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Il vero problema non è l’influenza, ma è come la raccontano
Ogni autunno riparte la stessa narrazione: “Stagione influenzale durissima in arrivo”, “Pronto soccorso a rischio collasso”, “Situazione mai vista”. Ma quando si va a guardare i dati reali della sorveglianza nazionale, l’immagine che emerge è molto meno drammatica anzi: spesso è semplicemente stagionale. Il nuovo bollettino RespiVirNet dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) — il sistema che monitora le infezioni respiratorie in Italia — ci permette di capire cosa sta davvero accadendo. UNA PREMESSA: CONFRONTARE LE STAGIONI È DIVENTATO PIÙ DIFFICILE Fino a pochi anni fa l’Italia, come molti Paesi europei, monitorava la ILI (Influenza-Like Illness): la “sindrome simil-influenzale”, cioè l’insieme di sintomi che somigliano all’influenza, indipendentemente dal virus responsabile. ILI include sintomi come: * febbre improvvisa * tosse * malessere generale * dolori muscolari Era, di fatto, una definizione ristretta: l’attenzione era quasi totalmente sull’influenza. Con la pandemia è cambiato tutto. È stato introdotto il concetto di ARI (Acute Respiratory Infections), cioè infezioni respiratorie acute, molto più ampio e inclusivo. ARI comprende: * raffreddori comuni * faringiti * bronchiti * influenza * COVID-19 * rinovirus * virus parainfluenzali * RSV …e qualsiasi altra infezione respiratoria con tosse, febbre o disturbi delle alte vie. Tradotto: La base di ciò che monitoriamo è completamente diversa rispetto al passato. Per questo non ha senso fare confronti diretti con le stagioni precedenti: stiamo misurando qualcosa di più ampio e più eterogeneo. Ed è una differenza che andrebbe spiegata chiaramente anche al pubblico — invece di usare questi numeri per creare ansia. COSA DICONO DAVVERO I DATI ISS DI QUESTA STAGIONE Nell’ultimo bollettino (settimana 44, fine ottobre–inizio novembre): * l’incidenza totale delle ARI è 7,28 casi per 1000 assistiti, in leggera diminuzione rispetto alla settimana precedente; * il valore più alto è, come sempre, nei bambini 0–4 anni (circa 21 casi per 1000 assistiti), un dato tipico dell’inizio dell’autunno; * la positività ai virus influenzali resta bassa; * tra i virus identificati, prevalgono rhinovirus, parainfluenzali, SARS-CoV-2 e, in misura minore, Virus Respiratorio Sinciziale. Nulla che assomigli all’inizio di una stagione “eccezionale” o fuori controllo. L’incidenza osservata rientra nei valori normali per il periodo autunnale. E, soprattutto, non c’è nessun segnale che indichi: * sovraccarico improvviso dei servizi sanitari, * picchi fuori scala, * emergenze atipiche. La difficoltà nasce dal fatto che la sorveglianza è cambiata, e interpreta una platea molto più ampia di sintomi e virus rispetto al passato. PERCHÉ ALLORA CONTINUIAMO A SENTIR PARLARE DI “STAGIONE DRAMMATICA”? Ogni anno la stessa liturgia: si accende la tv e compaiono i soliti virologi da salotto, pronti a prevedere apocalissi che puntualmente non arrivano. Parlano di “picchi”, “ondate”, “stagioni peggiori di sempre”, ma basta aprire i report ufficiali per scoprire che la realtà è molto più modesta delle loro profezie. La verità è semplice: i virus fanno il loro mestiere, i numeri restano nei limiti, ma qualcuno deve pur riempire i palinsesti. Così, mentre si agita lo spauracchio dell’emergenza, il pubblico resta intrappolato in un eterno déjà-vu di allarmi infondati. Forse non servirebbero più esperti in tv, ma più persone disposte a leggere i dati prima di fare terrorismo psicologico perché l’unica ondata reale, quest’anno come sempre, è quella del sensazionalismo travestito da scienza. Nessuno nega che i virus respiratori circolino più intensamente nei mesi freddi. È fisiologico. Ma un conto è raccontare la realtà, un altro è costruire un’emergenza perenne. Oggi i numeri italiani mostrano: * un andamento stagionale tipico, * nessuna impennata anomala, * una circolazione virale composita e nella norma. Per informare le persone non serve gridare alla crisi, ma spiegare — con dati e chiarezza — cosa sta accadendo davvero AsSIS