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Guerra chiama guerra – dove porta il riarmo?
Sabato 20 settembre dalle ore 17 alle ore 19 presso la Sala Xenia di Riva III Novembre a Trieste si terrà il convegno “Guerra chiama guerra” Ne parliamo con: * Marc Innaro , scrittore e giornalista, già storico corrispondente RAI da Mosca, Gerusalemme e il Cairo; * Diana Bosnjak Monai, scrittrice, illustratrice, nata a Sarajevo da una famiglia multietnica e multiculturale; * Francesco Vignarca, co-fondatore di “Milex” – osservatorio sulle spese militari italian Introduce e modera il giornalista Biagio Mannino Redazione Friuli Venezia Giulia
Pensare la politica al tempo di Gaza
I POPOLI E I SINGOLI NON UTILI A UN POTERE, LA CUI MATRICE È L’ECONOMIA DI MERCATO, POSSONO ESSERE ELIMINATI, CIOÈ SPOSTATI COME PACCHI OPPURE UCCISI. IL GENOCIDIO DI GAZA NE È LA MANIFESTAZIONE PIÙ FEROCE. MA GIÀ LA REPRESSIONE E L’INDIFFERENZA VERSO LE PERSONE CHE MIGRANO, SCRIVE GIAN ANDREA FRANCHI, HANNO PREPARATO NEGLI ULTIMI VENTI ANNI IL TERRENO VERSO IL SALTO ISRAELIANO NELL’ABISSO DI UN FUTURO CATASTROFICO. “DIRE CATASTROFICO, PERÒ, NON IMPLICA AGGIUNGERE ANCHE L’AGGETTIVO INEVITABILE: L’IMPEGNO, AD ESEMPIO, DI COLORO CHE SI RICONOSCONO INTORNO ALL’INCONTRO QUOTIDIANO CON I MIGRANTI DELLA ROTTA BALCANICA NELLA PIAZZA DELLA STAZIONE DI TRIESTE, “PIAZZA DEL MONDO”, VUOL PROPRIO ESSERE UN TENTATIVO DI INIZIARE UNA PRATICA MEDITATIVA DI COSTRUZIONE POLITICA DI RELAZIONI COMUNITARIE, NEL RIFIUTO DI OGNI FORMA DI DELEGA… SI TRATTA DI INIZIARE A COSTRUIRE RESISTENZA SOCIALE A PARTIRE DAL RAPPORTO CON L’ALTRO BASATO SULLA COSTRUZIONE DI FORME COMUNITARIE UNITE DALLA RECIPROCITÀ DELLA CURA… UN IMPEGNO CHE È POLITICO NELLA PRECISA MISURA IN CUI È DIVENTATO ORMAI, SIC ET SIMPLICITER, UN IMPEGNO PER LA VITA…” Trieste, “Piazza del mondo” (settembre 2025) -------------------------------------------------------------------------------- È oggi d’estrema evidenza la necessità di aprire cammini verso una dimensione comunitaria e collettiva della vita e non solo umana. Scrivo queste parole mentre cerco di compiere, a modo mio, questo cammino, anche se spesso mi viene il dubbio di segnar tracce sulla sabbia di fronte a un mare sempre più cupo… È in atto e ben visibile una distruzione della vita in quanto tale sotto la sferza del dominio assoluto del valore di scambio, nato nella Cultura europea fa XVI e XVII secolo per venir imposto ovunque. Il genocidio di Gaza ne è la manifestazione di fronte al mondo senza nessuna mediazione (e con troppo modeste forme di resistenza). Il ministro israeliano Bezalel Smotrich ha detto “La striscia è un Eldorado da spartire con gli Usa”. Si tratta di una frattura nella continuità storica mai avvenuta prima: l’eliminazione attuale e tendenziale di un intero popolo, giuridicamente chiamata genocidio1, viene eseguito di fronte al mondo intero. “Genocidio” è una parola ormai giornalisticamente banale. Primo Levi, nell’introduzione a I sommersi e i salvati, ricorda il “cinico ammonimento” dei militi SS: “E quando anche qualche prova dovesse rimanere [delle camere a gas], e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono talmente mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi che negheremo tutto”2. Quello che sta quotidianamente accadendo a Gaza dal 7 ottobre del 2023 proclama, invece, pubblicamente che le popolazioni e i singoli non utili a un potere, la cui matrice è l’economia di mercato, ovvero il capitalismo, possono essere eliminati: uccisi o spostati come pacchi inutili per essere abbandonati in qualche luogo remoto. Questa violenza radicale era in germe nella violenza originaria del nascente capitalismo in Europa, con la sottrazione dei beni di uso collettivo e la violenza contro tutti i gruppi sociali considerati improduttivi e, contemporaneamente, in forme ab origine largamente “genocidarie”, nella conquista europea del resto del mondo. Dopo la seconda guerra mondiale, questa consapevolezza si era attenuata e anche culturalmente rimossa, in quella fase storica che possiamo chiamare “socialdemocratica”, legata anche alla diffusione di dinamiche sociali di contestazione e di lotta. Oggi, senza più alcun velame giustificatorio, chi non è utile al sistema del potere economico può essere tolto di mezzo. Stiamo entrando in una nuova fase della storia del mondo, che indicherei come una sorta di atroce sintesi di vecchio e di nuovo. Vecchio: perché ultimo frutto velenoso dell’esasperazione della cultura dell’individualismo concorrenziale che porta alla lotta di tutti contro tutti; una società della concorrenza è una società concepita come lotta per vivere e sopravvivere, è una società che porta nelle sue viscere la solitudine e la guerra. Nuovo, perché è ormai scomparsa ogni copertura ideologica, ad esempio l’ideologia dei “diritti umani”, ma soprattutto perché il potere capillare intrinseco alle dinamiche economiche sta ormai palesemente distruggendo la vita intera, senza più contrasti efficaci, limiti o cautele. Ci sono qua e là resistenze, lotte e anche tentativi d’innovazione, ma al momento non in grado di contrastare veramente il processo distruttivo dell’equilibrio essenziale alla vita, così come la conosciamo, che appare sempre più inesorabile. L’intera natura – l’ambito del nascere per tutti i viventi – è coinvolta in un illimitato processo di mercificazione, ovvero di distruzione funzionale al capitalismo. Bisogna prendere atto che questa cultura, nel suo sviluppo incontrollato e che ormai appare incontrollabile, sta distruggendo le basi della vita. Occorre far risuonare nella sua profondità originaria una parola, resa banale, come “natura”: la vita è la temporalità del nascere, del crescere e del finire. Finisce un percorso di vita per dar seguito ad un altro: il nascere e il morire, l’iniziare e il finire, costituiscono due facce di una sola dinamica vitale e, nel caso umano, storica. Detto in termini più astratti, la vita si articola nel ciclo di riproduzione e produzione (produzione del necessario alla riproduzione, il nutrimento), ma è ormai storicamente lanciata verso la rottura dell’equilibrio fra queste due dinamiche fondanti. Siamo, infatti, catturati da un processo in cui la produzione si sta mangiando la riproduzione, perché il fine ultimo della riproduzione è diventato la produzione di oggetti che non sono necessari o anche utili alla riproduzione, al contrario, molto spesso nocivi, servono soltanto alla loro trasformazione in valore di scambio, in denaro, peraltro dissolto ormai in meccanismi finanziari. Potere allo stato puro, sganciato da ogni fine che non sia uno smisurato impulso ad invadere – a divorare – ogni anfratto vitale. Questa dinamica illimitata di potere ha oggi, nel genocidio pubblico di Gaza, la sua proclamazione, locale ma con valenza generale: non c’è più alcun limite a un potere che si manifesta come trasformazione della vita in merce, ossia in valore di scambio fine a sé stesso. È l’instaurazione di un illimitato dominio antropologico sulla vita – ma di cui responsabile è solo una piccola parte degli umani -, che sta mettendo in crisi l’equilibrio della vita stessa. Oggi noi non possiamo più avere un immaginario e quindi neanche delle rappresentazioni del futuro. Possiamo avere speranze e desideri per il futuro, senza però un rapporto con la dinamica storica effettiva e quindi con possibili alternative. Ciò significa che è avvenuta, per la prima volta nella storia, una rottura a livello mondiale della trasmissione fra le generazioni, una rottura della narrazione storica, cioè del senso stesso della vita, sociale e singolare: un genitore oggi non può prefigurare al figlio il mondo in cui vivrà da adulto. Oggi mettere al mondo un figlio è qualcosa di diverso da ieri: un bambino è gettato in un mondo, le cui dinamiche future ci sono ignote. In tal modo la vita storica tende a perdere senso: per quel che riguarda i singoli, sembra evaporare in un pulviscolo caotico di cunicoli individuali, di drammi di sopravvivenza, coinvolti e sconvolti da lotte mondiali di potere. È necessario allora, per ridare senso alla nostra vita e a quella dei nostri figli e delle generazioni future, scavare a fondo. Il compito antropologico, storico, politico di ridare senso alla vita deve partire dalla consapevolezza che la vita e la morte non sono contrapposte, come la cultura moderna dell’Occidente vuol imporre, ma sono complementari – altre culture dall’Occidente distrutte o recluse lo sapevano. Ciò significa fondare un orizzonte narrativo politico, quindi comunitario, nel quale accogliere il transito generazionale: la morte. È questo il fondamento di una vita storica comunitaria. Accogliere la finitezza di ogni singola vita come intrinseca portatrice di un messaggio del proprio transito vitale da lasciare agli altri, a chi resta e a chi nasce, vuol dire creare le condizioni della trasmissibilità fondamento della storia in quanto comunicazione fra le generazioni. Questo è il tratto, che si può chiamare “ontologico”, alla base della dimensione comunitaria della vita, che l’umano potrebbe e dovrebbe esaltare, mentre ha finito con l’esaltare un’altra dimensione, che pur nella vita esiste: la predazione. Il capitalismo, accentuando al massimo il fenomeno predatorio contenuto in natura entro limiti certi, ha finito con il contrapporre la morte al contesto della vita e della storia. Ha annullato la funzione culturale della morte: il passaggio del testimone nel tempo della narrazione storica, il passaggio comunicativo fra le generazioni. Ha reso la morte soverchiante e distruttiva per il tramite di una illimitata espansione dell’umana capacità di agire, divenuta predazione della vita stessa. Ha modificato, in tal modo, le basi stesse della vita, riducendola a materiale da predazione: consumare la vita invece di alimentarla: una dinamica tendenzialmente suicida. Questo è accaduto nel contesto di una complessa dinamica storica di rimozione dell’angoscia propria della condizione umana: l’angoscia per la morte che abita ogni vivente umano e la cui elaborazione è stata il fondamento di tutte le culture: dalle prime mitologie alle religioni più complesse. Rimozione è il contrario di elaborazione. Sembra opportuno un rapidissimo cenno storico. Questo percorso storico di rimozione è sorto in Europa, principalmente, nei meandri della corrente calvinista della Riforma del cristianesimo agli inizi di ciò che chiamiamo “epoca moderna” (XVI-XVII secolo). Sommariamente: sotto la spinta iniziale del bisogno di capire il misterioso disegno divino sulla condizione umana – chi sarà salvato e chi perduto3 – il calvinismo poneva il senso e lo scopo della vita nell’affermazione sociale, intesa ormai in termini individuali e non comunitari, che si veniva rapidamente identificando con il successo sociale, cioè in definitiva economico, sciolto infine da ogni connotazione religiosa. La vita e l’opera di Benjamin Franklin, il cui volto appare esemplarmente sulla banconota da cento dollari, offre una narrazione perfettamente adeguata di questo fondamentale passaggio storico nell’affermazione di una vita operosa tutta dedita, con incrollabile serenità, all’”onesto guadagno”. Nel 1787 scrive: “Più vivo, più colgo prove convincenti di questa verità, ovvero che è Dio a governare le umane faccende”; ma per il tramite del denaro quale controllo e misura del tempo4: “il tempo è denaro”, “il denaro è di sua natura fecondo e produttivo”. In Franklin, infatti, si può leggere con grande chiarezza il capillare lavoro di rimozione dell’angoscia nell’operatività quotidiana: il denaro usurpando e sterilizzando la misteriosa e drammatica fecondità della vita, riducendola alla misura quantitativa, produce un ordine astratto ma rassicurante e una garanzia di controllo del futuro che trova nella “Rivoluzione“ americana l’esempio più caratteristico5. Lo ribadisce molto bene un’ulteriore considerazione dei nostri giorni: “La Banca Mondiale ha fatto sua la teoria dell’economista peruviano Hernan de Soto secondo cui solo il denaro è produttivo, mentre la terra in sé è sterile e se utilizzata per la sussistenza è causa di povertà…”6. Il denaro viene visto come garanzia di vita e, almeno, sopravvivenza. Ma oggi possiamo capire che è vero esattamente il contrario. L’atteggiamento di sereno distacco di Franklin non è alternativo alla violenza più estrema. Ne possiamo trovare un esempio estremamente significativo un secolo prima, proprio nel pieno di quella rivoluzione calvinista in Inghilterra, che è alla base di questa dinamica storica, nell’invasione dell’Irlanda da parte del New Modern Army guidato da Cromwell. La violenza estrema, giunta fino al genocidio, e la serena operosità di ogni giorno sono perfettamente complementari, come il fascismo e la socialdemocrazia, dinamiche diverse ma che perseguono lo stesso scopo7. Oggi, nella fase di violento neoliberismo che sta imperversando senza più alcun limite, possiamo ben dire che, abbandonato ogni tipo di giustificazione, il mero potere del valore di scambio indica pienamente il valore, ovvero il grado di potere, di un individuo o di un gruppo. Importante, però, è cercar di comprendere le origini di un fenomeno storico che oggi sembra ormai privo di ogni capacità di autocontrollo. In tale contesto, di cui ho sommariamente accennato la matrice storica, l’impegno con il nuovo fenomeno migratorio, nato e sviluppato da circa un ventennio, è un punto fondamentale d’azione e d’osservazione. Dato che chi scrive è un cittadino europeo, mi riferisco soprattutto al comportamento degli Stati europei e “occidentali” in cui, – sotto l’affaticata egemonia degli Usa -, appaiono senza veli l’indifferenza per la vita e la supremazia indiscutibile del valore di scambio8, accompagnati dalla fine di tutto ciò che si raccoglieva storicamente sotto l’etichetta “diritto”. L’indifferenza per le decine di migliaia di morti migranti in Mediterraneo, e anche nei Balcani, il cinico ma tradizionale uso politico del razzismo – e, in particolare ricadendo in casa nostra, la complicità dell’attuale governo, con le bande criminali libiche, esemplificato dal “caso Almasri” – sono stati un passaggio fondamentale verso il salto israeliano nell’abisso di un futuro che si preannuncia catastrofico. Questi morti indifferenti sono un esercizio della libertà di uccidere il cui culmine “osceno” – ma di un fuori scena sbattuto brutalmente in scena – si manifesta quotidianamente a Gaza: Israele è l’avanguardia sperimentatrice di un capitalismo ormai pienamente epidemico. Dire “catastrofico”, però, non implica aggiungere anche l’aggettivo “inevitabile”: l’impegno, ad esempio, di coloro che si riconoscono intorno all’incontro quotidiano con i migranti della Rotta balcanica nella piazza della stazione di Trieste – la “Piazza del Mondo” – vuol proprio essere un tentativo di iniziare una pratica meditativa di costruzione politica di relazioni comunitarie, nel rifiuto di ogni forma di delega a qualsivoglia pretesa di rappresentanza. Si tratta di iniziare a costruire resistenza sociale a partire dal rapporto con l’altro basato sulla costruzione di forme comunitarie unite dalla reciprocità della cura, prevedendo in futuro anche possibili nuove forme di lotta: è necessario essere consapevoli che siamo ormai in una nuova diffusa forma di Terza guerra mondiale, che non è esagerato chiamare guerra contro la vita. Il nostro compito oggi, concreto e quotidiano, sta nel raccogliere il messaggio inciso dalla violenza delle frontiere sui corpi umiliati e offesi dei migranti, corpi memori delle violenze genocide di secoli di colonialismo, ma che ci indicano anche un futuro di devastazione dell’equilibrio vitale. Ciò implica il coinvolgimento in un impegno che è politico nella precisa misura in cui è diventato ormai, sic et simpliciter, un impegno per la vita. -------------------------------------------------------------------------------- 1 Ho qualche remora a usare il termine “genocidio”, nato in ambito giuridico e fortemente segnato da questa origine in termini di potere. 2 Primo Levi, I sommersi e i salvati, in Opere Complete, vol. II, Einaudi 2016, p. 1147. 3 Questa è la lettura di Weber nell’Etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904-1905. 4 D. Sassoon, Rivoluzioni. Quando i popoli cambiano la storia, Garzanti, Milano 2024, p. 110. 5 Un articolo di Francesco Raparelli, sul “Manifesto” del 13 marzo 2025, p. 15, intitolato “Musk innovatore nel solco della storia Usa”, tenta un collegamento storico fra una figura come quella di Elon Musk e la storia statunitense di cui Franklin è figura esemplare, proprio in riferimento al testo di Sassoon. 6 Silvia Federici, Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei commons, Ombre corte, Verona 2018, p.28. LEGGI ANCHE: > Le insurrezioni delle donne 7 È necessario però ricordare che all’epoca di Cromwell sorsero anche i Levellers e altri movimenti di contestazione radicale e di scelte comunitarie. federici8 Da notare il lucido conciso articolo di Chiara Mattei ‘Austerità, militarismo, censura: Trump ci mostra il loro legame’ sul “Fatto quotidiano” del 18 agosto, p. 12 -------------------------------------------------------------------------------- Insegnante di filosofia, Gian Andrea Franchi è da anni impegnato con i migranti della cosiddetta rotta balcanica a Trieste. Il suo ultimo libro è Per un comunismo della cura (DeriveApprodi). Nell’archivio di Comune i suoi articoli sono leggibili qui. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Pensare la politica al tempo di Gaza proviene da Comune-info.
Sotto il cielo di Gaza: un libro di don Nandino Capovilla e di Betta Tusset in Casa del Popolo (Ponziana)
Assopace Palestina e l’Associazione culturale “Tina Modotti” (Trieste) organizzano il 19 settembre prossimo alle ore 18.00 presso la Casa del popolo “Antonio Gramsci”in via Ponziana 14 (Trieste) la presentazione del libro Sotto il cielo di Gaza (La Meridiana edizioni, 2025). Interverranno gli autori, don Nandino Capovilla e Betta Tusset. Introdurranno Roberto Cirelli (Assopace Palestina) e Gianluca Paciucci (Associazione culturale “Tina Modotti”). La cittadinanza è invitata a partecipare. Dopo la presentazione, seguirà un aperitivo solidale per la popolazione di Gaza. Redazione Friuli Venezia Giulia
La verità è più forte della denigrazione
Ancora una volta (e non sarà certo l’ultima) vengono utilizzate parole a sproposito, in un’accezione ingannevole, contrarie ad una corretta esposizione. Ciò è avvenuto, nello stesso giorno, domenica 7 settembre 2025, sul quotidiano triestino Il Piccolo e nell’edizione radiofonica del TGR del Friuli Venezia Giulia. Si è trattato dell’uso di due termini: no vax e antisemita. Il primo è stato utilizzato nel Giornale Radio del mattino di domenica 7 quando, rifacendo la cronaca della manifestazione del giorno precedente, a favore della Global Sumud Flottilla, è stato riferito che “è stato esposto uno striscione,poi contestato da alcuni, da parte dei no vax”. Lo striscione contestato era stato esposto, firmato , dal Coordinamento No Greenpass e Oltre. No vax è definito chi si oppone al metodo della vaccinazione in assoluto; no green pass è chi ha ravvisato nell’obbligo di vaccinazione anti Covid19, una prevaricazione alla libertà di scelta della cura , in quel frangente. No green pass non significa no vax anche se , si comprende, si fa prima a dire no vax e , senza andare troppo per il sottile, si fa passare una deformazione concettuale, rinnovando equivoci già sorti e causa di denigrazioni sconfitte anche da sentenze giudiziarie. Sarebbe, inoltre, il caso che giornalisti abbiano il buon senso di denominare i gruppi di attivisti che scendono in piazza con il loro nome. Se il Coordinamento No Green Pass e Oltre ha questa denominazione, è irriguardoso definirlo genericamente come “no vax”. Più grave, a nostro avviso, è il secondo “equivoco” linguistico, rintracciabile a pagina 6 del quotidiano Il Piccolo, di domenica 7 settembre, ove si riportano le dichiarazioni di Mauro Gialuz, del Comitato organizzatore delle manifestazione del 27 maggio e 29 luglio per Gaza: “il Comitato si dissocia e condanna striscioni, parole e slogan antisemiti pur nella più ferma condanna della criminale politica israeliana”. L’antisemitismo è l’odio e la discriminazione verso gli ebrei, basato su pregiudizi razziali e culturali, antisionismo è l’opposizione al sionismo, movimento nazionalista a carattere colonialista, nato alla fine dell’800, promuovendo l’instaurazione di uno “Stato ebraico” in Palestina. In ciò rafforzato dalla cosiddetta Dichiarazione di Balfour, del 1917, che rafforza il colonialismo britannico sulla Palestina prevedendo un “focolare ebraico”. Cosa abbia prodotto il sionismo, sopratutto dal 1948, a seguito della fondazione del regime di Israele, è davanti agli occhi di tutti e oggi mostra il suo apice: pulizia etnica, apartheid e genocidio. È chiaro, perciò, che quando ci si oppone al sionismo, ci si oppone ad un movimento politico colonialista, che nega il popolo palestinese in quanto popolo. Essere antisionisti non è essere antisemiti: non dimentichiamo che nei popoli semiti è compreso il popolo palestinese e che sabato 6 settembre abbiamo manifestato a favore del popolo palestinese e gran parte degli interventi hanno attaccato proprio il sionismo. Da parte nostra, continueremo a mobilitarci al fianco del popolo palestinese nonostante gli attacchi a mezzo stampa che riceviamo. Approfittiamo quindi, anche di queste dovute riaffermazioni di verità per rilanciare la partecipazione al corteo del 15 Settembre contro la militarizzazione del porto di Trieste, che il governo Meloni, attraverso l’Imec, vuole legare direttamente al porto sionista di Haifa. Coordinamento No Green Pass e Oltre, 10 settembre 2025 Redazione Friuli Venezia Giulia
Corteo “Fuori la guerra dal porto franco e internazionale di Trieste” del 15 settembre
Il 15 settembre del 1947 entra in vigore il Trattato di Pace di Parigi e con esso si costituisce il Territorio Libero di Trieste quale zona neutrale e demilitarizzata, dotata di un porto franco internazionale aperto – secondo il diritto internazionale – a tutti gli stati del mondo. Questo statuto giuridico avrebbe dovuto garantire che Trieste non fosse più merce di scambio e luogo di scontro tra Stati e potenze. Ma il traguardo rappresentato dall’istituzione giuridica del Territorio Libero di Trieste venne soffocato ancor prima di nascere compiutamente. La NATO non poteva permettere che Trieste, data la sua posizione strategica, restasse al di fuori della propria sfera d’influenza. In geopolitica, si sa, la carta, i trattati e il diritto contano ben poco: sono i rapporti di forza – e all’occorrenza le armi – a tracciare i reali confini. In questa infuocata fase storica, la sistematica violazione del Trattato di Pace di Parigi per quanto riguarda Trieste si accinge a raggiungere l’apice e a manifestare le sue massime conseguenze. Le folli politiche di riarmo ed espansione della NATO e dell’UE non possono che voler dire una cosa: la guerra si avvicina, e sarà il popolo a pagarne il prezzo. I venti di guerra soffiano sempre più forti ed il porto franco ed internazionale di Trieste, situato in un’ambita posizione strategica, è in prima linea in questa nuova fase di scontro geopolitico. Trieste è infatti negli appetiti di NATO, UE ed Israele, che vogliono rendere il nostro scalo adriatico uno snodo logistico-militare inserito tanto nell‘IMEC quanto nella Three Seas Initiative, ovvero programmi geostrategici con finalità militari. L’IMEC (o “Via del Cotone”), rotta che nel suo complesso partirebbe dall’India per arrivare proprio a Trieste, collegherebbe in ambito mediterraneo il nostro porto con quello israeliano di Haifa, mentre la Three Seas Initiative (o “Trimarium”) integrerebbe Trieste in un blocco geopolitico/militare nell’Europa centro-orientale in vista di uno scontro militare con la Russia. Due piani complementari per trasformare Trieste in una fortezza della NATO collegata direttamente con lo stato genocida di Israele. E a noi cosa resta? Un territorio sempre più mal amministrato, laddove la crescita della militarizzazione è accompagnata dal collasso industriale e dalle difficoltà economiche. Ci resta il nostro porto, che invece di essere un fiorente punto d’incontro e di scambio, a vantaggio di tutti, diviene uno strumento utile alla proiezione di guerre e/o interessi imperialistici, sacrificato dallo Stato italiano (succube della NATO) che condanna così il porto e l’intero territorio alla definitiva violazione del Trattato di Pace di Parigi. Ma questo non sarà il nostro futuro, e noi a tutto questo diciamo no! Il 15 settembre alle 17:00 in Piazza Sant’Antonio, in occasione del 78esimo anniversario dell’entrata in vigore dello statuto giuridico del TLT, scenderemo in corteo per esigere la piena applicazione del Trattato di Pace di Parigi e rivendicare il nostro diritto di vivere in un Territorio Libero, neutrale e smilitarizzato. Per un futuro di pace, collaborazione e giustizia! FERMIAMO I PIANI DELLA NATO, DELL’UE E DI ISRAELE – FERMIAMO L’IMEC! Scendiamo in piazza il 15 settembre per: • RIVENDICARE l'applicazione del Trattato di Pace • FERMARE i piani di militarizzazione • DIFENDERE il diritto a un Territorio Libero e neutrale Il corteo è promosso dal Comitato 15 Settembre, composto dalle seguenti realtà: Fronte della Primavera Triestina, Associazione Alister, Coordinamento No Green Pass e Oltre, Insieme Liberi, Partito Comunista, Multipopolare, Socialismo Italico – SOCIT, Costituzione in Azione Con l’adesione di: Unione Sindacale di Base (USB), TriestNGO, Tavola per la Pace FVG, Casa del Sole TV, il Tazebao, Comitato Quadrifoglio, Lavoratori Autorganizzati Ravenna, CambiaMENTI Cervignano, Partito Comunista Italiano, Comitato Comitato di Mutuo Appoggio Lavoratori Radio-TV, Socialistriski Bralni Krožek, Comitato No NATO No UE No GUERRA Ancona, Nucleo Comunista Internazionalista Per adesioni scrivere a: segreteria@primaveratriestana.org Redazione Friuli Venezia Giulia
Conferenza Guerra e Capitale
Segnaliamo la nostra conferenza intitolata “GUERRA E CAPITALE: UN’ALLEANZA STRUTTURALE” che si terrà presso l’aula F del Narodni Dom mercoledì 10 alle ore 17. A seguire la descrizione: Nel corso dell’incontro verranno affrontate diverse questioni: dal rapporto esistente tra capitalismo e guerra a ciò che accade in Palestina, fino ad arrivare alla situazione di Trieste e del suo porto – che costituisce una risorsa molto preziosa vista la sua posizione strategica – nella mutata situazione geopolitica mondiale. Gli ospiti saranno l’attivista Adam Bark, i professori Lorenzo Maria Pacini, Andrea Zhok e, in via telematica, il giornalista Antonio Mazzeo che avrà modo di condividere la propria testimonianza sulla recente missione umanitaria con la Freedom Flotilla, conclusasi con l’arresto in Israele. La conferenza sarà anche un’occasione, per noi della Primavera Triestina, di proporre un’invito al corteo del 15 settembre, data dell’entrata in vigore del Trattato di Parigi, ribadendo la questione del Territorio Libero di Trieste, uno strumento per costruire un futuro diverso da quello che si prefigura per la nostra città. Vi aspettiamo numerosi! VERSO IL CORTEO DEL 15 SETTEMBRE!” — Marika Farinelli Segreteria Fronte della Primavera Triestina Redazione Friuli Venezia Giulia
Migranti in continuo pericolo di vita: accusiamo l’amministrazione Di Piazza
Il nubifragio abbattutosi sulla città il 2 settembre ha messo sotto gli occhi di tutte/i la drammatica situazione delle persone migranti in Porto vecchio. Esse hanno rischiato la vita e la salute, già precaria, e hanno perso tutto, spazzato via dalla violenza della pioggia mentre riposavano o si preparavano a dormire all’addiaccio. Solo la presenza di attiviste/i, che Dipiazza continua sconsideratamente ad accusare, e la pronta generosità di una parrocchia vicino alla stazione ha evitato il peggio. Sono anni che, come Rifondazione Comunista insieme ad altre forze, denunciamo l’irresponsabilità di chi, con un pugno di voti, mal governa Trieste. Si tratta, ora, di passare ai fatti, anche in vista dei prossimi autunno e inverno: aprire alle persone migranti/transitanti i locali del mercato coperto di via Gioia, in zona stazione e in ottime condizioni. L’omissione di soccorso e la disumanità, per biechi calcoli elettorali, dura da troppo tempo. Le attiviste/i continueranno la loro opera quotidiana: spetta all’amministrazione Dipiazza fare quello che non ha fatto finora, se non vorrà essere travolta dal disprezzo definitivo e dalla propria miseria politica. Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Presentazione del viaggio di Marco Cavallo nei Cpr d’Italia
Il viaggio di Marco Cavallo nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) d’Italia è alle porte. Venerdì 5 settembre, alle ore 11, al Circolo della Stampa di Trieste si terrà la conferenza stampa di presentazione del progetto, che prenderà ufficialmente il via il giorno successivo da Gradisca. Marco Cavallo, simbolo di libertà e di diritti, tornerà a viaggiare per dare voce a chi non ha voce, entrando idealmente nei Cpr, strutture che in molti aspetti ricordano i vecchi Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ma che spesso si rivelano ancor più crudeli dal punto di vista umano. Il viaggio – frutto di un lavoro collettivo che sta coinvolgendo associazioni, gruppi e cittadini – prevede diverse tappe: * 6 settembre: Gradisca d’Isonzo * 20 settembre: Milano * 27 settembre: Roma * 4 ottobre: Palazzo San Gervasio (PZ) * 8 ottobre: Brindisi * 10 ottobre: Bari, conclusione del cammino. In ogni città si terranno iniziative pubbliche, incontri e momenti di confronto, raccontati tappa dopo tappa sul Forum Salute Mentale e seguiti da giornalisti italiani e internazionali. Il regista Giovanni Cioni documenterà l’intero percorso per realizzare un film che custodisca e diffonda le voci raccolte lungo la strada. Durante il viaggio consegneremo alle persone trattenute nei Cpr lettere scritte da chi sostiene l’iniziativa, per portare loro un messaggio di vicinanza e speranza. Marco Cavallo sarà accompagnato da bandiere fatte di tessuti di scarto. Un atto politico e poetico: ogni cucitura è un legame, un incontro tra materiali diversi, come le vite che si intrecciano in un luogo di detenzione, simbolo di dignità e creatività anche nelle condizioni più dure. Venerdì 5 settembre alle ore 17:00 al cinema Ariston a Trieste amici, sostenitori, cittadini e associazioni potranno augurare buon viaggio a Marco Cavallo, in partenza per Gradisca. Alle 17:30 lo psichiatra Peppe Dell’Acqua presenterà brevemente il progetto e alle 18:00 ci sarà un momento di saluto ufficiale, mentre il cavallo andrà verso la prima tappa. A seguire, gli interessati potranno recarsi alla proiezione del film “Noi siamo gli errori che permettono la vostra intelligenza” della regista Erika Rossi, dedicato all’Accademia della follia. L’elenco delle adesioni e la descrizione del viaggio completo sono reperibili nel sito del Forum Salute Mentale. Per eventuali informazioni o interviste, si prega di contattare le referenti del FSM. La dottoressa Carla Ferrari Aggradi (+39 348 004 3379), o la giornalista Veronica Rossi (+39 348 326 2288), o Lavinia Nocelli (+39 3398105303). Forum Salute Mentale Il Viaggio di Marco Cavallo nei CPR Redazione Friuli Venezia Giulia
Fuori la guerra dal porto franco e internazionale di trieste – Appello per il corteo del 15 settembre
Il 15 settembre del 1947 entra in vigore il Trattato di Pace di Parigi e con esso si costituisce il Territorio Libero di Trieste quale zona neutrale e demilitarizzata, dotata di un porto franco internazionale aperto – secondo il diritto internazionale – a tutti gli stati del mondo. Questo statuto giuridico avrebbe dovuto garantire che Trieste non fosse più merce di scambio e luogo di scontro tra Stati e potenze. Ma il traguardo rappresentato dall’istituzione giuridica del Territorio Libero di Trieste venne soffocato ancor prima di nascere compiutamente. La NATO non poteva permettere che Trieste, data la sua posizione strategica, restasse al di fuori della propria sfera d’influenza. In geopolitica, si sa, la carta, i trattati e il diritto contano ben poco: sono i rapporti di forza – e all’occorenza le armi – a tracciare i reali confini. In questa infuocata fase storica, la sistematica violazione del Trattato di Pace di Parigi per quanto riguarda Trieste si accinge a raggiungere l’apice e a manifestare le sue massime conseguenze. Le folli politiche di riarmo ed espansione della NATO e dell’UE non possono che voler dire una cosa: la guerra si avvicina, e sarà il popolo a pagarne il prezzo. I venti di guerra soffiano sempre più forti ed il porto franco ed internazionale di Trieste, situato in un’ambita posizione strategica, è in prima linea in questa nuova fase di scontro geopolitico. Trieste è infatti negli appetiti di NATO, UE ed Israele, che vogliono rendere il nostro scalo adriatico uno snodo logistico-militare inserito tanto nell’IMEC quanto nella Three Seas Initiative, ovvero programmi geostrategici con finalità militari. L’IMEC (o “Via del Cotone”), rotta che nel suo complesso partirebbe dall’India per arrivare proprio a Trieste, collegherebbe in ambito mediterraneo il nostro porto con quello israeliano di Haifa, mentre la Three Seas Intiative (o “Trimarium”) integrerebbe Trieste in un blocco geopolitico/militare nell’Europa centro-orientale in vista di uno scontro militare con la Russia. Due piani complementari per trasformare Trieste in una fortezza della NATO. E a noi cosa resta? Un territorio sempre più mal amministrato, laddove la crescita della militarizzazione è accompagnata dal collasso industriale e dalle difficoltà economiche. Ci resta il nostro porto, che invece di essere un fiorente punto d’incontro e di scambio, a vantaggio di tutti, diviene uno strumento utile alla proiezione di guerre e/o interessi imperialistici, sacrificato dallo Stato italiano (succube della NATO) che condanna così il porto e l’intero territorio alla definitiva violazione del Trattato di Pace di Parigi. Ma questo non sarà il nostro futuro, e noi a tutto questo diciamo no! Il 15 settembre alle 17:00 in Piazza Sant’Antonio, in occasione del 78esimo anniversario dell’entrata in vigore dello statuto giuridico del TLT, scenderemo in corteo per esigere la piena applicazione del Trattato di Pace di Parigi e rivendicare il nostro diritto di vivere in un Territorio Libero, neutrale e smilitarizzato. Per un futuro di pace, collaborazione e giustizia! FERMIAMO I PIANI DELLA NATO, DELL’UE E DI ISRAELE – FERMIAMO L’IMEC! Comitato 15 settembre: Fronte della Primavera Triestina, Coordinamento No Green Pass e Oltre, Insieme Liberi, Alister, Partito Comunista, Costituzione In Azione, Tavola per la Pace FVG, Multipopolare – OttolinaTV e Socialismo Italico – SOCIT. Redazione Friuli Venezia Giulia
26 Agosto Compleanno di Boris Pahor
Oggi 26 agosto ricorre l’anniversario della nascita dello scrittore sloveno di Trieste professore Boris Pahor, che per molti anni il Comitato Pace Convivenza Solidarietà e Diritti Danilo Dolci ed il Centro Italo Sloveno hanno festeggiato in piazza Oberdan. Ecco il ricordo: Lo scrittore è stato testimone e alfiere di cent’anni della vita di queste terre da quando i suoi occhi di bambino hanno visto l’incendio del Narodni Dom, è stato testimone e simbolo dell’antifascismo e antirazzismo e ha guardato fin da subito con attenzione alla difficile costruzione dell’Europa. Perciò in questa occasione, ricordando l’ottantesimo anniversario dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e quindi dalla liberazione dei perseguitati come lui, sono stati collocati dei fiori sulla sua tomba nel cimitero di Sant’Anna. Lo ricorderemo anche l’8 settembre, data dell’armistizio del Gen. Badoglio, assieme alle persone interrogate e torturate nel palazzo al. n. 4 di Piazza Oberdan dove operava la polizia politica delle SS e della Gestapo, proprio in Piazza Oberdan alle ore 18.00 Ed è ricordando queste vittime del nazifascismo che proponiamo nuovamente, come già altre volte e come auspicato dallo stesso Boris Pahor, la città di Trieste come capitale europea della pace e della cultura e suoi ultimi appelli ed inviti ai giovani, apprendere in mano gli insegnamenti della storia. Per il Comitato Pace Convivenza Solidarietà e Diritti Danilo Dolci Centro di Italo Sloveno via Valdirivo 15/b Trieste. Luciano Ferluga 3509182264 Redazione Friuli Venezia Giulia