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Co-resistenza nonviolenta: le proteste del Venerdì a Beit Jala
Venerdì 12 settembre 2025 si è svolta a Beit Jala la settima settimana consecutiva di protesta congiunta di attivisti-e israeliani e palestinesi di Combatants for Peace, provenienti da tutta la regione, contro la guerra e il genocidio a Gaza, la pulizia etnica e la crescente violenza dei coloni in Cisgiordania, e per un futuro di giustizia e pace per entrambi i popoli. Durante le manifestazioni, il movimento ha denunciato che, dalla settimana precedente, l’esercito israeliano ha installato un cancello giallo vicino al luogo dell’incontro, destinato a fungere da ulteriore checkpoint all’ingresso di Betlemme. Si tratta di uno dei centinaia di nuovi checkpoint istituiti in Cisgiordania, che limitano ulteriormente la libertà di movimento dei palestinesi – per recarsi al lavoro, a scuola, visitare parenti o raggiungere ospedali. Non si tratta di una misura di sicurezza, ma di un atto politico volto di fatto ad annettere ulteriormente la Cisgiordania. Avner Wishnitzer, un attivista israeliano, storico e cofondatore dell’organizzazione Combatants for Peace (CfP), da Beit Jala, ha ripetuto che la condizione per la fine del conflitto israelo-palestinese è la fine dell’occupazione e ha detto “saremo uniti-e, insieme, in modo nonviolento, finché non finirà”. Altre foto dell’evento https://www.instagram.com/p/DOqYFNBCLuW/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==   #FreePalestine #GazaUnderAttack #SolidarityProtest #NonviolentResistance #PeaceForAll Ilaria Olimpico
Lunedì per Gaza – La loro fame è la nostra
Lo scorso 8 settembre 2025 è stata lanciata la campagna internazionale #Mondays4Gaza, che si svolge ogni lunedì, per l’intera giornata (00:00 – 23:59), ovunque nel mondo. Palestinesi, israeliani-e e internazionali hanno iniziato a digiunare ogni lunedì in solidarietà con la popolazione di Gaza. Il digiuno è un “atto spirituale di resistenza”: un modo per “restare umani in un mondo che diventa insensibile”, “creare presenza” e “rompere la continuità”. L’attivista Mai Shahin,  palestinese, co-fondatrice di Satyam e membro di Combatants for Peace,  ha detto: “Questo sciopero della fame non è solo una protesta. È un appello alla liberazione collettiva — per tutti i popoli, dal fiume al mare. Musulmani, ebrei, cristiani. Nessuno sarà liber@ finché tutti-e non lo saranno.”  #Mondays4Gaza è stata promossa da @their_hunger_is_ours, Combatants for Peace @combatantsforpeace_english, Satyam @satyamhomeland e American Friends of Combatants for Peace @afcfpeace. La campagna invita a: Partecipare alle call su Zoom del lunedì sera (ore 20:00, ora di Gerusalemme) per collegarsi con attivisti-e da diversi Paesi. Unirsi al movimento: digiunare (ognun@ nel modo e nella misura che può), testimoniare, resistere.   LINKS   https://linktr.ee/mondays4gaza    https://www.instagram.com/p/DOOe7SWCK5i/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==   https://www.instagram.com/reel/DMpkAQOoeCE/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==  Ilaria Olimpico
Dichiarazione sulle atrocità in escalation a Gaza e in Cisgiordania – Questo è genocidio
In quanto movimento binazionale di palestinesi e israeliani impegnati nella nonviolenza e nell’uguaglianza, Combatants for Peace rilascia questa dichiarazione urgente alla luce della crescente crisi umanitaria e politica a Gaza e in Cisgiordania: In risposta alla continua politica di carestia a Gaza e all’accelerazione della pulizia etnica delle comunità palestinesi in Cisgiordania, siamo costretti a parlare chiaramente: questo è un genocidio e deve essere fermato. Non usiamo questa parola alla leggera. Come sottolineato nel recente rapporto di B’Tselem, ” Il nostro genocidio “, ciò a cui stiamo assistendo non è semplicemente un fallimento nel proteggere la vita dei civili, ma la sua deliberata distruzione, autorizzata dallo Stato. A Gaza, più di 60.000 persone sono state uccise, tra cui migliaia di bambini. Famiglie muoiono di fame e interi quartieri sono stati ridotti in macerie. Israele ha sistematicamente e deliberatamente distrutto oltre il 70% degli edifici di Gaza, danneggiato o distrutto il 94% degli ospedali e spazzato via l’89% delle scuole. Gli aiuti sono ostacolati, l’acqua è tagliata e i civili vengono colpiti mentre cercano di raggiungere il cibo. Non si tratta di un disastro naturale: è una scelta politica deliberata volta a distruggere le condizioni di vita dei civili. In Cisgiordania le restrizioni alla circolazione sono peggiorate drasticamente, con posti di blocco che si moltiplicano, strade chiuse senza preavviso e interi villaggi tagliati fuori da ospedali, scuole e mercati, il tutto mentre intere comunità rurali palestinesi vengono sfollate da coloni armati e unità militari che lavorano in tandem. Nella Valle del Giordano, sulle colline a sud di Hebron e nei distretti settentrionali, case sono state incendiate, fonti d’acqua avvelenate, bestiame ucciso e persone costrette a fuggire. Proprio ieri sera, Awdah Hathaleen, un noto e amato attivista della comunità di Umm al-Khair, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in un altro attacco omicida da parte di coloni. Settimane prima, Sayfollah Musallet è stato picchiato a morte nel villaggio di Sinjil mentre difendeva la terra della sua famiglia dall’invasione dei coloni. Questi non sono atti isolati. Fanno parte di una strategia chiara e documentata per allontanare i palestinesi dalla loro terra: ciò che il diritto internazionale riconosce come pulizia etnica. Riconosciamo anche il dolore e l’angoscia delle famiglie israeliane i cui cari rimangono tenuti in ostaggio a Gaza. Questi ostaggi devono essere restituiti illesi ora o, se necessario, devono ricevere una degna sepoltura. La loro immensa sofferenza non può essere ignorata. Ma non può nemmeno giustificare la fame e l’uccisione di massa di un’intera popolazione civile. Allo stesso tempo, migliaia di prigionieri politici palestinesi rimangono imprigionati nelle carceri israeliane, in condizioni disumane e degradanti. Molti hanno sopportato anni senza processo, in isolamento o senza accesso alla giustizia. Il loro rilascio deve essere parte di qualsiasi risoluzione politica giusta e duratura. Qualsiasi percorso significativo verso la pace deve affrontare l’intera portata delle violazioni dei diritti umani in questo conflitto, tra cui l’uso sistematico di detenzioni illegali e punizioni collettive contro i palestinesi, e il trauma, l’insicurezza e la persecuzione dei civili subiti dagli israeliani. La giustizia deve essere estesa a tutti coloro che vivono qui, senza eccezioni. Come palestinesi e israeliani che hanno scelto di percorrere la via della nonviolenza, anche in tempo di guerra, invitiamo tutte le persone di coscienza, all’interno e all’esterno delle nostre società, a parlare apertamente. Ad agire. A rifiutare la complicità e a respingere le menzogne che ci dicono che non c’è altra via. Restiamo impegnati per la pace, la nonviolenza e gli uni verso gli altri. Questo impegno affonda le sue radici nella convinzione che l’occupazione debba finire e che la giustizia non sia un sogno, ma un’esigenza. Solo allora potremo iniziare a riparare ciò che è stato distrutto e a costruire il futuro che sappiamo essere possibile: un futuro in cui palestinesi e israeliani vivano in libertà e uguaglianza, guidati da un impegno condiviso per la nonviolenza e l’umanità. In solidarietà e speranza, Combattenti per la pace.   Traduzione in italiano di Daniela Bezzi per Pressenza Italia Combatants for Peace
Sciopero della fame per Gaza
Noi, Combattenti per la Pace israeliani e palestinesi, invitiamo tutti ad aderire allo sciopero di protesta e solidarietà con i nostri fratelli e sorelle di Gaza, sottoposti a una politica di fame deliberata e di completa privazione delle condizioni di vita essenziali. Lo sciopero avrà luogo a Beit Jala, in concomitanza con lo sciopero della fame indetto dal Comitato Supremo di Coordinamento dei Palestinesi del 48′. Questo sciopero della fame è uno strumento di lotta civile e di resistenza nonviolenta congiunta, ed esprime il nostro risoluto rifiuto di usare la fame come arma. Ci rifiutiamo di continuare a vivere le nostre vite come se nulla fosse, mentre la fame viene usata per distruggere la vita di un intero popolo e il futuro comune di tutti noi. Crediamo che la vera pace inizi con la resistenza nonviolenta congiunta contro l’ingiustizia. Unitevi a noi da Beit Jala, Jaffa o da qualsiasi altro luogo vi troviate. Domenica-martedì 27-29.7.25, dalle 10:00 alle 21:00, ora di Gerusalemme, tutti i giorni * Il livestream online avrà luogo tutti i giorni nel pomeriggio (ora di Gerusalemme) adesioni anche a distanza: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeBvPv4wNPsObi3HwfnAGmbu4wdz5iNF_15AXNFyuhpudKYlA/viewform Combatants for Peace
Un giorno racconteranno cosa è successo
Un giorno racconteranno cosa è successo in quel posto lì. All’inizio pochi, poi un po’ di più. Dall’intensità della pressione nei loro petti, le parole saranno sussurrate, come il sibilo del vapore, dapprima alcune, esitanti. Poi un po’ di più. Ci sarà chi riuscirà a tenerle dentro e parlerà solo tra qualche decennio, quando si saranno raffreddate un po’ e non bruceranno più sulle labbra. Ci sarà chi non parlerà mai. Solo nel sonno torneranno immagini, incubi, e si sveglieranno sudati. A chi gli starà accanto, che si sveglierà anche lui allarmato, dirà che non è niente. È stato solo un brutto sogno. Un giorno racconteranno cosa è successo in quel posto lì. Forse sarà un operatore di droni a raccontare delle persone “non coinvolte” che ha ucciso. “Era un momento particolare”, spiegherà. “Era dopo gli orrori del 7 ottobre e tutti dicevano che non c’erano innocenti lì, e il presidente del paese firmò un colpo di artiglieria. Poi dissero che non si poteva rinunciare al Corridoio di Filadelfia e che la pressione militare avrebbe liberato gli ostaggi, e io avevo solo vent’anni e ci credevo. E soprattutto volevo essere un bravo soldato. Ricordo che il comandante mi diede una pacca sulla spalla quando abbattei un edificio e provai orgoglio, ma anche un certo disagio. Forse il disagio arrivò dopo, non ne sono più sicuro.” Forse sarà un comandante di battaglione corazzato. “Abbiamo sparato all’ospedale perché dicevano che era ‘הופלל – hoflal’ (nel gergo delle IDF o della sicurezza, quando un edificio o un luogo viene definito “הופלל – hoflal”, significa: è presumibilmente utilizzato dai combattenti). Col senno di poi, penso che sia esattamente quello che abbiamo fatto: abbiamo incriminato. Abbiamo accusato, e anche se non sempre c’erano prove, abbiamo emesso una sentenza – spesso [la sentenza era] la morte. Ma poi abbiamo semplicemente pensato che questi fossero gli ordini. E poi, cosa non bella da dire, avevamo paura. Non ne abbiamo parlato con i giornalisti militari che sono entrati, e ai politici che ci hanno mandato non importava granché. Ma quella paura costante, la paura e il nervosismo – ti rendono insensibile. Li ho visti, attraverso il binocolo, disperdersi nei convogli, senza niente, smarriti, e ho ripensato a quelle immagini con cui siamo cresciuti. Non si dovrebbe fare paragoni, ma con la mano sul cuore, questo è ciò che mi è venuto in mente. Non hai il controllo su queste cose. Ma cosa avrei potuto fare, davvero? Ripensandoci, mi sembra che la cosa che temevo di più fosse che i miei ufficiali, persino i miei soldati, mi considerassero yafeh nefesh, [“anima bella”; termine dispregiativo per qualcuno considerato troppo morale o ingenuo], che dicessero che… non lo so. È difficile da spiegare oggi. O forse sarà un portavoce dell’IDF a rivelare in un post sui social media, di aver redatto un comunicato stampa in cui si affermava che l’ospedale era un quartier generale di Hamas. “In seguito, ho sentito su uno dei canali televisivi, come il comunicato che avevo redatto avesse preso vita propria. Uno dei giornalisti ha detto che l’ospedale era un ‘nido di vespe’. Ho cambiato idea. E in tutti gli articoli che ho scritto sul giornale da allora, non ne ho mai parlato. Strano, vero?” Forse sarà uno di quei commentatori a essere ricordato di quei giorni. “Dovete capire”, dirà, “quella era l’atmosfera. Veniva dalla redazione e, in ultima analisi, dai proprietari del canale. E poi, se il portavoce dell’IDF ci ha passato delle informazioni, di certo le hanno controllate prima. Dopotutto, non si distrugge un ospedale così. Cosa siamo, animali? Eppure, forse avrei dovuto dire di più. Sospettavo che stessimo facendo cose… come dire… Dopotutto, sono usciti così tanti video, centinaia. Ma no…” E un uomo anziano racconterà alla nipote che per tutto questo tempo è andato a lavorare come al solito. “Non è che tutto si sia fermato o qualcosa del genere. Ogni giorno decine di persone venivano uccise laggiù, a Gaza, a volte più di cento, ma non ne parlavano in TV. Voglio dire, parlavano di Gaza, ma non di queste cose. Parlavano principalmente di ‘manovre potenti’ e di quanti membri di Hamas avessimo ucciso. Non dicevano che stavamo annientando tutto, che stavamo distruggendo tutto. Non dicevano che stavamo facendo morire di fame la gente, solo che non facevamo arrivare gli aiuti. Vedete? Forse è per questo che non abbiamo protestato. Poi è arrivata la guerra con l’Iran e non ne hanno parlato affatto. Hanno smesso di parlare anche dei rapiti, persino dei soldati che sono stati uccisi. Vedete? Per quelli in alto, la vita aveva perso valore, e noi? Ci eravamo abituati.” Un giorno racconteranno cosa è successo lì. All’inizio pochi, poi un po’ di più. Molti altri rimarranno in silenzio, per paura di incriminare se stessi o i propri compagni dell’unità. Pochi ascolteranno con interesse, molti altri si muoveranno a disagio. Altri continueranno a giustificare le uccisioni e la distruzione, l’espulsione e la fame, per il resto della loro vita. Se hai anche solo il minimo timore di non essere uno di loro, che un giorno te ne pentirai; se senti, anche vagamente, in un modo che non si può esprimere a parole, che ogni giorno che passa un’altra arteria del tuo cuore si blocca, un’altra parte della tua anima viene distrutta – non ignorare, non rimanere in silenzio, non restare a guardare. Chiedi di Gaza, parla di Gaza, opponiti alle uccisioni. Scegli la vita. Avner Wishnitzer Avner Wishnitzer è un co-fondatore di Combattenti per la Pace ed è docente di storia all’Università di Tel Aviv. Riprendiamo con il suo permesso questo recente articolo per la testata on line in lingua ebraica Local Call.   Pressenza IPA
Israeliani e Palestinesi insieme per la nonviolenza: a Firenze una voce coraggiosa
In un momento storico segnato da guerre, tensioni internazionali e politiche di chiusura, oggi a Firenze si è tenuto un evento che ha dato voce al coraggio, alla disobbedienza creativa e all’umanità. La presentazione del libro “Combattenti per la Pace – Palestinesi e israeliani insieme per la liberazione collettiva”, organizzata dal Gruppo Misto Europa Verde al Consiglio Regionale della Toscana, ha portato nella Sala Affreschi del Palazzo del Pegaso un messaggio forte e chiaro: la pace è possibile solo se parte dal basso, dalle persone, da chi ha scelto di non odiare più. Un incontro ricco di emozioni e riflessioni sulla pace in Palestina che ha visto protagonisti,  in collegamento video, due attivisti dei Combattenti per la Pace, Sulaiman Khatib (palestinese, uno dei fondatori del movimento) e Moran Zamir (israeliano), che hanno raccontato la loro esperienza ventennale di attivismo congiunto tra israeliani e palestinesi, le loro metodologie nonviolente e manifestato la convinzione che solo dal dialogo tra le persone, dalla conoscenza reciproca ci si possa muovere verso la convivenza e la riconciliazione. Le interviste realizzate da Pressenza ai Combattenti sono state  raccolte nel volume curato da Daniela Bezzi per l’Associazione  Multimage, hanno emozionato e colpito i numerosi partecipanti, rivelando una verità semplice e potente: l’incontro umano può disinnescare anche i conflitti più radicati. Ad aprire l’incontro è stata la consigliera regionale Silvia Noferi (Europa Verde), che ha lanciato la proposta di ospitare anche in Toscana un incontro tra ex combattenti, come quello recentemente promosso in Francia dal presidente Macron. “Dare voce a chi sceglie la nonviolenza è un atto politico e culturale profondo – ha dichiarato –. La Toscana ha una lunga tradizione di impegno per i diritti: è tempo di rilanciare con forza questa vocazione”. A fare eco alle sue parole, Eros Tetti, co-portavoce di Europa Verde Toscana: “Le guerre le fanno i potenti, ma a pagarne il prezzo sono i più deboli. I popoli desiderano solo vivere in pace. Per questo dobbiamo costruire insieme una Toscana Terra di Pace, che metta al centro l’umanità e la convivenza”. A prendere la parola anche Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, che ha apprezzato la proposta di Noferi: “Questa è una bella iniziativa. La Toscana è sempre stata un luogo di dialogo per la pace. Domani, alla Cittadella della Pace di Rondine con il Presidente della Repubblica, lanceremo proprio questo messaggio: mettere in contatto israeliani e palestinesi che scelgono la pace”. Ma Giani ha spinto oltre, annunciando l’intenzione di coinvolgere altre Regioni per discutere una proposta di legge di iniziativa regionale per il riconoscimento dello Stato di Palestina: “Sto parlando con altri presidenti di Regione. Anche se le competenze non sono nostre, sono ottimista: la politica deve avere il coraggio di proporre, anche oltre i confini formali”. L’incontro di oggi non è stato solo una presentazione, ma un atto simbolico e concreto: riportare la questione israelo-palestinese dentro il dibattito pubblico, con toni diversi da quelli dominanti. Non propaganda, ma ponti. Non slogan, ma storie di vita. L’evento ha visto la partecipazione anche del Presidente del Consiglio Regionale Antonio Mazzeo, confermando il sostegno delle istituzioni regionali a percorsi di dialogo e riconciliazione. L’iniziativa si inserisce in un contesto europeo e globale in cui il movimento per la pace ha bisogno di nuova linfa. Dare visibilità a chi sceglie la nonviolenza, in un conflitto ancora oggi lacerante, significa indicare una via diversa dalla rassegnazione o dal tifo ideologico. Significa affermare che la convivenza è un diritto e una speranza, non un’utopia. “Europa Verde Toscana rilancia così la sua visione: una politica che non alimenta le paure ma costruisce speranze, una Regione che non si limita a osservare ma si mette in gioco, un impegno concreto per una Toscana che torni ad essere un faro di pace e giustizia nel Mediterraneo”. Conclude Eros Tetti. Redazione Toscana
Un messaggio urgente dai Combattenti per la Pace e da altre associazioni
Negli ultimi giorni, Israele ha intensificato i suoi attacchi contro Gaza, dopo aver bloccato per oltre dieci settimane ogni ingresso di aiuti e altri beni nella Striscia. La recente dichiarazione del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, secondo cui Israele consentirà l’ingresso di “una quantità minima di cibo per la popolazione” al fine di continuare la guerra, dimostra che Israele non ha alcuna intenzione di abbandonare il suo uso illecito degli aiuti come leva di pressione politica. Ogni giorno, l’esercito israeliano uccide e ferisce centinaia di palestinesi a Gaza. Tutti i residenti della Striscia sono a rischio carestia, mentre il sistema sanitario è al collasso a causa della grave carenza di medicinali, attrezzature mediche e carburante. Israele sta deliberatamente infliggendo condizioni che rendono la vita impossibile a Gaza, con l’obiettivo dichiarato di attuare una pulizia etnica. Israele deve fermare subito gli attacchi e permettere l’ingresso degli aiuti! Il piano formulato da Stati Uniti e Israele per la distribuzione di beni non soddisfa le enormi esigenze umanitarie create dal blocco e dai continui attacchi. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie internazionali che operano a Gaza hanno categoricamente respinto il piano, sostenendo che non rispetta i principi umanitari fondamentali. Israele ha apertamente dichiarato che il piano mira a promuovere i suoi obiettivi di espansione della presenza fisica a Gaza e di trasferimento forzato della popolazione civile. I crimini di guerra commessi da Israele, che potrebbero anche costituire crimini contro l’umanità, non possono più essere accolti con il silenzio e la continua inazione della comunità internazionale. Chiediamo nuovamente il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi. Allo stesso tempo, Israele deve cessare immediatamente i suoi attacchi, porre fine alla sua politica di fame, aprire i valichi di frontiera per gli aiuti a Gaza e consentire alle organizzazioni umanitarie nella Striscia di svolgere il loro lavoro. Aderiscono a questo appello: Academia for Equality, Akevot, B’Tselem, Bimkom, Breaking the Silence, Culture of Solidarity, Combatants for Peace, Emek Shaveh, Gisha, HaMoked – Center for the Defence of the Individual, Ir Amim, Isha L’Isha, Itach Ma’aki, Jahalin Solidarity, Jordan Valley Activists, Looking the Occupation in the Eye, Machsom Watch, Mizrahi Civic Collective, Mothers Against Violence, Neve Shalom, Other Voice, Osot Democratia, Oz VeShalom, Policy Working Group, Physicians for Human Rights Israel, PsychoActive, Rabbis for Human Rights, The Association for Civil Rights in Israel, The Parents Circle – Families Forum, The School for Peace in Wahat al-Salam Neve Shalom, This is Not an Ulpan, Yesh Din, Your Neighbor As Yourself, Zazim   Redazione Italia
A Beit Jala la Commemorazione Congiunta della Nakba organizzata dai Combattenti per la Pace
 Anche quest’anno, per la sesta volta,  i ‘Combattenti per la Pace’ hanno organizzato oggi, 15 Maggio, a Beit Jala in Cisgiordania la Commemorazione Congiunta della Nakba. E’ possibile seguire la diretta streaming  a partire dalle 19 di oggi 15 Maggio chiedendo il link qui: https://form.jotform.com/251032941203443 ); Tra i vari contributi: la refusenik Sofia Or leggerà la testimonianza di un soldato che nel 1948 partecipò alle operazioni di espulsione dei palestinesi in un certo villaggio, che non è più;  molto bello e sentito l’intervento di Lee Mordecai, docente di storia antica a Princeton che tornato in Israele sta lavorando a un monumentale progetto di documentazione di tutti i crimini commessi giorno dopo giorno a Gaza (perché nessuno possa dire: io non sapevo…). La registrazione della serata resterà comunque disponibile da domani sui canali social dei Combatants for Peace. Inoltre qui : https://www.pressenza.com/it/2025/05/15-maggio-nakba-day-tantissime-le-manifestazioni-per-commemorare-la-catastrofe-che-non-e-mai-finita/ abbiamo pubblicato un’intervista alla co-direttrice dei ‘Combatants’ Rana Salman, a introduzione della Cerimonia. Link per sostenere il lavoro dei Combattenti per la Pace: https://www.cfpeace.org/donate Redazione Italia
15 maggio, Nakba Day: tantissime le manifestazioni  per commemorare la catastrofe che non è mai finita
Domani sarà il 15 maggio, 77imo anniversario della ‘catastrofe’ (questo il significato della parola Nakba, come ormai tutti sappiamo) che nel 1948 inaugurò l’esistenza dello stato di Israele con l’espulsione di 750.000 mila palestinesi dalle loro abitazioni e la scomparsa di centinaia di villaggi e insediamenti abitati da generazioni.  Un evento da sempre tabù per la società israeliana, argomento da evitare nel discorso pubblico e nei talk show: “la parola stessa suona ripugnante” ebbe a scrivere Bruno Segre qualche anno fa in un lungo saggio per la rivista Il Mulino “tant’è che di Nakba e di rifugiati palestinesi non si fa cenno né nei corsi liceali di storia né in alcun museo.” E parola più che mai impronunciabile quest’anno, che ancor più di sempre non sarà solo un anniversario, ma la constatazione di una catastrofe che non ha mai avuto fine, che di anno in anno si è solo aggravata, che nell’ultimo anno ha registratp lo sterminio di oltre 52.000 civili nella striscia di Gaza, e l’avanzata sempre più violenta e aggressiva dei coloni in Cisgiordania. Moltissime le manifestazioni previste in varie città europee, come potete vedere dallo slide show alla fine di questo articolo. La prima in ordine di tempo si è svolta già sabato scorso a Lione, 10 maggio, in centinaia all’appuntamento di Piazza Bellecour per l’inaugurazione di una mobilitazione nazionale che nell’arco della settimana e fino a sabato 17 vedrà coinvolte ben 45 città in  tutta la Francia, con la lettura di tutti i nomi dei martiri censiti dal Ministero della Salute di Gaza. Ci sarà un preciso dress code da osservare, tutti vestiti a lutto. E niente musica né slogan, solo qualche candela: un Nakba Day di grande raccoglimento.  Il giorno dopo, domenica 11, è stata la volta di Bruxelles, in decine di migliaia all’appuntamento alla Gare du Nord per denunciare le responsabilità storiche dell’Europa nel conflitto in corso, fin dalla dichiarazione di Balfour del 1917, passando per le varie risoluzioni che portarono alla Nakba, fino ai giorni nostri.   E veniamo agli appuntamenti previsti in Italia domani, 15 maggio, che saranno parecchi: – a Roma dalle ore 11, Presidio davanti alla Farnesina, Viale dei Giusti, per dire Stop al Genocidio; – a Ferrara, dalle ore 16.30 in Piazza Cattedrale, manifestazione promossa dal collettivo “Ferrara per la Palestina”; – a Parma, dalle 17, la Comunità Palestinese organizza una serata in Piazzale Inzani: lettura di testimonianze, presentazione di un libro, su voladora.noblogs.org tutto il programma; – a Rimini, 18.30 a Piazza Cavour: azione scenica con musica di Emiliano Battistini, poesie e letture varie (organizza “Assopace Palestina” insieme a “Vite in transito”);  – a Vicenza, stessa ora, “Fiaccolata Rumorosa” da Piazza Esedra: portare torce e pentolame ad hoc. Succedono ancor più cose sabato 17 maggio: * a Londra è prevista una grande Marcia per la Palestina che partirà dalla stazione di Embankment per raggiungere Downing Street, con la partecipazione di manifestanti da tante altre città; * a Parigi l’appuntamento sarà alle 14 a Piazza Stalingrado, per il riconoscimento dello stato palestinese e per la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah, militante libanese detenuto in Francia dal 1984, la detenzione politica più lunga d’Europa.   Ma per restare agli appuntamenti previsti dall’Associazione dei Palestinesi in Italia: – a Firenze dalle ore 14.30 a Piazza Santa Novella; – a Napoli, dalle 15 corteo da Piazza Garibaldi;  – a Milano, dalle 15 da Corso Lodi fino a Corvetto; – a Torino, stessa ora da Piazza Crispi.  Piccolo-gran finale il 18 maggio nella cittadina di Lodi, con il Corteo di Solidarietà con il Popolo Palestinese con partenza da Piazza Castello alle 11. Ma senz’altro l’appuntamento più importante sarà quello organizzato anche quest’anno dai “Combattenti per la Pace” a Beit Jala, in Cisgiordania.  “Da sei anni questa ricorrenza è diventata un momento annuale molto importante all’interno del nostro programma di attività” tiene a sottolineare Rana Salman, co-direttrice palestinese del movimento, che abbiamo raggiunto per telefono l’altro giorno. “Sarà un evento non meno importante della Memorial Ceremony in ricordo dei caduti di entrambi i fronti del conflitto, che abbiamo appena finito di celebrare lo scorso 29 maggio con una risposta di pubblico che non ci aspettavamo: nonostante il grande teatro che avevamo predisposto a Jaffa, moltissimi non sono riusciti a entrare e abbiamo dovuto organizzare proiezioni in streaming all’esterno. Per non dire dei collegamenti in numerose altre città d’Israele, Palestina e in tutto il mondo, una risposta davvero notevole – purtroppo funestata dal grave episodio che si è verificato nella cittadina di Ra’anana, dove la proiezione che era stata prevista all’interno di una Sinagoga è stata impedita da una squadraccia di fondamentalisti, un fatto senza precedenti! Speriamo che vada tutto bene con l’evento di domani sera, che sarà in una piazza, non più di 200 posti a sedere e diretta streaming per quanti vorranno seguirci, speriamo siano in tanti.” (Link per registrarsi qui : https://form.jotform.com/251032941203443)  Quale sarà il tema di quest’anno? “Il tema sarà la casa, così presente per gli israeliani in termini di ‘terra promessa’ e così sentìto per i palestinesi come storia di continua perdita. Aggrapparsi alla casa, aggrapparsi alla speranza: questo il titolo che abbiamo scelto per questo nostro Nakba Day che quest’anno non sarà solo ricorrenza, considerata la tragedia di spossessamento, distruzione, assedio, che vediamo succedere da oltre 18 mesi nella striscia di Gaza, un’intera popolazione condannata a vagare da una tendopoli all’altra sotto i bombardamenti. Per non dire della Cisgiordania dove l’aggressione dei coloni, e l’espulsione dei legittimi proprietari dalle loro case, specie se aziendine agricole, fa parte della quotidianità, con il concorso dell’esercito. Situazione drammatica…” Vuoi darci qualche anticipazione di programma?  “Avremo due belle testimonianze: la prima di Aziz Qatashahm, rifugiato della Nakba del 1948 ormai anziano, costretto a lasciare il villaggio di Beit Jibreen, non lontano da Hebron, dove la sua famiglia viveva da sempre; la seconda sarà una video testimonianza da Gaza di Dima Elhelou, ragazzina di 14 anni che ha vissuto lo sfollamento innumerevoli volte all’interno della striscia dopo aver perso tutto ciò che aveva. L’abbiamo coinvolta grazie a uno dei suoi familiari, attivo nella nostra organizzazione. Poi avremo la testimonianza di un militare israeliano che 77 anni fa si trovò in servizio come agente della Nakba: un testo che, significativamente, verrà letto dalla refusenik Sofia Orr, la cui scelta di obiezione di coscienza ha avuto una notevole eco a livello internazionale e creato non poco rumore in Israele. Importante sarà il contributo di Lee Mordechai, intellettuale israeliano che dall’Università di Princeton, dove insegna Storia dell’epoca bizantina, ha scelto di vivere per qualche tempo in Israele e da mesi sta documentando, sotto forma di accuratissimo archivio digitale tutti i crimini di guerra e le atrocità commesse a Gaza.  E infine avremo un intervento del palestinese Thabet Abu Rass, analista politico e figura piuttosto nota all’interno della società civile israelo-palestinese, che ribadirà l’importanza di pratiche di confronto e di dialogo, come queste che la nostra organizzazione sta portando avanti da anni, per contribuire a quel percorso di umanizzazione e riconciliazione che è l’unico possibile futuro per entrambi i nostri popoli. Alla conduzione della serata ci sarà Abigail Szor, giovane attivista ed educatrice che si è formata all’interno della nostra Freedom School e ben rappresenta una crescente quota di giovani israeliani che, nonostante le omissioni del sistema scolastico e il silenzio del mainstream, vogliono sapere come sono andate veramente le cose, e quali sono le radici del conflitto che da sempre ci opprime tutti quanti. Che è il solo modo per inaugurare un processo di collettiva guarigione, dai troppi traumi inflitti e subiti.” Link per sostenere il lavoro dei Combattenti per la Pace:  https://www.cfpeace.org/donate Daniela Bezzi
15 maggio, Anniversario della Nakba: dai Combattenti per la Pace un messaggio e un invito a partecipare
Ieri era la Festa della Mamma e mentre molte di noi si sono goduti i messaggi di auguri, ho pensato a tutt’altro. Ho pensato alle famiglie che ho incontrato pochi giorni fa nella Valle del Giordano settentrionale: madri e bambini palestinesi che subiscono violenze quotidiane, le loro vite soffocate da una realtà che nessun bambino o genitore dovrebbe sopportare. Come madre che vive in Israele, penso costantemente al tipo di mondo in cui vorrei che crescessero i miei figli. Voglio che abbiano il coraggio di ascoltare, di aprire il cuore agli altri che ci descrivono come nemici. Voglio che vedano ogni persona, indipendentemente dalla sua provenienza, come qualcuno che merita pari dignità, sicurezza e una casa. Ecco perché vi invito a unirvi a me per la Cerimonia Congiunta di Commemorazione della Nakba che anche quest’anno, 15 maggio, sarà organizzata dal Movimento dei Combattenti per la Pace e avrà come tema: Aggrapparsi alla Casa, Aggrapparsi alla Speranza. Perché il mondo che vorrei per i miei figli inizia dalla scelta di vedere, ascoltare e prendersi cura. Per registrarsi ecco il link: https://form.jotform.com/251032941203443  Per sostenere il nostro lavoro: https://www.cfpeace.org/donate Come israeliana, ho imparato l’importanza di mettermi alla prova per ascoltare le dure verità. Cerco di immaginare come sarebbe crescere una famiglia sotto occupazione militare, senza le libertà e la sicurezza che a volte do per scontate. Ho capito che la parola Nakba (ossia catastrofe) non è qualcosa di cui aver paura, ma qualcosa che dobbiamo riconoscere se vogliamo davvero un futuro diverso. Questa cerimonia significa affrontare la storia con occhi aperti e trovare la forza di affermare che i diritti umani appartengono a tutti. Pochi giorni fa sono tornata da una visita alle comunità di Hamra, Ein Hilweh e Farisya in Cisgiordania. Ad Hamra abbiamo incontrato la famiglia Abu Sayf, che ci ha raccontato come i coloni – guidati da Moshe Sharvit, un uomo sanzionato a livello internazionale per attacchi violenti – gli abbiano rubato l’intero gregge di pecore. Mentre mangiavano pane appena sfornato e si riparavano da un improvviso acquazzone, la famiglia ha descritto la sua lotta quotidiana per rimanere sulla propria terra, mentre i coloni disturbavano la loro casa con raggi laser anche di notte, e impedivano ai loro figli di andare a scuola. Tutto questo mentre un uomo di 90 anni era ricoverato in ospedale dopo essere stato aggredito pochi giorni prima da un colono. A Ein Hilweh alle mandrie è impedito di raggiungere i pascoli, e i pastori di Farisya hanno descritto come l’esercito israeliano abbia designato i terreni circostanti come “zone di esercitazione” e “riserve naturali”, privandoli dei pascoli e dell’accesso all’acqua, mentre i coloni vicini li molestavano impunemente. Sono rimasta colpita dalla profonda forza di queste comunità – persone che si sono prese cura di questa terra con competenze tramandate di generazione in generazione – ma anche dalla loro profonda vulnerabilità. Non perché siano deboli, anzi, ma perché sono state sistematicamente abbandonate. Persino le crudeli regole dell’occupazione vengono violate impunemente, mentre la violenza dei coloni si diffonde e la responsabilità viene dimenticata. Eppure, ho trovato speranza. Le famiglie che abbiamo incontrato, ferme e resilienti di fronte a circostanze impossibili, continuano a vivere con dignità, crescendo i figli e curando la terra come meglio possono, nonostante le minacce. Attivisti israeliani e internazionali sono presenti, offrendo protezione, testimoniando e opponendosi a questa ingiustizia. La loro presenza rende più difficile che questa violenza rimanga invisibile e mi ricorda che, anche nella disperazione, tutti abbiamo un ruolo da svolgere.Tornerò nella North Jordan Valley e voglio che anche altri vengano con me. Voglio che i bambini che incontrerò lì – allegri, brillanti, pieni di energia – crescano con le cose semplici che ogni bambino merita: sicurezza, libertà e pace. E voglio che le madri crescano i loro figli senza paura, che abbiano lo spazio per sperare, crescere e riposare. Che possano sognare, come me, una vita migliore per i loro figli – e che sappiano di non essere soli. I bambini non possono scegliere il mondo in cui nascere, ma come madri e come adulte, possiamo fare delle scelte. Che siano israeliani, palestinesi o stranieri, possiamo trovare il coraggio e la convinzione di offrire a ogni bambino la stessa cura, empatia e amore che desideriamo per i nostri. Con speranza e determinazione, Laura Morris Direttrice dello sviluppo dei Combattenti per la Pace Redazione Italia