PALESTINA: ISRAELE INONDA DI BOMBE A TAPPETO LA STRISCIA DI GAZA. INIZIA L’INVASIONE VIA TERRA DI GAZA CITY.Palestina. Da poco prima di mezzanotte di lunedì 15 settembre Israele ha
iniziato a inondare a tappeto di bombe l’intera Striscia di Gaza, lanciando così
la paventata invasione via terra di Gaza City. Fonti sanitarie certificano
almeno 53 morti da mezzanotte (di cui 3 per fame, una delle armi da guerra di
Tel Aviv) ma il bilancio è parziale, visto il caos in cui è avvolta la Striscia.
Fonti locali, come i pochi reporter non ancora ammazzati, parlano di almeno 100
tra morti e feriti. Dalla notte ci sono, incessanti, missili dai caccia, colpi
di artiglieria, droni e quadricotteri sulla testa di case, tende, esseri umani,
con i boati uditi fino alla zona centrale di Israele. Esplicita l’intenzione:
terrorizzare la popolazione palestinese e obbligarla ad andare verso sud, ma al
momento sono ancora diverse centinaia di migliaia le persone che restano dentro
Gaza City; per loro, infatti, a sud, non c’è nulla, se non morte e distruzione.
Dopo 710 giorni di genocidio, pure gli investigatori Onu si accorgono di quanto
è sotto gli occhi del mondo intero; “Israele ha commesso un genocidio a Gaza
dall’ottobre 2023, con l’intento di distruggere i palestinesi. La responsabilità
ricade sullo Stato di Israele”; così Navi Pillay, magistrata sudafricana a capo
della task force investigativa a capo della Commissione indipendente Onu. “Siete
antisemiti e agite come rappresentanti di Hamas”; questa la litania, sempre la
stessa, della replica – si fa per dire – del Ministero degli Esteri di Tel Aviv.
Su quanto sta accadendo, ormai da oltre 700 giorni, a Gaza, la traduzione in
italiano di un passaggio dell’intervento, poche ore fa in conferenza stampa a
Ginevra, di Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i Territori
Palestinesi Occupati. Ascolta o scarica
Fonti militari israeliane – cioè la propaganda militare – parlano di 70mila
riservisti sul terreno, con altri 60mila già pronti. Sempre Tel Aviv sostiene di
controllare circa il 40% di Gaza City, la più grande città palestinese della
Striscia di Gaza. Non è chiaro al momento se si tratti di incursioni temporanee
– come già accaduto spesso nel recente passato, per distruggere qualsiasi cosa,
animata o inanimata – o del tentativo di installare posizioni fisse e durature.
Di certo c’è l’abbattimento sistematico di ogni edificio, con chi c’è dentro,
senza via di fuga alcuna.
“Gaza sta bruciando”, dice iKatz, ministro della Difesa di Israele, aggiungendo:
“Non cederemo e non torneremo indietro”, anche grazie alla complicità Usa, con
il segretario di Stato Rubio, ieri a Tel Aviv proprio per garantire il via
libera all’invasione. Dentro Israele, nuova protesta delle famiglie degli
ostaggi, attorno alla residenza del premier a Gerusalemme. Tutto inutile,
comunque: il genocidio si allarga e Hamas fa sapere che “Netaynahu ha la piena
responsabilità di quello che accadrà a Gaza e anche sugli ostaggi ancora in
vita”.
Netanyahu ignora, come fa da quasi due anni, pure i famigliari delle vittime e
la sorte degli ostaggi, rivendicando pubblicamente il lancio “dell’operazione
intensiva a Gaza City. E’ una fase cruciale, il 40% dei gazawi, 350.000
residenti, ha lasciato la città, e l’esodo è continuato durante la notte.”
Numeri impossibili da verificare, quelli che Netanyahu ha fornito in un luogo
tutt’altro che casuale; era infatti in Tribunale, all’inizio della sua
testimonianza in tribunale, dov’è indagato per corruzione. Dichiarazione che è
stata la premessa per ottenere l’ennesimo rinvio.
Ancora Palestina con il fronte della solidarietà. Oggi pomeriggio, martedì, a
Ravenna corteo, dalla stazione all’Autorità Portuale, con il Coordinamento Bds e
il Cap – Collettivo Autonomo Portuali – contro l’economia di guerra e il
traffico di armi dallo scalo marittimo romagnolo. Sempre in mare, ma più a sud,
c’è la Global Sumud Flotilla, la cinquantina di imbarcazioni intenzionate a
rompere il blocco criminale israeliano degli aiuti a Gaza. La situazione è
complicata: la Grecia sta bloccando con pretesti burocratici 2 delle 3
imbarcazioni che dovrebbero unirsi alle delegazioni italiane e tunisine, a sua
volta a corto di carburante per i blocchi delle autorità locali e in difficoltà
a raggiungere il punto di ritrovo nel Mediterraneo. La delegazione italiana
resta quindi alla fonda vicino a Portopalo di Capo Passero, in attesa delle
altre imbarcazioni.
Clicca qui per l’aggiornamento di martedì 16 settembre con Stefano Bertoldi,
nostro collaboratore con Scuola Resistente, skipper e attivista della Global
Sumud Flotilla.