legge, psicologia e pedagogia
UN’ATTENTA LETTURA DELL’ORDINANZA CON CUI È STATA SOSPESA LA RESPONSABILITÀ
GENITORIALE DELLA COSIDDETTA FAMIGLIA DEL BOSCO, SECONDO ANTONIO FISCARELLI,
RICERCATORE E DOCENTE DI FILOSOFIA, STORIA E SCIENZE UMANE, FA EMERGERE NON
UN’APPROFONDITA VALUTAZIONE DELLE SCELTE PEDAGOGICHE DEI GENITORI MA UNA
CONCEZIONE ANTI-NATURALISTICA DELL’ISTRUZIONE E DELLA VITA SOCIALE. L’ORDINANZA
È PER ALTRO COSTRUITA SOLO SU TRE RELAZIONI (DUE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI, UNA
DEI CARABINIERI), NON SONO STATI RACCOLTI PARERI DEL GARANTE DEI MINORI, NÉ
QUELLO DELL’ISTITUTRICE PRIVATA DEI FIGLI, NÉ DI AMICI, PARENTI, CONOSCENTI,
VICINATO. LA CARICA ANTI-NATURALISTA DELLA SENTENZA, DICE FISCARELLI, SI ESPRIME
ANCHE NELL’INTERPRETAZIONE OFFERTA DELLA SITUAZIONE REALE DELL’ABITAZIONE,
NELL’INSISTENZA SULLA QUESTIONE DEL BAGNO, DELLE UTENZE, DEI RISCALDAMENTI,
TUTTI ASPETTI PER I QUALI LA FAMIGLIA USA TECNICHE USATE DA MILIONI DI PERSONE
NEL MONDO, OGGI CON ACCORGIMENTI SCIENTIFICI CHE FAVORISCONO UN ABBATTIMENTO
DELLE SPESE PER L’APPROVVIGIONAMENTO ENERGETICO. “QUESTA FAMIGLIA NON VIVE
AFFATTO FUORI DALLA SOCIETÀ: AL CONTRARIO, CI SONO MOLTO DENTRO E CI SONO DENTRO
IN UN MODO GENUINAMENTE COSTRUTTIVO PER LORO, I LORO FIGLI E LA COMUNITÀ CHE LI
ACCOGLIE, NON DA OGGI. QUESTA FAMIGLIA VIVE NELLA SOCIETÀ RICOSTRUENDO E
RISTRUTTURANDO IL RAPPORTO CHE LA SOCIETÀ, QUESTA SOCIETÀ, HA BISOGNO DI
RECUPERARE CON LA NATURA… IN QUESTA FAMIGLIA, L’EDUCAZIONE È TANTO PIÙ SOCIALE
QUANTO PIÙ È NATURALE, O MEGLIO, COME AVREBBE DETTO LAMBERTO BORGHI, È
L’EDUCAZIONE GENUINA SENZA ULTERIORI APPELLATIVI…”
--------------------------------------------------------------------------------
unsplash.com
--------------------------------------------------------------------------------
Premessa
L’ordinanza con cui il Tribunale per i minorenni di L’Aquila, il 13 novembre
scorso, «sospende la responsabilità genitoriale dei coniugi Trevallion Nathan e
Birminggam Catherine nei confronti dei figli» e «ordina l’allontanamento dei
minori dalla dimora familiare e il loro collocamento in casa-famiglia», è
motivata da più ragioni, che sono illustrate succintamente in due specifici
capoversi, nella penultima pagina delle sei di cui consta il documento:
In considerazione delle gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli
all’integrità fisica e psichica, all’assistenza materiale e morale, alla vita di
relazione e alla riservatezza, i genitori vanno sospesi dalla responsabilità
genitoriale.
È inoltre necessario ordinare l’allontanamento dei minori dall’abitazione
familiare, in considerazione del pericolo per l’integrità fisica derivante dalla
condizione abitativa, nonché dal rifiuto da parte dei genitori di consentire le
verifiche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge.
È dunque una pluralità di «violazioni», a motivare la sentenza, violazioni
«gravi e pregiudizievoli». Catherine e Nathan avrebbero trascurato di provvedere
non solo alla «integrità fisica» delle loro bambine, ma anche a quella
«psichica», alla loro «assistenza materiale e morale», alla loro «vita di
relazione» e alla loro «riservatezza». Aspetti materiali e immateriali,
psicologici, morali, sociali e personali, di cui essi devono rispondere,
imputazioni così variegate che l’aver accettato, lo scorso 30 novembre, la casa
offerta da persone generose di quelle zone, non basterà certo a scagionarli e a
convincere i giudici a revocare il provvedimento di sospensione della loro
«responsabilità genitoriale»: e forse non servirà neanche al ricongiungimento
con le loro figlie (per via della questione sanitaria).
Per capirci, Catherine e Nathan erano già stati raggiunti, circa sei mesi fa,
(22 maggio 2025), da una ordinanza cautelare che già imponeva loro la
««limitazione della responsabilità genitoriale» e conferiva ai servizi sociali
il «potere esclusivo di decidere» sul «collocamento» delle loro bambine, «nonché
sulle questioni di maggior rilevanza in materia sanitaria» (p. 1). Questa
decisione fu presa, come è orami risaputo, «a seguito dell’accesso al pronto
soccorso della famiglia per ingestione di funghi», episodio che ha determinato
la mobilitazione dei servizi sociali e l’accumulazione di altre riserve verso i
genitori. Nell’ordinanza, si legge:
il Servizio Sociale aveva segnalato la condizione di sostanziale abbandono in
cui si trovavano i minori, in situazione abitativa disagevole e insalubre e
privi di istruzione e assistenza sanitaria; la famiglia viveva in un rudere
fatiscente e privo di utenze e in una piccola roulotte; i minori non avevano un
pediatra e non frequentavano la scuola».
Queste sono le originarie motivazioni che hanno spinto il tribunale a imporre
cautelativamente «la limitazione della responsabilità genitoriale». Le
motivazioni sono ribadite, sempre nella prima pagina, con riferimenti a due
relazioni risalenti a un anno fa (dei servizi sociali, il 23/9/24, e dei
carabinieri, il 4/10/24), in cui già si avvertivano «indizi di preoccupante
negligenza genitoriale, con particolare riguardo all’istruzione dei figli e alla
vita di relazione degli stessi», indizi «conseguenti alla mancata frequentazione
di istituti scolastici e all’isolamento in cui vivevano».
Come si può notare, già in questo provvedimento sono contenute più o meno le
motivazioni che hanno condotto, lo scorso 13 novembre, alla decisione di
sospendere la responsabilità genitoriale e di rendere esecutivo il collocamento
dei minori in una casa-famiglia. Semmai, nella nuova sentenza, si aggiungono i
riferimenti ad alcuni nuovi compromettenti comportamenti per i genitori, come il
fatto di aver concesso ai giornali di entrare a casa loro, ciò che per i giudici
è risultato essere una violazione della privacy dei loro figli. Da quel che si
evince dalle affermazioni contenute nella sentenza, essi avrebbero letteralmente
‘usato’ le loro bambine per influenzare il decorso processuale in cui sono
implicati:
I genitori, con tale comportamento, hanno mostrato di fare uso dei propri figli
allo scopo di conseguire un risultato processuale a essi favorevole in un
procedimento de potestate, nel quale assumono una posizione processuale
contrapposta a quella dei figli e in conflitto di interessi con gli stessi. E
tale risultato processuale è da essi perseguito non all’interno del processo,
avvalendosi dei diritti garantiti alle parti dalla legge processuale, ma
invocando pressioni dell’opinione pubblica sull’esercizio della giurisdizione
(p. 5)
I millepiani della legge
Certo, non è facile ricostruire la logica dell’operato di questo tribunale. Le
ragioni sono elencate una per una nell’ordinanza, in una forma che non si presta
facilmente alla comprensione per un pubblico non abituato ai linguaggi
giuridici. Un evidente aspetto di questo documento è che non illustra la vicenda
seguendo un ordine cronologico lineare. Essa si svolge attraverso una
sovrapposizione di ordini del discorso e spostamenti del registro comunicativo,
probabilmente dovuti alla varietà delle imputazioni presupposte, ma anche ai
meccanismi del linguaggio burocratico e alle intrinseche capacità di
interpretare i fatti al fine di costruirvi una logica unitaria. Tutto ciò è
verosimilmente rivelativo di una difficoltà strutturale incontrata
nell’illustrare l’insieme degli elementi che dovrebbero, a rigor di logica,
oggettivamente legittimare la decisione finale, che giustifichino, insomma, il
provvedimento, non tanto nella forma quanto nella sostanza.
Di fatto, la forma rende difficile la comprensione della sostanza. Alcune
formule e alcuni termini tecnici si ripetono in modo più insistente. Queste
ripetizioni forse ci aiutano a capire l’iter che ha condotto alla divisione di
questa famiglia, nell’arco di un anno circa. Fra i termini che si ripetono con
una certa cadenza, c’è quello di ‘collocamento’ (dei minori), usato ben tre
volte nelle prime due pagine (prime 25 righe). ‘Isolamento’ invece, è usato una
volta nella prima pagina e ben tre volte nella quarta. Anche il termine
‘pericolo’ è utilizzato quattro volte in totale. Altre espressioni sono
utilizzate in differenti funzioni semantiche: in un caso, come termini distinti
di un insieme, in un altro accorpati in una sola famiglia semantica, in un caso
indicano un effetto, in un altro la causa. Ad esempio, si parla di violazione
dell’integrità fisica e psichica, di assistenza materiale e morale, di abbandono
e isolamento, ma non si capisce se i genitori hanno isolato, o abbandonato le
loro figlie in qualche circostanza specifica, un giorno specifico, se hanno
impedito fisicamente la loro vita sociale, o solo sul piano morale, o su quello
psicologico, oppure contemporaneamente su tutti questi piani, e in che senso non
si sarebbero presi cura moralmente e materialmente delle loro figlie.
Il testo, infatti, lo ricordiamo, parla esplicitamente di minori ritrovati in
una «condizione di abbandono», di «isolamento», «privi di istruzione». Dire
«abbandono» e «isolamento» equivale a costruire un’immagine dei genitori che
hanno trascurato effettivamente di provvedere alla loro custodia. Diciamo che un
bambino (ma lo diremmo anche di un animale) è stato abbandonato (ovvero
isolato?) in un auto, in una stanza, su una strada, in una zona in cui, in
effetti, si possa parlare di una condizione in cui non solo è privato di
relazioni con il mondo oltre la soglia dell’ambiente in cui è recluso, ma non
fruisce neanche di una adeguata cura sul piano dell’alimentazione e di altri
bisogni naturali, fisiologici, oltre che psicologici. Si dà però il caso che
queste bambine, prima di essere “collocate” in una struttura istituzionale,
passassero, le loro giornate con i genitori, con degli animali, con le persone e
le altre famiglie del circondario, abitanti del contesto rurale e abitanti del
contesto urbano (Palmoli è un paesello), ma con queste persone ci hanno
costruito dei rapporti di lunga durata, oltretutto, fondati su principi comuni,
di rispetto, di aiuto e di stima reciproci. Se fossero stati abbandonati e
isolati come si spiegano le testimonianze di persone comuni, fra cui addirittura
un signore, certo Osvaldo, che sostiene di considerare quelle bambine come
«nipoti» e parla di suo padre come di un lavoratore con cui ha sempre avuto uno
scambio di aiuto reciproco?
Dire, inoltre, minori «privi di istruzione» equivale ad accusare i genitori di
averli tenuti intenzionalmente in una condizione di ignoranza e analfabetismo. A
prescindere, appunto, dalla vita sociale, essi non dovrebbero saper scrivere né
usare oralmente parti del linguaggio, o meglio, per loro, delle diverse lingue
usate in famiglia (è stato detto che solo la madre ne parla cinque), non saper
comprendere né veicolare messaggi adeguati alla loro età, né saper interagire
sul piano linguistico con le persone che incontravano regolarmente nei loro
vissuti quotidiani. Quando diciamo che una persona è priva di istruzione,
insomma, di fatto, ci riferiamo in primo luogo alla sua reale capacità
cognitiva, ai contenuti pedagogici, didattici, educativi, concretamente
tangibili, alla sua effettiva capacità di comprendere i contenuti di messaggi
adeguati all’età, nella sua originaria e primaria formazione sociale, cioè nella
familias, e nelle altre «formazioni sociali», cioè le restanti organizzazioni
sociali formali, non formali e informali, con cui la famiglia di fatto
interagisce attraverso diverse modalità di relazione.
Questa ordinanza, nel suo insieme, sembra attraversata da diverse sequenze
logiche che non restituiscono in modo intuitivo il senso di una unità logica di
base. A ogni rilettura, prevale l’impressione di una persistente inclinazione a
differenziare nodi problematici sostenendosi con riferimenti legislativi: e
quando questi non sembrano sufficienti (ad es. sulla questione della vita
sociale dei minori) con elaborati intellettuali riferibili a classici della
psicologia (di cui se ne menzionano ben cinque, come vedremo).
Tutto ciò è comprensibile, trattandosi di una vicenda che va avanti da oltre un
anno, che chiama in causa diversi attori e – ex rerum natura – l’intera comunità
che li ha adottati già da un po’ di anni, ma la cui ricostruzione passa
essenzialmente, da quanto si legge nell’ordinanza, dalle relazioni dei servizi
sociali e dei carabinieri e da qualche udienza cautelare.
Nell’ordinanza si menzionano essenzialmente tre relazioni, due udienze con i
genitori e un incontro con i bambini in presenza dei genitori nell’arco di un
anno: le prime due relazioni, una dei servizi sociali e una dei carabinieri, già
menzionate, sono correlate all’episodio dell’ingestione di funghi; una ulteriore
relazione dei servizi sociali, menzionata nella sentenza, risale al 14/10/2025,
a cui segue l’incontro con i bambini il 28 dello stesso mese. Non si menzionano
altre relazioni precedenti. Al riguardo delle due udienze, non si indicano le
date. Non ci sono riferimenti ad altre relazioni concernenti la situazione di
questa famiglia, il profilo socio-pedagogico dei suoi membri, la loro storia
personale, le capacità e le competenze reali dei genitori, la loro formazione,
il loro modo di concepire l’educazione dei propri figli. Oltre alle suddette
relazioni e udienze, si menzionano solo atti burocratici riguardanti le perizie
sull’immobile, sull’istruzione parentale e i riferimenti legislativi che
ispirano le sanzioni e le imputazioni nei confronti dei coniugi. Non vi
compaiono, ad esempio, né il parere del Garante dei minori, né quello
dell’istitutrice privata dei figli, né parti testimoniali come amici, parenti,
conoscenti, vicinato (si comprende dunque perché i genitori si siano affidati ai
giornalisti). Tuttavia, sulla base dei rapporti dei servizi sociali e dei
carabinieri, entrambi dell’anno scorso, si inizia a parlare di «negligenza
genitoriale» e si specifica che questa negligenza riguarda soprattutto
l’istruzione e la vita sociale delle figlie.
Sei pagine che compromettono la reputazione dei loro genitori più di quanto
tutelino i diritti dei loro figli. Alle accuse, che sembrano rasentare il
pregiudizio, la discriminazione e la denigrazione, si aggiungono delle
infrazioni logiche: perché in tutto il decreto, non si scorge niente che sembri
maturato in un reale processo di ascolto partecipato, di osservazione e supporto
adeguati alla situazione, che valorizzi lo sforzo educativo e pedagogico, i
principi e le regole che guidano, nonché il sacrificio materiale e immateriale
che fanno questi genitori, le cui scelte di vita, a rigor di logica, sono del
tutto in linea con le necessità, i bisogni, i desideri e le aspettative che si
possono avere in una società come la nostra.
Quando la legge non garantisce… la natura provvede
In queste sei pagine, si scorgono delle soggettività che pretendono giudicare
l’oggettività – la vita di questa famiglia – servendosi di strumenti
intellettuali, non solo giuridici, per intenderci. Qui si scambia la parte per
il tutto, mentre si dovrebbero ascoltare altre voci per riempire dei vuoti
evidenti nella rappresentazione delle cose. A leggere brani come questi:
La deprivazione del confronto tra pari in età da scuola elementare (circa 6-11
anni) può avere effetti significativi sullo sviluppo del bambino, che si
manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico. Il gruppo dei pari è un
contesto fondamentale di socializzazione e di sviluppo cognitivo/emotivo, che
offre opportunità uniche rispetto all’interazione con gli adulti. In ambito
scolastico il confronto e l’interazione con i compagni sono cruciali per
l’apprendimento e il successo formativo. La letteratura scientifica (Teoria
Socio-Culturale di Vygotskij, Teoria Cognitivo-Evolutiva di Piaget, Teoria
del’Apprendimento Sociale di Bandura, Teoria Ecologica d i Bronfenbrenner,
Teoria dello Sviluppo Psicosociale d i Erik Erikson) al riguardo ha
compiutamente descritto i potenziali effetti della loro assenza […] Difficoltà
di apprendimento cooperativo: il bambino può avere problemi a partecipare
efficacemente a lavori di gruppo, alla peer education (educazione tra pari) o al
cooperative learning, perdendo l’opportunità di rinforzare l e conoscenze
spiegandole agli altri o di imparare da prospettive diverse. Mancanza di
autostima e motivazione: la deprivazione può limitare la possibilità di ricevere
conferme e valorizzazione dai coetanei, riducendo l’autostima e la motivazione
all’impegno scolastico. Problemi di regolazione emotiva e comportamentale in
classe: il bambino potrebbe faticare a gestire i conflitti (non avendo imparato
a negoziare e a comprendere le diverse prospettive), manifestando comportamenti
di isolamento o, al contrario, di aggressività (bullismo).
non sembra più di essere di fronte al parere di un corpo di giudici, ma a una
dispensa per studenti universitari di psicologia. Ma allora qui non si fa più
tutela dei minori, ma della tutela dei minori una sorta di “psicologia
giuridica”. Non sembra più il giudizio di un équipe di giudici tradizionali ma
di una versione inedita di giudici: di psicologi in toga. Siamo di fronte a
delle soggettività settoriali, pervase da specializzazioni in materie
psico-giuridiche, le cui competenze settoriali condizionano la procedura
giuridica, la quale dovrebbe prevedere una rappresentazione organica,
interdisciplinare, in una materia così delicata come l’istruzione e l’educazione
dei minori. Soggettività che si intravedono tanto nella forma quanto nella
sostanza del testo. Se dovessi dire figurativamente in che cosa si rivela
prevalentemente la soggettività complessiva del giudizio di questo tribunale,
indicherei, come factum principale l’evidenza che questa ordinanza nasce in un
clima culturale da tessuto urbano, uffici chiusi e angusti di città, pullulanti
di scartoffie e arieggiati da condizionatori, che non favoriscono, pur volendo,
una percezione adeguata della vita quotidiana dentro un bosco, dentro quel
bosco. Anzi, l’ordinanza sembra restituire un immaginario oppositivo verso
l’idea stessa di natura. Questo tribunale non sta giudicando i genitori sulla
base di una valutazione approfondita delle loro reali scelte pedagogiche ed
etiche, ma sulla base di una concezione anti-naturalistica dell’istruzione e
della vita sociale.
Questa soggettività pregiudiziale verso l’idea della natura, può evidentemente
cogliersi anche nel titolo di un “corso” tenuto dalla giudice Cecilia Angrisano,
presidente di questo tribunale, sulla piattaforma “Psicologia.io”, nella cornice
di un convegno sulla «genitorialità fuori dall’ordinario»: ‘‘Quando la natura
non garantisce’’. Un titolo provvidenziale se si pensa che il corso si è tenuto
qualche mese prima che la famiglia Birmingham-Trevaillon finisse in ospedale per
ingestione di funghi e che questo tribunale iniziasse a interessarsi del caso.
Ma la carica anti-naturalista della sentenza si esprime anche
nell’interpretazione offerta della situazione reale dell’abitazione,
nell’insistenza sulla questione del bagno, delle utenze, dei riscaldamenti,
tutti aspetti per i quali la famiglia usa tecniche oggi arcinote e usate da
milioni di persone nel mondo, che sono le stesse che hanno caratterizzato la
vita dei nostri nonni (come hanno detto in molti di quelli che seguono questa
significativa vicenda). Ma, per essere più precisi, essi se ne servono con
accorgimenti scientifici nuovi, meno dispendiosi, che favoriscono un
abbattimento delle spese per l’approvvigionamento energetico. É dunque sul piano
delle scelte per soddisfare i bisogni primari, cioè quelli più naturali, che si
scontra questa sentenza. In realtà, esse documentano un’etica, una scienza e una
pedagogia sociali e socializzate, perfettamente in sintonia con i bisogni
avvertiti da tutti oggi, nella cornice di un habitat quasi incontaminato (due
ettari di terra dentro un bosco, anch’esso a rischio di devastazione).
Queste persone, adulte, genitori, a rigor di logica, non proteggono solo i loro
figli ma l’intera comunità che li circonda perché l’aver radicato in un bosco
non può che essere il modo migliore di salvaguardare l’originaria vita di queste
aree. Questa famiglia non vive affatto fuori dalla società: al contrario, ci
sono molto dentro e ci sono dentro in un modo genuinamente costruttivo per loro,
i loro figli e la comunità che li accoglie, non da oggi. Questa famiglia vive
nella società ricostruendo e ristrutturando il rapporto che la società, questa
società, ha bisogno di recuperare con la natura: si prende cura di un rapporto
che, a determinate condizioni, diventa malato, se, in sostanza, la natura è solo
vista nella cornice di un gita o di un weekend felici. Non a caso, di queste
ultime ore è un comunicato di SOS Utenti APS, associazione abruzzese per la
tutela dei diritti civili e sociali, (oltre 50mila associati), in cui si afferma
che la storia di questa famiglia ha favorito una campagna promozionale utile al
turismo abruzzese, «spontanea» che incide più di quelle che si realizzano con i
fondi pubblici e si propone, all’assessorato al turismo e alla giunta regionali,
di assegnare un premio a questa famiglia e l’apertura di un tavolo di
consultazione sulle «comunità rurali e i modelli di vita alternativi».
Di tutto ciò un tribunale per i minorenni dovrebbe tener conto, come prioritario
rispetto alle accuse nei confronti dei genitori sull’isolamento e l’abbandono
dei loro figli. Migliaia di persone hanno utilizzato finanziamenti pubblici per
l’uso di tecnologie green nelle loro case in campagna e in città. Una
legislazione che impone a tutti di convertire i sistemi energetici esiste in
Italia da parecchi anni, per chi non lo sapesse. Questa famiglia si è accodata a
un’idea di sussistenza che favorisce uno sviluppo quanto più possibile conforme
alla natura, scientificamente e pedagogicamente valorizzata alla luce dei nostri
tempi. Una cucina economica, un camino, un bagno a secco, una roulotte,
all’occorrenza utile anche per gli ospiti, bagno caldo tutte le sere con il
calore garantito dal fuoco e anche dai piccoli spazi, adeguatamente sistemati.
Un vivere che, giustamente, bisognerebbe vivere per comprendere.
Post-scriptum
Nella pagine dell’ordinanza si susseguono una serie di affermazioni che
descrivono i due coniugi come inadempienti verso una serie di obblighi e accordi
presi in fase processuale, tentennamenti, ripensamenti, chiusure, provocazioni.
Tutte queste descrizioni che forniscono un’immagine estremamente negativa, poco
conciliante, da parte dei genitori, sono accompagnate da richiami all’articolo 2
della Costituzione italiana e da riferimenti legislativi riguardanti la tutela
dei minori e, più in generale, dei diritti umani e la loro privacy, tali gli
artt. 330-333 del Codice civile, l’art. 16 della Convenzione di New York 20
novembre 1989, l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo(CEDU),
l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali UE, nonchél’art. 50 D. leg. 30
giugno 2003, n. 196.
Non entro nel merito di tutte le contestazioni contenute nell’ordinanza, ma
soltanto di quelle dominanti e che nel testo sono maggiormente evidenziate come
decisive per la decisione presa.
Per esempio, nel brano già citato: «Va peraltro evidenziato che l’ordinanza
cautelare non è fondata sul pericolo di lesione del diritto dei minori
all’istruzione, ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione
(art. 2 Cost.), produttiva di gravi conseguenze psichiche ed educative a carico
del minore», si avvertono i segni di un significato aleatorio dei termini
utilizzati. Si badi bene, preliminarmente, che anche qui si utilizza una
distinzione formale, forse di comodo, con cui si distingue una dimensione
psichica da una educativa, come se la prima non fosse compresa nella seconda,
che riguarda principalmente il ruolo dei genitori. Comunque sia, parlare di
conseguenze educative e non solo psicologiche, a fortiori dovrebbe invitare a un
autentico approfondimento dell’aspetto più genuinamente pedagogico della vita di
queste bambine e di questa famiglia.
Ma, a prescindere, siamo partiti con la sentenza finale, che parlava di
«violazioni» vere e proprie, «gravi e pregiudiziali», mentre qui si parla solo
di pericolo di lesione; ed inoltre, di pericolo non conseguente alla mancata
frequentazione della scuola, ma alla carenza (o sarebbe meglio parlare di
assenza totale, visto che si parla di ‘isolamento’ e ‘abbandono’) di «vita di
relazione». D’altro canto, quando si dice «produttiva» (al femminile) «di gravi
conseguenze psichiche ed educative», ci si riferisce alla lesione non al
pericolo (maschile) di lesione. In due parole, è del pericolo di lesione che in
sostanza si parla ma è la lesione a essere considerata produttiva di... Quindi
c’è pericolo di lesione, lesione che può comportare gravi conseguenze… Questo è
dopotutto il senso di una ordinanza ‘cautelare’. Ma, dunque, come si spiega che
da pericolo di lesione si è passati, nella sentenza finale, a «gravi e
pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli», per le quali i genitori
«vanno sospesi dalla responsabilità genitoriale»?
Non lasciamoci troppo distrarre, perché parliamo sempre di violazioni
presumibilmente conseguenti a comportamenti che si presumono trascurare
l’educazione, l’istruzione e l’inserimento dei loro figli nella società. Ciò
malgrado, si badi bene, la maggior parte dei riferimenti giuridici riguardano
perlopiù i diritti della privacy (e non solo dei minori). Ora, la questione del
rapporto con i media nasce l’11 novembre scorso, quando evidentemente, la
sentenza, datata il 13, doveva essere già pronta. Sui temi sopraddetti, sembra
che i giudici si rifacciano, sul piano giuridico, esclusivamente all’art. 2
della costituzione. Laddove, invece, si tratta di giustificare (=legittimare) le
accuse rivolte ai genitori su abbandono, isolamento, istruzione, vita sociale,
essi si rivolgono, come si è detto, a teorie di psicologia. Ma ciascuna delle
teorie menzionate, se approfondita a dovere, rivelerebbe che nessuno dei fattori
indicati in esse (oltretutto, non in modo esaustivo) come problematici
riguardano davvero i bambini in questione e che anzi proprio in questi bambini
si intravedono parecchi dei fattori positivi impliciti in queste teorie, di cui
possiamo facilmente elencare qualcuno: il rapporto armonico con la natura,
l’apprendimento fondato sull’esperienza pratica a contatto con elementi e
necessità fondamentali del vivere, la capacità di adattarsi ad habitat che
evidentemente manca a un normale abitante della città, il rispetto di principio
impliciti nella famiglia come la condivisione, l’aiuto reciproco, la gentilezza,
il dire sempre la verità…
Inoltre, in riferimento alla questione della vita sociale, è totalmente
trascurato il rapporto con gli animali. Ma basti qui ricordare che una
letteratura altrettanto scientifica (sicuramente più consona al nostro caso e
alla nostra attualità) annovera fra le pratiche più efficienti per la
costruzione, nei bambini, della autostima, di un sé autentico, della fiducia in
sé e negli altri, nella gestione di situazioni di rischio, ecc., un’educazione
centrata (quindi non marginale) sul rapporto con gli animali. Ancora più nello
specifico, la ippo-terapia, per chi non lo sapesse, serve da almeno quattro
lustri, a milioni di bambini con problematiche di autismo. Saper cavalcare un
cavallo (o addirittura condurre un adulto a cavallo all’età di sei anni, come si
vede nel servizio delle Iene), rivela una pregevole qualità sociale, «di vita di
relazione» qualitativamente oltre la media e che si coniuga armoniosamente con
le altre abitudini di questi bambini, come ascoltare una storia prima di andare
a letto, preparare la tavola. Bisognerebbe anche valorizzare la funzione
potenziale che queste abitudini favorirebbero nell’interfaccia con i pari,
laddove si presentassero davvero situazioni conflittuali. Diversi sono i
comportamenti di questi bambini che rivelano un’etica educativa conciliabile con
le più genuine teorie e pratiche pedagogiche del Novecento.
Si ricordi che lo spartiacque ideologico di questa vicenda che si rivela in modo
prevalente nel dibattito pubblico, si gioca su una separazione indebita fra
natura e società, o meglio, fra modi diversi di intendere il rapporto della
persona con il mondo, fra concezioni, rappresentazioni e visioni differenti
della società, della natura, dell’istruzione e dell’educazione. Un pluralismo
intellettuale – sintomatico del pluralismo stesso della democrazia in cui di
fatto immaginiamo ancora di vivere – che finisce per irrigidirsi in un paradigma
divisorio. Di fatto, il mainstream mitizza la scelta dei genitori di vivere in
un contesto rurale, come se essi vivessero fuori dalla società. Ma in ciò il
dibattito pubblico non fa che riflettere una visione implicita nella posizione
stessa dei giudici, come se in questo tribunale non si materializzasse una
procedura giuridica scrupolosamente aderente al motivo della «violazione dei
diritti dei minori» o al «pericolo» di un loro violazione, ma una dottrina in
cui la società è divisa dalla natura e identificata con un sistema di istruzione
e di accompagnamento socio-educativo che è presupposto garantire gli elementi
essenziali della crescita dei minori. In questa sentenza, c’è netta separazione,
non organica armonia, sinergico equilibrio, fra educazione naturale e educazione
sociale. Invece, in questa famiglia, l’educazione è tanto più sociale quanto più
è naturale, o meglio, come avrebbe detto Lamberto Borghi, è l’educazione genuina
senza ulteriori appellativi.
--------------------------------------------------------------------------------
Tra i libri di Antonio Fiscarelli Danilo Dolci Lo stato, il popolo e
l’intellettuale (Castelvecchi), La roccia rotola ancora. Sulle tracce di
Sisifo (Malanotte), L’ospite indiscreto. La sociozoomania dei pipistrelli
all’epoca delle epidemie facili (Porto Seguro)
--------------------------------------------------------------------------------
LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI ELISA LALLO:
> Perché quanto accaduto alla “famiglia nel bosco” riguarda tutti noi
--------------------------------------------------------------------------------
L'articolo legge, psicologia e pedagogia proviene da Comune-info.