La Conferenza per l’unità curda nella nuova Siria
A Qamishlo, nel cuore vivo del Rojava, là dove la guerra continua a incidere
cicatrici profonde, il popolo curdo è tornato a tracciare la rotta del proprio
futuro. Il 26 aprile 2025, donne e uomini provenienti dalle diverse anime della
Siria del Nord-Est, dalla diaspora e dai territori martoriati del Medio Oriente,
si sono ritrovati per dare forma a un passaggio che potrebbe segnare un nuovo
inizio. La Conferenza per l’unità curda (The Rojava Kurdish Unity and Common
Stance Conference) non è stata semplicemente un’assemblea politica, ma la
manifestazione concreta di una volontà collettiva che non ha mai smesso di
cercare spazi di espressione. Un tentativo consapevole e determinato di
rispondere a una lunga stagione di disgregazione con una proposta di convergenza
e di visione condivisa.
L’incontro ha rappresentato anche uno dei primi e più significativi appuntamenti
politici successivi al crollo del regime siriano avvenuto l’8 dicembre 2024: un
evento spartiacque, che ha aperto scenari inediti ma anche nuove responsabilità
per tutte le componenti sociali e politiche del paese.
In un territorio devastato da decenni di repressione e sfollamenti forzati,
hanno preso la parola movimenti sociali, attiviste e attivisti indipendenti,
organizzazioni del movimento delle donne e formazioni politiche, uniti dalla
consapevolezza che, in questo momento cruciale di transizione, il popolo curdo
deve farsi trovare pronto, con una voce unitaria e una prospettiva politica
autonoma. Un incontro, dunque, che affonda le sue radici nell’esperienza
rivoluzionaria del Rojava e nel corpo vivo di una collettività che si fa voce,
reclamando il diritto all’esistenza e alla partecipazione nella nuova geografia
politica della Siria.
I lavori sono stati inaugurati da un intervento del comandante generale delle
Forze Democratiche Siriane, Mazloum Abdi, che ha richiamato l’attenzione
sull’appello per la pace lanciato da Abdullah Öcalan il 27 febbraio scorso,
definendolo un passaggio cruciale per rafforzare la coesione interna. Abdi ha
ribadito l’impegno delle SDF a sostenere ogni iniziativa orientata alla
costruzione di una piattaforma condivisa, ispirata ai principi di convivenza
democratica, giustizia e autodeterminazione. In un contesto segnato da divisioni
storiche e da persistenti incertezze, ha invitato le forze politiche e sociali
curde a superare le logiche di frammentazione e a convergere verso una visione
comune.
In questo contesto, trovano spazio anche voci indipendenti, come quella di
Bakthiar, medico originario di Kobane e presente alla conferenza. Lo abbiamo
intervistato nei giorni successivi all’evento e ci ha descritto con chiarezza la
necessità di un nuovo paradigma istituzionale, capace di rispecchiare la
complessità sociale e culturale della Siria: «La decentralizzazione è la
soluzione migliore per il futuro della Siria, considerando la sua struttura
sociale, fatta di nazionalità, confessioni, religioni ed etnie. Tutti ne sono
consapevoli, ma sembra che questo obiettivo richieda ancora del tempo per essere
realizzato».
Il crollo del regime baathista ha rappresentato una frattura irreversibile nella
storia siriana, aprendo uno spazio politico che per decenni era stato soffocato
dalla repressione delle differenze. In questo scenario, il popolo curdo ha colto
la possibilità di affermare la propria soggettività storica, come anche di
contribuire a un nuovo ordine democratico per il paese. La conferenza ha
rilanciato con forza una visione della Siria fondata sul riconoscimento
costituzionale della pluralità: un assetto in cui l’identità curda sia
pienamente riconosciuta come elemento strutturale di una convivenza equa e
duratura. Continua Bakthiar: «I Curdi hanno da sempre avuto una presenza in
Siria, in particolare sul piano politico. Nel corso dell’ultimo secolo di vita
politica siriana, più di un presidente è stato di origine curda. Solo durante
l’epoca baathista tutte le componenti furono escluse dalla vita politica e in
modo particolare i Curdi. Le sfide che il movimento curdo si trova ad affrontare
non si limitano al contesto siriano, ma coinvolgono anche le potenze regionali,
i Paesi confinanti, i loro interessi, la fobia per una presunta spartizione del
territorio e le preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale. I Curdi, come
ogni altra forza attiva in Siria, non perdono di vista l’evoluzione del quadro
politico. Esiste un ampio ventaglio di partiti e movimenti e il dissenso tra
posizioni diverse è del tutto naturale. Tuttavia, alla luce degli eventi che
hanno scosso la Siria e del crollo del regime, per il movimento curdo è emersa
con chiarezza la necessità di modulare le proprie strategie e di riconoscere il
valore dell’unità, tanto nella composizione interna quanto nell’elaborazione
politica. Questa evoluzione è il risultato dell’impegno portato avanti dalle
diverse componenti curde e dei loro sforzi per incidere in modo concreto sulla
leadership attiva nel contesto siriano».
Tra i contributi alla conferenza, sono emersi appelli convergenti
sull’importanza dell’unità e del dialogo. Massoud Barzani, leader del Partito
Democratico del Kurdistan in Iraq, ha ribadito il sostegno a soluzioni pacifiche
e diplomatiche, esortando le forze curde a fare dell’unità un obiettivo politico
concreto.
Un messaggio è giunto anche dal Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità
del Kurdistan (KCK), che ha indicato nell’unità nazionale lo strumento più
efficace per contrastare pressioni esterne e divisioni interne, spesso sfruttate
dalle potenze occupanti. A sua volta, il Partito dell’Unione Patriottica del
Kurdistan (PUK) ha sottolineato il valore strategico della convergenza tra forze
politiche curde, pur nella diversità delle posizioni, come base imprescindibile
per costruire un percorso condiviso e credibile. Una prospettiva, questa, che
trova riscontro anche nelle parole di Bakhtiar: «Gli sforzi di Masoud Barzani e
il processo di pace in Turchia con Abdullah Öcalan hanno avuto un ruolo positivo
nel successo di questo percorso. La presenza di delegazioni e messaggi da parte
dei partiti curdi ne rappresenta, naturalmente, la prova più evidente».
Riflettendo sugli esiti dell’incontro, Bakthiar ha sottolineato l’importanza del
nuovo corso intrapreso: «Uno dei risultati più importanti della recente
conferenza è stata la formazione di una delegazione curda congiunta,
comprendente tutte le forze politiche e le personalità indipendenti, incaricata
di negoziare con il governo centrale di Damasco. Si tratta di un’evoluzione
estremamente significativa e positiva, destinata ad avere un impatto favorevole
sul futuro della regione».
A conclusione della conferenza, il documento finale approvato a Qamishlo traccia
una proposta politica articolata, che combina rivendicazioni storiche con una
visione inclusiva per il futuro della Siria e restituisce l’immagine nitida di
un progetto politico fondato sul pluralismo e sull’esigenza di una profonda
trasformazione sociale. La partecipazione ampia e visibile delle organizzazioni
del movimento delle donne ha ribadito come la questione della parità di genere
attraversi ogni livello del dibattito curdo, definendo una pratica politica in
cui l’autodeterminazione si intreccia a una riformulazione radicale dei rapporti
di potere. In Rojava, la liberazione delle donne non rappresenta un segmento
separato, ma il centro propulsivo di un immaginario condiviso.
Su questo sfondo si misurano oggi tensioni interne e minacce esterne. La
frammentazione politica resta una vulnerabilità aperta, mentre all’esterno i
segnali di ostilità si moltiplicano. La Turchia ha ribadito la propria decisa
opposizione a qualsiasi forma di riconoscimento politico o istituzionale
dell’identità curda nel contesto siriano. Coerente con questa linea, il leader
del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), Devlet Bahçeli, ha rivolto dure
critiche alla conferenza di Qamishlo, accusandola di rappresentare una minaccia
all’integrità territoriale della Siria. Nel frattempo il governo siriano difende
strenuamente la propria architettura centralista. Non si è fatta attendere,
infatti, la reazione di Damasco che, già il 27 aprile, ha accusato le SDF di
aver violato l’accordo nazionale siglato il 10 marzo con la presidenza
transitoria, riaccendendo le tensioni sul futuro assetto istituzionale del
Paese. Nel mirino del governo, il sostegno riaffermato durante la conferenza a
un modello di governance decentralizzato e pluralista promosso
dall’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, che la presidenza
siriana ha definito una minaccia all’unità nazionale e un tentativo unilaterale
di imporre nuovi equilibri nel Nord-Est del Paese.
In questo equilibrio fragile, l’unità delle forze curde si configura come uno
strumento essenziale per affermare legittimità politica, consolidare una
rappresentanza autonoma e opporsi all’isolamento e alla cancellazione. La sfida,
oggi, consiste nel rafforzare una voce politica autonoma, radicata
nell’esperienza rivoluzionaria e capace di aprire orizzonti di democrazia
condivisa e farsi spazio in un processo di transizione incerto, ma ancora aperto
a scenari di trasformazione reale.
Tutte le immagini presenti nell’articolo mostrano la Conferenza per l’unità
curda del 26 aprile e sono state fornite da Rojava Information Center
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