Tag - Economia e lavoro

Un Manifesto per non morire di rendita
Dopo il caso Milano, un Manifesto per non morire di rendita  di Walter Tocci   Il caso Milano solleva temi molto più profondi di quanto raccontano le cronache. Come al solito si prende coscienza dei problemi nazionali solo dopo l’intervento della magistratura. Il diffuso conformismo, infatti, oscura le analisi eterodosse che mettono in discussione ideologie e pratiche correnti. Nella diffusa apologia dello sviluppo urbanistico milanese si è voluto oscurare la crescente potenza della valorizzazione immobiliare che travolge tutte le forme di controllo e scarica alti costi sociali e umani nella vita urbana. Questo squilibrio crea un terreno fertile per la corruzione, ma è una patologia urbana anche in assenza di comportamenti illegali. Come processo socioeconomico è stato perfezionato al massimo livello a Milano, ma riguarda anche Roma e tutte le città italiane. Il valore urbano, inteso come rendita immobiliare, era al centro del dibattito politico negli anni Sessanta. Gli storici hanno dimostrato che fu il vero movente del tentativo di colpo di stato del generale De Lorenzo contro la legge Sullo. Se ne occupava anche la cultura, dal film di Rosi Le Mani sulla città al romanzo di Calvino La Speculazione edilizia. Perfino i capitalisti la disprezzavano come fattore di arretratezza dell’economia. Contro la rendita Agnelli invocava un patto tra produttori, cioè un’alleanza tra lavoratori e capitalisti. Invece, da quando si è alleata con la finanza se ne parla meno. È invisibile perché partecipa attivamente al capitalismo contemporaneo, il quale è il regno dei rentier e dei monopoli, nonostante le favole sulla concorrenza che ci raccontano gli economisti ortodossi. Che sia diventato un fattore cruciale è dimostrato dalla grande crisi del 2008, causata proprio dai mutui subprime. Chi l’aveva previsto che il turbocapitalismo naufragasse sul sogno piccolo-borghese della casetta in proprietà? E non a caso oggi l’impero americano è guidato da un immobiliarista, e un suo sodale negli affari, l’ineffabile Witkoff, tratta su pace e guerra, tra lo sconcerto dei diplomatici di professione. Dall’invisibilità derivano dimenticanze e fraintendimenti che dominano il senso comune e alimentano politiche dannose, come dimostra il miglior libro sulla questione: B. Pizzo, Vivere o morire di rendita, Donzelli 2023. Se l’attrazione della rendita è troppo forte vengono scoraggiati gli investimenti produttivi. L’acqua va dove trova la strada. E gli effetti sono più evidenti in Italia, nella pluridecennale stagnazione della produttività, nella diminuzione del valore aggiunto e nelle crisi bancarie, causate dagli eccessivi valori immobiliari scritti in bilancio prima dell’esplosione della bolla. L’eccesso di valorizzazione immobiliare, inoltre, produce devastanti effetti sociali e culturali, che sono sotto gli occhi di tutti. A Milano la crescita degli affitti ha determinato una sostituzione di popolazione, con espulsione nell’hinterland di ceti sociali meno abbienti e attrazione di quelli ad alto reddito, come ha dimostrato Lucia Tozzi, con largo anticipo sulle attuali vicende, quando tutti celebravano i fasti ambrosiani. In tutte le grandi città ritorna una drammatica “Questione delle abitazioni”, che sembra riecheggiare il saggio di Engels sui mali della città industriale. Inoltre, gli inusitati valori immobiliari determinano una selezione negativa delle funzioni urbane. Sono scoraggiate tutte le attività di innovazione culturale e tecnologica che nella fase di incubazione non ce la fanno a sostenere gli alti costi immobiliari. Al contrario vengono attratte le ricchezze originate dai monopoli di vario tipo: gruppi finanziari (basti pensare ai capitali del Qatar), airbnb, public utilities, cordate professionali, concentrazioni dei media, ecc. La rendita chiama altra rendita e scoraggia l’ingegno, smentendo il modaiolo bla-bla sulla città creativa. Ora sembrano prenderne coscienza anche gli editorialisti del Corriere della Sera, come scrive Dario Di Vico: “La rendita sta vincendo, e questa per Milano, storica città della crescita, è la vera ferita. Un modernità che umiliasse il merito non l’avevamo prevista”. L’economia classica di Ricardo era una scienza morale, proprio come l’urbanistica, e attribuiva all’imprenditore il merito del profitto mentre stigmatizzava i guadagni immeritati dei rentiers. Oggi si parla tanto di meritocrazia, eppure si dimentica che la valorizzazione non è merito dell’immobiliarista, poiché dipende in gran parte dal prestigio, dalla qualità e dalle infrastrutture del contesto urbano, cioè viene alimentata dall’azione dei cittadini e dalle iniziative dell’amministrazione pubblica. Al merito dell’operatore si può attribuire solo il profitto di impresa nel processo di costruzione. Se un profitto vale 20, la rendita vale 100, nonostante il primo sia frutto di una impegnativa attività industriale mentre la seconda richieda solo l’attesa di un guadagno immeritato. Con la legge Berlusconi, purtroppo ratificata anche dalle amministrazioni di sinistra, è diventato normale parlare di “premio di cubatura”. Eppure, non dovrebbe essere premiata una valorizzazione già molto più alta del plusvalore di qualsiasi investimento produttivo. La trasformazione dei tessuti non dovrebbe risolversi nel gioco ristretto tra legislatore e proprietario, a prescindere da qualsiasi considerazione sul contesto urbano. Semmai il “premio” dovrebbe essere destinato ai cittadini, riservando i terreni ancora liberi ai servizi pubblici e al verde, spesso carenti proprio nelle città costruite male. E non suscita alcuna indignazione la bassissima quota di questa valorizzazione che ritorna all’interesse pubblico. In una delle più grandi operazioni urbanistiche romane, nell’area di Bufalotta, si è calcolato che l’operatore ha ottenuto una rendita del 106% rispetto ai costi di costruzione e ha versato al Comune solo il 6% della valorizzazione. Cioè l’onere per il proprietario è stato circa quattro volte più basso delle tasse che paga un operaio. L’Italia è un paradiso fiscale per l’immobiliare. In Europa gli oneri arrivano al 30%, come non si è mai stancato di dimostrare il compianto Roberto Camagni, uno dei pochi economisti ad occuparsi di rendita. La legge Bucalossi, inoltre, aggiunge effetti distorsivi calcolando gli oneri non rispetto alla valorizzazione, ma ai costi di costruzione, con il risultato che nei quartieri più ricchi, in percentuale sul valore, gli oneri sono più bassi che in periferia o addirittura sono annullati con l’alibi delle urbanizzazioni esistenti. Si arriva a turlupinare l’opinione pubblica offrendo nei piani urbanistici un’opera pubblica aggiuntiva in cambio di ulteriori aumenti di cubatura. La scuola o il parco in più sono finanziati dagli stessi bassi oneri al 6%, per rimanere all’esempio precedente, mentre il proprietario incamera oltre il 100% di valorizzazione anche sull’aumento di cubatura. È un altro regalo per lui, ma viene presentato come una generosa offerta ai cittadini. D’altronde, c’è anche un’evidente asimmetria informativa. I Comuni non hanno strutture e competenze per valutare gli effetti economici di ciò che autorizzano, non sono in grado di confutare il business plan dell’immobiliarista, non dispongono di osservatori efficaci della valorizzazione urbana. La stessa legislazione non indica chiari criteri e parametri di convenienza pubblica nella contrattazione con i privati. Al contrario, negli appalti di infrastrutture c’è un imponente corpus normativo mirato a ridurre i costi per il pubblico e a impedire illeciti arricchimenti del costruttore. Le norme sono severe con il profitto d’impresa e lascive con la rendita di posizione. Tutti questi processi favoriscono la ricchezza proprietaria e aumentano la povertà pubblica. Al contrario se una quota ben maggiore della rendita fosse incamerata dal pubblico e reinvestita nelle infrastrutture la città sarebbe nel contempo più giusta e più produttiva. La così detta “urbanistica riformista” ha studiato i processi di valorizzazione al fine di perequare le rendite differenziali nel piano urbanistico. Nell’economia di carta e di mattone, però, il valore viene estratto dal suolo e innalzato nelle eteree transazioni finanziarie. Emerge, quindi, una nuova forma di rendita pura, la quale, a differenza di quella differenziale, non solo incide sul piano urbanistico, ma determina soprattutto gli effetti macroeconomici e macrosociali di cui sopra. Da come si ripartisce il valore urbano, quindi, dipendono questioni cruciali: se le risorse vanno verso usi parassitari oppure produttivi, se il valore della città viene appropriato da pochi oppure aumenta la qualità della vita e l’inclusione sociale. Per non morire di rendita occorre una svolta nelle politiche urbane. Ma prima ancora è necessaria una mobilitazione culturale per ribaltare almeno un trentennio di narrazioni dominanti, luoghi comuni, ideologie parassitarie, pratiche pubbliche e private ormai insostenibili. Ci sono in Italia tante persone e associazioni disponibili a cambiare lo stato di cose: chi ha sempre criticato lo sviluppo estrattivo di risorse, chi pratica quotidianamente la cura di parti di città, studiosi consapevoli degli impatti negativi dei processi attuali, enti preposti alla tutela dei beni comuni, tecnici e imprenditori che riflettono criticamente sul passato e cercano di voltare pagina. E’ arrivato il momento di fare forza comune, senza settarismi, superando anche le diversità particolari, cercando un filo comune per restituire alla città il valore creato dai cittadini. Ci vorrebbero persone e associazioni capaci di prendere l’iniziativa, mobilitare altre risorse e allargare il movimento. Quelli della mia generazione possono dare una mano, ma a guidare devono essere le nuove generazioni. Perché sono soprattutto loro a sentire gli effetti nella propria vita quotidiana e professionale: nella affannosa ricerca di un’abitazione, nella difficoltà di trovare un immobile per avviare un’opera innovativa, nella ricerca di fondi per ricerche eterodosse, nella faticosa interlocuzione con le burocrazie amministrative e politiche. In mezzo a tanti fenomeni negativi, se si osservano le città italiane con animo curioso si vedono tante esperienze emblematiche di una nuova cultura urbana, nel recupero sociale di aree dismesse, nelle pratiche di riconversione ecologica, nella produzione di nuovi beni culturali, nella promozione del mutualismo sociale, ecc. Tra gli organizzatori si nota una nuova alleanza tra ricercatori sociali e attivisti urbani. Per merito loro l’azione collettiva ha preso le sembianze di una progettualità urbana ad alto grado di condivisione, ben lontana dalla partecipazione assembleare e rivendicativa della mia generazione. Da questa alleanza tra cultura d’avanguardia e impegno collettivo oggi scorga un’inedita energia politica, che surroga l’assenza dei partiti nel territorio. Finora tale energia è rimasta confinata nel locale, ma rischia di essere travolta dai padroni della rendita se non prende la parola a livello cittadino e nazionale. Spero che almeno alcuni di questi ricercatori e attivisti prendano l’iniziativa di una mobilitazione generale. Sulla base di un Manifesto “Per non morire di rendita”, da sottoporre all’approfondimento in appositi Forum nelle città, allargando l’analisi e la proposta ai diversi casi italiani, per poi confluire in un appuntamento nazionale che scoperchi la realtà davanti all’opinione pubblica e chiami la politica alle sue responsabilità. Nonostante la gravità di tanti fenomeni di crisi urbana, le nostre città dispongono delle energie morali e sociali indispensabili per la loro rinascita.     Il testo è tratto dall’intervento al Congresso INU di Roma del 23 maggio 2025, Elogio dell’Urbanistica, ora pubblicato in: Città Bene Comune della Casa della Cultura di Milano. (foto di Italo Insolera, Roma Monte Mario, 1971) L'articolo Un Manifesto per non morire di rendita proviene da Roma Ricerca Roma.
Regolamentare gli affitti brevi con gli strumenti urbanistici: proposta per Roma
> Di Filippo Celata e Daniela Festa (*) > > . > > Cosa si può fare per porre un freno alla conversione di appartamenti > residenziali in affitti brevi per i turisti. Quali sono gli strumenti > urbanistici disponibili. Cosa stanno facendo le altre città. Cosa può e deve > fare Roma. > > . La necessità urgente di regolamentare e introdurre limitazioni agli affitti brevi, ovvero alla locazione turistica di alloggi ad uso abitativo, al fine di favorire la residenzialità, è ormai riconosciuta da molti. La lista di coloro che si sono espressi a favore, anche all’interno della Giunta e dell’Assemblea capitolina, è lunga. Sul perché, ovvero sugli effetti devastanti della massiccia conversione di abitazioni residenziali in alloggi destinati ai turisti, non è necessario soffermarsi qui, perché molto è stato già scritto e detto (Celata, 2024; si segnala anche questo podcast). Il problema principale è l’effetto drammatico che il ‘fenomeno Airbnb’ ha avuto sulla disponibilità di locazioni a lungo termine, come sa bene chi in questi mesi pre-Giubileo cerca a Roma una casa in affitto: missione quasi impossibile. A Roma come altrove in Italia di tale necessità ci si è resi conto tardivamente, mentre ormai in quasi tutte le altre grandi città turistiche europee sono state introdotte norme più o meno stringenti (si veda la tabella). Per mesi poi, in Italia, si è attesa una specifica legge nazionale che consentisse esplicitamente ai Comuni di intervenire in tal senso, sul modello della norma introdotta ad hoc per Venezia (art. 37-bis, d.l. 50/2022 convertito in legge n. 90/2022), e che per inciso risulta tuttora inattuata. Nell’ultima legge di Bilancio (L. 2143/2023) sono invece confluiti solo alcuni vincoli in materia di sicurezza degli immobili destinati a locazione turistica e l’estensione all’intero territorio nazionale del cosiddetto Codice Identificativo, già previsto da diverse norme regionali. Diventato evidente, dunque, che il governo non avesse alcuna intenzione di consentire una effettiva regolamentazione e limitazione del fenomeno, la domanda è diventata: cosa possono fare i Comuni in assenza di una esplicita legge nazionale? La risposta è che si può fare molto, utilizzando appunto gli strumenti urbanistici, sebbene la questione sia complessa, anche perché le competenze in materia sono suddivise tra diversi livelli di governo in maniera non sempre chiara. PROPOSTE PER ROMA: LO STRUMENTO URBANISTICO Presentiamo qui una proposta di regolamentazione urbanistica degli affitti brevi, coerente con la proposta del Gruppo Romano per la Regolamentazione degli Affitti Brevi, successivamente discussa in un incontro sul tema organizzato il 19 Aprile 2024 dalla Commissione Politiche Abitative e Patrimonio di Roma Capitale, e poi rielaborata all’interno delle Osservazioni del Municipio I del 2 maggio 2024 sulla modifica in corso delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Regolatore di Roma. A giugno 2023 la giunta capitolina ha infatti approvato una proposta di modifica delle attuali NTA che ha suscitato un acceso dibattito anche perché, piuttosto che contrastare l’iper-turistificazione, la modifica è sembrata a molti volerla favorire (1). L’idea che è emersa successivamente è, in particolare l’introduzione – in sede di discussione e approvazione delle modifiche delle NTA da parte dell’Assemblea capitolina, prevista a breve –  di una sub-articolazione della categoria funzionale residenziale per distinguere i casi nei quali le unità immobiliari sono effettivamente ad uso abitativo dai casi in cui l’uso è prevalentemente o esclusivamente ricettivo. Le stesse NTA dovrebbero rimandare poi a un successivo e separato regolamento da emanarsi a cura dell’Assemblea Capitolina entro alcuni mesi, che introduca una disciplina specifica. L’obiettivo è favorire gli usi effettivamente abitativi e mantenere la riconoscibilità della struttura insediativa della città storica e della città consolidata, attenendosi ai profili strettamente urbanistici del governo degli usi e delle trasformazioni del territorio, e in coerenza con i principi costituzionali relativi alla proprietà dell’abitazione (2). Le NTA vigenti (Delibera del Consiglio Comunale 18/2008), all’interno delle destinazioni d’uso ‘abitative’ (lettere A), prevedono ad ora esclusivamente le sub-categorie ‘abitazioni singole’ e ‘abitazioni collettive’ (studentati, convitti, conventi, ecc.). Nell’ambito della categoria funzionale D, ‘turistico-ricettiva’, è prevista la sub-categoria ‘strutture ricettive extra-alberghiere’, ma in essa non ricadono attività quali i Bed & Breakfast, gli affittacamere o gli alloggi ad uso turistico, anche perché le norme regionali prevedono esplicitamente che tali attività non comportino cambio di destinazione d’uso. L’Art. 17 delle NTA vigenti prevedeva infine che, con successivo provvedimento, il Comune potesse “limitare, per motivi di salvaguardia dei caratteri socio-economici, culturali e ambientali di particolari zone della Città storica e della Città consolidata, i cambiamenti di destinazione d’uso o l’insediamento di specifiche attività interne alle destinazioni d’uso” previste, ma a tale disposizione, almeno per quel che riguarda le locazioni turistiche, non è mai stato dato seguito. COSA STANNO FACENDO LE ALTRE CITTÀ ITALIANE Altri Comuni in Italia hanno d’altronde intrapreso la stessa strada. Noto è il tentativo del Comune di Firenze che l’8 agosto 2023 ha approvato una variante alle NTA del Regolamento Urbanistico prevedendo all’interno dell’uso residenziale la sub-categoria “residenza temporanea”, comprensiva delle locazioni turistiche brevi e delle strutture ricettive extra-alberghiere. Il Comune ha poi, su questa base, imposto il blocco alle nuove registrazioni di locazioni turistiche all’interno del centro storico e del sito UNESCO. Nell’Aprile 2024, inoltre, il Comune di Bologna ha approvato una modifica al Regolamento edilizio che introduce all’interno della categoria funzionale turistico-ricettiva una sub-categoria relativa alle attività turistiche svolte in unità immobiliari a destinazione abitativa, incluse le locazioni brevi. Tali attività dovranno quindi sottostare a un vero e proprio cambiamento di categoria funzionale; il che dovrebbe preludere, si desume, all’introduzione di uno specifico regime autorizzativo. Interventi analoghi sono attualmente in discussione in diverse altre città. Si attende a giorni, in seguito ad alcuni ricorsi, la pronuncia del TAR in merito alle nuove norme fiorentine. È possibile che il Tribunale possa pronunciarsi in merito alle modalità dell’intervento, ma difficilmente potrà inficiare l’intero provvedimento. “Nella giurisprudenza amministrativa possono rinvenirsi rilevanti pronunce che non solo confermano la possibilità di introdurre limitazioni a B&B e locazioni turistiche a fini di tutela della residenzialità dei centri storici (…), ma che certificano pure la non irragionevolezza di una disciplina differenziata tra uso residenziale ‘vero e proprio’ – volto a soddisfare il bisogno primario dell’abitazione – e uso residenziale temporaneo – volto a soddisfare un mero interesse turistico”, laddove le leggi regionali contengono disposizioni in tal senso (Menegus, 2024). LE ABITAZIONI A USO TURISTICO NEL PIANO REGOLATORE DI ROMA La proposta qui presentata è, come detto, da un lato coerente ma d’altro lato diversa da quelle summenzionate. L’idea è, in particole, prevedere due specifiche sub-articolazioni all’interno delle destinazioni d’uso ‘abitative’ di cui all’art.6 delle NTA. La distinzione è principalmente dovuta alla possibilità o meno che l’unità immobiliare continui a essere utilizzata a scopi abitativi e residenziali, ovvero implichi o meno la presenza di un soggetto residente che dimori all’interno dell’appartamento in maniera permanente o per lo meno intermittente. Una prima sub-categoria (A3) comprenderebbe le ‘abitazioni ad uso misto abitativo-turistico’, ovvero parzialmente o occasionalmente utilizzate a scopo turistico ricettivo in forma non imprenditoriale. Sarebbero inclusi in tale sub-categoria i Bed and Breakfast (Art. 9 R.R. 8/2015) (3); e gli Alloggi per uso turistico (Art. 12 bis R.R. 8/2015) nei soli casi in cui soltanto parte dell’abitazione è utilizzata a scopo turistico ricettivo. In tali casi le unità immobiliari mantengono una loro funzione abitativa. Per i Bed & Breakfast, infatti, l’art. 4 del R.R. 8/2015 impone che “il gestore deve avere la residenza nella struttura e si riserva una camera da letto all’interno della stessa”. Gli Alloggi ad uso turistico rientrerebbero invece in tale sub-categoria soltanto nei casi in cui solo una parte dell’abitazione – tipicamente una camera – è a uso turistico ricettivo, mentre il restante è a uso abitativo. In questi casi il successivo regolamento potrebbe anche non avere scopi esplicitamente limitativi, ma operare al fine di garantire che l’abitazione mantenga effettivamente un utilizzo abitativo e, almeno nel caso degli alloggi ad uso turistico, che tale utilizzo debba intendersi come prevalente. La seconda sub-categoria (A4) comprenderebbe le ‘abitazioni a uso turistico’, ovvero interamente e non occasionalmente utilizzate a scopo turistico ricettivo. Sarebbero quindi inclusi: le Guest house o Affittacamere, per i quali è prevista esclusivamente la gestione in forma imprenditoriale (art. 4 R.R. 8/2015) (4); le Case e appartamenti per vacanze gestiti in forma imprenditoriale o non imprenditoriale (art. 7 R.R. 8/2015); gli Alloggi per uso turistico nei casi in cui l’intera abitazione è utilizzata a scopo turistico ricettivo e per i quali le norme regionali prevedono che tale uso debba comunque essere “occasionale, non organizzato e non imprenditoriale” (art. 12 bis R.R. 8/2015). COSA CONSENTONO DI FARE LE LEGGI NAZIONALI E REGIONALI È possibile operare in tal senso in assenza di esplicite norme che consentano ai Comuni di farlo? La risposta è si. A livello nazionale, l’art. 23-ter comma 3 del Testo Unico sull’Edilizia prevede infatti che “il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali” (5). A livello regionale, le Regioni avrebbero in teoria ampissimi poteri in merito al ‘governo del territorio’. A questi poteri tuttavia, nel caso specifico dell’utilizzo per finalità ricettive di immobili residenziali, le Regioni sembrano aver volontariamente rinunciato, mentre “più di un dubbio può esser sollevato in merito all’inattività delle Regioni” in questo ambito, laddove l’utilizzo turistico ricettivo non occasionale delle abitazioni ha evidentemente rilevanza urbanistica (Tumminelli, 2023). L’introduzione di una disciplina specifica anche in assenza di un chiaro e specifico quadro normativo ci appare comunque necessaria anche al solo fine di favorire un chiarimento di quelle che sono le prerogative dei diversi livelli di governo. Il regolamento comunale, d’altro lato, agirebbe del tutto in coerenza con quanto già disposto, a livello regionale, dall’art. 4 della L.R. n.8 dell’8 maggio 2022, il quale prevede che “ai fini della salvaguardia ambientale e paesaggistica e del patrimonio storico, artistico, archeologico e monumentale, nonché della sostenibilità ambientale, infrastrutturale, logistica, della mobilità e della vivibilità necessaria alla fruizione dei luoghi da parte della collettività, Roma Capitale può individuare criteri specifici in riferimento a determinati ambiti territoriali per lo svolgimento di attività di natura non imprenditoriale di locazione di immobili ad uso residenziale per fini turistici, nel rispetto dei principi di stretta necessità, proporzionalità e non discriminazione”. Il regolamento comunale sarebbe inoltre del tutto coerente con i Regolamenti Regionali sulle attività ricettive. Tali regolamenti prevedono da un lato, come detto, che l’utilizzo turistico ricettivo di appartamenti residenziali “non comporti cambio di destinazione d’uso” (escludendo quindi – a norma regionale invariata – che tali utilizzi possano prefigurare una destinazione d’uso a funzioni turistico-ricettive, la quale sarebbe invece auspicabile per lo meno nei casi in cui tali utilizzi prefigurino un utilizzo esclusivamente ricettivo). D’altro lato, i Regolamenti Regionali disciplinano l’utilizzo a scopo turistico ricettivo delle unità abitative in maniera dettagliata e stringente. Tali disposizioni, tuttavia, in particolare per quel che riguarda gli alloggi ad uso turistico, risultano in larga parte inattuate e inattuabili in assenza di una specifica disciplina urbanistica e per via dell’onerosità e della scarsa efficacia dei relativi controlli. Il regolamento comunale avrebbe quindi lo scopo, tra le altre cose, di consentire il rispetto di quanto già previsto da norme esistenti. VERSO UN REGOLAMENTO COMUNALE PER GLI AFFITTI BREVI In coerenza con l’art. 4 della L.R. 8/2022, il regolamento comunale potrà in particolare introdurre una disciplina differenziata per ambiti e tessuti e i criteri specifici per lo svolgimento delle attività di cui agli usi A3 e A4 nei diversi contesti, tenendo presenti tanto le peculiarità e le fragilità dei vari tessuti urbanistici, quanto i diversi gradi di intensità con i quali il fenomeno si manifesta nella città. Preme sottolineare che il problema, in questo senso, non è in alcun modo limitato al ‘centro storico’, e nemmeno al solo Municipio I di Roma. Limitare l’intervento al solo centro storico o peggio a specifiche zone all’interno di esso non avrebbe infatti alcuna efficacia in zone limitrofe dove il fenomeno è già notevolmente diffuso e impattante, e rischierebbe perfino di disperdere il problema altrove. Il rischio, in altre parole, è congelare il centro così com’è, turistificando il resto della città. D’altro lato, una effettiva regolamentazione che non avesse espliciti intenti zonali, ma che si proponesse di limitare lo svolgimento in forma non occasionale e sistematica di attività ricettive negli appartamenti residenziali, avrebbe comunque effetti differenziati a scala sub-comunale dal momento che l’utilizzo ricettivo più intenso e organizzato si concentra nelle zone più attrattive, redditizie e nelle quali sono maggiormente visibili gli effetti negativi dell’iper-turistificazione. Il regolamento dovrebbe poi disciplinare la distinzione tra attività occasionale e non, dal momento che, come detto, l’art 12 bis del R.R. 8/2015 dispone che l’affitto come alloggio ad uso turistico debba essere in ogni caso “occasionale”. Tale distinzione potrà anche basarsi sulla definizione di un tetto annuale di giornate per l’affitto ai turisti, sufficientemente stringente per consentire una effettiva utilizzazione a scopo abitativo. Ci appare per altri versi eccessivamente ampio il limite dei 120 giorni che è spesso menzionato in Italia, laddove nelle città estere nelle quali è stato introdotto il cosiddetto ‘time-cap’ esso è in genere da 30 a 90 giorni, e/o associato ad altre restrizioni, quali l’obbligo di residenza (si veda la tabella). Il regolamento dovrà, inoltre, dare effettiva attuazione a quanto disposto dal comma 2 dell’art 12 bis del R.R. 8/2015, il quale limita l’utilizzo di alloggi ad uso turistico solo alle unità immobiliari ai “proprietari, gli affittuari o coloro che a qualsiasi titolo dispongono di un massimo di due appartamenti nel territorio del medesimo Comune”. Tale norma potrebbe avere effetti rilevantissimi dal momento che, attualmente, il 52% degli annunci su Airbnb.com fa riferimento a soggetti che gestiscono più di due annunci. Più complesso appare un intervento che chiarisca, sempre in coerenza con le norme regionali, cosa si intenda per utilizzo a scopo turistico ricettivo in forma non organizzata e non imprenditoriale. In linea di principio, dovrebbe essere verosimilmente e fino prova contraria esclusa la gestione da parte di proprietari o locatari che siano persone giuridiche, ovvero soggetti che per le loro caratteristiche costitutive e organiche si orientano inevitabilmente verso una gestione organizzata e imprenditoriale. Ciò non impedirebbe che proprietari o locatari persone fisiche possano avvalersi di intermediari quali i ‘property manager’, laddove il loro ruolo sia limitato a funzioni di intermediazione per loro conto, e non equiparabili all’assunzione di una vera e propria funzione gestionale, organizzata e imprenditoriale. La natura imprenditoriale o meno di una qualsiasi attività non è tuttavia di competenza urbanistica. Il tema andrebbe in ogni caso posto nelle sedi sovraordinate al fine, anche in questo caso, di dare effettiva attuazione a quanto previsto dalle norme regionali esistenti (6). Sempre al fine di favorire la residenzialità, il regolamento potrà stabilire che non è in alcun modo precluso l’utilizzo a fini esclusivamente abitativi delle unità immobiliari classificate come a utilizzo misto abitativo-turistico (A3) o a utilizzo turistico (A4). Sarebbe sempre possibile tornare, in altre parole, a un utilizzo a scopi esclusivamente abitativi di tali immobili.  Il regolamento riguarderebbe in questo modo tutte le forme di ricettività extra-alberghiera in abitazioni residenziali, chiarendo eventualmente che la disciplina si pone anche l’obiettivo di sanare l’ineguale e ingiustificato favore con il quale le norme disciplinano gli alloggi ad uso turistico rispetto ad altre forme di ricettività alberghiera ed extra-alberghiera. PER UNA REGOLAMENTAZIONE EFFICACE, E IL PROBLEMA DEGLI ‘ABUSIVI’ Le modifiche così introdotte e ulteriormente disciplinate dal successivo regolamento si applicherebbero a partire dalla data di adozione delle modifiche alle NTA, tutelando le situazioni pregresse solo per coloro che già svolgono attività turistico ricettiva in abitazioni in piena conformità alle norme e ai regolamenti vigenti, inclusi il rispetto dei “requisiti previsti per le abitazioni”, della “normativa vigente in materia edilizia e igienico sanitaria”, gli obblighi di registrazione e di comunicazione, e ivi compresi gli obblighi di comunicazione dei “dati sugli arrivi e sulle presenze” e gli obblighi introdotti recentemente in materia di sicurezza degli immobili. La disciplina avrebbe invece piena applicazione nei confronti dei cosiddetti ‘abusivi’, ovvero coloro che non ottemperano agli obblighi summenzionati, facilitando peraltro le relative verifiche. Per questi casi di un uso ricettivo di fatto e contra legem, l’attività deve essere infatti considerata come illegittimamente avviata. Il regolamento dovrà adoperarsi per evitare che la nuova disciplina comporti, in questo modo, un trattamento ingiustamente vantaggioso per chi già svolge attività ricettiva, a danno di chi intendesse iniziare a intraprendere tale attività. A tal fine si dovrà esplorare la possibilità di limitare il passaggio alla sub-categoria A4 solo per un numero limitato di anni, per favorire una qualche forma di rotazione ispirata a principi redistributivi dei vantaggi economici associati alla ricettività turistica. Sempre a tal fine si dovrà stabilire che l’utilizzo di cui alle sub-categorie A3 e A4 sia vincolato allo stesso immobile e al medesimo proprietario o locatario, ovvero non possa tale prerogativa essere trasferita da un immobile a un altro e/o da un proprietario o locatario all’altro. Al fine di evitare che l’introduzione della nuova disciplina si associ alla persistenza o alla crescita di un’offerta ‘abusiva’, irregolare o illegittima, il regolamento dovrebbe disciplinare anche i relativi controlli e le verifiche, anche tramite un incremento delle risorse ad essi destinati. È cruciale, in particolare, l’introduzione di un adeguato sistema di monitoraggio delle piattaforme online di prenotazione, anche tramite accordi con tali piattaforme per consentire, come avviene in molte altre città estere, la condivisione delle informazioni rilevanti e/o il blocco automatico degli annunci ‘irregolari’. Su questo, sarà utile fare riferimento a quanto sperimentato in altre città – si veda in particolare Barcellona – valutando la soluzione migliore sulla base del suo costo-efficacia. Si potrà inoltre valutare, in sede separata, l’introduzione di ulteriori norme di carattere incentivante/disincentivante, quali un regime differenziato per le imposte municipali. Preme tuttavia sottolineare che agire esclusivamente in termini di disciplina fiscale, come pure anche in Italia in qualche modo si è fatto, è ovviamente necessario sotto il profilo dell’efficacia e dell’equità dei regimi impositivi, ma avrà molto difficilmente sostanziali effetti disincentivanti. Quanto sopra è soltanto una proposta, che dovrà essere discussa con tutti i soggetti rilevanti e sottoposta ad attente valutazioni di ordine tecnico e giuridico, soprattutto in sede di emanazione del regolamento comunale. Bisognerà in ogni caso agire energicamente, prima possibile, e all’interno di un perimetro più ampio possibile, assumendosi anche qualche rischio. Ci si muove, d’altronde, su un terreno in Italia ancora praticamente inesplorato. In questo quadro qualsiasi intervento ha innanzitutto lo scopo di chiarire, come detto, fino a che punto può spingersi un intervento urbanistico. È l’unica strada percorribile affinché la regolamentazione abbia effetti sostanziali e non meramente cosmetici su un fenomeno che ha già raggiunto proporzioni enormi e i cui effetti sono ormai molto difficilmente reversibili. NOTE: * Gli autori desiderano ringraziare per la collaborazione alla stesura del testo Gianluca Bei, Barbara Brollo, Alessandra Esposito, e per i commenti Grazia Galli (Progetto Firenze), Maria Luisa Mirabile (Gruppo Romano Regolamentazione Affitti Brevi), Giacomo Menegus, Giacomo Maria Salerno e Giovanni Leone (Alta Tensione Abitativa), Paolo Gelsomini (Carteinregola). (1) La proposta di modifica delle NTA approvata dalla giunta capitolina il 13 giugno 2023, in particolare, includerebbe esplicitamente bed and breakfast, affittacamere, case per vacanze nella categoria funzionale abitativa, senza alcuna ulteriore distinzione o articolazione in sottocategorie funzionali. Consentirebbe inoltre nei tessuti storici i frazionamenti di unità immobiliari (facilitando quindi la loro conversione ad un utilizzo ricettivo), la conversione a funzioni ricettive degli edifici per più del 70% occupati da tali attività, e l’apertura anche in centro di grandi alberghi (che è attualmente preclusa). Si veda in tal senso l’intervista a Barbara Pizzo sul Fatto Quotidiano, urbanista ed ex presidente di Roma Ricerca Roma, e il commento di Giancarlo Storto per Carteinregola. (2)  La Costituzione tutela infatti i diritti dei proprietari di immobili residenziali ma “solo nella misura in cui vi sia diretta corrispondenza tra la proprietà del bene-casa e la soddisfazione del bisogno abitativo del proprietario” (Olivito, 2016). (3)  Qui e di seguito si intende il Regolamento Regionale 8/2015 così come modificato e integrato dal Regolamento Regionale 14/2017. (4)  Guest house e affittacamere, sebbene possano in teoria consentire un uso misto abitativo/ricettivo, sono qui ricompresi in quanto da disciplina regionale, come detto, possono essere gestite solo in forma imprenditoriale e poiché l’eventuale funzione residenziale assume carattere residuale e puramente servente rispetto all’attività ricettiva. (5)  Perfino nel recentissimo ‘Decreto Salva Casa’ approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 24 Maggio 2024, il quale sembra prevedere per altri versi una completa liberalizzazione dei cambi di destinazione d’uso e addirittura di categoria funzionale, si dice che tali cambi siano sempre ammessi ma “fermo restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni”, oltre che ovviamente “nel rispetto delle normative di settore”. Tale provvedimento renderebbe semmai ancora più urgente l’introduzione da parte dei Comuni di una specifica disciplina urbanistica. (6)  Si fa presente che, in questo ambito, il limite di 4 appartamenti previsto dalle norme nazionali affinché la locazione turistica sia considerata attività di impresa, o la più recente modifica della disciplina della cedolare secca (che sale in alcuni casi dal 21% al 26%), hanno rilevanza soltanto a fini fiscali. L'articolo Regolamentare gli affitti brevi con gli strumenti urbanistici: proposta per Roma proviene da Roma Ricerca Roma.