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Successi e strategie antimilitariste a scuola: alcuni esempi di nonviolenza attiva
Qualcuno ricorderà il “professore sandwich” che l’anno scorso girò nei corridoi di un liceo del litorale romano con un cartellone riportante la scritta “Non farti fregare! anche dietro una scrivania sarai sempre un militare. Fuori i militari dalla scuola!“. In quell’anno scolastico, infatti, l’istituto avrebbe ospitato i militari della Scuola di artiglieria di Bracciano per fare, secondo la mente fantasiosa dei responsabili del progetto, “orientamento al lavoro”: come se il lavoro in una forza armata fosse un’attività come un’altra soprattutto di questi tempi, in cui venti di guerra soffiano impetuosi un po’ in tutte le direzioni (clicca qui per la lezione di Charlie Barnao, Il soldato non è un mestiere come un altro). Vuoi gli effetti dissacranti di quest’azione nonviolenta – ma a forte impatto anche visivo-simbolico – vuoi il dialogo diretto con gli studenti e le studentesse, con i/le quali il tema della militarizzazione è stato al centro dei temi fondamentali della pedagogia, per mesi e mesi (e spesso si ponevano esempi ispirati a queste presenze in veste di “formatori armati”) l’evento, alla fine, non ebbe luogo. Passa un anno da quel fatto, cambia il dirigente, ma non cambia l’approccio culturale militarizzante. Un docente ci avverte della presenza insolita di una pantera della Polizia davanti scuola e di poliziotti, in divisa, intenti a parlare molto probabilmente, come da copione, di bullismo e/o cyberbullismo. Il docente decide di porre delle domande direttamente ad uno dei docenti coinvolti dall’iniziativa e attraversando tutta l’aula gli si avvicina per chiedergli il motivo di quella scelta “poliziesca”: ciò provoca una reazione violenta dell’ideatore di quell’incontro, descritta nei dettagli in un nostro precedente articolo peraltro in totale contraddizione proprio con l’oggetto dell’intervento dei poliziotti, ovvero il bullismo. Come avevamo avuto modo di sottolineare, quel gesto, come del resto anche l’iniziativa dell’anno precedente, può configurarsi ed essere progettato per provocare una dissonanza cognitiva nei/lle ragazz3, ovvero un “disagio” psicologico (a fin di bene) che si prova quando si è di fronte a due o più cognizioni (idee, credenze, valori, conoscenze) in conflitto tra loro. Nel primo esempio il ruolo, a volte stereotipato, del docente, prevederebbe determinate posture che invece sono platealmente disattese: si attira in questo modo l’attenzione, si invita a riflettere, si vede il proprio docente come colui che a volte dice “no”, si espone anche ad un rischio e in qualche modo instilla il seme del dissenso o della disobbedienza civile, dimostrando che questa è (e deve essere) sempre possibile, anche in situazioni apparentemente non predisposte. Nel secondo caso la presenza dei poliziotti di cui uno in piedi e in divisa, oltretutto armato e quella dei due colleghi anch’essi in piedi dislocati agli angoli opposti dell’aula, non prevedeva la presenza di un terzo incomodo anch’esso docente, ma che dissacrava quel momento ieratico; ma forse la dissonanza cognitiva più forte l’ha provocata proprio il “proprietario” del progetto anti-bullismo, con il suo violento intervento urlato, “sei un imbecille! questo progetto è mio!”.  Anche il comportamento dei poliziotti, che dimenticando di stare a “casa d’altri” e invitati proprio in quanto portatori di esempi di modalità di risoluzione di violenze e conflitti, invece di calmare le intemperanze dell’insegnante, prendono le difese di colui che di fatto si era rivelato un bullo, cacciando il professore intruso. Queste nuove informazioni che contraddicono conoscenze pregresse sono una motivazione alla riflessione critica e alla verifica delle proprie idee. Si attua in modo rapido un aggiornamento delle conoscenze integrate dalle nuove informazioni. (…) Allo stesso tempo, la memorizzazione è più efficace perché le informazioni contrastanti restano più impresse: ciò favorisce un apprendimento profondo, critico e duraturo. Il ruolo della disobbedienza civile nelle aule e nei corridoi scolastici, il dissenso mai violento, ma sicuramente provocatorio, possono essere insomma degli strumenti quotidiani per praticare la lotta contro la militarizzazione delle menti. Interrompere questi incantesimi giocati su elementi emotivi o ludici, ma attuati in malafede dagli attori in divisa è sempre possibile: dissacrare il bellissimo cane poliziotto che trova la “droga” o la bomba, o il bellissimo e tenerone cane di Terranova che salva il manichino in acqua, ma non il migrante che affoga a causa dell’ennesimo mancato soccorso della Guardia Costiera, dovrebbero essere delle azioni doverose che in fondo costano poco, ma possono tenere grandi risultati sul lungo periodo. Non c’è più tanto tempo per agire, per passare all’azione perché le attività militarizzanti sono talmente diffuse sul territorio anche attraverso sotterfugi e tattiche sotterranee. L’ultimo 4 novembre per esempio dopo le iniziative roboanti del 2024 non si è caratterizzata per poca propaganda e militaresca, ma al contrario per una tattica di immersione e di basso profilo ma purtroppo non meno pervasiva. Le iniziative forse sono state anche più numerose, ma meno pubblicizzate e anche nelle scuole la tattiche è quella di bypassare i collegi docenti così come consigli di istituto e normalizzare questi interventi. Nel caso in questione, per esempio, il collega ha dovuto annullare l’incontro successivo ufficialmente inserito nel calendario, ma ha portato avanti lo stesso il proprio progetto, in un altro orario dribblando in questo modo eventuali azioni di boicottaggio: anche questo è pur sempre un risultato! Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università -------------------------------------------------------------------------------- Se come associazioni o singoli volete sostenerci economicamente potete farlo donando su questo IBAN: IT06Z0501803400000020000668 oppure qui: FAI UNA DONAZIONE UNA TANTUM Grazie per la collaborazione. Apprezziamo il tuo contributo! 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Accordo Ministero dell’Istruzione e del Merito con l’Associazione Nazionale Alpini
(…) hanno siglato un Protocollo d’Intesa, che consente di promuovere nelle scuole i valori dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato. Il passaggio del Protocollo che abbiamo citato, nel quale abbiamo volutamente lasciato in bianco i due soggetti ad inizio frase, potrebbe essere riferito ad una delle quasi 5000 organizzazioni di volontariato italiane per oltre 800mila volontari (https://volontariato.protezionecivile.gov.it/it/elenco-nazionale/elenco-centrale/) che fanno riferimento alla Protezione Civile, ma purtroppo non è così. I soggetti in questione, infatti, rappresentano l’una la più grossa e antica organizzazione di militari in congedo come l’A.N.A. (Associazione Nazionale Alpini), l’altra il MIM (ormai ribattezzato Ministero dell’Istruzione Militare). Dopo decenni di enfatizzazione della competizione, spesso edulcorata soprattutto a scuola attraverso l’aggettivo “sana”, e dell’individualismo sfrenato, di pari passo con la privatizzazione della scuola, ciò che più sconcerta è l’utilizzo, da parte del ministro con la spilla simbolo della Lega Nord sempre al bavero, del termine “noi” contrapposto a quello dell'”io”. Inserito in questo contesto, dove i termini patria e patriottismo abbondano, il “noi” sembra ricordarci il famigerato motto fascista “a noi!” più che un’idea di compartecipazione o di solidarietà. Per Valditara evidentemente “gli Alpini esprimono – si legge sul sito del MIM – valori importanti: solidarietà e altruismo, civismo, coraggio, senso del dovere e spirito di sacrificio, lealtà, attaccamento al territorio e alle radici della comunità, ideali patriottici“. “Il Protocollo – si legge più avanti (clicca qui) – prevede il rilascio di un attestato di frequenza alle studentesse e agli studenti che partecipano ai Campi Scuola organizzati dall’ANA per documentare l’esperienza nel loro curriculum e per darne rilevanza durante il colloquio dell’esame di Maturità“. Un po’ come nel sistema dei crediti, anche qui si fa leva sull’interesse utilitaristico degli studenti e delle studentesse per spronarli alla partecipazione ai Campi Scuola sponsorizzati dagli Alpini. Ma non si dovrebbe far leva solo sulla volontà di fare del bene alla Patria? Siamo sicuri che i valori della solidarietà, del volontariato e della partecipazione civile siano appannaggio solo di un corpo militare come gli Alpini? Sembra di essere piombati negli anni ’20 ma del secolo scorso, tanto che ad oltre un mese dalla fine delle celebrazioni di quella che per noi è una giornata di lutto nazionale, il 4 novembre, alcuni autobus della capitale (clicca qui) girano ancora con l’adesivo riportante un bandierone sullo sfondo di un cielo azzurro, con la scritta “Difesa la forza che unisce”: ma dobbiamo per forza unirci con le armi in mano? Da una parte si fa un grande esercizio di retorica su questo sedicente spirito unitario sotto l’egida delle forze armate, dall’altra si trama per sgretolare la solidarietà tra nord e sud e tra zone depresse e zone ricche tramite l’autonomia differenziata. Se la si guarda, però, attraverso gli occhi di un appartenente alla classe privilegiata questa non appare più una contraddizione ma un fine perfettamente coerente con i propri interessi. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università -------------------------------------------------------------------------------- Se come associazioni o singoli volete sostenerci economicamente potete farlo donando su questo IBAN: IT06Z0501803400000020000668 oppure qui: FAI UNA DONAZIONE UNA TANTUM Grazie per la collaborazione. Apprezziamo il tuo contributo! Fai una donazione -------------------------------------------------------------------------------- FAI UNA DONAZIONE MENSILMENTE Apprezziamo il tuo contributo. Dona mensilmente -------------------------------------------------------------------------------- FAI UNA DONAZIONE ANNUALMENTE Apprezziamo il tuo contributo. Dona annualmente
OnLife: il nuovo progetto ecologico-educativo dell’industria bellica Leonardo SpA
Si chiama OnLife (https://www.leonardo.com/it/news-and-stories-detail/-/detail/leonardo-on-life-valorizzazione-circolare-asset-digitali) il nuovo progetto di Leonardo SpA in collaborazione con Hewlett Packard, presentato come iniziativa nel quadro dell’economia circolare: PC dismessi ma riutilizzabili e quindi potenziati per essere reimmessi in situazioni di svantaggio sociale dove per esempio è forte il cosiddetto “digital divide“. Quindi la nota fabbrica di morte Leonardo SpA, peraltro invischiata anche in relazione indegne con lo Stato genocidario di Israele, si associa ad un altro colosso del digitale come HP ben noto non solo a BDS (https://bdsitalia.org/index.php/notizie/comunicati-bds/tag/boicotta-hp), ma a chiunque abbia minimamente indagato su quali siano i “device” digitali utilizzati dall’esercito israeliano, in particolare nelle attività di polizia di frontiera per un controllo pervasivo sulla popolazione palestinese. Prosegue quindi l’attività di war-washing e green-washing del colosso internazionale targato Italia che in questo caso va a colonizzare anche le fasce più svantaggiate della popolazione giovanile nei Paesi più poveri tentando così di riabilitarsi. Anche sul piano ecologico questa piccola goccia nel mare difficilmente riuscirà ad essere concepita come un primo passo per salvare il pianeta vista la complicità con l’esercito israeliano che in due anni è riuscito ad inquinare e a sommergere di detriti bellici in una quantità tale che nessun altro paese al mondo, a parte forse, gli Stati Uniti era riuscito a fare. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
La vicenda di Maha, architetta di Gaza: una vittoria della stampa e del diritto umanitario
Abbiamo parlato diverse volte di studentesse e studenti a Gaza sotto le bombe e oggi sotto tende che spesso galleggiano per le bombe d’acqua che in questa stagione imperversano anche da quelle parti. Questa volta dobbiamo registrare un granello di positività in tanta distruzione scellerata che è riuscito ad inceppare il cinismo della macchina burocratica che gestisce gli ingressi nella “Fortezza-Europa”: parliamo della vicenda di Maha architetta a Gaza che grazie alla mobilitazione di giornalisti, avvocati e solidali ha avuto la conclusione che tutti speravano. Maha ora è in Italia per usufruire legittimamente della borsa di studio IUPALS in compagnia del figlio che in un primo momento, per le pastoie burocratiche che non hanno né occhi né cuore, sarebbe dovuto rimanere in Palestina col padre. La CRUI il 7 maggio 2025 dà notizia sul suo sito del progetto di borse di studio IUPALS destinate espressamente a studenti e studentesse palestinesi elencando tutte le paradossali peripezie da seguire per ottenerle e il 27 ottobre, vista la situazione di 10 su 150  che esprimevano la volontà di non lasciare all’inferno i loro familiari, decide di ricorrere al burocratese per riaffermare che il cinismo non conosce eccezioni: «Si ricorda che il Progetto IUPALS, per cui è attivata l’evacuazione da Gaza con l’assistenza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, prevede esclusivamente borse di studio deliberate e gestite dagli atenei aderenti e non si occupa di ricongiungimenti familiari. Come segnalato dalle autorità competenti, gli interessati potranno attivare le richieste di ricongiungimento familiare una volta regolarizzata la propria posizione in Italia con permesso di soggiorno e presentando domanda presso le Prefetture del luogo di residenza (…)». Per un governo che appoggia da sempre il governo sionista di Tel Aviv sia politicamente – anche attraverso “minacce di legge” come il DDL Gasparri che di fatto equipara l’antisionismo e la critica ad Israele all’antisemitismo o l’assenza assoluta di sanzioni – sia sul piano commerciale, il via libera al visto congiunto madre-figlio appare il minimo sindacale. Trascriviamo qui l’ultima lettera da cui traspare, al tempo stesso, la gioia infinita di stare col proprio figlio al sicuro e l’angoscia per il marito che rimane in quella prigione a cielo aperto ed ora rasa al suolo che è Gaza: Si può dire che dopo più di un mese dalla prima telefonata dell'ambasciata, in cui mi è stato comunicato che mi sarebbe stato permesso di viaggiare da sola, senza mio figlio, mi sono rifiutata di accettare questa situazione. Sapevo di avere pieno diritto alla borsa di studio che mi ero guadagnato con grande impegno, frutto di molti anni di studio, lavoro e risultati continui. Così ho contattato l'ambasciata, diversi avvocati e numerosi giornalisti che lavorano per diversi media. È stato solo un mese, ma mi è sembrato un anno: ogni giorno era una battaglia, una vera e propria guerra all'interno di Gaza e una seconda guerra con il mondo esterno per sostenermi. Diversi avvocati e giornalisti, e anche l'università, hanno gentilmente creduto nel mio caso e mi hanno sostenuta. Senza la loro fiducia, non sarei arrivata a questo punto. Mi hanno fornito consulenza legale, supporto tecnico e mi hanno aiutata a diffondere i miei articoli al più ampio pubblico possibile. Tutti questi sforzi hanno portato l'ambasciata ad accettare la mia richiesta di viaggiare con mio figlio. Sono stata informata dell'approvazione solo pochi giorni prima del viaggio e il volo è stato confermato solo 36 ore prima. Gli ultimi giorni mi sono sembrati un sogno. Sono molto felice di questo risultato, ma la mia felicità è mista a preoccupazione, perché gran parte della mia famiglia è ancora a Gaza, in particolare il mio amato marito, che mi ha sostenuto in ogni momento. Ora sono qui e spero che anche lui arrivi presto, così potremo essere di nuovo insieme come una famiglia completa, senza paura né ansia. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Contrasto alla guerra ibrida: il/la docente addestratore/trice per la guerra cognitiva
Il 17 novembre 2025 si è riunito il Consiglio Supremo di Difesa presieduto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella cui hanno partecipato, tra gli altri, il ministro della Difesa Crosetto e la prima ministra Meloni. In uno scenario in cui la narrazione ossessiva che tira acqua al mulino dei fautore dei degli investimenti in difesa in particolare nella cyber-security non poteva mancare il ruolo dell’istituzione scolastica implicata in prima persona nella formazione dei futuri “combattenti” civili contro la disinformazione e gli attacchi informatici, ovvero la cosiddetta guerra ibrida. Il paradosso, per chi non si accontenta di credere ingenuamente che il nostro paese, così come l’Occidente – per non parlare nello specifico degli USA dove Trump ha con schiettezza ribattezzato il Dipartimento della Difesa in “Dipartimento della Guerra” – siano tendenzialmente portati unicamente alla difesa,  è che sono proprio gli esperti, i consulenti o i militari informatici, di queste istituzioni a creare dei sistemi d’arma digitali, per l’AI o per gli attacchi informatici.  Quindi sono gli stessi che, mentre agiscono proattivamente nella guerra ibrida, per esempio con campagne di disinformazione, potendo contare su mass media genuflessi al 48 posto su scala mondiale, a pretendere poi di avere una società che sappia decifrarle e poi contrastarle. Da qui il ruolo della scuola, l’enfasi nauseante nei confronti dell’intelligenza artificiale, l’urgenza (indotta) di studiarla, dominarla ma in cattiva fede perché il tutto si svolgerebbe nel quadro delle grandi piattaforme proprietarie, delle grandi big-tech che grazie al Covid hanno ormai messo radici profonde in tutte le scuole e nelle menti di chi le governa. Nel cosiddetto “Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida”, l’ex-rappresentante di armi Crosetto, indica le seguenti linee-guida affinché la società tutta, a partire ovviamente dai più giovani, possa essere “resiliente”, all’interno dei futuri scenari da guerra ibrida: 1. Alfabetizzazione digitale: Le scuole dovrebbero, secondo il report, promuovere programmi di alfabetizzazione digitale per educare gli studenti a riconoscere e contrastare la disinformazione. Questo include il fact-checking diffuso e lo sviluppo del pensiero critico che quando lo si rivendicava in senso lato in ogni campo del sapere, veniva in tutti i modi osteggiato dalla standardizzazione impressa, prima di tutto dall’INVALSI ma oggi, essendo inquadrato in una simbologia bellicistica, in una situazione emergenziale, riacquista tutto il suol valore, potremmo dire a giusto titolo, “strategico”. 2. Formazione alla resilienza informativa: È necessario, si dice, che le scuole integrino nei loro curricula progetti educativi mirati a sensibilizzare gli studenti sui rischi della manipolazione informativa e sull’importanza di proteggere i valori democratici. Premesso che il concetto di democrazia, in Italia, andrebbe rimesso seriamente in discussione ma  il concetto stesso di “resilienza”, oggi tanto di moda e preferito  a quello forse troppo antagonista di “resistenza”, comporta la capacità di diventare, al momento opportuno in qualche modo insensibili, assuefatti, al bombardamento informativo nel momento in cui già lo si classifica, a priori come “disinformazione”: se si parla, appunto, di guerra ibrida e al suo interno del ruolo via via crescente della disinformazione, il rischio è che tutto ciò che viene da un potenziale “nemico” sia per definizione falso, mentre tutto ciò che rappresenta la narrazione, interna, prodotta dal nostro paese maglia nera della libertà di stampa, sia invece corrispondente alla verità. Da qui, alla costruzione, nei rispettivi paesi, del “nemico”, il passo è intuitivamente molto breve oltre che preparare il terreno a future imprese belliche.   3. Collaborazione con attori pubblici e privati: Le scuole potrebbero essere coinvolte in iniziative di co-regolamentazione dello spazio digitale, lavorando con autorità di regolazione e aziende tecnologiche per definire regole condivise: in prospettiva, quindi, non si esclude che nelle scuole arrivino esperti informatici, militari che mettono mano alle reti per renderle più “sicure” ma potendo così entrare, di fatto, in ogni singolo computer o smartphone, collegato in rete. 4. Educazione civica: Il documento sottolinea l’importanza di investire in programmi di educazione civica per aumentare la consapevolezza dei cittadini, inclusi gli studenti, sulle minacce ibride e sulla necessità di proteggere la democrazia. Si dà quindi per scontato ancora una volta che la nostra sia una democrazia e che l’educazione civica passi anche attraverso  una preparazione, appunto, alla guerra ibrida: insomma si dovrebbe insegnare ai ragazzi ad essere sempre sul piede di guerra, a discernere bene tra le varie informazioni, per poi schierarsi, ovviamente dalla parte “giusta”. 5. Coinvolgimento dei militari: qui entriamo nel vivo di ciò che contrastiamo da sempre implicitamente ed esplicitamente, in modo strutturato, da circa quattro anni con l’Osservatorio. I militari non vengono chiaramente menzionati  come possibili messaggeri di questa narrazione all’interno delle scuole. Tuttavia, il documento fa riferimento esplicito alla necessità di una “collaborazione tra istituzioni civili e militari” per rafforzare la resilienza sociale, il che potrebbe includere attività educative congiunte. In sintesi, le scuole dovrebbero adottare programmi che favoriscano la consapevolezza digitale, la resilienza informativa e la protezione dei cosiddetti valori democratici, collaborando con istituzioni e aziende per affrontare le minacce ibride: insomma si entrerebbe nello spirito di un campus di addestramento para-militare. In generale nel documento emerge chiaramente il ruolo del corpo docente in quanto chiamato a svolgere un ruolo cruciale nella formazione degli studenti per contrastare le minacce ibride. In particolare, riassumendo: 1. Promozione del pensiero critico: I professori dovrebbero educare gli studenti a sviluppare capacità di analisi critica, aiutandoli a distinguere tra informazioni vere e false, e a riconoscere le campagne di disinformazione. Si confonde quindi il pensiero critico, ovvero la capacità di analizzare i fenomeni, da diversi punti di vista e nella loro complessità, valutando i pro e i contro delle azioni sociali, i vantaggi o svantaggi degli attori in campo, con la capacità di discernere tra “vero” o “falso”. Siamo insomma agli antipodi rispetto ad una visione formativa e molto contigui ad una addestrativa. 2. Alfabetizzazione digitale: I docenti saranno fondamentali nell’insegnare agli studenti le competenze digitali necessarie per navigare in modo sicuro e consapevole nello spazio digitale, inclusa la capacità di verificare le fonti e identificare contenuti manipolativi. D’altro canto, questo approccio dovrebbe ispirare il corpo docente a prescindere da una possibile guerra ibrida: enfatizzarlo e ricordarlo in modo così ridondante non è certo rassicurante ma come è accaduto storicamente in ogni periodo prebellico è funzionale a mantenere la popolazione in uno stato di pre-allerta e di perenne emergenza 3. Educazione civica: Si dice che “i professori avranno il compito di sensibilizzare gli studenti sui valori democratici, sulla coesione sociale e sull’importanza di proteggere le istituzioni democratiche dalle interferenze esterne”. Quindi, in poche e semplici parole è riassunto il filo conduttore del nuovo approccio pedagogico della scuola italiana: Non si studia più la storia le istituzioni le lotte partigiane ho il tema dei diritti dell’uomo o della libertà di informazione nell’intento di migliorare il nostro apparato istituzionale ma in un’ottica prettamente difensiva e per di più non contro un nemico interno ma dichiaratamente esterno 4. Collaborazione con esperti: I docenti potrebbero collaborare con esperti di sicurezza informatica, fact-checking e disinformazione per integrare nei programmi scolastici contenuti specifici relativi alla guerra ibrida e alle minacce cibernetiche. D’altro La scuola è già fertilizzata da anni ed abituata alla presenza di poliziotti in divisa armati impegnata a trattare temi come il cyber-bullismo.  In conclusione, si vuole che i professori abbiano un ruolo centrale nel preparare le nuove generazioni a fronteggiare le “sfide” della guerra ibrida, attraverso l’educazione e la sensibilizzazione su temi di sicurezza digitale, disinformazione e resilienza democratica: si vuole un pensiero più o meno critico ma certamente ed efficacemente ben allenato a stanare le fake-news. Vero-falso, nero-bianco, amico-nemico: questo è, quindi, il nuovo codice binario da seguire, perfettamente in linea con l’era digitale. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
IUPALS: Opportunità bloccate per student3 Palestinesi in Italia
Si conclude nel peggiore dei modi l’offerta italiana del programma del MAECI/CRUI denominato IUPALS, destinato a studenti/studentesse o laureat3 palestinesi per usufruire di borse di studio in un ateneo italiano e lasciare così l’inferno. Per dieci di queste/i 150 “aventi titolo”, che peraltro hanno superato un percorso ad ostacoli con clausole quasi vessatorie, per non dire ridicole, non è possibile portare al seguito il/la proprio figlio/a. La storia di Maha, architetta a Gaza, rimasta in Palestina col marito e il figlio, è esemplificativa di una forma “pelosa” di aiuto umanitario, ad uso e consumo dell’ufficio stampa del Ministero degli esteri più che alle persone interessate, esattamente come si è fatto con i feriti gravi che arrivati in Italia sono stati sparpagliati in varie strutture ospedaliere o di accoglienza, tanto quello che contava era raccontare che un “tot” di persone erano state salvate dall’inferno. Se poi i numeri di questo umanitarismo col freno a mano risulta risibile, o le modalità sono alquanto discutibili, per la comunicazione mainstream conta poco. Qui un approfondimento su www.pressenza.com. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Kickboxing nelle scuole: riflessioni su bullismo e violenza
Presentare su Orizzonte Scuola (clicca qui per la notizia), seguitissimo media online, tanto da essere spesso confuso addirittura con l’ufficio stampa del MIM, le arti marziali nelle scuole contro bullismo e violenza come “la proposta innovativa di Forza Italia” è sconcertante: ci sembra oltre che un errore lessicale, in quanto la dinamica muscolare “azione-reazione” è vecchia quanto l’homo “sapiens”, anche un errore concettuale e pedagogico. Come si fa a proporre la kickboxing a Scuola, luogo di esercizio della parola, del confronto pacifico per dirimere il conflitto, come occasione per crescere e produrre pensiero critico e non come “malattia”, come idea innovativa? Altro errore da parte del collega giornalista, probabilmente dovuto ad una certa ignoranza in materia di educazione fisica e, appunto, di discipline o arti marziali, è confondere la “disciplina” con la capacità di obbedire! Altro errore è annoverare la kickboxing tra le arti marziali addirittura “millenarie”: sebbene alcune figure e posizionamenti nel combattimento derivino da arti marziali antiche la kickboxing è una versione molto violenta che trae origine da un passato relativamente recente, nel Giappone degli anni ’60, non a caso proprio quegli anni in cui il paese orientale dopo la sconfitta e la tragedia di Hiroshima e Nagasaki iniziarono ad avvicinarsi quasi da paese colonizzato, agli USA e al lato oscuro della loro cultura capitalistica di stampo anglosassone, basata notoriamente sulla sopraffazione, colonialismo di insediamento e non ultimo il genocidio. Si stimano, infatti, tra i 50 e i 60 milioni, i nativi americani uccisi in vari modi nel corso dei secoli e svariati milioni in Nordamerica, patria anche delle famigerate scuole-lager residenziali, dalla nascita degli USA. Il fenomeno del bullismo è uno di quei cavalli di battaglia dei propugnatori di una visione sicuritaria e poliziesca di un fenomeno che spesso, a torto, viene indicato come una delle emergenze principali della Scuola; peraltro, a volte seguire questa tendenza nordamericana, si rischierà di dover discutere in futuro anche di metal-detector e guardie giurate. Più di una volta l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha stigmatizzato la presenza delle Forze dell’Ordine a scuola, in particolare la Polizia Postale, che, affrontano il tema sul versante del cyberbullismo sempre in un’ottica repressiva o fintamente preventiva, afferma “chiama il numero verde! Non sei sol3! Denuncia la violenza che hai subito, ti assisteremo noi con i nostri avvocati!”. Questo è, in sintesi, il messaggio lanciato nelle classi scolastiche, per esempio, dal progetto Bulli-Stop. Puntando sulla parte emotiva del cosiddetto “Teatro pedagogico” in cui giovani attori simulano, di fronte agli studenti e alle studentesse, situazioni del loro passato in quanto vittime di bullismo, i giovani vengono stimolati, appunto, a denunciare e ad incamminarsi in un percorso giudiziario quasi fosse un riscatto costruttivo per la crescita della persona. Come nel caso della violenza di genere, oltre al fatto che il tribunale non risolve mai nulla, si sottovaluta la vittimizzazione secondaria causata da una cronaca giornalistica scandalistica e da processi giudiziari sempre troppo lunghi. Come nel caso della Ginnastica Dinamica Militare Italiana (GDMI) secondo un approccio pedagogico distorto, secondo Forza Italia è lecito passare direttamente a “menare le mani”! Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e della università.
Scuole in movimento contro la guerra. Intervista a studenti e studentesse su Radio Onda d’Urto
La Global Sumud Flotilla è stata una miccia che ha scatenato energie a lungo represse, una voglia irrefrenabile di protestare contro le violenze sistemiche di un modello che distrugge scuola e sanità per riversare risorse in armi e distruzione per poi, paradossalmente ricostruire tutto come a Gaza, ma secondo le regole dei carnefici: USA e la sua colonia sionista in Medio oriente. La cosiddetta generazione “Z” di cui Fabio, dell’IIS “Santorre di Santarosa” di Torino è espressione, rappresenta in Italia, come in tante altre parti del mondo, una fascia di età culturalmente preparata, con aspirazioni analoghe e frustrate da un futuro lavorativo e climatico deprimente. Tuttavia è sufficientemente consapevole da non restare con le mani in mano contrariamente allo stereotipo che li vuole invece inebetiti davanti a un cellulare. In questo servizio di Radio Onda d’Urto si raccolgono le voci sia del “Santorre di Santarosa” sia del noto liceo “Galileo Ferraris” anch’esso entrato in agitazione come tante altre scuole in quasi tutte le città italiane e di cui avevamo già parlato in questo articolo. Tra queste c’è nuovamente il prestigioso liceo scientifico “Augusto Righi” di Roma, dove gli studenti sono in protesta e occupano la scuola dopo lo stop inspiegabile ad un dibattito cui doveva partecipare anche il noto storico dissidente israeliano, Ilan Pappè: e forse è proprio questa voce dissidente soprattutto verso il cosiddetto modello dei due popoli due stati che da anni acerrimo accusatore del governo israeliano autore, per 80 anni, di un regime di apartheid e di un colonialismo di insediamento arrivato fino al livello di genocidio per farsi largo tra le macerie, dove sono seppellite senza dignità alcune, un numero imprecisato di vittime in gran parte civili, donne e bambini. Ascolta qui l’intervista per Radio Onda d’Urto. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
La Global Sumud Flottilla è a rischio. Messaggio urgente per tutti gli uomini e le donne di buona volontà da Stefano Bertoldi, comandante della barca a vela Zefiro
Stanotte abbiamo ricevuto questo drammatico video di Stefano Bertoldi, nostro collaboratore e comandante di una delle barche a vela della Global Sumud Flotilla. Riportiamo di seguito la trascrizione del suo appello, con la preghiera di massima diffusione. Sono Stefano Bertoldi, comandante della barca a vela Zefiro, quella maggiormente colpita dagli attacchi di droni delle nottate scorse. Qui dietro di me ieri sera sono arrivati due miei colleghi, Raffaello e Cesare, con la barca Luna Park, che forse potete vedere dal tracking della Global Sumud Flotilla. Ebbene, mi dispiace svegliarvi così presto, mi dispiace che oggi è domenica e forse volevamo tutti un po’ riposarci, ma la flottiglia stanotte è partita. Più o meno 50 barche sono partite alla volta di Gaza. Ho analizzato la situazione geopolitica internazionale, ho analizzato l’atteggiamento del nostro governo, irresponsabile a partire da Giorgia Meloni e dal nostro Ministro della Difesa Crosetto. Non avremo nessun tipo di difesa, non saremo scortati. Speriamo che la Spagna faccia il suo e non faccia come Crosetto, che ha annunciato appunto che eventualmente raccoglierà e soccorrerà i feriti. Allora la flottiglia, ascoltatemi bene, in questo momento è a rischio. L’avvertimento che ci hanno dato l’altro giorno è chiaro: la mia e l’altra barca sono tornate indietro pesantemente colpite dai droni. La barca Zefiro in particolare è stata colpita in maniera chirurgica, in quanto gli israeliani molto probabilmente sapevano che questa barca aveva un albero che poteva reggere il colpo che abbiamo ricevuto e l’avvertimento è stato chiaro: se questo tipo di attacco –  e qui parlo ai velisti che mi ascoltano, a chiunque conosce un po’ di vela –  ripeto, se questo tipo di attacco potente, che ci ha scosso tutti quanti, venisse fatto su altre barche, ce ne sono tantissime, il cui albero è semplicemente appoggiato sulla tuga, cioè sulla parte superiore dell’imbarcazione, gli alberi verrebbero giù. Adesso ci sono soltanto due persone, forse tre, di vedetta per la navigazione notturna, ma già ho letto dai messaggi che si stanno scambiando i miei colleghi in navigazione… Sono le 4:30 ora locale italiana, 5:30 ora greca … Ebbene, ho letto dai messaggi che alcune barche sono scortate da dei droni, ovviamente sono droni di controllo israeliani, forse ci sarà anche qualche drone di controllo di Frontex, o forse anche della Grecia. Comunque la questione è questa: il prossimo attacco, se verrà fatto e purtroppo i miei segnali dicono che probabilmente verrà fatto, sarà micidiale, nel senso che è molto probabile che questa volta ci saranno feriti gravi e anche dei morti. Vi prego, fate girare questo messaggio. Il 22 settembre non deve rimanere un caso isolato in quanto a manifestazioni e coinvolgimento della popolazione. Scendiamo in piazza. Lo so, il tempo è poco. Ci sono partiti e sindacati che si stanno aggregando, va bene tutto. Non siamo intransigenti su questo. Sappiamo che molti si sono svegliati da poco, ma come diciamo in Italia tutto fa brodo. Mi raccomando, impegniamoci, ci sono dei nostri amici, dei nostri cari amici a bordo. Vogliamo che le loro vite siano salvaguardate. Non fidiamoci dei nostri governi, non faranno niente per noi.  E’ l’ora del popolo, è l’ora delle persone, anche quelle meno impegnate politicamente, anche quelle più scettiche su questa missione. Ricordatevi, la nostra non è una missione umanitaria per portare  pochi pacchi alla popolazione palestinese di Gaza. La nostra è una missione politica. L’assedio deve finire, il genocidio deve finire e soprattutto la vita degli attivisti pacifisti non armati deve essere tutelata. Mi raccomando, organizziamoci, chiamiamo tutti quelli che possiamo e scendiamo in piazza il più presto possibile. Lo so, oggi è domenica, ma forse è il giorno buono per organizzarci per il secondo lunedì di battaglia nelle strade, ovviamente in maniera nonviolenta, se no diamo adito a tutte le solite critiche che ogni volta avvengono in occasione di manifestazioni. Lo so, siamo tutti arrabbiati, lo so, è un modello economico, socio-economico di merda, di cui Israele è il rappresentante massimo e anche gli Stati Uniti, con quel folle che hanno alla loro guida. Scendiamo in piazza, vi prego, ascoltatemi. Per fortuna siamo stati indenni in tutti questi giorni che eravamo fermi qui in Grecia, per un attacco che ci ha in qualche modo bloccato pesantemente. Scendiamo in piazza, chiamiamo chi potete chiamare onestamente che può darci una mano. Ci sono i nostri fratelli, ci sono i nostri figli, ci sono i nostri amici, colleghi skipper, marinai in buona fede, nonviolenti che fanno tutto questo per noi, per la nostra democrazia ormai sotterrata… possiamo chiamarla democratura… sotterrata da governi irresponsabili che per i loro legami con Israele, per il loro portafoglio non ci aiuteranno. Conto su di voi, conto sul popolo che scenderà in piazza. Grazie in anticipo per quello che farete.     Redazione Italia
Videomessaggio di Stefano Bertoldi a bordo di Zefiro della Global Sumud Flotilla colpita da droni
PUBBLICHIAMO IL VIDEOMESSAGGIO DI STEFANO BERTOLDI, DOCENTE E ATTIVISTA DELL’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ, A BORDO DELLA ZEFIRO, LA BARCA DELLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA COLPIDA DA DRONI NELLA NOTTE TRA IL 23 E IL 24 SETTEMBRE 2025. Il docente, giornalista e attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Stefano Bertoldi, a bordo di una delle imbarcazioni italiane della Global Sumud Flotilla fa un resoconto quotidiano della missione umanitaria. In poche parole il racconto della navigazione che porterà il gruppo di imbarcazioni con attiviste ed attivisti di diversa nazionalità verso Gaza, con loro un carico di aiuti, messaggi di pace e speranza per il popolo palestinese martoriato da lunghi e devastanti bombardamenti.