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SACE “Vogliamo lavorare in pace!”
Per un’istituzione che non era mai stata “colpita” da scioperi nella sua storia, doverne registrare ben due nello spazio di poco più di un mese è quanto meno significativo. È successo alla SACE, l’assicuratore di Stato controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Venerdì 27 giugno, più di 30 lavoratrici e lavoratori di SACE in sciopero si sono dati appuntamento in via XX Settembre, sede del MEF, per un presidio rumoroso e colorato, a fare da contraltare al contenuto grave delle denunce rivolte al top management di quella che, in questo momento, è l’agenzia pubblica più importante in Italia. Denunce riportate negli stessi cartelli branditi verso il cielo della canicola romana: “SACE, vogliamo lavorare in pace”; “Rispetto degli accordi, basta violazioni”; “SACE: più trasparenza, meno propaganda”. ReCommon era presente per esprimere solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori, perché la connessione tra il nostro lavoro e le motivazioni che gli hanno spinti a scioperare è più forte di quanto si possa immaginare. Manifestanti di fronte al MEF – 27 giugno 2025 L’operatività di SACE è portata avanti per lo più attraverso le “classiche” garanzie sui prestiti e, più recente, con il programma Push Strategy, che permette a SACE di garantire finanziamenti a controparti estere che si impegnano ad aumentare gli acquisti di beni e servizi dall’Italia. Tuttavia al momento non si riscontra alcun ritorno certo per l’economia italiana, anzi. Già un mese fa il quotidiano La Verità lasciava intendere che alcune operazioni fossero già andate in default. Come riportato da Domani e Il Manifesto in occasione dello sciopero del 22 maggio scorso, la Push Strategy è allo stesso tempo punta dell’iceberg ed elemento tangibile delle gravi vicende che stanno accadendo dentro SACE. Poco più di un mese fa, infatti, Fisac CGIL e First CISL hanno indetto il primo sciopero di sempre per le e i dipendenti dell’assicuratore pubblico. Alla base c’è anche quello che i sindacati chiamano “problema della autonomia delle funzioni di controllo interno”, nonché di un’approssimazione degli stessi controlli interni che viene presentata come semplificazione: con lavoratori e lavoratrici costantemente sotto pressione, senza un organigramma chiaro o che accorpa ai vertici funzioni cardine, la due diligence sulle operazioni viene meno. Un problema, quest’ultimo, che ReCommon denuncia da anni. Nel 2023 era pronta un’operazione di Push Strategy in favore di Petroperù, società petrolifera peruviana costantemente sull’orlo del default, poi ritrattata solo grazie alla pressione esercitata da varie organizzazioni della società civile italiana e internazionale, nonché dalle comunità impattate dall’operato di Petroperù. Un esemplificativo di una vigilanza economica, sociale e ambientale scarsa. Tra le operazioni garantite da SACE – in questo caso non afferente al programma Push Strategy – dove rileva una scarsa due diligence, c’è il progetto di estrazione e liquefazione di gas Mozambique LNG di TotalEnergies in Mozambico, su cui aleggia la pesante ombra di crimini di guerra, trovandosi per di più in una zona di conflitto armato attivo. Si è venuto a sapere di recente che SACE ha confermato la sua partecipazione finanziaria al progetto nel più totale silenzio già a gennaio del 2024, e senza aver condotto ulteriori valutazioni rispetto a quelle del 2017. Inoltre, secondo un’inchiesta condotta da Le Monde e SourceMaterial, molte istituzioni finanziarie – tra cui SACE – erano a conoscenza della condotta violenta dell’esercito mozambicano ben prima dei fatti ascrivibili come potenziali crimini di guerra. Per tutti questi casi, non stiamo parlando quindi solo di rischi ambientali e sociali, ma anche di credito. SACE espone quindi le casse pubbliche italiane al rischio di sborsare centinaia di milioni di euro in un periodo storico dove le crisi economiche si susseguono, e questi soldi potrebbero essere impiegati per attività a favore della collettività, e non per quelle a favore degli interessi delle multinazionali, che si traducono in profitti miliardari. Un vero e proprio gioco d’azzardo con soldi pubblici, motivo per cui è quanto mai necessario che le forze politiche presenti in Parlamento puntino i riflettori su SACE e istituiscano una Commissione parlamentare di vigilanza sull’agenzia, nonché chiedano l’implementazione di una consultazione pubblica per arrivare a una seria politica sul clima e l’ambiente, e per aumentare gli standard di trasparenza dell’ente.
ENI non ha rivelato la reale portata delle emissioni di gas climalteranti in Mozambico, lo rivela il nuovo rapporto di ReCommon “Fiamme Nascoste”
Roma, 26 marzo 2025 – ReCommon lancia oggi il rapporto “Fiamme Nascoste” sugli impatti sul clima dell’impianto di ENI Coral South FLNG al largo delle coste mozambicane. Dall’analisi dei dati pubblici e delle immagini satellitari esaminati dall’associazione e dai suoi consulenti, si può evincere che l’impianto per l’estrazione e liquefazione di gas del cane a sei zampe è stato protagonista di numerosi fenomeni di flaring dall’inizio della sua attività nel 2022, non adeguatamente riportati dall’azienda petrolifera. Il flaring consiste nella pratica di bruciare in torcia il gas in eccesso estratto insieme ad altri idrocarburi, che ha impatti rilevanti sul clima, l’ambiente e – in prossimità di centri abitati – sulle persone. Download FIAMME NASCOSTE REPORT PDF | 3.11 MB scarica il report Solo fra giugno e dicembre 2022, le operazioni di flaring avrebbero comportato lo spreco di 435.000 metri cubi di gas, equivalente a circa il 40% del fabbisogno annuo del Mozambico. Ma gli episodi si sono ripetuti anche in numerose altre giornate negli anni successivi. Per esempio il 13 gennaio 2024, quando, secondo le stime di ReCommon basate su dati NASA, per ogni ora di flaring avvenuto in quella giornata ENI avrebbe mandato in fumo tanto gas quanto una famiglia media italiana consuma in 8 anni e mezzo. Eppure la multinazionale italiana ha assicurato su documenti pubblici che «gli investimenti sono stati compiuti garantendo la piena compliance con gli standard della International Finance Corporation (IFC) e gli Equatorial Principles (sic)». Tuttavia, la “piena compliance” ostentata da ENI si traduce in emissioni totali di Coral South FLNG sottostimate di ben sette volte. Nello studio d’impatto ambientale, che ha dato poca rilevanza al flaring, le emissioni complessive della piattaforma erano state valutate come “trascurabili”, stimate a soli 150.000 tonnellate di CO2e all’anno. Partendo però dai dati della Banca Mondiale, solo quelle associate al flaring avvenuto fra giugno e dicembre 2022 ammontano a 1.098.188 tCO2e. Considerato che le emissioni totali del Mozambico per il 2022 sono state di 10.028.180 tCO2e, in sei mesi le sole emissioni da flaring della piattaforma hanno rappresentato l’11,2% delle emissioni annuali del Mozambico, in crescita dell’11,68% rispetto al 2021. In generale, le emissioni totali associate all’intera catena del valore di Coral South FLNG e del progetto gemello Coral North FLNG non ancora realizzato e per cui ENI si accinge a trovare capitali sul mercato – durante i previsti 25 anni di operatività sarebbero pari a 1 miliardo di tonnellate di CO2e, cioè più di tre volte le emissioni dell’Italia nel solo 2023. In occasione dell’assemblea degli azionisti di ENI del 2024, a una domanda posta da ReCommon su possibili episodi di flaring relativi a Coral South FLNG, la società aveva così risposto: «Sono stati limitati alla fase di collaudo iniziale e agli sporadici casi di riavvio dell’impianto». Un’affermazione in netta contraddizione rispetto a quanto rilevato a settembre 2023 da GALP, l’omologa portoghese di ENI, che all’epoca deteneva una quota azionaria del progetto Coral South. In un documento redatto per Climate Disclosure Project (CDP), organizzazione con base nel Regno Unito e tra le voci internazionali più accreditate in materia di rendicontazione degli impatti ambientali e sociali  anche nel mondo corporate, GALP riporta l’impatto sull’ambiente delle proprie operazioni usando toni diversi da quelli di ENI: «La fase di messa in servizio di Coral FLNG, in Mozambico, ha comportato flaring intenso con conseguente aumento temporaneo delle emissioni di livello 1 durante il secondo semestre del 2022». Ovvero il lasso di tempo già menzionato quale uno dei più caratterizati dal fenomeno del flaring. «La principale multinazionale italiana si appresta a bussare alla porta di finanziatori pubblici e privati per la realizzazione di Coral North FLNG, con gli italiani SACE e Intesa Sanpaolo in prima fila, a cui si aggiungono KEXIM e K-Sure in Corea del Sud. Ci chiediamo come queste istituzioni, dopo aver finanziato Coral South FLNG a seguito di una scarsa due diligence ambientale, possano fare altrettanto con il progetto gemello Coral North FLNG noncuranti anche degli impatti associati al flaring»,ha dichiarato Simone Ogno di ReCommon. «Il tanto declamato “fiore all’occhiello” della cooperazione tra Italia e Mozambico non è mai stato tale: ENI ha provato a dissimulare le difficoltà operative e sottostimato gli effetti del flaring di Coral South FLNG, un progetto che non porta alcuna sicurezza energetica né all’Italia né tanto meno al Mozambico. In un paese in cui violenze sistemiche e impatti ambientali sono legati anche alle attività dell’industria estrattiva, il contributo di ENI arriva in larga parte sotto forma di emissioni climalteranti. Uno scenario che rischia di deteriorarsi con il nuovo progetto Coral North FLNG», ha aggiunto Eva Pastorelli di ReCommon.