Successi e strategie antimilitariste a scuola: alcuni esempi di nonviolenza attiva
Qualcuno ricorderà il “professore sandwich” che l’anno scorso girò nei corridoi
di un liceo del litorale romano con un cartellone riportante la scritta “Non
farti fregare! anche dietro una scrivania sarai sempre un militare. Fuori i
militari dalla scuola!“.
In quell’anno scolastico, infatti, l’istituto avrebbe ospitato i militari della
Scuola di artiglieria di Bracciano per fare, secondo la mente fantasiosa dei
responsabili del progetto, “orientamento al lavoro”: come se il lavoro in una
forza armata fosse un’attività come un’altra soprattutto di questi tempi, in cui
venti di guerra soffiano impetuosi un po’ in tutte le direzioni (clicca qui per
la lezione di Charlie Barnao, Il soldato non è un mestiere come un altro).
Vuoi gli effetti dissacranti di quest’azione nonviolenta – ma a forte impatto
anche visivo-simbolico – vuoi il dialogo diretto con gli studenti e le
studentesse, con i/le quali il tema della militarizzazione è stato al centro dei
temi fondamentali della pedagogia, per mesi e mesi (e spesso si ponevano esempi
ispirati a queste presenze in veste di “formatori armati”) l’evento, alla fine,
non ebbe luogo.
Passa un anno da quel fatto, cambia il dirigente, ma non cambia l’approccio
culturale militarizzante. Un docente ci avverte della presenza insolita di una
pantera della Polizia davanti scuola e di poliziotti, in divisa, intenti a
parlare molto probabilmente, come da copione, di bullismo e/o cyberbullismo. Il
docente decide di porre delle domande direttamente ad uno dei docenti coinvolti
dall’iniziativa e attraversando tutta l’aula gli si avvicina per chiedergli il
motivo di quella scelta “poliziesca”: ciò provoca una reazione violenta
dell’ideatore di quell’incontro, descritta nei dettagli in un nostro precedente
articolo peraltro in totale contraddizione proprio con l’oggetto dell’intervento
dei poliziotti, ovvero il bullismo.
Come avevamo avuto modo di sottolineare, quel gesto, come del resto anche
l’iniziativa dell’anno precedente, può configurarsi ed essere progettato per
provocare una dissonanza cognitiva nei/lle ragazz3, ovvero un “disagio”
psicologico (a fin di bene) che si prova quando si è di fronte a due o più
cognizioni (idee, credenze, valori, conoscenze) in conflitto tra loro.
Nel primo esempio il ruolo, a volte stereotipato, del docente, prevederebbe
determinate posture che invece sono platealmente disattese: si attira in questo
modo l’attenzione, si invita a riflettere, si vede il proprio docente come colui
che a volte dice “no”, si espone anche ad un rischio e in qualche modo instilla
il seme del dissenso o della disobbedienza civile, dimostrando che questa è (e
deve essere) sempre possibile, anche in situazioni apparentemente non
predisposte.
Nel secondo caso la presenza dei poliziotti di cui uno in piedi e in divisa,
oltretutto armato e quella dei due colleghi anch’essi in piedi dislocati agli
angoli opposti dell’aula, non prevedeva la presenza di un terzo incomodo
anch’esso docente, ma che dissacrava quel momento ieratico; ma forse la
dissonanza cognitiva più forte l’ha provocata proprio il “proprietario” del
progetto anti-bullismo, con il suo violento intervento urlato, “sei un
imbecille! questo progetto è mio!”.
Anche il comportamento dei poliziotti, che dimenticando di stare a “casa
d’altri” e invitati proprio in quanto portatori di esempi di modalità di
risoluzione di violenze e conflitti, invece di calmare le intemperanze
dell’insegnante, prendono le difese di colui che di fatto si era rivelato un
bullo, cacciando il professore intruso.
Queste nuove informazioni che contraddicono conoscenze pregresse sono una
motivazione alla riflessione critica e alla verifica delle proprie idee. Si
attua in modo rapido un aggiornamento delle conoscenze integrate dalle nuove
informazioni. (…) Allo stesso tempo, la memorizzazione è più efficace perché le
informazioni contrastanti restano più impresse: ciò favorisce un apprendimento
profondo, critico e duraturo.
Il ruolo della disobbedienza civile nelle aule e nei corridoi scolastici, il
dissenso mai violento, ma sicuramente provocatorio, possono essere insomma degli
strumenti quotidiani per praticare la lotta contro la militarizzazione delle
menti.
Interrompere questi incantesimi giocati su elementi emotivi o ludici, ma attuati
in malafede dagli attori in divisa è sempre possibile: dissacrare il bellissimo
cane poliziotto che trova la “droga” o la bomba, o il bellissimo e tenerone cane
di Terranova che salva il manichino in acqua, ma non il migrante che affoga a
causa dell’ennesimo mancato soccorso della Guardia Costiera, dovrebbero essere
delle azioni doverose che in fondo costano poco, ma possono tenere grandi
risultati sul lungo periodo.
Non c’è più tanto tempo per agire, per passare all’azione perché le attività
militarizzanti sono talmente diffuse sul territorio anche attraverso sotterfugi
e tattiche sotterranee.
L’ultimo 4 novembre per esempio dopo le iniziative roboanti del 2024 non si è
caratterizzata per poca propaganda e militaresca, ma al contrario per una
tattica di immersione e di basso profilo ma purtroppo non meno pervasiva. Le
iniziative forse sono state anche più numerose, ma meno pubblicizzate e anche
nelle scuole la tattiche è quella di bypassare i collegi docenti così come
consigli di istituto e normalizzare questi interventi.
Nel caso in questione, per esempio, il collega ha dovuto annullare l’incontro
successivo ufficialmente inserito nel calendario, ma ha portato avanti lo stesso
il proprio progetto, in un altro orario dribblando in questo modo eventuali
azioni di boicottaggio: anche questo è pur sempre un risultato!
Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università
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