paraolimpica Gaza Sunbirds con Alaa Al-Dali – di Gaza, Palestina. * Youssef Souats: rapper, scrittore e produttore belga-algerino, vincitore della terza stagione di “Nouvelle École”. * Assa Traoré: importante attivista franco-maliana per la giustizia razziale, leader della “Commissione Verità e Giustizia per Adama Traoré” Fonte:  AjyaL Radio Network-ARN Redazione Italia
Global Strike for Gaza: ogni giovedì, in tutto il mondo
Proposta da una giovane palestinese testimone dell’assedio e del genocidio, la settimanale astensione dal fare acquisti e transazioni finanziarie viene promossa da molte organizzazioni e associazioni di tante nazioni. In Italia è stata ‘rilanciata’ dalla delegazione nazionale del Global Movement To Gaza formato dalla coalizione che aggrega alcuni partecipanti alla Global March to Gaza e alla Carovana Al-Samoud e gli equipaggi della Freedom Flottila, tutti insieme cooperanti anche nella missione della GDF / Global Sumud Flottilla in partenza il 30 AGOSTO dalla Spagna e il 4 SETTEMBRE dalla Tunisia e altri porti nel Mediterraneo. L’obiettivo del Global Strike for Gaza (sciopero globale per gaza) è di coinvolgere quante più persone possibile ad astenersi dal fare acquisti un giorno alla settimana – il giovedì – per far sentire il peso del dissenso. L’iniziativa ha lo scopo di attirare l’attenzione dei media, così dei politici, sul genocidio dei palestinesi e la carestia a Gaza. Il primo giovedì di sciopero globale è stato indetto per il 21 AGOSTO scorso, una delle tre giornate – giovedì 22, venerdì 23 e domenica 24 agosto – dal movimento Hamas indicate per la mobilitazione de “i popoli liberi del mondo e le nazioni arabe e islamiche” in segno di solidarietà della popolazione di Gaza. L’idea del Global Strike for Gaza è stata concepita dalla 27enne Bisan Owda, che ha presentato la proposta in un video-messaggio di tre minuti. Bisan Owda è nata e cresciuta a Beit Hanun, una cittadina al centro di un territorio rurale nell’area a nord-est della Striscia di Gaza fino al 2023 popolata da 35˙000 abitanti da dove 2005 Hamas aveva lanciato i razzi qassam che colpirono insediamenti e centri urbani israeliani nel Negev e in cui nella notte dell’8 novembre 2006 avvenne la strage di Beit Hanun, dopo il 7 ottobre 2023 uno dei primi bersagli degli attacchi dell’esercito israeliano. Nell’ottobre del 2023 la sua città veniva evacuata e Bisan Owda e i suoi familiari furono trasferiti a Gaza City, prima alloggiati all’ospedale Al-Shifa e poi in un’abitazione nel quartiere di Rimal, in seguito distrutta… Una cooperante ad alcuni progetti dell’UE sul cambiamento climatico, anche una EU Goodwill Ambassador, e un membro dell’UN Women’s Youth Gender Innovation Agora Forum, Bisan Owda nell’estate del 2023 aveva realizzato un programma televisivo, intitolato Hakawatia, trasmesso dall’emittente giordana Roya TV. Come nella primavera 2021, durante il conflitto armato combattuto tra Hamas e Israele dal 6 al 21 maggio di quell’anno, Bisan Owda dall’ottobre 2023 utilizza il proprio account Instagram per divulgare foto e video che documentano la realtà nella Striscia di Gaza. Da un anno i suoi reportage vengono pubblicati da Al Jazeera Media Network in una serie di video, intitolata It’s Bisan from Gaza and I’m Still Alive (Qui Bisan da Gaza, ancora viva), che a maggio 2024 è stata insignita di un Peabody Award e a luglio 2024 è stata candidata per l’assegnazione degli Emmy Awards. Sfruttando questa notorietà per dare visibilità su media e social-media a un’iniziativa che mobilita i cittadini di ogni nazione del mondo, Bisan Owda ha proposto il Global Strike for Gaza: «Facciamo quello che gli fa più male: fermare l’economia», spiega nel presentare lo sciopero che tutti possono praticare facilmente ovunque, semplicemente astenendosi dal fare acquisti e transazioni finanziarie. “Se anche solo il 5% dei consumatori per un giorno non fa nessun acquisto, globalmente la contrazione delle spese ammonterebbe di circa 2-2,5 miliardi di dollari – precisa FANRIVISTA riportando le analisi del collettivo inglese Humanti Project – Un importo di tali dimensioni verrebbe notato dagli economisti. Se l’azione viene ripetuta il suo impatto si moltiplica, i media se ne accorgeranno e nemmeno i politici lo potranno ignorare”. Maddalena Brunasti
L’Università di Calabria per la Palestina
Riceviamo e diffondiamo dall’Università della Calabria Nei giorni scorsi abbiamo elaborato il testo della seguente mozione di ferma condanna del genocidio israeliano in Palestina, approvato e adottato dal Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed ecologia dell’Università della Calabria. Adesso vorremmo trasformarlo in un appello aperto alla sottoscrizione di chiunque lo condivida, a partire dalle persone con cui collaboriamo e che stimiamo. Riportiamo il testo dell’appello al seguente  collegamento alla pagina contenente il modulo per la sottoscrizione. Il Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed ecologia dell’Università della Calabria condanna fermamente il genocidio in atto in Palestina. Lo Stato di Israele sta commettendo sotto i nostri occhi un orrendo genocidio nei confronti della popolazione palestinese, e diffondendo deliberatamente il seme della guerra per tutto il Medio Oriente. Le radici e gli arbusti infestanti di questo amarissimo seme stanno già estendendosi per tutto il mondo, e presto produrranno i più velenosi frutti, di cui saremo tutti costretti a mangiare. Per questo, come docenti del Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed ecologia, riteniamo che sia assolutamente: urgente pretendere che Israele cessi immediatamente i massacri e gli attacchi che sta sistematicamente portando avanti a Gaza, in Palestina e in Medio Oriente, e revochi gli effetti di molti decenni di politiche e pratiche coloniali di aggressione, occupazione, sfruttamento, depredazione, inferiorizzazione e disumanizzazione della popolazione palestinese; urgente pretendere che le istituzioni pubbliche italiane e tutti gli altri attori nazionali e locali si uniscano nella più ferma condanna a queste atrocità, e concretamente adoperino le più pronte, efficaci ed estese misure di pressione e sanzione delle politiche israeliane, a cominciare dalla messa al bando delle vili attività di produzione e commercio di armamenti, così come di qualunque altro rapporto di collaborazione o servizio complice, indifferente o di natura semplicemente non umanitaria, con Israele; urgente che il nostro Ateneo, e auspicabilmente tutti gli altri, recedano immediatamente e in modo definitivo da tutti i partenariati e gli accordi di ricerca con aziende e istituzioni direttamente o indirettamente coinvolte nella produzione e fornitura di armamenti e tecnologie militari utilizzati nell’aggressione contro il popolo palestinese e mediorientale. Mantenere tali legami significa, in ultima analisi, rendersi complici di un abominio; urgente che tutte le persone che in Università studiano e lavorano si organizzino per contribuire a creare e diffondere consapevolezza del terrificante genocidio in atto, e si attivino per incidere, attraverso proteste e iniziative efficaci e concrete, sul corso della storia che sembra precipitare verso l’abominio abissale di una nuova grande guerra. Ciò che sta avvenendo a Gaza e in Medio Oriente, in assenza di un movimento generalizzato e forte di trasformazione e protesta, ben presto toccherà in sorte a noi stessi e al mondo intero. Seguendo i criteri di calcolo adottati da uno studio pubblicato da The Lancet nel gennaio scorso, sarebbero quasi 100 mila le persone uccise dalla cieca violenza delle Forze sioniste di “Difesa” israeliane nella sola Gaza, considerando soltanto gli ultimi 22 mesi; di queste, il 60% sarebbero donne e bambini. Come documentano le inequivocabili immagini, testimonianze e denunce in circolazione, migliaia sono le vittime di vili bombardamenti scientemente diretti contro le folle di persone radunate in attesa della ripartizione dei pochissimi aiuti umanitari distribuiti dalla complice ONG israelo-statunitense denominata Gaza Humanitarian Foundation. L’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza è peraltro sistematicamente bloccato dal governo israeliano, in violazione del diritto umanitario internazionale. Queste pratiche criminali messe in atto dallo Stato di Israele usano la cooperazione come dispositivo di guerra – nel solco di un preciso programma di collaborazione tra i settori della cooperazione internazionale e gli apparati militari, da tempo invalso anche in ambito NATO, sotto il nome di CIMIC (Civil-Military Cooperation) e di una tendenza più ampia alla militarizzazione degli aiuti. Tali operazioni di guerra sono compiute in una regione-carcere, qual è la Striscia di Gaza, che è stata trasformata in un vero e proprio campo di concentramento e sterminio a cielo aperto, la cui popolazione è ridotta in condizioni estreme di fame e deprivazione pressoché assolute. Le atrocità commesse dall’esercito israeliano, per altro, non uccidono soltanto i loro bersagli intenzionali e diretti: il numero altissimo di suicidi registrato tra i soldati israeliani impegnati in queste sanguinarie operazioni, infatti, è solo uno dei tanti, tragici, indici di disumanizzazione sistematica e generalizzata che le istituzioni pubbliche guidate e coordinate dal criminale di guerra Benjamin Netanyahu stanno determinando anche negli animi dei loro perpetratori. D’altronde, la foga guerrafondaia e sterminatrice dello Stato israeliano, non si limita a Gaza. Negli ultimi mesi, infatti, si sono intensificate e ulteriormente estese le ciniche e barbare pratiche di saccheggio compiute dall’occupazione sionista a danno della popolazione palestinese anche al di fuori della Striscia. Mentre gli occhi sono giustamente puntati su Gaza, privata di servizi di base, cibo e acqua, in Cisgiordania si assiste a dinamiche di violenza crescente da parte dei coloni per l’accaparramento sistematico di terre e a raid condotti dall’esercito israeliano con l’obiettivo di smantellare quel residuo di sovranità alimentare e i mezzi di sussistenza (come le sementi delle comunità palestinesi). Le Forze israeliane stanno muovendo guerra anche ai territori della Siria, del Libano, dell’Iran, dello Yemen, per un totale di 35 mila attacchi registrati negli ultimi 20 mesi – secondo i dati dell’Armed Conflict Location and Event Data Project. Tale circostanza non è affatto inopinata, d’altronde: lo Stato di Israele è un cuore nero che pompa veleno e morte da ormai quasi un secolo per i territori della Palestina e dell’intero Medio Oriente; esso è la coda impazzita del progetto colonialista e imperialista occidentale che, di fatto, gli Stati Uniti d’America e le élite delle principali potenze europee ancora accompagnano, sostengono e talvolta, letteralmente, commissionano e guidano in quella regione. A fronte di questa terrificante situazione e nonostante la persistente criminalizzazione delle proteste, aumentano le iniziative di mobilitazione sociale contro la guerra e a supporto del popolo palestinese in tutto il mondo: manifestazioni e cortei, appelli internazionali, campagne di boicottaggio, carovane e tentativi di ingresso nella Striscia di Gaza per portare aiuti e solidarietà. Tra queste azioni, la Freedom Flotilla Coalition ha organizzato due missioni navali nel corso di questa estate per cercare di raggiungere la costa di Gaza e recapitarvi aiuti umanitari, quali cibo, farmaci e giocattoli, destinati soprattutto a feriti, infermi, donne, affamati, bambini. In entrambi i casi, le due navi – la Madleen il 9 giugno, e la Handala il 26 luglio – hanno subito veri e propri atti di “pirateria” da parte delle Forze israeliane, essendo state bloccate e violentemente abbordate in acque internazionali – in spregio alle fondamentali regole del diritto di navigazione, oltreché del senso d’umanità. Le imbarcazioni e il loro carico di aiuti sono state, quindi, sequestrate, e i loro equipaggi – composti rispettivamente da 12 e 21 persone, provenienti da molti Paesi del mondo – sono stati “rapiti”, più o meno lungamente trattenuti, in qualche caso anche brutalmente malmenati e, finalmente, espulsi con la ridicola e infondata accusa di immigrazione irregolare. A bordo della Handala si trovava anche Antonio Mazzeo: docente, giornalista e ricercatore impegnato e militante delle battaglie anti-militariste, pacifiste e del movimento No Ponte, che in più occasioni ha generosamente contribuito alle attività sia del Corso di Laurea magistrale in Cooperazione e sviluppo e del Dottorato in Politica, Cultura e Sviluppo, sia delle iniziative dei movimenti studenteschi e cittadini gravitanti attorno all’Università della Calabria, tenendo seminari sempre molto partecipati e di grande spessore scientifico, morale e politico. Nostro preciso dovere etico e politico, osservando e vivendo la storia da questa particolare parte della Terra, è di prendere posizione rispetto a questo sistema e a questa tradizione a cui Luciano Canfora ha dato il nome di “modo di produzione bellico”, visto che d’esso ne siamo allo stesso tempo vittime minori e soggettività che ne sono, in certa misura, anche beneficiate e complici. Testimoni della sua persistenza, perseveranza e nuova pervasività, noi dobbiamo scegliere da quale parte stare di questa “storia”: se obbedirle e contribuire, quindi, a moltiplicare lo sterminio; o se disattenderla e cercare di interromperla, salvando noi stessi e gli altri. Valgano quindi da monito i versi di Isaac Munther, pastore luterano testimone dell’abominio genocida, pronunciati a Betlemme, nella notte di Natale del 2023: «Noi palestinesi ci risolleveremo,  l’abbiamo sempre fatto,  anche se questa volta sarà più difficile.  Non so voi, però,  voi che siete rimasti a guardare  mentre ci sterminavano.  Non so se potrete mai risollevarvi». (da “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”). Redazione Italia
Freedom Flotilla Coalition, intervista ad Antonio Mazzeo
Freedom Flotilla, la coalizione internazionale che associa cittadini comuni, attivisti e operatori umanitari, ha lo scopo di fare pressione sul governo israeliano affinché cessi l’assedio che dal ’48 perpetra ai danni del popolo palestinese, con alterne accelerazione dei soprusi nei loro confronti, sfociato nella creazione di Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Con la decisa sterzata a destra dell’ultimo ventennio, fino all’attuale coalizione governativa, ostaggio delle fazioni più oltranziste, conservatrici e islamofobe, l’assedio, frutto marcio di un colonialismo di insediamento, così come viene sistematizzato ed applicato al popolo palestinese secondo lo storico israeliano Ilan Pappé, si è addirittura trasformato in genocidio: uno sterminio in mondovisione dove le immagini e le cifre si rincorrono a suon di fake-news che negano la realtà dei fatti. Tornando alla Freedom Flotilla e al caso della nave Handala, l’obiettivo è quello di rompere il blocco illegale agli aiuti umanitari, entrando nell’unico corridoio, il porto di Gaza, che in teoria non richiederebbe il “permesso” del governo sionista perché, appunto, è territorio palestinese. Lo scopo più importante però è quello di aprire una breccia nel muro spietato dell’indifferenza, uno spiraglio di speranza contro il genocidio e su questo, come sempre, ci sono venuti in aiuto i bambini e le bambine della Sicilia e della Puglia con i loro giocattoli da consegnare ai loro fratellini gazawi. Pur non avendo l’autorità legale per assaltare la nave, rapirne l’equipaggio e poi detenerlo e deportarlo nel proprio territorio, Israele lo ha fatto compiendo un gesto terroristico, nonché un atto di guerra non dichiarato preventivamente: un attacco non provocato infatti  è considerato “crimine di guerra” (Art. 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Come ha dichiarato Ann Wright, membro del comitato direttivo della Freedom Flotilla, “non si tratta di una questione di giurisdizione interna israeliana. Si tratta di cittadini stranieri che operano secondo il diritto internazionale in acque internazionali. La loro detenzione è arbitraria, illegale e deve cessare”. L’assalto dei militari israeliani è avvenuto in acque internazionali a 40 miglia nautiche dalle coste di Gaza nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2025, quindi si configura come l’ennesimo crimine commesso da Israele nel totale disprezzo del diritto internazionale. I 21 membri della Freedom Flottilla sono stati rapiti e incarcerati. Gli è stata data la possibilità di essere rimpatriati subito firmando un documento precompilato, ma alcuni di loro non hanno accettato e sono ancora detenuti in attesa di processo per l’espulsione forzata, in teoria dopo 72 ore e dopo avere subito un processo per direttissima con l’accusa paradossale di “immigrazione clandestina”: sulla base di questa accusa fantasiosa lo Stato d’Israele non sarebbe mai dovuto nascere! Antonio Mazzeo, uno dei due italiani che ha scelto di tornare immediatamente in Italia, dopo aver risposto alle domande tipiche dei media mainstream (“Come ti hanno trattato?”, “Dove stanno gli altri membri dell’equipaggio?”, oppure “Quando verranno rilasciati?”, ecc. ecc.) tentando ogni volta di riportare il discorso sulla situazione tragica di Gaza, sui massacri, sul genocidio e sulle complicità dei governi “occidentali”, primo fra tutti quello più fedele a asservito alla coppia USA-Israele, l’Italia, si è soffermato su uno degli aspetti più emozionanti che aveva in serbo la missione. Antonio, parlaci dei giocattoli e dell’obiettivo di portare questi regali, simbolo di unione tra i bambini di Siracusa e Gallipoli (l’ultima tappa prima di prendere il largo verso le coste palestinesi) e i loro fratelli, ancora oggi sotto le bombe a Gaza Il fatto stesso che la nave si chiamasse Handala, un personaggio dei fumetti con cui sono cresciute intere generazioni di giovani palestinesi, conteneva un messaggio particolare. Non eravamo una delle tante navi umanitarie che hanno tentato di forzare il blocco, ma una nave pensata principalmente per il suo rapporto con i bambini. La nave si è “arricchita”, a dimostrazione di quanto fosse stato colto questo segnale, nelle due soste a Siracusa e a Gallipoli, dove è stata visitata da centinaia di bambini e bambine. Volevano vedere proprio la nave Handala, quella che portava gli aiuti ai loro amichetti di Gaza! Tutti sentivano il bisogno di portare qualcosa, in questo caso bambolotti, peluche e giocattoli. La cosa più bella e commovente è avvenuta la mattina dell’arrivo ad Ashdod. Stava albeggiando, eravamo tutti sdraiati sul ponte e mi sono accorto che ognuno di noi dormiva abbracciato a uno dei peluche con cui avevamo navigato in quegli ultimi 10 giorni. Eppure stiamo parlando di persone dai 70 anni e più, sino ai 25! Anch’io ho portato con me un souvenir dall’Handala, uno di quei bambolotti. Ecco, forse questa è la cosa più bella, il segnale più bello, perché probabilmente tra i bambini del mondo, ma anche tra quei bambini a cui l’umanità viene negata, i bambini di Gaza, il luogo più disumanizzato e più disumanizzante che esista, c’è ancora lo stesso bisogno di protezione e di dolcezza. I bambini avrebbero potuto vedere una nave che portava degli aiuti, ma soprattutto i regalini dei loro cuginetti dall’altra parte del Mediterraneo. Allora, questo sì che è un segno di speranza anche per le nostre giovani generazioni. Questa situazione, la strage per fame e oggi il genocidio per fame a Gaza, mi fa venire in mente soltanto un’altra vicenda storica, dei primi anni ’60, dopo l’indipendenza della Nigeria: in quegli anni in Biafra morivano migliaia e migliaia di bambini, come oggi, ma con la differenza che sono passati 60 anni e questi fatti si ripetono ancora. Inoltre all’epoca si trattava di una sorta di guerra civile tutta svolta all’interno di uno Stato, mentre oggi assistiamo a uno Stato che sta occupando e facendo morire di malnutrizione i cittadini di un altro Stato. Antonio, ti porto i ringraziamenti di Nancy Hamad*, la studentessa laureanda in economia con cui sono in contatto direttamente da Gaza. Quando le ho raccontato di questa iniziativa mi ha chiesto di dirti quanto questo supporto morale sia fondamentale per loro. Grazie a voi! * Per leggere le corrispondenze e conoscere la vicenda di Nancy Hamad di Gaza, vai ai nostri articoli pubblicati su Pressenza: articolo1 – articolo2 – articolo3 Stefano Bertoldi
L’esercito israeliano ha attaccato Handala in acque internazionali e rapito 21 civili disarmati
La Freedom Flotilla Coalition conferma che la nave civile Handala, in navigazione per rompere l’illegale e genocida blocco imposto da Israele alla popolazione palestinese di Gaza, è stata violentemente intercettata dalle forze militari israeliane in acque internazionali, a circa quaranta miglia nautiche dalla costa. Alle ore 11:43 (ora palestinese), le forze di occupazione hanno disattivato le telecamere a bordo della Handala e ogni comunicazione con l’equipaggio è stata interrotta. La nave, disarmata e impegnata in una missione umanitaria, trasportava beni di prima necessità destinati alla popolazione civile: latte in polvere per neonati, pannolini, alimenti e medicinali. L’intero carico era di natura civile e non militare, destinato alla distribuzione diretta a una popolazione stremata dalla fame indotta e dal collasso sanitario provocato dal blocco. A bordo della Handala si trovavano 21 civili provenienti da 12 Paesi, tra cui parlamentari, avvocatə, giornalistə, sindacalisti, ambientalisti e difensorə dei diritti umani. L’equipaggio comprende: Stati Uniti: Christian Smalls (fondatore dell’Amazon Labor Union), Huwaida Arraf (avvocata per i diritti umani, Palestina/USA), Jacob Berger (attivista ebreo-americano), Bob Suberi (veterano di guerra ebreo statunitense), Braedon Peluso (attivista e marinaio), Frank Romano (avvocato internazionale e attore, Francia/USA). Francia: Emma Fourreau (eurodeputata e attivista, Francia/Svezia), Gabrielle Cathala (parlamentare ed ex operatrice umanitaria), Justine Kempf (infermiera di Médecins du Monde), Ange Sahuquet (ingegnere e attivista per i diritti umani). Italia: Antonio Mazzeo (insegnante, ricercatore per la pace e giornalista), Antonio “Tony” La Picirella (attivista per la giustizia climatica e sociale). Spagna: Santiago González Vallejo (economista e attivista), Sergio Toribio (ingegnere e ambientalista). Australia: Robert Martin (attivista per i diritti umani), Tania “Tan” Safi (giornalista e attivista di origini libanesi). Norvegia: Vigdis Bjorvand (attivista per la giustizia di 70 anni). Regno Unito / Francia: Chloé Fiona Ludden (ex funzionaria ONU e scienziata). Tunisia: Hatem Aouini (sindacalista e attivista internazionalista). A bordo come giornalisti: Marocco: Mohamed El Bakkali (giornalista senior di Al Jazeera, con base a Parigi). Iraq / Stati Uniti: Waad Al Musa (cameraman e reporter di campo per Al Jazeera). Poco prima dell’arrembaggio, l’equipaggio della Handala aveva annunciato che, in caso di detenzione, avrebbe intrapreso uno sciopero della fame e rifiutato ogni forma di cibo dalle forze di occupazione israeliane. L’attacco alla Handala rappresenta il terzo atto di aggressione israeliana contro missioni civili della Freedom Flotilla nel solo 2025. A maggio, un drone ha bombardato la nave civile Conscience in acque europee, ferendo quattro persone e mettendo fuori uso l’imbarcazione. A giugno, la nave Madleen è stata illegalmente sequestrata e dodici civili — tra cui un membro del Parlamento europeo — sono stati rapiti. Israele continua a ignorare le ordinanze vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia, che obbligano lo Stato occupante a facilitare l’accesso umanitario alla Striscia di Gaza. Gli attacchi contro missioni civili e pacifiche rappresentano una gravissima violazione del diritto internazionale. “Israele non ha alcuna autorità legale per detenere civili internazionali a bordo della Handala,” ha dichiarato Ann Wright, membro del comitato direttivo della Freedom Flotilla. “Non si tratta di una questione interna a Israele. Parliamo di cittadini stranieri che agivano nel rispetto del diritto internazionale e si trovavano in acque internazionali. La loro detenzione è arbitraria, illegittima, e deve cessare immediatamente.” Appello alla mobilitazione civile: facciamo sentire la nostra voce Chiediamo con forza ai Ministri degli Esteri, alle ambasciate e alle autorità consolari dei Paesi coinvolti di attivarsi subito per la liberazione immediata delle persone rapite e per la condanna pubblica di questo atto vile, illegale e intimidatorio da parte delle forze di occupazione israeliane. Invitiamo la cittadinanza a mobilitarsi ovunque: * Scriviamo ai ministri e alle ambasciate * Tempestiamo di email i rappresentanti politici * Contattiamo la stampa, i giornalisti, le ONG * Riempiamo i social di messaggi di denuncia Ogni minuto di silenzio è complicità. È il momento di agire, dal basso, con forza e dignità. La legalità non può essere sospesa ancora una volta quando si tratta di Palestina. La libertà di Gaza passa anche dal mare. Noi non ci fermeremo: continueremo a salpare fino a che la Palestina sarà libera. Inviare mail a: Ministro degli Esteri Antonio Tajani: segreteria.ministro@esteri.it Ambasciata d’Italia a Tel Aviv: amb.telaviv@esteri.it Unità di crisi Farnesina (per tutela cittadini all’estero): unita.crisi@esteri.it Redazione Italia