L’Università di Calabria per la PalestinaRiceviamo e diffondiamo dall’Università della Calabria
Nei giorni scorsi abbiamo elaborato il testo della seguente mozione di ferma
condanna del genocidio israeliano in Palestina, approvato e adottato dal Corso
di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed ecologia dell’Università della
Calabria.
Adesso vorremmo trasformarlo in un appello aperto alla sottoscrizione di
chiunque lo condivida, a partire dalle persone con cui collaboriamo e che
stimiamo.
Riportiamo il testo dell’appello al seguente collegamento alla pagina
contenente il modulo per la sottoscrizione.
Il Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed
ecologia dell’Università della Calabria condanna fermamente il genocidio in atto
in Palestina.
Lo Stato di Israele sta commettendo sotto i nostri occhi un orrendo genocidio
nei confronti della popolazione palestinese, e diffondendo deliberatamente il
seme della guerra per tutto il Medio Oriente. Le radici e gli arbusti infestanti
di questo amarissimo seme stanno già estendendosi per tutto il mondo, e presto
produrranno i più velenosi frutti, di cui saremo tutti costretti a mangiare. Per
questo, come docenti del Corso di Laurea magistrale in Cooperazione, sviluppo ed
ecologia, riteniamo che sia assolutamente:
urgente pretendere che Israele cessi immediatamente i massacri e gli
attacchi che sta sistematicamente portando avanti a Gaza, in Palestina e in
Medio Oriente, e revochi gli effetti di molti decenni di politiche e pratiche
coloniali di aggressione, occupazione, sfruttamento, depredazione,
inferiorizzazione e disumanizzazione della popolazione palestinese;
urgente pretendere che le istituzioni pubbliche italiane e tutti gli altri
attori nazionali e locali si uniscano nella più ferma condanna a queste
atrocità, e concretamente adoperino le più pronte, efficaci ed estese misure di
pressione e sanzione delle politiche israeliane, a cominciare dalla messa al
bando delle vili attività di produzione e commercio di armamenti, così come di
qualunque altro rapporto di collaborazione o servizio complice, indifferente o
di natura semplicemente non umanitaria, con Israele;
urgente che il nostro Ateneo, e auspicabilmente tutti gli altri, recedano
immediatamente e in modo definitivo da tutti i partenariati e gli accordi di
ricerca con aziende e istituzioni direttamente o indirettamente coinvolte nella
produzione e fornitura di armamenti e tecnologie militari utilizzati
nell’aggressione contro il popolo palestinese e mediorientale. Mantenere tali
legami significa, in ultima analisi, rendersi complici di un abominio;
urgente che tutte le persone che in Università studiano e lavorano si
organizzino per contribuire a creare e diffondere consapevolezza del
terrificante genocidio in atto, e si attivino per incidere, attraverso proteste
e iniziative efficaci e concrete, sul corso della storia che sembra precipitare
verso l’abominio abissale di una nuova grande guerra. Ciò che sta avvenendo a
Gaza e in Medio Oriente, in assenza di un movimento generalizzato e forte di
trasformazione e protesta, ben presto toccherà in sorte a noi stessi e al mondo
intero.
Seguendo i criteri di calcolo adottati da uno studio pubblicato da The Lancet
nel gennaio scorso, sarebbero quasi 100 mila le persone uccise dalla cieca
violenza delle Forze sioniste di “Difesa” israeliane nella sola Gaza,
considerando soltanto gli ultimi 22 mesi; di queste, il 60% sarebbero donne e
bambini. Come documentano le inequivocabili immagini, testimonianze e denunce in
circolazione, migliaia sono le vittime di vili bombardamenti scientemente
diretti contro le folle di persone radunate in attesa della ripartizione dei
pochissimi aiuti umanitari distribuiti dalla complice ONG israelo-statunitense
denominata Gaza Humanitarian Foundation.
L’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza è peraltro
sistematicamente bloccato dal governo israeliano, in violazione del diritto
umanitario internazionale. Queste pratiche criminali messe in atto dallo Stato
di Israele usano la cooperazione come dispositivo di guerra – nel solco di un
preciso programma di collaborazione tra i settori della cooperazione
internazionale e gli apparati militari, da tempo invalso anche in ambito NATO,
sotto il nome di CIMIC (Civil-Military Cooperation) e di una tendenza più ampia
alla militarizzazione degli aiuti.
Tali operazioni di guerra sono compiute in una regione-carcere, qual è la
Striscia di Gaza, che è stata trasformata in un vero e proprio campo di
concentramento e sterminio a cielo aperto, la cui popolazione è ridotta in
condizioni estreme di fame e deprivazione pressoché assolute.
Le atrocità commesse dall’esercito israeliano, per altro, non uccidono soltanto
i loro bersagli intenzionali e diretti: il numero altissimo di suicidi
registrato tra i soldati israeliani impegnati in queste sanguinarie operazioni,
infatti, è solo uno dei tanti, tragici, indici di disumanizzazione sistematica e
generalizzata che le istituzioni pubbliche guidate e coordinate dal criminale di
guerra Benjamin Netanyahu stanno determinando anche negli animi dei loro
perpetratori.
D’altronde, la foga guerrafondaia e sterminatrice dello Stato israeliano, non si
limita a Gaza. Negli ultimi mesi, infatti, si sono intensificate e ulteriormente
estese le ciniche e barbare pratiche di saccheggio compiute dall’occupazione
sionista a danno della popolazione palestinese anche al di fuori della Striscia.
Mentre gli occhi sono giustamente puntati su Gaza, privata di servizi di base,
cibo e acqua, in Cisgiordania si assiste a dinamiche di violenza crescente da
parte dei coloni per l’accaparramento sistematico di terre e a raid condotti
dall’esercito israeliano con l’obiettivo di smantellare quel residuo di
sovranità alimentare e i mezzi di sussistenza (come le sementi delle comunità
palestinesi).
Le Forze israeliane stanno muovendo guerra anche ai territori della Siria, del
Libano, dell’Iran, dello Yemen, per un totale di 35 mila attacchi registrati
negli ultimi 20 mesi – secondo i dati dell’Armed Conflict Location and Event
Data Project. Tale circostanza non è affatto inopinata, d’altronde: lo Stato di
Israele è un cuore nero che pompa veleno e morte da ormai quasi un secolo per i
territori della Palestina e dell’intero Medio Oriente; esso è la coda impazzita
del progetto colonialista e imperialista occidentale che, di fatto, gli Stati
Uniti d’America e le élite delle principali potenze europee ancora accompagnano,
sostengono e talvolta, letteralmente, commissionano e guidano in quella regione.
A fronte di questa terrificante situazione e nonostante la persistente
criminalizzazione delle proteste, aumentano le iniziative di mobilitazione
sociale contro la guerra e a supporto del popolo palestinese in tutto il mondo:
manifestazioni e cortei, appelli internazionali, campagne di boicottaggio,
carovane e tentativi di ingresso nella Striscia di Gaza per portare aiuti e
solidarietà.
Tra queste azioni, la Freedom Flotilla Coalition ha organizzato due missioni
navali nel corso di questa estate per cercare di raggiungere la costa di Gaza e
recapitarvi aiuti umanitari, quali cibo, farmaci e giocattoli, destinati
soprattutto a feriti, infermi, donne, affamati, bambini. In entrambi i casi, le
due navi – la Madleen il 9 giugno, e la Handala il 26 luglio – hanno subito veri
e propri atti di “pirateria” da parte delle Forze israeliane, essendo state
bloccate e violentemente abbordate in acque internazionali – in spregio alle
fondamentali regole del diritto di navigazione, oltreché del senso d’umanità.
Le imbarcazioni e il loro carico di aiuti sono state, quindi, sequestrate, e i
loro equipaggi – composti rispettivamente da 12 e 21 persone, provenienti da
molti Paesi del mondo – sono stati “rapiti”, più o meno lungamente trattenuti,
in qualche caso anche brutalmente malmenati e, finalmente, espulsi con la
ridicola e infondata accusa di immigrazione irregolare.
A bordo della Handala si trovava anche Antonio Mazzeo: docente, giornalista e
ricercatore impegnato e militante delle battaglie anti-militariste, pacifiste e
del movimento No Ponte, che in più occasioni ha generosamente contribuito alle
attività sia del Corso di Laurea magistrale in Cooperazione e sviluppo e del
Dottorato in Politica, Cultura e Sviluppo, sia delle iniziative dei movimenti
studenteschi e cittadini gravitanti attorno all’Università della Calabria,
tenendo seminari sempre molto partecipati e di grande spessore scientifico,
morale e politico.
Nostro preciso dovere etico e politico, osservando e vivendo la storia da questa
particolare parte della Terra, è di prendere posizione rispetto a questo sistema
e a questa tradizione a cui Luciano Canfora ha dato il nome di “modo di
produzione bellico”, visto che d’esso ne siamo allo stesso tempo vittime minori
e soggettività che ne sono, in certa misura, anche beneficiate e complici.
Testimoni della sua persistenza, perseveranza e nuova pervasività, noi dobbiamo
scegliere da quale parte stare di questa “storia”: se obbedirle e contribuire,
quindi, a moltiplicare lo sterminio; o se disattenderla e cercare di
interromperla, salvando noi stessi e gli altri.
Valgano quindi da monito i versi di Isaac Munther, pastore luterano testimone
dell’abominio genocida, pronunciati a Betlemme, nella notte di Natale del 2023:
«Noi palestinesi ci risolleveremo,
l’abbiamo sempre fatto,
anche se questa volta sarà più difficile.
Non so voi, però,
voi che siete rimasti a guardare
mentre ci sterminavano.
Non so se potrete mai risollevarvi».
(da “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”).
Redazione Italia