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Se vuoi la pace…
Dieci azioni che le istituzioni locali possono mettere in campo contro la guerra. Uno: sostenere i percorsi di riconversione civile delle attività industriali legate alla produzione di armi. Due: istituire fondi, di concerto con i sindacati, per supportare i lavoratori che decidessero di fare obiezione di coscienza all’industria bellica. Tre: adottare codici etici war free per gli appalti pubblici, le sponsorizzazioni e le collaborazioni. Quattro: aderire alle campagne nazionali per il disarmo e l’economia di pace promuovendole sui territori. Cinque: sottoscrivere protocolli con gli Uffici scolastici regionali per arginare il processo di militarizzazione della formazione. Sei: promuovere e finanziare percorsi di educazione alla pace nelle scuole e di formazione alla nonviolenza per gli insegnanti. Sette: organizzare nei luoghi della memoria tragica della guerra – da Monte Sole a Sant’Anna di Stazzema – soggiorni estivi di training per la risoluzione nonviolenta dei conflitti con gruppi misti di ragazzi provenienti dai paesi in guerra. Otto: promuovere Scuole e Accademie di pace e ricerche sulla risoluzione nonviolenta dei conflitti in collaborazione con la Rete delle Università per la Pace. Nove: contribuire a costituire corridoi umanitari per i profughi dai paesi in guerra. Dieci: prevedere percorsi di supporto nell’accoglienza dei rifugiati. Il punto di partenza? Smettere di pensare che la guerra sia una follia e considerarla invece come una strategia razionalmente perseguita. Smettere di pensare la pace come mera assenza di guerra. “Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. Ci rendiamo sempre più conto che non si tratta solo di istituzioni politiche, nazionali o internazionali, ma è l’insieme delle istituzioni – educative, economiche, sociali – ad essere chiamato in causa”, è uno dei passaggi più significativi del discorso di papa Leone XIV nell’incontro dello scorso 30 maggio con i movimenti per la pace e il disarmo ad un anno dall’Arena di pace, voluta da papa Francesco a Verona. Affermazione che non solo ribalta l’obsoleto, falso e illusorio mantra del se vis pacem para bellum, del quale sono fanatici fondamentalisti i decisori nazionali e internazionali, e i loro chierici mediatici, ma riconduce alla responsabilità di tutti la costruzione di prassi di pace per il superamento dei sistema di guerra. Ed è di questi giorni anche l’inedito attivismo per la pace di diversi amministratori locali: dalla convocazione della Marcia Save Gaza, da Marzabotto a Monte Sole, significativamente nei luoghi dell’eccidio nazista, voluta dalla sindaca Valentina Cuppi per il prossimo 15 giugno, alle dichiarazioni di “interruzione delle relazioni istituzionali” con il governo israeliano espresse dai presidenti delle regioni Puglia, Michele Emiliano, ed Emilia Romagna, Michele De Pascale, seguiti da diversi sindaci dei rispettivi territori. Mentre parteciperemo alla marcia Save Gaza e vedremo come si declineranno concretamente i boicottaggi delle Regioni al governo genocida di Israele, è utile qui evidenziare il ruolo strutturale e continuativo che anche le istituzioni locali possono mettere in campo per preparare la pace, esattamente sui piani educativo, economico e sociale esplicitati da Prevost. Il punto di partenza è considerare la pace non come mera assenza di guerra (pace negativa), ma come costruzione delle condizioni per la sua preparazione e manutenzione (pace positiva). La degenerazione bellica dei conflitti è solo la punta dell’iceberg di un sistema di guerra che prepara e legittima questo esito: è il punto di esplosione di una lunga e articolata filiera di guerra. Rispetto alla quale se le Regioni e le altre istituzioni locali non possono fermare direttamente la violenza una volta avviata, possono invece contribuire attivamente a decostruirne la filiera, non sull’onda dell’emozione temporanea ma strutturalmente e culturalmente, ed a costruirne le alternative. Non solo, peraltro, nell’interesse generale della pace, ma anche di quello specifico dei propri cittadini, visti i numerosi tagli ai trasferimenti dallo Stato agli Enti Locali per alimentare le crescenti spese militari. Le azioni che le istituzioni locali possono mettere in campo, in modalità non occasionale ma continuativa, sono molte, sia a livello di Comuni che di Regioni e possono dare sostanza e coerenza alle diverse “deleghe alla pace” che si vanno diffondendo. Sul piano economico, per esempio, si possono monitorare le attività industriali che nei diversi distretti contribuiscono alla produzione, diretta o indiretta, di armi e sostenerne i percorsi di riconversione civile – ostacolandone quelli contrari – con l’istituzione di peace list virtuose e premianti; istituire fondi locali, di concerto con i sindacati, per supportare i lavoratori che decidessero di fare obiezione di coscienza all’industria bellica; adottare codici etici war free per gli appalti pubblici, le sponsorizzazioni e le collaborazioni, sotto qualunque forma. Oltre che aderire alle campagne nazionali per il disarmo e l’economia di pace, anziché per il riarmo e l’economia di guerra, promuovendole sui territori. E poi sono molte le azioni possibili e necessarie sui piani culturale e formativo. Per citarne solo alcune: sottoscrivere protocolli con gli Uffici scolastici regionali per arginare il processo di militarizzazione della formazione e, invece, promuovere e finanziare percorsi di educazione alla pace nelle scuole di ogni ordine e grado e di formazione alla nonviolenza per gli insegnanti; organizzare nei luoghi della memoria tragica della guerra del nostro Paese – da Monte Sole a Sant’Anna di Stazzema – soggiorni estivi di training per la risoluzione nonviolenta dei conflitti con gruppi misti di ragazzi provenienti dai paesi in guerra. Inoltre, Comuni e Regioni potrebbero farsi direttamente promotori di Scuole e Accademie di pace, anche in collaborazione con la Rete delle Università per la Pace (Runipace), per promuovere la ricerca e la formazione alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, su tutte le scale: dal locale all’internazionale. Infine, contribuire a costituire corridoi umanitari per i profughi dai paesi in guerra e strumenti di protezione delle vittime, prevedere percorsi di supporto nell’accoglienza dei rifugiati che ne portano il trauma, favorire nei territori esperienze di dialogo tra comunità originarie da paesi in conflitto armato e adoperarsi per il riconoscimento dello status di rifugiati ad obiettori di coscienza e disertori di tutti i fronti. Si tratta solo di alcuni, ma fondamentali, esempi di come le istituzioni locali, che volessero davvero mettere in campo non retoriche ma politiche attive di pace, potrebbero agire pratiche di nonviolenza secondo il nuovo principio, razionale, realistico e universale: se vuoi la pace, prepara la pace. Ovunque. Pubblicato su un blog del fattoquotidiano.it (qui con il consenso dell’autore che ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura)   Pasquale Pugliese
La logistica cambia il Sud. Un incontro pubblico a Galleria Toledo
La Logistica cambia il Sud: sfide e prospettive per i lavoratori Teatro Galleria Toledo, Via Concezione a Montecalvario 34, Napoli 9 giugno 2025, ore 16h00 Il sistema logistico italiano sta vivendo una profonda trasformazione. La crescente diffusione dell’e-commerce e la pervasiva “amazonificazione” del mercato hanno generato una pressione inedita sugli operatori nazionali. Dopo le mobilitazioni dei lavoratori nel Nord Italia e l’impatto della pandemia, il capitale logistico sta cercando nuove aree di espansione. L’attenzione si sposta verso territori “vergini”, caratterizzati da elevati tassi di disoccupazione giovanile e da una forte presenza di lavoro informale o sommerso, dove i diritti dei lavoratori vengono fortemente intaccati. Questa tendenza comincia a essere evidente nel Sud Italia, la nuova meta ambita dal capitale logistico, come dimostra la prima edizione del Salone della Logistica, Trasporto e Servizi, che si terrà a fine giugno presso la Mostra d’Oltremare a Napoli. L’evento mira a riunire istituzioni, operatori e imprese del settore per analizzare e programmare la crescita logistica sia nel Mezzogiorno che nell’intero bacino del Mediterraneo. Agli occhi di questi attori, il Sud appare come un terreno fertile e incontaminato, un’enorme zona economica speciale con scarso potere negoziale e una bassa sindacalizzazione. Si tratta di aree urbane che, negli ultimi vent’anni, hanno visto la dissoluzione del settore manifatturiero, passando rapidamente dalla fabbrica al magazzino, dallo stabilimento al centro distributivo, dall’impianto inquinante alla delivery station. L’idea di un Sud come terra vergine è in realtà più una speranza che un dato di fatto. Solo in Campania, negli ultimi anni, i lavoratori della catena logistica e del trasporto merci hanno avviato vertenze significative, spostando il conflitto da una dimensione meramente difensiva a una prettamente rivendicativa. Questi lavoratori, in prevalenza italiani, provenienti dall’hinterland e dalle periferie urbane, non solo sono riusciti in più occasioni a costringere le controparti a riconfigurare l’organizzazione del lavoro, ma hanno anche infranto il tabù del conflitto in un settore storicamente fondato sul ricatto, la precarietà e l’illegalità strutturale imposta dai datori di lavoro. Paradossalmente, a sindacalizzarsi sono stati proprio quei lavoratori che durante la pandemia venivano definiti “eroi”, al pari del personale sanitario; corteggiati e lusingati, ma allo stesso tempo iper-sfruttati, in quanto essenziali per il funzionamento del ciclo di produzione e consumo, proprio mentre le catene logistiche subivano interruzioni a fronte di un vertiginoso aumento della domanda. Le lotte di questi anni hanno svelato il meccanismo dei subappalti a cascata, un sistema che sfrutta le peculiarità del sistema cooperativo italiano. Si tratta di un modello piramidale di assunzione in cui la ditta committente scompare all’interno di un labirinto di appalti e subcontratti, privando i lavoratori dei diritti e delle tutele più elementari. Questa situazione è stata resa possibile anche dal sostanziale collaborazionismo del sindacalismo confederale, storicamente legato al mondo delle cooperative e da sempre sensibile al tema delle compatibilità capitalistiche. Alla luce di queste dinamiche, proponiamo un incontro, il 9 giugno alle 16, presso il teatro Galleria Toledo, in occasione del Salone della logistica, per aprire una riflessione comune sul percorso di lotta che il crescente movimento nel settore della logistica al Centro-Sud può intraprendere e consolidare. Sarà un momento di discussione collettiva, volto a elaborare nuove strategie d’azione, evitando gli errori del passato e contrastando chi, illudendosi, crede che il Sud sia solo un altro territorio da predare. L’obiettivo è capire come i lavoratori possano rispondere alle dinamiche in atto, consapevoli che la logistica in Italia rappresenta molto più di un semplice settore economico. Oggi la logistica è uno specchio in cui si riflettono le contraddizioni del sistema produttivo, gli effetti del decreto sicurezza, le anomalie delle relazioni sindacali e del mercato del lavoro. Le pratiche di esternalizzazione, la repressione dei diritti sindacali, lo sfruttamento sistematico, l’illegalità strutturale non sono semplici effetti collaterali, ma vere e proprie precondizioni per lo sviluppo di un modello economico che, pur crescendo in modo dinamico, ha amplificato le diseguaglianze e le fragilità strutturali. Al tempo stesso, questo modello non resta incontestato, ma ha generato e continuerà a generare resistenze e conflitti che, attingendo alle lotte del passato, devono affrontare le sfide del presente.
Antiterrorismo, conflitto sociale e fine della storia. Giovedì a Santa Fede Liberata
Sarà presentato giovedì 8 maggio, alle ore 18 a Santa Fede Liberata (via San Giovanni Maggiore Pignatelli, 2), il saggio di Elio Catania, Antiterrorismo. Conflitto sociale e “fine della storia” in Italia (1968.1922). L’autore discuterà del libro con Andrea Bottalico (Napoli Monitor).  Pubblichiamo a seguire un estratto del volume. *     *     * Terrorismo – o ciò che viene considerato tale – ed antiterrorismo rappresentano una coppia concettuale non separabile perché l’uno modella l’altro. Conflitto non convenzionale per definizione, nella “guerra al terrorismo” acquisisce vantaggio il combattente che riesce meglio a penetrare i meccanismi di pensiero dell’antagonista, così da riconoscerne l’ambiente d’origine e l’architettura della scelta che lo motiva. La dominante psicologica è centrale. In questa dinamica, diventa dirimente l’interpretazione che l’antiterrorismo dà del fenomeno che combatte. L’Italia visse però una situazione paradossale: l’anomalia comunista aveva mantenuto attuale sin dal dopoguerra l’antica questione schmittiana riguardante l’eccezione come essenza del potere sovrano; durante la strategia della tensione, il ricorso allo stragismo attribuito ad estrema sinistra e anarchici, voleva giustificare la proclamazione dello «stato di guerra interna», cercando in questo modo di portare all’approvazione di misure esplicitamente escluse dalla Costituzione. Con il declinare dell’eversione neofascista, anche grazie alla tenuta democratica della mobilitazione sociale che ne svelò la matrice bloccando possibili svolte golpiste, e l’affermarsi della lotta armata rivoluzionaria, tra il 1974 e il 1975, si affermò invece una categoria più sfumata del tradizionale stato di eccezione: l’emergenza. Questa categoria sorse dal linguaggio politico e giornalistico e soltanto in seguito si trasferì sul piano giuridico. L’emergenza non implicava la sospensione di tutte le garanzie costituzionali, ma solo di alcune e in modo limitato, ponendosi come misura temporanea, destinata a rientrare contestualmente al cessare del pericolo. In realtà, molte misure antiterroriste si riversarono in altre emergenze – la lotta alla mafia in particolare; alcune norme passarono direttamente nel nuovo Codice di procedura penale ma, soprattutto, entrarono nella cultura giuridica e si manifestarono pienamente in occasione delle successive inchieste rivolte contro l’estremismo politico e i movimenti radicali, così come in quelle sulla corruzione politica. L’Italia divenne un modello – assieme all’esperienza tedesco-occidentale e, in una certa misura, alla «scuola israeliana» – e ispirò una parte significativa delle convenzioni europee in materia di terrorismo. Il presente lavoro intende operare una storicizzazione del fenomeno della violenza politica e armata di sinistra partendo proprio dalla problematizzazione del suo contraltare: l’emergenza e l’antiterrorismo. Chiariamo: “conflitto” non coincide strettamente con “violenza”, così come “pacifico” non significa per forza “privo di scontro”. Il nostro discorso non vuole rimandare a una presunta “rivoluzione mancata”, rappresentata dalla stagione dei movimenti e dalla lotta armata di estrema sinistra: il contesto dell’epoca non era pre-insurrezionale e le interpretazioni rivoluzionarie del periodo rappresentarono, sotto troppi aspetti, un grande equivoco che portò a confondere opportunità e potenzialità, realtà e desiderata, percezioni e condizioni oggettive, finendo poi per destinarsi all’invisibilità politica e al mero, quanto drammatico, scontro militare con i reparti speciali antiguerriglia. Come ha detto bene Enzo Traverso nel suo bellissimo libro dedicato alla storia della rivoluzione negli ultimi due secoli: Durante il Novecento eravamo abituati a considerare vittorie e sconfitte come scontri militari: le rivoluzioni conquistavano il potere con le armi, le sconfitte prendevano la forma di colpi di Stato militari e dittature fasciste. La sconfitta che abbiamo subìto alla fine del Novecento, tuttavia, dev’essere misurata secondo criteri diversi […]. La sinistra ha completamente abbandonato il terreno in cui nel secolo scorso aveva accumulato notevole esperienza e ottenuto numerosi successi: la rivoluzione armata […] L’esperienza del comunismo novecentesco nelle sue diverse dimensioni – rivoluzione, regime, anticolonialismo, riformismo – si à esaurita. I movimenti anticapitalisti emersi negli ultimi anni non appartengono a nessuna delle tradizioni della sinistra del passato. Non hanno un albero genealogico […] Non sono una reazione contro il Novecento, ma incarnano qualcosa di nuovo. In quanto orfani, devono inventare la propria identità. Questa è a un tempo la loro forza, perché non sono prigionieri di modelli ereditati dal passato, e la loro debolezza, perché mancano di memoria. Sono nati in una tabula rasa e non hanno elaborato il passato. Ridare complessità alle storie di conflitto, lotta armata e antiterrorismo emersi a fine anni Sessanta, ma derivati da continuità di lungo periodo nello Stato e dai nodi irrisolti della modernizzazione in Italia, significa dunque riaprire la questione dell’agibilità e della prospettiva radicale nella storia e nella politica, rimettere in discussione la cultura delle classi dirigenti, riconoscere la possibilità di un diritto di contestazione e di pratica estremo da parte dei governati. Premessa necessaria a ogni possibile immaginazione irriducibilmente antagonista nei confronti dell’esistente. (elio catania)
Il seme sotto la neve. Un ciclo di seminari a Napoli
disegno di roberto c. Abbiamo organizzato a Napoli un ciclo di seminari dove il ragionamento sui metodi di inchiesta incontra i temi peculiari delle nostre ricerche. Ogni seminario si terrà fra maggio e giugno in via Broggia 11 a partire dalle 17:00. Lunedì 5 maggio Salvatore De Rosa si occuperà di lotte sul clima: “Clima, ambiente e movimenti: sfide aperte e metodi d’inchiesta”. Venerdì 16 maggio Michele Colucci terrà un incontro sulla storia dei flussi migratori: “Azioni politiche in contesti migratori: radici e prospettive”. Mercoledì 21 maggio Stefano Portelli rifletterà a partire dalle sue ricerche sugli sgomberi e i modi di abitare fra Roma e Ostia: “Il diritto di restare. Espulsioni e radicamento tra Roma e Ostia”.  Martedì 3 giugno Chiara Romano ragionerà sulla scuola: “Mutazioni e metodi di inchiesta nella scuola del digitale. Infine mercoledì 4 giugno Valerio Caruso e Giorgia Scognamiglio proporranno un ragionamento sulla giustizia ambientale: “Giustizia ambientale. Una ricerca sulle trasformazioni di Napoli est”.