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Sgomberi e morte di persone migranti: uno scandalo che non scandalizza
I fatti del 3 dicembre 2025 (ennesimo sgombero dei magazzini di Porto vecchio che stavolta ha interessato 150 persone migranti/transitanti e richiedenti asilo, e morte di Hichem Billal Magoura, cittadino algerino di 32 anni) mettono la città dinanzi a un nodo tragico. Lo sgombero è stata l’ulteriore dimostrazione di come, confrontate a problemi strutturali, le istituzioni reagiscono rispondendo ad altri criteri, e cioè a urgenze mediatiche di bassissimo profilo, da loro stesse create ad arte. Senza umanità, senza visione politica. Nel pomeriggio, poi, è stato trovato il corpo senza vita di un giovane algerino, Hichem Billal Magoura, in uno dei locali di Porto vecchio. Questa morte, per freddo e per le situazione spaventosa in cui le persone migranti vivono, segue quella di due pakistani in un caseggiato abbandonato tra i campi di Beivars (vicino a Udine) e quella di un richiedente asilo afghano (a Pordenone), tutti e tre uccisi dalle esalazioni di monossido di carbonio mentre tentavano di proteggersi dal gelo di questo già terribile autunno. Sono vittime annunciate di sciagurate politiche di accoglienza e di campagne xenofobe. Se la città e le sue istituzioni volessero ritrovare dignità, dovrebbero da subito attuare politiche diverse, sulla base del rispetto dei più elementari diritti dell’essere umano, calpestati con accanimento anche nella nostra città e nella nostra Regione. Gianluca Paciucci PRC – Trieste Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Sgombero in Porto Vecchio: almeno 40 persone escluse, nessun coinvolgimento delle organizzazioni umanitarie
Questa mattina è stata eseguita l’ennesima operazione di sgombero in alcuni magazzini del Porto Vecchio di Trieste: circa 150 persone migranti e richiedenti asilo – molte delle quali abbandonate in strada da settimane, e che in quei magazzini avevano trovato un riparo di fortuna – sono state messe in fila, identificate e trasferite. È evidente che si tratta di una misura-spot, priva di una strategia strutturale: lo sgombero non risolve affatto il problema poiché, come abbiamo già denunciato molte volte in passato, le persone richiedenti asilo e in transito che da domani arriveranno in città si troveranno nella medesima situazione. Il trasferimento è avvenuto senza alcun coinvolgimento delle organizzazioni che sul territorio si occupano di accoglienza e supporto, né dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): un’esclusione che conferma come la gestione della crisi migratoria a Trieste segua logiche emergenziali, securitarie e dettate da urgenze mediatiche. Logiche che, ancora una volta, nulla hanno a che vedere con la salvaguardia dei diritti delle persone più vulnerabili. Il problema, creato artificialmente dalle istituzioni, non viene quindi risolto e si ripresenterà nei prossimi mesi, con una responsabilità politica sempre più pesante. Ma l’aspetto più grave è l’esclusione arbitraria di decine di persone – almeno quaranta, secondo le nostre stime – lasciate fuori dall’operazione solo perché, nel momento del trasferimento, non si trovavano nei magazzini interessati. Nessuno le aveva informate dell’intervento, nessuna istituzione ha tentato di raggiungerle: una conseguenza diretta del mancato coinvolgimento di chi lavora sul territorio e che avrà pesanti conseguenze sulla vita delle persone più vulnerabili. ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà Redazione Friuli Venezia Giulia
Porte vecchio e migranti: dichiarazioni inacettabili del sindaco e dell’attuale amministrazione
Il Partito della Rifondazione Comunista (Trieste) ritiene che quanto minacciato dall’attuale amministrazione comunale in merito alla situazione migranti e al Porto vecchio sia da condannare. Dopo anni di proclami sprezzanti e di aperta ostilità, essi annunciano che verranno messi cartelli in Porto vecchio per impedire l’accesso a chi lì cerca un rifugio (in un autunno già freddissimo e a ridosso dell’inverno…) e che inoltre sono allo studio provvedimenti per chi vi sarà sorpreso in comportamenti contrari al pubblico decoro. I responsabili di questi comportamenti potrebbero essere soggetti a multe, ad allontanamenti di 48 ore che potranno essere estesi a un intero anno, fino a incorrere in provvedimenti penali (in caso di recidività). I “comportamenti contrari al decoro” sarebbero cercare un riparo per la notte (questa amministrazione comunale non ha messo a disposizione nemmeno un letto per i “transitanti”), espletare i bisogni fisici (questa amministrazione comunale non ha provvisto gli spazi frequentati dalle persone migranti nemmeno un bagno pubblico), e poi ubriachezza molesta e accattonaggio. Sono provvedimenti ottocenteschi contro i poveri, segno di chiusure ideologiche. Il capitale vuole che arrivino “braccia” (per lavorare nella ristorazione o nei cantieri…), e invece continuano a giungere “persone”, corpi, intelligenze. Rifondazione Comunista sa che tutto questo inciderà drammaticamente sulla vita quotidiana di persone già in forte sofferenza. La città, secondo qualcuno/a, sarebbe minacciata da un’invasione – che non c’è. Ma se invece ci fosse un’accoglienza decente e il rispetto dei diritti umani elementari, non migliorerebbe anche la situazione complessiva del vivere nella nostra città? E non migliorerebbe persino la “sicurezza” di cittadine e cittadini, e quella delle persone migranti, non migliorerebbe anche il “decoro”? E invece le vie che sindaco e amministrazione praticano sono la distruzione di spazi (sala Tripcovich, tra i tanti), l’apertura di parcheggi a sostegno del consumismo natalizio (quando in molte città si scoraggia l’uso dei mezzi privati), lo spreco di denaro pubblico per le luminarie, la vendita di enormi aree ai privati per farne ulteriori luoghi della circolazione di merci e denaro, e la repressione (DASPO urbano, etc.), infine. Essi inoltre lasciano nel più completo abbandono luoghi ancora in buone condizioni (pensiamo all’ex mercato coperto di via Gioia). Ci sembra che arretratezza politica e durezza di cuore si uniscano in tutte le affermazioni di membri eminenti dell’attuale amministrazione. Chiamiamo ad azioni politiche tutte le forze e i movimenti progressisti per fermare queste ripetute pratiche di non accoglienza e respingimento di chi cerca soluzioni alla propria difficile vita. Gianluca Paciucci PRC-Trieste   Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Trieste, gli spazi occupati dalle persone migranti bruciano
Cause incerte, strumentalizzazione e accoglienza insufficiente: il quadro di una fragilità strutturale Giovedì 13 novembre, verso sera, è divampato un incendio nei magazzini abbandonati del Porto Vecchio di Trieste, l’ultimo di una serie di episodi verificatisi nelle scorse due settimane. Il precedente risale a lunedì, pressoché alla stessa ora, e un altro ancora a dieci giorni prima. Questi edifici, affacciati sul mare e a pochi passi dalla stazione, rappresentano un frammento dimenticato della città: una zona in parte riqualificata, in parte lasciata al degrado. Nonostante le condizioni strutturali critiche, questi spazi sono abitati dalle persone che hanno appena concluso il lungo viaggio lungo la rotta balcanica. Gli ambienti sono fatiscenti, le finestre isolate con coperte che tentano invano di trattenere il freddo che penetra nei saloni vuoti. Le vecchie dispense metalliche custodiscono gli unici beni a disposizione degli occupanti: un sapone, un deodorante, un cambio di pantaloni per i più fortunati, qualche scorta di cibo. A terra, coperte e sacchi a pelo provano a scaldare l’ambiente – con scarsi risultati –, evocando immagini che ricordano scenari di frontiera. Qui si cucina, si beve chai, si sopravvive. Nella geografia cittadina, per raggiungere questi spazi esiste un’unica via che costeggia la piazza della stazione, lo stesso luogo in cui ogni sera avviene la distribuzione della cena. Quando il rumore delle sirene dei vigili del fuoco si avvicina e le camionette sfilano una dopo l’altra lungo la strada, l’intera piazza si agita. I volontari si scambiano sguardi carichi di apprensione, sperando che nessuno si sia fatto male; i ragazzi, invece, fremono e si chiamano tra loro per capire chi di loro abbia perso tutto, ancora una volta. In quei minuti sospesi, la piazza intera trattiene il fiato. Alcuni ritengono che a innescare gli incendi possano essere i fornelli a gas utilizzati per cucinare. Altri sottolineano l’anomalia della frequenza con cui questi episodi si stanno ripetendo, così ravvicinati nel tempo. Altri ancora osservano come gli abitanti di questi luoghi siano spesso percepiti come indesiderati. Risale a questo stesso periodo una manifestazione lungo il viale alberato della città, significativamente intitolata “Remigrazione”. Al momento non è possibile stabilire la causa dell’ultimo incendio, né sono state chiarite le dinamiche degli episodi precedenti. Sulla stampa locale, questi eventi vengono spesso strumentalizzati e raccontati quasi esclusivamente per alimentare indignazione e rabbia nell’opinione pubblica, mentre resta in ombra la condizione reale delle persone coinvolte. Si tratta, in definitiva, di esseri umani costretti a dormire in edifici abbandonati, in condizioni di sporcizia e degrado, che vedono andare in fumo quel poco che possiedono: materiali raccolti facendo la fila o sperando di incrociare lo sguardo di un volontario durante la distribuzione. Qualunque sia l’origine di questi roghi, un fatto appare evidente: se queste persone vivono nascoste in edifici instabili, lontane dallo sguardo pubblico e dalla coscienza collettiva, è perché così vengono di fatto “accolte” dalle istituzioni. Dopo lo sgombero dell’ex Silos, avvenuto verso la fine dell’estate, alcuni avevano dichiarato – invano – di aver “ripulito” la zona, dimenticando che gli spazi abitati da esseri umani non sono una variabile del decoro urbano. La realtà è che le strutture destinate all’accoglienza non sono mai state sufficienti. Ogni sera, alla distribuzione dei pasti davanti alla stazione ferroviaria, segue quella delle coperte, resa possibile solo grazie a un impegno dal basso, a partire dall’associazione Linea d’Ombra e grazie a un’ampia rete di sostegno proveniente da tutta Italia. Quando la notte avvolge la città, i volontari lasciano la piazza e ciascuno cerca riparo dove può. Per chi ogni giorno tenta di offrire sostegno morale, materiale o finanziario, voltarsi dall’altra parte è impossibile. Restare in silenzio di fronte alla precarietà estrema delle condizioni di vita di queste persone – e soprattutto davanti a ciò che sembra un modo di spingerle a non sentirsi mai “bene”, nel senso più umano del termine – è altrettanto impossibile. Per questo la speranza è che questi episodi non vengano normalizzati né relegati al rumore di fondo dell’informazione, ma trovino finalmente spazio per essere compresi e affrontati. Solo così sarà possibile fare luce sulla situazione che una parte consistente della città di Trieste continua a ignorare. D. Lorenzoni – F. Costantini Redazione Friuli Venezia Giulia