Palestina: diritto internazionale e decolonizzazione, incontro a VareseMercoledì alle 18:00 la Sala Kolbe di Varese ha ospitato un incontro veramente
interessante organizzato dal Comitato Varesino per la Palestina. Filippo
Bianchetti, medico e attivista, ha presentato la serata e gli ospiti: Ugo
Giannangeli, avvocato penalista e membro del collettivo GAP (Giuristi e Avvocati
per la Palestina) e il Professor Federico Lastaria, ex docente al Politecnico di
Milano, studioso e attivista per la Palestina. Entrambi, insieme ad altri
esperti, sono stati coautori del libro “Palestina. Pulizia etnica e Resistenza”
pubblicato nel 2010 da Zambon.
Ugo Giannangeli ha affrontato il tema del Diritto Internazionale con un
intervento intitolato “Dalla difesa dei diritti umani alla criminalizzazione dei
difensori”, mentre il tema approfondito da Federico Lastaria è stato “Verso un
progetto di decolonizzazione”.
La sala era piena di gente, che ha assistito a due lezioni di diritto e di
storia ricche di spunti di riflessione. Sono stati distribuiti volantini dal
Comitato Varesino per la Palestina e il Dottor Bianchetti ha ricordato i
prossimi appuntamenti:
* Oggi, 16 ottobre, verrà inaugurata la mostra sulla storia della Palestina “Al
Nakba” presso l’Informagiovani, in via Como, 19 a Varese
* Lunedì 20 ottobre, alle 20:45 presso il Circolo Coop di Viale Belforte si
riuniranno i gruppi e le associazioni che hanno curato il progetto “Una tenda
per la Palestina”, ospitato dal Comune di Varese per tre settimane. Chi fosse
interessato a organizzare un futuro presidio è invitato a partecipare alla
riunione.
L’avvocato Giannangeli ha fatto una rapida premessa, prendendo spunto dal libro
“Nessuna voce è più forte della voce dell’Intifada – Appelli del Comando
Nazionale Unificato dell’Intifada nei Territori Occupati Stato di Palestina”
scritto a Damasco nel 1989. Questo libro, già 36 anni fa riportava la richiesta
di ascolto da parte del popolo palestinese, che allora come oggi è caduta nel
vuoto.
Negli accordi di pace firmati a Sharm El Sheik dagli Stati Uniti e dagli altri
Stati coinvolti, non c’è spazio per il popolo palestinese. Volendo darne una
chiave di lettura giuridica, ci si rende conto della sua illegalità, poiché un
accordo sotto coercizione di una delle due parti è nullo; il diritto
all’autodeterminazione non è negoziabile e le fasi di transizione e il loro
futuro non sono discussi direttamente dai palestinesi. Questo piano sostituisce
l’occupazione israeliana dei territori palestinesi con altri occupanti: gli
Stati Uniti e l’ISF, cioè una non ben identificata forza di stabilizzazione
internazionale. Ancora una volta non si parla di popolo palestinese.
L’avvocato Giannangeli ha parlato anche della Global Sumud Flotilla e della
Freedom Flotilla. Entrambe hanno svolto un ruolo di supplenza dello Stato,
poiché la società civile è intervenuta dove questo si è rivelato assente,
ignorando gli obblighi sanciti dalla Convenzione per la prevenzione e la
repressione del crimine di genocidio del 1948.
Israele ha attaccato le due spedizioni via mare, in acque internazionali, solo
per dimostrare la sua forza e la sua arroganza nei confronti del Diritto
internazionale, mentre lo Stato italiano ha mandato a difesa della Global Sumud
Flotilla una nave che poi si è ritirata a 150 miglia dalla costa, lasciando che
proseguisse da sola verso Gaza.
Il 16 settembre 2025, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta
delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme
Est e Israele, ha pubblicato il rapporto contenente l’Analisi giuridica della
condotta di Israele a Gaza, concludendo che “lo Stato di Israele è responsabile
per non aver impedito il genocidio, per aver commesso genocidio e per non aver
punito il genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza”.
Il gruppo “Giuristi e avvocati per la Palestina” di cui Giannangeli fa parte, ha
depositato una denuncia presso la Corte Penale Internazionale contro il governo
italiano, nelle figure del Presidente del Consiglio Meloni, il Ministro degli
Esteri Tajani e il Ministro della Difesa Crosetto oltre a Cingolani, AD di
Leonardo per complicità in crimini di guerra e genocidio.
Le manifestazioni in Italia del 22 settembre, del 3 e del 4 ottobre hanno
riportato alla memoria le piazze che si attivarono ai tempi della guerra in
Vietnam con le stesse motivazioni: la lotta del popolo contro il colonialismo e
l’imperialismo dell’Occidente. Al grido di “Blocchiamo tutto” sono stati
bloccati porti, stazioni, tangenziali e scuole. I singoli dovranno risponderne
legalmente, ma tutto questo è un segnale importante di azioni collettive e
pacifiche per la resistenza. L’insofferenza dalla gente è partita
dall’indignazione per quanto stava accadendo in Palestina, ma è diventata anche
un grido contro il riarmo e contro il governo complice di Israele.
Giannangeli ha spronato a stare attenti anche in Italia ai segnali che vengono
da un governo che frena il dissenso nelle dichiarazioni e nei fatti. Alcuni
professori hanno denunciato circolari interne con indicazione di non affrontare
in classe le questioni del genocidio di Gaza, ma c’è resistenza a queste
pratiche che vengono fatte passare come questioni organizzative e
amministrative, e non politiche.
Tornando a Israele, è stata posta l’attenzione sulla militarizzazione della
società e l’osmosi tra scuola ed esercito, che parte dall’educazione all’odio
verso il diverso, e in primis verso l’arabo, già nelle scuole e passa dal
servizio militare obbligatorio dai 18 ai 21 anni, usando come collante la
narrazione dell’essere costantemente sotto minaccia. Non a caso le recenti
manifestazioni di protesta da parte degli israeliani sono state per il rilascio
degli ostaggi, per contrastare Netanyahu, ma non contro il genocidio dei
palestinesi.
In diverse parti del mondo si sta cercando di mettere sotto scacco giuridico la
protesta verso il genocidio perpetrato da Israele: negli USA il presidente Trump
vorrebbe dichiarare gli Antifa un’organizzazione terrorista, dopo l’uccisione
dell’attivista conservatore Charlie Kirk, la Gran Bretagna ha messo al bando
Palestine Action, in diversi Stati da tempo si cerca di legiferare contro il
boicottaggio BDS e gli Stati Uniti hanno sottoposto a pesanti sanzioni Francesca
Albanese.
Il Diritto Internazionale funziona solo se c’è la volontà politica degli Stati.
Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, con la memoria fresca della
catastrofe appena conclusa erano nate associazioni internazionali basate sulla
convinzione che ci si dovesse dare delle regole per convivere pacificamente e i
valori erano diversi da quelli che nel corso del tempo si sono trasformati in
valori puramente economici. Gli equilibri del mondo stanno cambiando e gli Stati
del cosiddetto Sud globale cercano un riscatto nei confronti dell’Occidente.
Oggi si abusa di termini come terrorismo e resistenza, ma è importante capire il
loro significato giuridico:
Terrorismo: atti compiuti con l’intento di diffondere il terrore nella
popolazione o di costringere poteri pubblici o organizzazioni internazionali a
fare o a non fare qualcosa. Questi atti, spesso violenti, hanno finalità
politiche o ideologiche e mirano ad arrecare grave danno a un Paese o a
destabilizzarne le strutture. La definizione si basa su una combinazione di
scopi specifici (es. intimidazione, costrizione) e di atti concreti (es. uso di
esplosivi, violenza contro civili o non combattenti).
Diritto di resistenza: un principio di legittimità costituzionale, di natura
morale e politica (in alcuni ordinamenti ammesso come ultima ratio), che
permette ai cittadini di opporsi a un potere ritenuto illegittimo.
Dovremmo fare una riflessione su come e per chi vengono usati questi termini.
Esistono diverse Risoluzioni Onu relative alla resistenza palestinese già dal
1948 e dal 1967, risoluzioni che sono state disattese fino ad arrivare ai giorni
nostri.
Giannangeli ha lanciato un messaggio importante: nei giorni scorsi molta gente è
scesa in piazza a protestare indignata per la morte e la distruzione viste in
diretta nelle nostre case che hanno mosso le coscienze. Oggi è ancora più
importante mantenere l’attenzione sul tema della Palestina, per non lasciare che
gli oppressori si spartiscano quel che resta di quella terra e del popolo che
dovrebbe abitarla legittimamente.
Il Professor Lastaria ha poi trattato il tema del Sionismo e della
Decolonizzazione. Il colonialismo classico ha sempre avuto lo scopo di sfruttare
risorse e manodopera, come hanno fatto gli europei nelle terre americane e
africane, mentre il colonialismo sionista viene concretizzato già nel 1944 con
il trasferimento in Palestina degli ebrei sparsi nel mondo e nel 1948 con la
cacciata dei palestinesi verso i Paesi arabi vicini. Non si trattò solo di
occupare lo spazio, ma anche di sostituirsi al popolo arabo che viveva in quella
terra. L’occupazione però non è solo fisica, ma anche mentale. Si dovrebbe
iniziare a pensare diversamente per poter arrivare a una decolonizzazione reale.
L’intervento ha poi approfondito un’analisi storica del Sionismo, che non ha
radici ebraiche, ma cristiane evangeliche protestanti. Già del 1850 nasce in
Europa l’esigenza di creare uno Stato basato sulle scritture religiose, secondo
cui solo nella Terra Santa poteva concretizzarsi l’arrivo del Messia. A fine
‘800 si realizza il progetto del movimento nazionalista ebraico per dare una
terra agli ebrei. Il collante di questo progetto era la narrazione religiosa. A
sostegno del movimento sionista vi era la Gran Bretagna, che cercava uno spazio
di opportunità economica in Medio Oriente con la narrazione della “National
home” (un focolare) per gli ebrei, già inserita nella controversa dichiarazione
Balfour del 1917, che prevedeva la spartizione del futuro Impero Ottomano ormai
in dissoluzione. Già qui nasce la confusione tra la religione e la nazionalità.
Gli ebrei ridefiniscono la religione giudaica come nazionalismo, concetto che
dovrebbe essere giuridico-politico.
La serata è proseguita sotto la spinta a riflettere su vari concetti che spesso
sentiamo dichiarare o controbattere e che dovrebbero farci pensare a come il
nostro pensiero sia condizionato da una narrazione ultracentenaria. I temi sono
diversi e il Professor Lastaria ne ha analizzati alcuni, lasciandone altri alle
riflessioni personali, perché smantellando la decolonizzazione bisogna fare i
conti con la nostra cultura europea.
Lo stato di Israele è una democrazia? Israele non ha una Costituzione e
giuridicamente distingue tra cittadinanza (estesa ai non ebrei) e nazionalità
(riservata agli ebrei), stabilendo una doppia legislazione.
La memoria della Shoa è celebrata, ma la memoria della Nakba, che ricorre il 15
maggio, è proibita per legge, mentre il 16 maggio si celebra la nascita di
Israele.
Una terra senza popolo per un popolo senza terra. Questo slogan ripreso dal
passato presuppone che quando il popolo ebreo si è insediato in Palestina con
l’occhio del colonizzatore bianco occidentale, si riteneva che la gente che
viveva in quella terra non avesse diritto ad abitarla, che fosse appunto una
terra senza popolo.
La Striscia di Gaza. Anche questo è un concetto astratto creato a tavolino per
dare uno spazio ai profughi arabi dopo l’occupazione ebraica del 1948, quando
alcuni si spostarono a nord, altri verso la Cisgiordania e gli altri, rimasti
senza abitazione, furono collocati forzatamente nella Striscia di Gaza.
Un conflitto tra due nazionalismi. La soluzione dei due Stati non porta alla
decolonizzazione.
Chi è ebreo? Si tratta di un concetto complesso, poco chiaro e ingannevole, che
induce a fare confusione tra i concetti di religione, nazione, etica e cultura.
Il Diritto al ritorno e gli infiltrati. Così venivano chiamati i legittimi
proprietari delle abitazioni espropriate, che negli anni Cinquanta del ‘900
cercavano di fare ritorno alle loro case.
Queste e altre riflessioni restano aperte, ma una cosa è certa: per
decolonizzare la Palestina dovremmo iniziare a decolonizzare la nostra cultura.
Redazione Varese