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Roma, assemblea nazionale Contro i re e le loro guerre, per la convergenza e l’inclusione
Sabato 15 novembre centinaia di militanti provenienti da tutta Italia si sono riuniti in un’aula troppo piccola dell’Università la Sapienza, a Roma, allo scopo di rilanciare il movimento oceanico sceso in piazza dal 22 settembre all’8 ottobre in solidarietà con la Global Sumud Flotilla, con la Freedom Flotilla e con la decennale lotta del popolo palestinese. L’assemblea, ispirata nel nome al No Kings Day che il 18 ottobre ha visto manifestare 7 milioni di americani contro l’autoritarismo di Trump, è stata organizzata da centinaia di realtà sociali, dalla Rete No Dl Sicurezza al Global Movement to Gaza, dalla CGIL alla campagna Stop Rearm Europe, fino alla Rete No Bavaglio e ad Assopace Palestina. Foto di Luciano Cerasa Decine gli interventi in presenza (tra gli altri Luisa Morgantini, i lavoratori della ex Gkn, Marco Bersani, membri degli equipaggi di mare e di terra delle Flotille, Maia Issa del Movimento Studenti Palestinesi) e a distanza. Marica Di Pietro di A Sud si collega da Belém, in Brasile, dove si stanno svolgendo la COP30 e il Vertice dei Popoli, un giovane obiettore di coscienza della rete Mesarvot parla da Tel Aviv e Arab Barghouti, il figlio più giovane del leader palestinese Marwan Barghouti in un videomessaggio ringrazia per il sostegno al popolo palestinese e annuncia che il 29 novembre si rilancerà la campagna per la liberazione del padre e di tutti i prigionieri palestinesi. Maya Issa del Movimento Studenti Palestinesi https://pressingweb.altervista.org/ In diversi interventi si propone che la manifestazione nazionale del 29 novembre diventi un appuntamento fondamentale della convergenza dei vari movimenti che costituiscono questo movimento composito per la caduta del governo, per fermare la corsa al riarmo e alla guerra e per costruire dal basso un altro mondo radicalmente diverso e ancora possibile. E’ necessario attraversare tutte le iniziative, cercando unità e convergenza al di là delle sigle che le promuovono: gli scioperi generali del 28 novembre (USB) e 12 dicembre (CGIL) la manifestazione di Nonunadimeno contro la violenza di genere il 22 novembre a Roma e il 25 a livello locale, quella del 23 novembre contro la transfobia e la manifestazione a Bologna il 21 novembre contro la partita di pallacanestro con la squadra di Israele. La rappresentante di Magistratura Democratica chiede di attivare una mobilitazione per il No al referendum sulla separazione delle carriere, che intende smembrare il CSM e mettere la mordacchia all’autonomia della magistratura, lasciando campo libero allo strapotere dispotico e antidemocratico dell’esecutivo. Al termine dell’assemblea i partecipanti si uniscono al Climate Pride, convocato per difendere l’ambiente e il clima, per chiedere una vera transizione ecologica, per promuovere la pace e opporsi all’oppressione del popolo palestinese. Foto di Mauro Zanella Mauro Carlo Zanella
Attivisti per Gaza in Valtellina e Valchiavenna, la mobilitazione continua
Dopo quaranta giorni di presidi quotidiani in diversi Comuni della Valtellina e della Valchiavenna in appoggio a Gaza, alla Global Sumud Flotilla e alla Freedom Flotilla, gli attivisti si sono ritrovati sabato 25 ottobre a Ponte in Valtellina per chiudere una tappa e aprirne un’altra. Al posto delle “vele per Gaza” con il simbolo della GSF, restituite al club nautico che le aveva fornite, i presidi diventeranno settimanali e in giorni diversi, in modo da essere sempre presenti e saranno accompagnati da una pianta di ulivo, simbolo di pace e di cura. Ora però è tempo di bilanci e ringraziamenti e così hanno preso la parola rappresentanti dei presidi di Bormio, Tirano, Ponte, Morbegno, Chiesa Valmalenco, Chiavenna e Sondrio, con una poesia letta a nome del presidio di Talamona. Tutti hanno condiviso la soddisfazione per i momenti di confronto, unione, creatività e socializzazione offerti da quell’impegnativo appuntamento quotidiano, che ha permesso di ritrovarsi tra gente di età e provenienze diverse (con una partecipazione spesso superiore alle aspettative) e di uscire dal senso di impotenza suscitato dall’orrore in atto a Gaza e hanno riconosciuto alle flotille il merito di aver smosso e risvegliato tante coscienze, valorizzando l’azione dei singoli e degli insiemi umani. Ora bisogna continuare a mantenere alta l’attenzione sulla Palestina e dare seguito alle enormi mobilitazioni di fine settembre – inizio ottobre, in cui per una volta l’Italia ha fatto da esempio ad altri Paesi. Franco Biscotti, sindaco di Ponte in Valtellina, è intervenuto brevemente esprimendo la soddisfazione per la scelta del suo Comune per questo momento di passaggio, segnato dal dono della pianta di ulivo, albero sacro per i palestinesi. La famiglia di Su Bargauan, che si è imbarcata sulla Global Sumud Flotilla, ha ringraziato i presenti per l’appoggio ricevuto  e la stessa Su è poi intervenuta ricordando l’ondata di denuncia e speranza che ha unito tante persone in cerca di una direzione. Ha quindi contrapposto un sistema che si basa sui profitti e la paura al movimento di resistenza organizzato intorno alle relazioni, alle comunità e alla cura.  La pianta d’ulivo donata dal sindaco è stata poi messa a dimora circondata da bambini, in una sorta di cerimonia laica intensa e commovente. Dopo una pausa conviviale con prelibatezze salate e dolci portate dai partecipanti, l’incontro si è spostato al vicino teatro per un interessante approfondimento sull’intreccio di interessi, investimenti e affari che legano Israele all’Unione Europea. Francesca Bellini di Altreconomia ha ripreso i contenuti del suo articolo uscito lo scorso luglio e alle sue spiegazioni si è aggiunto in collegamento Jasper van Teeffelen, giovane ricercatore olandese del centro indipendente Somo, tradotto da Rosanna di Assopace Palestina. Ne è emerso che l’Europa è il maggiore investitore mondiale in Israele ed è il principale destinatario degli investimenti israeliani, mentre i Paesi Bassi, noto paradiso fiscale, sono da soli responsabili dei due terzi degli investimenti israeliani nell’Unione Europea, molto più di Germania e Stati Uniti. Non c’è da stupirsi dunque del doppio standard applicato a Russia e Israele quando si tratta di sanzioni; la riluttanza europea a rompere i rapporti commerciali con Israele e a decidere un embargo sulle armi acquista così una motivazione non solo politica, ma anche commerciale. E’ un quadro che suscita una profonda indignazione, ma la giornalista e il ricercatore hanno comunque sottolineato l’aumento della consapevolezza dell’opinione pubblica man mano che questa mostruosa realtà viene alla luce ed esortato a mantenere la pressione sui governi complici del genocidio e a continuare a denunciare chi ne trae profitto.     Anna Polo
Palestina: diritto internazionale e decolonizzazione, incontro a Varese
Mercoledì alle 18:00 la Sala Kolbe di Varese ha ospitato un incontro veramente interessante organizzato dal Comitato Varesino per la Palestina. Filippo Bianchetti, medico e attivista, ha presentato la serata e gli ospiti: Ugo Giannangeli, avvocato penalista e membro del collettivo GAP (Giuristi e Avvocati per la Palestina) e il Professor Federico Lastaria, ex docente al Politecnico di Milano, studioso e attivista per la Palestina. Entrambi, insieme ad altri esperti, sono stati coautori del libro “Palestina. Pulizia etnica e Resistenza” pubblicato nel 2010 da Zambon. Ugo Giannangeli ha affrontato il tema del Diritto Internazionale con un intervento intitolato “Dalla difesa dei diritti umani alla criminalizzazione dei difensori”, mentre il tema approfondito da Federico Lastaria è stato “Verso un progetto di decolonizzazione”. La sala era piena di gente, che ha assistito a due lezioni di diritto e di storia ricche di spunti di riflessione. Sono stati distribuiti volantini dal Comitato Varesino per la Palestina e il Dottor Bianchetti ha ricordato i prossimi appuntamenti: * Oggi, 16 ottobre, verrà inaugurata la mostra sulla storia della Palestina “Al Nakba” presso l’Informagiovani, in via Como, 19 a Varese * Lunedì 20 ottobre, alle 20:45 presso il Circolo Coop di Viale Belforte si riuniranno i gruppi e le associazioni che hanno curato il progetto “Una tenda per la Palestina”, ospitato dal Comune di Varese per tre settimane. Chi fosse interessato a organizzare un futuro presidio è invitato a partecipare alla riunione. L’avvocato Giannangeli ha fatto una rapida premessa, prendendo spunto dal libro “Nessuna voce è più forte della voce dell’Intifada – Appelli del Comando Nazionale Unificato dell’Intifada nei Territori Occupati Stato di Palestina” scritto a Damasco nel 1989. Questo libro, già 36 anni fa riportava la richiesta di ascolto da parte del popolo palestinese, che allora come oggi è caduta nel vuoto. Negli accordi di pace firmati a Sharm El Sheik dagli Stati Uniti e dagli altri Stati coinvolti, non c’è spazio per il popolo palestinese. Volendo darne una chiave di lettura giuridica, ci si rende conto della sua illegalità, poiché un accordo sotto coercizione di una delle due parti è nullo; il diritto all’autodeterminazione non è negoziabile e le fasi di transizione e il loro futuro non sono discussi direttamente dai palestinesi. Questo piano sostituisce l’occupazione israeliana dei territori palestinesi con altri occupanti: gli Stati Uniti e l’ISF, cioè una non ben identificata forza di stabilizzazione internazionale. Ancora una volta non si parla di popolo palestinese. L’avvocato Giannangeli ha parlato anche della Global Sumud Flotilla e della Freedom Flotilla. Entrambe hanno svolto un ruolo di supplenza dello Stato, poiché la società civile è intervenuta dove questo si è rivelato assente, ignorando gli obblighi sanciti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Israele ha attaccato le due spedizioni via mare, in acque internazionali, solo per dimostrare la sua forza e la sua arroganza nei confronti del Diritto internazionale, mentre lo Stato italiano ha mandato a difesa della Global Sumud Flotilla una nave che poi si è ritirata a 150 miglia dalla costa, lasciando che proseguisse da sola verso Gaza. Il 16 settembre 2025, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est e Israele, ha pubblicato il rapporto contenente l’Analisi giuridica della condotta di Israele a Gaza, concludendo  che “lo Stato di Israele è responsabile per non aver impedito il genocidio, per aver commesso genocidio e per non aver punito il genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza”. Il gruppo “Giuristi e avvocati per la Palestina” di cui Giannangeli fa parte, ha depositato una denuncia presso la Corte Penale Internazionale contro il governo italiano, nelle figure del Presidente del Consiglio Meloni, il Ministro degli Esteri Tajani e il Ministro della Difesa Crosetto oltre a Cingolani, AD di Leonardo per complicità in crimini di guerra e genocidio. Le manifestazioni in Italia del 22 settembre, del 3 e del 4 ottobre hanno riportato alla memoria le piazze che si attivarono ai tempi della guerra in Vietnam con le stesse motivazioni: la lotta del popolo contro il colonialismo e l’imperialismo dell’Occidente. Al grido di “Blocchiamo tutto” sono stati bloccati porti, stazioni, tangenziali e scuole. I singoli dovranno risponderne legalmente, ma tutto questo è un segnale importante di azioni collettive e pacifiche per la resistenza. L’insofferenza dalla gente è partita dall’indignazione per quanto stava accadendo in Palestina, ma è diventata anche un grido contro il riarmo e contro il governo complice di Israele. Giannangeli ha spronato a stare attenti anche in Italia ai segnali che vengono da un governo che frena il dissenso nelle dichiarazioni e nei fatti. Alcuni professori hanno denunciato circolari interne con indicazione di non affrontare in classe le questioni del genocidio di Gaza, ma c’è resistenza a queste pratiche che vengono fatte passare come questioni organizzative e amministrative, e non politiche. Tornando a Israele, è stata posta l’attenzione sulla militarizzazione della società e l’osmosi tra scuola ed esercito, che parte dall’educazione all’odio verso il diverso, e in primis verso l’arabo, già nelle scuole e passa dal servizio militare obbligatorio dai 18 ai 21 anni, usando come collante la narrazione dell’essere costantemente sotto minaccia. Non a caso le recenti manifestazioni di protesta da parte degli israeliani sono state per il rilascio degli ostaggi, per contrastare Netanyahu, ma non contro il genocidio dei palestinesi. In diverse parti del mondo si sta cercando di mettere sotto scacco giuridico la protesta verso il genocidio perpetrato da Israele: negli USA il presidente Trump vorrebbe dichiarare gli Antifa un’organizzazione terrorista, dopo l’uccisione dell’attivista conservatore Charlie Kirk, la Gran Bretagna ha messo al bando Palestine Action, in diversi Stati da tempo si cerca di legiferare contro il boicottaggio BDS e gli Stati Uniti hanno sottoposto a pesanti sanzioni Francesca Albanese. Il Diritto Internazionale funziona solo se c’è la volontà politica degli Stati. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, con la memoria fresca della catastrofe appena conclusa erano nate associazioni internazionali basate sulla convinzione che ci si dovesse dare delle regole per convivere pacificamente e i valori erano diversi da quelli che nel corso del tempo si sono trasformati in valori puramente economici. Gli equilibri del mondo stanno cambiando e gli Stati del cosiddetto Sud globale cercano un riscatto nei confronti dell’Occidente. Oggi si abusa di termini come terrorismo e resistenza, ma è importante capire il loro significato giuridico: Terrorismo: atti compiuti con l’intento di diffondere il terrore nella popolazione o di costringere poteri pubblici o organizzazioni internazionali a fare o a non fare qualcosa. Questi atti, spesso violenti, hanno finalità politiche o ideologiche e mirano ad arrecare grave danno a un Paese o a destabilizzarne le strutture. La definizione si basa su una combinazione di scopi specifici (es. intimidazione, costrizione) e di atti concreti (es. uso di esplosivi, violenza contro civili o non combattenti). Diritto di resistenza: un principio di legittimità costituzionale, di natura morale e politica (in alcuni ordinamenti ammesso come ultima ratio), che permette ai cittadini di opporsi a un potere ritenuto illegittimo. Dovremmo fare una riflessione su come e per chi vengono usati questi termini. Esistono diverse Risoluzioni Onu relative alla resistenza palestinese già dal 1948 e dal 1967, risoluzioni che sono state disattese fino ad arrivare ai giorni nostri. Giannangeli ha lanciato un messaggio importante: nei giorni scorsi molta gente è scesa in piazza a protestare indignata per la morte e la distruzione viste in diretta nelle nostre case che hanno mosso le coscienze. Oggi è ancora più importante mantenere l’attenzione sul tema della Palestina, per non lasciare che gli oppressori si spartiscano quel che resta di quella terra e del popolo che dovrebbe abitarla legittimamente. Il Professor Lastaria ha poi trattato il tema del Sionismo e della Decolonizzazione. Il colonialismo classico ha sempre avuto lo scopo di sfruttare risorse e manodopera, come hanno fatto gli europei nelle terre americane e africane, mentre il colonialismo sionista viene concretizzato già nel 1944 con il trasferimento in Palestina degli ebrei sparsi nel mondo e nel 1948 con la cacciata dei palestinesi verso i Paesi arabi vicini. Non si trattò solo di occupare lo spazio, ma anche di sostituirsi al popolo arabo che viveva in quella terra. L’occupazione però non è solo fisica, ma anche mentale. Si dovrebbe iniziare a pensare diversamente per poter arrivare a una decolonizzazione reale. L’intervento ha poi approfondito un’analisi storica del Sionismo, che non ha radici ebraiche, ma cristiane evangeliche protestanti. Già del 1850 nasce in Europa l’esigenza di creare uno Stato basato sulle scritture religiose, secondo cui solo nella Terra Santa poteva concretizzarsi l’arrivo del Messia. A fine ‘800 si realizza il progetto del movimento nazionalista ebraico per dare una terra agli ebrei. Il collante di questo progetto era la narrazione religiosa. A sostegno del movimento sionista vi era la Gran Bretagna, che cercava uno spazio di opportunità economica in Medio Oriente con la narrazione della “National home” (un focolare) per gli ebrei, già inserita nella controversa dichiarazione Balfour del 1917, che prevedeva la spartizione del futuro Impero Ottomano ormai in dissoluzione. Già qui nasce la confusione tra la religione e la nazionalità. Gli ebrei ridefiniscono la religione giudaica come nazionalismo, concetto che dovrebbe essere giuridico-politico. La serata è proseguita sotto la spinta a riflettere su vari concetti che spesso sentiamo dichiarare o controbattere e che dovrebbero farci pensare a come il nostro pensiero sia condizionato da una narrazione ultracentenaria. I temi sono diversi e il Professor Lastaria ne ha analizzati alcuni, lasciandone altri alle riflessioni personali, perché smantellando la decolonizzazione bisogna fare i conti con la nostra cultura europea. Lo stato di Israele è una democrazia? Israele non ha una Costituzione e giuridicamente distingue tra cittadinanza (estesa ai non ebrei) e nazionalità (riservata agli ebrei), stabilendo una doppia legislazione. La memoria della Shoa è celebrata, ma la memoria della Nakba, che ricorre il 15 maggio, è proibita per legge, mentre il 16 maggio si celebra la nascita di Israele. Una terra senza popolo per un popolo senza terra. Questo slogan ripreso dal passato presuppone che quando il popolo ebreo si è insediato in Palestina con l’occhio del colonizzatore bianco occidentale, si riteneva che la gente che viveva in quella terra non avesse diritto ad abitarla, che fosse appunto una terra senza popolo. La Striscia di Gaza. Anche questo è un concetto astratto creato a tavolino per dare uno spazio ai profughi arabi dopo l’occupazione ebraica del 1948, quando alcuni si spostarono a nord, altri verso la Cisgiordania e gli altri, rimasti senza abitazione, furono collocati forzatamente nella Striscia di Gaza. Un conflitto tra due nazionalismi. La soluzione dei due Stati non porta alla decolonizzazione. Chi è ebreo? Si tratta di un concetto complesso, poco chiaro e ingannevole, che induce a fare confusione tra i concetti di religione, nazione, etica e cultura. Il Diritto al ritorno e gli infiltrati. Così venivano chiamati i legittimi proprietari delle abitazioni espropriate, che negli anni Cinquanta del ‘900 cercavano di fare ritorno alle loro case. Queste e altre riflessioni restano aperte, ma una cosa è certa: per decolonizzare la Palestina dovremmo iniziare a decolonizzare la nostra cultura.   Redazione Varese
La Flotilla: un bilancio, tra potere simbolico e potere operativo
“L’accordo per Gaza deciso senza il minimo coinvolgimento dei palestinesi”. Questa la constatazione amara di Maria Elena Delia, referente per l’Italia della Global Sumud Flotilla e del Global Movement to Gaza, in una intervista in cui ricorda anche Vittorio Arrigoni “Sono stata felice e commossa nel vedere la popolazione sopravvissuta di Gaza ritrovarsi finalmente senza bombardamenti e con la possibilità di tornare quanto meno dove una volta c’erano le proprie case”, confida a FarodiRoma Maria Elena Delia. “Ma penso – aggiunge la Delia nel suo dialogo con il nostro giornale online – che un accordo deciso senza il minimo coinvolgimento dei palestinesi, che non contempli il contributo dei palestinesi ma che li veda solo come presenza apolitica guidata da un gruppo di potere di cui fanno parte personaggi come lo stesso Trump e come Tony Blair, non sia un buon viatico verso una Palestina libera e autodeterminata. La Palestina continua ad essere occupata illegalmente e fino a quando questa situazione non cambierà non potremo essere soddisfatti”. Maria Elena Delia tu hai conosciuto e sperimentato l’Utopia soprattutto con Vittorio Arrigoni e le varie flottiglie Partiamo dall’inizio. La mia esperienza diciamo di attivista ha radici lontane, anche perché ho un’età, quindi ho cominciato a cooperare con movimenti e associazioni che si occupano di Palestina. Dal 2003, sostanzialmente e con quello che, una volta, si chiamava appunto l’International Movement to Gaza. Hai conosciuto Vittorio Arrigoni da quando è stato posto il blocco illegale a Gaza? Ho conosciuto molti attivisti, tra cui anche Vittorio Arrigoni, da quando nel 2007 è stato imposto il blocco alla striscia di Gaza, il blocco illegale. Ricordiamo che alla striscia di Gaza il blocco non è stato imposto il 7 ottobre 2023, ma nel 2007. Dopo che appunto Hamas aveva vinto le elezioni a Gaza. Cosa si intende per Free Gaza Movement e cosa è scaturito da questa avvincente missione politica e umanitaria? Con il Free Gaza Movement abbiamo deciso di lavorare a questa idea pazza e l’idea pazza era appunto la seguente: visto che non ci fanno andare via terra a Gaza proviamo ad andare via mare. E così ha avuto inizio una grande avventura, perché oggi siamo abituati tra virgolette alle flottiglie, ma all’epoca nessuno aveva mai provato ad andare attraverso acque internazionali fino a Gaza. Noi lavorammo per più di un anno e nell’agosto del 2008, con due imbarcazioni con a bordo 41 attivisti, riuscimmo a rompere il blocco navale illegale e a sbarcare al porto di Gaza. All’epoca esisteva ancora un porto che oggi non esiste più. E riuscimmo ad arrivarci. Ci fu poi una seconda flotta che arrivò a Gaza nel novembre del 2008 e dopo quella data nessun’altra barca è mai più riuscita ad arrivare a Gaza. Vero? Sì. Certo. Però da quelle prime missioni si formò e si creò la Freedom Flotilla, che tentò nel 2010 e nel 2011 e in tantissime altre occasioni, fino a quest’estate e fino a pochi giorni fa con la Conscience che è proprio una barca della Freedom Flotilla, di rompere più volte il blocco navale. Ho fatto parte della Freedom Flotilla sino al 2013, anche come referente per l’Italia nella coalizione internazionale per un paio d’anni. Quando? Diciamo qualche mese fa, quando si decise di lavorare alla prima marcia su Gaza; ma poi soprattutto conoscendo anche tantissimi degli attivisti che ne facevano parte ed essendo la referente per l’Italia della Global Sumud Flotilla ho deciso così di contribuire, ma io come tantissime altre persone. Perché hai deciso di contribuire? Ho deciso di contribuire perché ci siamo trovati di fronte a due anni di genocidio, in cui nessun governo, in particolare il nostro governo ha fatto nulla di significativo. Quindi porre delle sanzioni significative e non semplicemente di facciata, porre un embargo sulla fornitura delle armi, rompere i rapporti commerciali con lo stato di Israele. Ma perché il governo e l’establishment politico continuano a negare il genocidio a Gaza? Ancora oggi qualcuno nega che sia in atto un genocidio. Ecco il mio coinvolgimento, ma come quello di centinaia di migliaia di persone. Nasce dalla frustrazione e dal dolore e dal senso di impotenza che ha portato centinaia di persone di donne e uomini della società civile a decidere di mettersi, di mettere, come dire, se stessi su quelle barche, per provare ad attirare l’attenzione delle istituzioni e dell’Unione Europea e dei governi tutti, soprattutto della società civile in generale e crediamo che questo con le nostre 45 barchette a vela in qualche modo sia uno dei risultati sperati. Siete riusciti a rompere il blocco illegale navale di Gaza? Noi non siamo riusciti a rompere il blocco illegale navale di Gaza. Non siamo riusciti a portare i beni che avevamo a bordo alla popolazione civile di Gaza, però siamo riusciti a puntare un riflettore sulla situazione di Gaza. Una situazione di sudditanza che moltissimi governi ivi compreso il nostro hanno nei confronti del governo israeliano e su come questo governo israeliano violi tutti i giorni il diritto della persona, i diritti umani, il diritto internazionale. Le barche sono state intercettate e sequestrate. Le persone a bordo sono state arrestate. Tenute in condizioni di detenzione e diciamo disumane con la violazione del diritto alla difesa e la violazione del diritto a ricevere beni essenziali e servizi essenziali come l’accesso a un bagno, all’acqua potabile. Hanno dimostrato in minima parte che il governo israeliano non riconosce in alcun modo la legge? L’hanno dimostrato in minima parte perché quello che è capitato a noi è un miliardesimo di quello che capita ogni giorno da quasi ottant’anni ai palestinesi. A noi al confronto non è successo niente; come dice Greta Thunberg, la storia non siamo noi. La storia sono i palestinesi che continuano ad essere vessati e a subire un’occupazione illegale non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania. Infatti. Cosa avviene in Cisgiordania? Non ci dimentichiamo della Cisgiordania. Dove peraltro non esiste Hamas e dove vengono compiute violazioni dei diritti umani palestinesi ogni giorno da quasi ottant’anni. L’azione delle flottiglie è azione di libertà e mi riallaccio a quello che ho appena detto: non può essere sufficiente perché le flottiglie da sole sono solo uno strumento. L’ho sempre detto, noi siamo degli strumenti al servizio del popolo palestinese; perché il popolo palestinese non ha bisogno di noi per essere salvato. Anzi noi dovremmo solo imparare dal popolo palestinese quello che noi possiamo fare con i nostri privilegi di occidentali e di bianchi occidentali, cioè mettere in evidenza tutte le perversioni sociali e economiche che stanno dietro quello che succede alla Palestina e mettere in evidenza come il diritto internazionale diventi carta straccia quando si tratta di Israele. Mettere in evidenza che il popolo palestinese ha il diritto di autodeterminarsi? Sì. Vero. Con le barche e con altri mezzi riusciamo a mettere in evidenza e catturare l’attenzione di tutte e tutti anche grazie a tutte le mobilitazioni e alle associazioni e alle comunità palestinesi nei vari Stati, comprese le comunità palestinesi in Italia che hanno fatto un lavoro eccezionale e tutte le associazioni che hanno lavorato in terra. Cosa intendiamo con la locuzione “equipaggio di terra”? Noi chiamiamo equipaggio di terra le mobilitazioni dei giorni scorsi che non sono avvenute grazie alla Flotilla. Ma ci sono state perché a terra è stato fatto un lavoro politico straordinario che ha portato a vedere quel numero di persone in piazza per la pace e ha portato a vedere quei 2 milioni di persone in piazza durante lo sciopero. Ecco è stato un lavoro di popolo. Allora se esiste un popolo che si muove, le persone possono davvero integrarsi con questo lavoro e con il loro potere simbolico e questa mattina qualcuno mi ha citato questa espressione. Esatto quando il potere simbolico e non solo simbolico, anche operativo, diventa in grado di catalizzare le mobilitazioni, la coscienza, la consapevolezza, ecco questo è quello che secondo me è accaduto e oggi è il momento di non lasciare che questo patrimonio umano consapevole e coraggioso si disperda: noi dobbiamo lavorare per questo.         Laura Tussi
La Flotilla di terra abbraccia la Flotilla di mare nella piazza più interetnica di Roma
Ieri sera, venerdì 10 Ottobre 2025, in una piazza Vittorio sempre più buia finalmente vi è stato il commosso abbraccio tra alcuni membri dell’equipaggio di mare e gli equipaggi di terra della Global Sumud Flotilla, che sono legati peraltro alla successiva missione della Freedom Flotilla. Luca dell’equipaggio di mare, ha ringraziato la grande e commovente solidarietà che ha accompagnato le barche. Il giornalista e militante palestinese Bassam ha ringraziato le donne e gli uomini che coraggiosamente hanno sfidato il blocco navale israeliano riuscendo ad ottenere un importantissimo risultato: mostrare l’illegalità del blocco navale e rompere il silenzio. “Anche se il movimento mondiale ha imposto una tregua che consentirà ai nostri fratelli Gazawi di dormire qualche notte in pace, di non morire di fame e finalmente di poter piangere i propri morti, il piano di pace di Trump è un truffa, un progetto neocoloniale che continua a negare i diritti del popolo Palestinese e che quindi non può portare ad una vera Pace. Marwan Barghuti deve essere liberato subito se si vuole una vera trattativa di Pace. Dobbiamo essere molto vigili. Che garanzia c’è che non vengano ripresi i bombardamenti? Che i prigionieri politici rilasciati non vengano di nuovo arbitrariamente arrestati o deportati illegalmente fuori dalla terra dove hanno il diritto di vivere? Si deve continuare la mobilitazione fino a che, dal Fiume al Mare, l’intera Palestina diventi un Paese democratico e laico. I Gazawi stanno già tornando al nord e non vogliono abbandonare la Palestina mostrando così una indomabile capacità di resistere.” Paolo della Flotilla di mare: “Gli Israeliani ci hanno trattato di merda, ma è ciò che in quel carcere fanno sistematicamente ed in forme assai crudeli a tutti i Palestinesi imprigionati arbitrariamente per mesi o per anni. Il 4 novembre, festa delle Forze armate, facciamola diventare un giorno di mobilitazione contro il militarismo, che ormai pervade la nostra società a partire dalle scuole. Dobbiamo smilitarizzare il nostro Paese e non dimenticare mai i mandati di cattura contro gli artefici del genocidio. Abbiamo rotto i muri che dividevano il nostro Paese in nome della Costituzione e del diritto internazionale. Ora dobbiamo liberare l’Italia da un governo complice di un genocidio.” Carlo è uno skipper, non aveva mai fatto politica attivamente: “Ho provato una incredibile emozione nel vedere le immagini delle piazze italiane piene e solidali. Ora dobbiamo ritrovare la passione politica per difendere i diritti. Continuare a scendere in piazza e costruire una politica fatta di empatia, etica e umanità, con tutti gli strumenti che abbiamo e anche con il voto”. Simone, sempre della Flotilla di mare sottolinea: “Siamo di nuovo di fronte ad un progetto colonialista che riguarda la Palestina ma anche noi. Questi sedicenti sovranisti sanno minacciare con ferocia le imbarcazioni dei migranti che cercano salvezza in Europa ma si piegano alla volontà degli Stati Uniti e di Israele, roccaforte e testa di ponte dell’Imperialismo e dimenticano che alcune delle imbarcazioni della Flotilla battevano bandiera italiana ed erano a tutti gli effetti suolo italiano illegalmente aggredito e umiliato. Sono subalterni alle industrie belliche che lucrano sul genocidio, a partire dall’Italiana Leonardo. Un risultato concreto lo abbiamo ottenuto perché finalmente dopo tanti mesi i pescatori di Gaza hanno potuto pescare, mentre le navi israeliane erano occupate a darci la caccia e ad aggredirci, per una volta noi invece che loro. Bene hanno fatto i portuali, dobbiamo bloccare con i nostri corpi le esportazioni di armi”. Interviene poi lo scrittore e attore Giuseppe Cederna: “In questi giorni ho provato commozione per la vostra coraggiosa impresa e vergogna per chi in Italia ha tentato fino all’ultimo di ostacolarvi e di delegittimarvi in ogni modo. Ora non si possono dimenticare le decine di migliaia di morti. Dobbiamo continuare la nostra resistenza con compassione e con passione. Dobbiamo imparare a sentire il dolore delle altre persone e degli altri popoli. Ci avete risvegliato. Se con questa tregua qualcuno si salverà o perlomeno potrà dormire qualche notte più tranquillamente, non lo si deve a Trump ma ad un movimento internazionale che ha sfilato nelle strade di tutto il mondo e che non può e non deve fermarsi ora”. Segue quindi un intervento del Team legale italiano che era sempre in contatto e collegato con gli altri team compreso quello palestinese. Sono stati presentati anche per spiegare la piena legalità, sul piano del diritto internazionale, dell’azione della Flotilla contro l’illegalità di Israele e dei Governi occidentali suoi complici. “Con le donne e gli uomini della Flotilla il Diritto Internazionale si è fatto vivo e incarnato dalle persone che hanno cercato di attuarlo: si tratta di un vero atto costituente di nuove forme di resistenza e di un nuovo internazionalismo”. Serena di “Non una di meno” sottolinea come le lotte per l’autodeterminazione dei corpi e dei popoli si intreccino: “La tregua è un nostro risultato, ma non possiamo fermarci: il 25 novembre scenderemo in piazza contro il patriarcato, ideologia di potere, dominio e guerra”. Ilaria di Mediterranea ricorda l’altro genocidio, il migranticidio, ovvero le stragi dei migranti volute per mettere argine, anche con blocchi navali simili a quello israeliani, ai fenomeni migratori causati da un sistema mondiale che genera guerre, disastri climatici, oppressione e fame da cui si cerca di fuggire per mettersi in salvo. “Mediterranea è impegnata a salvare le persone lasciate affogare nel Mediterraneo, ormai diventato un enorme cimitero.” E invita al presidio del 18 ottobre a piazza Vidoni nei pressi del Senato “per bloccare il memorandum tra Italia e Libia”. Si susseguono gli interventi. Dice uno studente: “Pensavamo di liberare la Palestina ma la Palestina ha liberato noi”. Un altro aggiunge: “Italiani o Palestinesi, siamo tutti e tutte sulla stessa barca, che sta affondando, dobbiamo continuare a fare rumore fino alla vittoria, alla liberazione della Palestina e dell’Italia. Nunzio di USB parla del nuovo internazionalismo che è cresciuto in anni di mobilitazioni dal basso e ricorda il sacrificio della giovane statunitense Rachel Corrie e di Vittorio Arrigoni. L’USB intende promuovere un nuovo sciopero generale contro la legge finanziaria che ci porta in un’economia di guerra. “Abbiamo rotto la solitudine, ora servono riunioni per decidere dal basso come cambiare questo Paese”. Altri interventi sostengono che la violenza sistemica è la vera violenza, mentre si vuol far passare come terrorista chiunque si opponga a questo sistema. “Noi non dimentichiamo e non perdoniamo i responsabili del genocidio che devo pagare i loro crimini”. “Non ci sarà mai una vera pace senza ottenere giustizia per il popolo palestinese. La Palestina è stata la scintilla e con i blocchi alla esportazione di armi grazie ai portuali e infine alla missione della Flottilla le fiammelle si sono moltiplicate; con i due scioperi generali ora il fuoco dilaga nella prateria. Israele rappresenta il vecchio Occidente che si arma per difendere il privilegio. Nei cortei ormai si grida esplicitamente «Governo Meloni dimissioni!»”. “Lo sciopero generale si è generalizzato e non è più soltanto di tutti i lavoratori, perché una intera generazione è scesa in piazza. Una generazione a cui stanno bruciando il futuro e che già ora sopravvive precaria e senza diritti, con salari orari e mansioni di merda.” L’invito finale è a valorizzare al massimo il varco che la Flotilla ha aperto sconfiggendo solitudine, passività e rassegnazione e spingendo a scendere insieme per le strade, ritrovando insieme il gusto di fare politica, decidendo insieme, passo dopo passo, cosa fare, prendendoci cura insieme di questo movimento, che ci ha fatto sentire vivi, perché non si divida, non muoia ed anzi si estenda e si rafforzi, tenendo gli occhi puntati su Gaza, ma anche sulle nostre vite… Perché da questa drammatica realtà, che alzando insieme la testa abbiamo imparato a guardare e ad affrontare, sappiamo che oltre vi è sempre un differente orizzonte, e come diceva Don Lorenzo Milani, dobbiamo tentare di “Sortirne Insieme”.     Mauro Carlo Zanella
Roma, il movimento per la Palestina e i diritti di tutti è inarrestabile
Un rodato tam tam che attraversa scuole superiori, università e comitati dei quartieri periferici e popolari ha portato nuovamente in piazza una fetta di popolo di Roma che esprime un sentimento di orrore per quanto accade in Palestina, ma anche di solidarietà con la popolazione martoriata e allo stremo di Gaza e della Cisgiordania, ormai sotto attacco dei coloni spalleggiati dall’esercito, autore impunito del genocidio in corso. Un corteo improvvisato nel giro di poche ore, appena appreso il nuovo atto di vera e propria pirateria ai danni degli attivisti della Freedom Flotilla che ha nuovamente tentato di forzare il blocco illegale, sostituendosi al doveroso e necessario intervento dei Caschi Blu dell’Onu per aprire i varchi che impediscono via terra e via mare l’accesso di migliaia di camion fermi ai valichi. Il veto degli Stati Uniti impedisce ogni risoluzione coerente con il ripristino della legalità internazionale, di cui l’intero Occidente, salvo rare eccezioni come quella della Spagna, ha fatto ormai apertamente strame, sia con le parole e sia con gli aiuti militari, indispensabili per proseguire la politica genocidaria, che ormai è a tutti chiaro non è solo di Israele, la punta avanzata della nazificazione della classe dirigente politica ed economica dei nostri Paesi che si autoproclamano liberi e democratici. Il popolo scende in piazza perché avverte un legame profondo tra la propria condizione di una vita impoverita, precarizzata e umiliata e ciò che accade a Gaza: le nostre vite per lorsignori sono sacrificabili sull’altare del profitto e del privilegio. Le oltre ventimila persone che hanno per l’ennesima volta attraversato Roma, dal Colosseo a Piramide, oltre ai consueti slogan di appoggio alla liberazione della Palestina chiedevano le immediate dimissioni di un governo antipopolare e complice se non mandante del genocidio. L’unità trovata dalla Cgil all’Usb, soprattutto grazie ai comitati di base unitari, ha reso inarrestabile questo movimento che chiede ed esige la liberazione della Palestina e dell’Italia dai fascisti, in nome di una politica che metta senza ipocrisie e nei fatti al centro di ogni decisione politica ed economica la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani.   Mauro Carlo Zanella
L’Italia torna in piazza per Gaza: migliaia alle manifestazioni di Roma, Milano, Bologna e Napoli
Dopo l’abbordaggio della seconda Freedom Flotilla da parte della Marina israeliana, la solidarietà con il popolo palestinese riempie ancora una volta le piazze italiane. A Napoli migliaia di persone da Piazza Municipio fino al Consolato Usa. Ci si abitua a tutto, anche alle piazze piene, anche alle bandiere che tornano a sventolare ogni settimana a Gaza. Ma non si dovrebbe. Perché dietro ogni corteo c’è un’urgenza che chiede ascolto. C’è una voce collettiva che non parla di lontananza, ma di responsabilità. Bisogna fermarsi un attimo, guardare davvero quei volti, ascoltare i cori gridati con forza e capire che in quelle parole c’è qualcosa che continua a volerci raggiungere. Non basta chi manifesta: serve anche chi ascolta, chi raccoglie quella traccia e la lascia andare lontano, come un battito d’ali, un piccolo effetto farfalla capace di cambiare qualcosa. LE PIAZZE ITALIANE PER LA FLOTTILLA 2 Dopo il rientro e la nuova partenza delle imbarcazioni della Freedom Flotilla, la cosiddetta Flotilla 2 , nuovamente intercettata nelle scorse ore dalla Marina israeliana, le piazze italiane hanno risposto all’appello con una mobilitazione diffusa da Nord a Sud. Roma, Milano, Bologna e Napoli, insieme a decine di altre città, sono tornate in strada per affiancare simbolicamente l’ultima missione umanitaria diretta verso Gaza e per chiedere la fine del blocco israeliano che da oltre diciassette anni isola la Striscia. Convocato con lo slogan “L’8 ottobre tutti in piazza!” , le manifestazioni hanno visto la partecipazione di migliaia di persone: una risposta corale alla nuova emergenza e all’arresto dei 145 attivisti, tra cui dieci italiani, fermati dalle IDF dopo l’abbordaggio delle nove imbarcazioni cariche di aiuti umanitari, tra cui medicinali, dispositivi respiratori e generi alimentari destinati agli ospedali di Gaza. Le organizzazioni promotrici, tra cui Freedom Flotilla Coalition, Giovani Palestinesi Italia, Movimento Studenti Palestinesi in Italia e Unione Democratica Arabo-Palestinese, hanno denunciato l’ennesima violazione del diritto internazionale e l’aggressione a una missione civile che portava aiuti e solidarietà al popolo palestinese. Da qui l’appello alla mobilitazione, rilanciato in poche ore sui social e accolto da centinaia di realtà solidali in tutta Italia. DA ROMA A MILANO: “BLOCCHIAMO TUTTO ANCORA” A Roma, il corteo partito dal Colosseo ha attraversato via di San Gregorio, piazza di Porta Capena e viale Aventino fino a piazza Ostiense, dove circa tremila persone hanno chiesto “Stop al genocidio”. A Milano, da piazzale Lodi a piazza Leonardo Da Vinci, gli attivisti hanno sfilato dietro lo striscione “Milano lo sa da che parte stare” , gridando “Palestina libera, dal fiume fino al mare” . A Bologna, piazza Maggiore si è riempita nel tardo pomeriggio, con centinaia di bandiere e cartelli a sostegno della Flottiglia. Manifestazioni e presidi si sono tenuti anche a Torino, Firenze, Genova, Palermo, Bari, Parma, Salerno e in decine di altre città, in un fronte unitario che ha unito studenti, sindacati, collettivi e reti per la pace. « Siamo pronti a bloccare tutto ancora », hanno scandito gli attivisti al megafono, richiamando lo spirito dello sciopero del 22 settembre e delle giornate di mobilitazione del 3 e 4 ottobre, quando portuali, studenti e lavoratori avevano dato vita a un’azione nazionale per chiedere la fine dell’assedio a Gaza e la rottura delle complicità italiane. NAPOLI LO SA DA CHE PARTE STARE A Napoli, centinaia di persone hanno risposto all’appello della Rete per la Palestina, radunandosi in piazza Municipio, di fronte all’ingresso del Comune. Dietro lo striscione “Blocchiamo tutto”, il corteo ha percorso via Caracciolo e via Santa Lucia, passando a pochi metri dalla Regione Campania, fino a raggiungere piazza della Repubblica, dove è stato fermato da un cordone di polizia davanti al Consolato degli Stati Uniti. Non si sono registrati incidenti, ma la partecipazione ha paralizzato per ore la viabilità cittadina tra via Acton, via Chiatamone e il lungomare. I manifestanti hanno sventolato bandiere palestinesi, intonato cori e mostrato cartelli con scritte come “La Palestina deve vivere” e “Napoli lo sa da che parte stare”. Il presidio, durato oltre tre ore, ha visto la presenza di numerosi sigle locali e attivisti indipendenti che hanno voluto testimoniare la propria vicinanza alla popolazione di Gaza e agli equipaggi della Flotilla. La mobilitazione è scaturita dal nuovo appello diffuso sui social dalle reti solidali e dai movimenti per la Palestina, che in poche ore hanno riportato la gente in piazza dopo la notizia del possibile intervento della Marina israeliana contro la seconda missione umanitaria, con a bordo anche nove cittadini italiani. “Stanno bene, ma sono stati espulsi immediatamente”, ha dichiarato il ministero degli Esteri israeliano, mentre la Freedom Flotilla Coalition ha denunciato “un’azione piratesca, un blitz a luci spente”. SOLIDARIETÀ E ASCOLTO Le piazze italiane tornano così a unirsi in una protesta che non si spegne. Dal primo abbordaggio della Global Sumud Flotilla il 1° ottobre fino a questa nuova operazione militare, cresce la consapevolezza di un legame diretto tra la società civile e la lotta per la libertà del popolo palestinese. Ancora una volta, da Napoli a Milano, da Roma a Bologna, migliaia di persone hanno scelto di esserci, con la voce, i corpi e le bandiere, per dire che il silenzio non è più un’opzione.     Lucia Montanaro
Presidi e cortei in tutta Italia per la Freedom Flotilla e per Gaza. Le foto
Come la settimana scorsa dopo il brutale attacco israeliano alle barche della Global Sumud Flotilla e il rapimento degli equipaggi, anche oggi alla notizia che lo stesso copione criminale si era ripetuto con la Freedom Flotilla la mobilitazione è stata immediata. Di seguito una photogallery in aggiornamento con le foto dei diversi presidi scattate dagli attivisti. Cagliari Casale Monferrato Gorizia Milano   Napoli Novara Roma Varese Redazione Italia
Mobilitazione immediata per l’attacco alla Flotilla e per Gaza
Mobilitazione nazionale per le 9 barche della Freedom Flotilla intercettate dall’Esercito Israeliano e per continuare la mobilitazione per Gaza. Ecco le manifestazioni e presidi di oggi che ci sono pervenuti (l’elenco è in continuo aggiornamento): Bari Piazza Prefettura 17.30 Bergamo Porta Nuova 18.00 Bologna Piazza Maggiore ore 18.00 Ferrara Giardini Cavour 15.30 Gorizia via d’Alviano 16.30 Lecce Piazza Sant’Oronzo 19 Lecco Piazza Diaz 18.30 Milano Piazzale Lodi ore 18 Modena Piazza Matteotti 18 Napoli Piazza Municipio 18.00 Novara Piazza Puccini ore 17 Padova Piazza Portello 18.30 Palermo Prefettura Via Cavour 6A 18 Parma Piazza Garibaldi 16 Pavia Piazza Vittoria 18 Reggio Emilia Piazza Prampolini 18.30 Roma Piazza del Colosseo 18.30 Salerno Stazione Centrale 18.30 Taranto Piazza della Vittoria 17.30 Torino Piazza Castello ore 20.30 Trento Piazza Duomo 18 Varese Piazza Montegrappa 18.30 Vasto Piazza Rossetti 18 Venezia Ponte dell’Accademia 17.30 Verbania Piazza Ranzoni 18.30 Redazione Italia