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Combustibili fossili in India: proteste a Delhi contro l’inquinamento
La Cop 30 di Belém appena conclusa è l’ennesimo passo indietro rispetto agli accordi di Parigi. Il compromesso raggiunto attorno all’accordo Mutirao vede una netta divisione tra paesi del Nord e del Sud globale, con il raggiungimento di un accordo che continua a far discutere per il suo essere centrato sui fondi di adattamento climatico per i paesi in via di sviluppo, cioè su compensazioni per le emissioni fossili. Scompaiono dal documento finale i riferimenti ai combustibili fossili, facendo emergere le critiche di un gruppo di trentasei paesi – tra cui Francia e Colombia – che reputano il documento finale un passo indietro, su cui pesano il ruolo di Paesi emergenti come India, Cina, Russia, Arabia Saudita e Nigeria. La posizione del governo indiano è tra le più critiche. Il subcontinente è il paese che ha accresciuto di più le proprie emissioni di gas climalteranti nel 2024, un dato da soppesare sì in base alla popolazione di oltre 1.4 miliardi di persone e al crescente ritmo di sviluppo economico, su cui grava l’irresponsabilità del governo nel delineare una strategia di phase out dai combustibili fossili. La dipendenza energetica dal carbone, da cui dipende il 75% della produzione di energia nazionale, è tra i fattori di maggiore criticità. > Nonostante l’implementazione di energie rinnovabili, a oggi 236 GW di energia > fotovoltaica prodotta, la strategia di produzione energetica resta ancorata al > carbone. Il dato è suffragato dall’aumento di concessioni di estrazione di > carbone in aree forestali e dall’accresciuto afflusso di gas e petrolio, anche > grazie agli accordi con Russia e petrostati del golfo arabico. Sono ancora > lontani gli obiettivi di riduzione di dipendenza da fonti carbonifere ad > almeno il 19% del totale del computo energetico necessario per rispettare > l’obiettivo di fermare il riscaldamento globale a 1,5°. Invertire la rotta della dipendenza energetica dalle fonti fossili per l’India è fuori dagli obiettivi economici del Paese in ascesa come potenza economica globale; anche se i dati della produzione di energia da fonti rinnovabili segnano un importante incremento di produzione, queste si inseriscono in uno schema di addizione energetica. Nell’India che vuole affermarsi come potenza economica di prim’ordine, con un governo alla stregua di oligopoli direttamente coinvolti nella produzione di energia fossile e rinnovabile, la prima necessità è accrescere la produzione energetica totale per sostenere la crescita del settore delle infrastrutture, edilizia, industrie ad alta intensità tecnologica e in ultimo data center di nuova generazione – come confermato dagli investimenti proposti da Google e da Tata Consultancy Services. Su questi ultimi due settori, governo e aziende hanno cominciato a sondare il mercato globale per la costruzione di centrali nucleari di nuova generazione e mini centrali nucleari, da costruire nei pressi degli stabilimenti produttivi per garantire continuità e sufficienza energetica degli impianti. Il contraltare di COP 30 e strategia energetica indiana sta nelle condizioni climatiche dell’India, toccata da temperature altissime nelle sue stagioni secche ed esponenziale crescita di eventi climatici disastrosi nella stagione umida. In un report presentato dal dipartimento meteorologico dell’India sui primi nove mesi del 2025, sono 4064 i morti registrati a causa di eventi climatici estremi e ingenti le perdite di raccolti che hanno colpito 9,47 milioni di ettari coltivati. Nella stagione umida appena passata, i danni causati dagli effetti di alluvioni e frane sono aumentati nelle regioni sub-himalayane e a valle. Le immagini di Dharali del 5 agosto scorso, in cui una bomba d’acqua ha causato una frana che ha travolto un intero villaggio, sono emblematiche della situazione in cui versa l’India trainata da costruzioni di infrastrutture e di edilizia turistica selvaggia in aree vulnerabili, della voluta negligenza governativa in materia per favorire la crescita economica a tutti i costi. Simili esempi si possono trovare nelle regioni del Nord-Est indiano come in Kashmir, con fenomeni di simile intensità più o meno accentuati dalla maggior frequenza di bombe d’acqua; o a valle, nelle regioni a forte vocazione agricola dove le alluvioni distruggono raccolti annuali e vite. Basti citare in questa sede le alluvioni nel Punjab indiano dove 1400 villaggi sono stati inondati dall’acqua e trenta persone sono morte, anche a causa delle piogge più forti degli ultimi 25 anni nel mese d’agosto: 253,7mm d’acqua, il 74% più forti rispetto alla media. L’ARIA IRRESPIRABILE DI DELHI Dimensione della crisi climatica che arriva a toccare anche le città. La capitale Delhi è esemplificazione delle contraddizioni che l’India si trova ad affrontare su più fronti: eventi climatici disastrosi, inquinamento delle acque e dell’aria e assenza di efficaci politiche di prevenzione. Nelle scorse settimane sono stati presentati i dati sull’inquinamento urbano, dove al solito troviamo in cima alla classifica delle città più inquinate al mondo megalopoli indiane e pakistane. In questa classifica e dai dati della qualità dell’aria raccolti da IQAir, Delhi si conferma la capitale mondiale più inquinata al mondo. Tra le cause principali l’uso di mezzi di trasporto – pubblici ma soprattutto privati –, gli incendi di sterpaglie agricole negli Stati limitrofi, l’inquinamento delle attività produttive e l’uso di combustibili a uso domestico per cucinare o riscaldarsi. Cause imposte dalle condizioni di impoverimento generalizzato della popolazione indiana che rendono impossibile la diminuzione delle emissioni, soprattutto a fronte dell’assenza di un intervento pubblico atto a sovvenzionare la transizione. Le conseguenze della crisi climatica sono pagate soprattutto dai subalterni e in particolare dalle donne. Dal report sulla qualità dell’aria e della vita del 2025 dell’Istituto per le politiche energetiche dell’Università di Chicago, emerge che l’inquinamento dell’aria ha ridotto l’aspettativa di vita degli indiani di circa tre anni e mezzo; da un altro report dello Stato di Delhi fatto sugli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’aspettativa di vita nelle condizioni di inquinamento in cui versa la capitale indiana si abbassa di 8.2 anni. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica “The Lancet Planetary Health“, a dicembre 2024, sono quasi 1,7 milioni le persone morte tra il 2009 e il 2019 in India a causa dell’esposizione a livelli di PM2.5 superiori a 40 μg/m3. A essere più esposte e vulnerabili sono le donne. Allarmante il dato arrivato da Ahmdebad, capitale del Gujarat, dove le donne esposte a combustibili da biomassa –legname, carbone, ecc. spesso utilizzati in attività domestiche – durante la gravidanza avevano il 50% di probabilità in più di aborto spontaneo. di Ninara (Flickr) LE PROTESTE CONTRO L’INQUINAMENTO Nel mese di ottobre la città di Delhi ha toccato livelli record d’inquinamento in concomitanza con la festività del Diwali. Nonostante il divieto del governo di Delhi di uso di fuochi d’artificio, l’inquinamento dell’aria ha toccato i livelli record di 1000 µg/m³ – ben oltre la soglia limite di 40 µg/m³ fissata dall’organizzazione mondiale della sanità. La situazione è aggravata dal malfunzionamento delle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. Stando ai dati raccolti dalla testata indiana “Hindustan Times” solo il 23% delle stazioni di monitoraggio funziona a pieno nella capitale, tra queste molte sono disattivate automaticamente nella notte o al raggiungimento del valore di 1000 µg/m³. Una situazione insostenibile e prolungata oltre il mese del Diwali, dove i valori sono scesi continuando a restare tra i 300 e i 600 µg/m³. La difficile situazione dell’inquinamento dell’aria di Delhi è causata da più fattori, tra cui inquinamento da traffico urbano, combustione di biomasse per uso domestico, centrali a carbone vicine alla città, incendi di rifiuti, inceneritori urbani e arrivo di fumi tossici dagli incendi di sterpaglie da Stati limitrofi. Un’emergenza permanente nella quale vi è un sostanziale immobilismo delle istituzioni nell’invertire la rotta. A nulla è servito l’uso di oltre mille camion con idranti e 140 cannoni d’acqua per ridurre i livelli d’inquinamento dell’aria. Nemmeno l’avveniristica mossa di inseminazione delle nuvole per stimolare piogge naturali condotta da governo di Delhi e Istituto Indiano di Tecnologie di Kanpur ha migliorato la situazione. Irrespirabilità dell’aria e non gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni hanno causato proteste di piazza da parte dei giovani della capitale. Al grido di «vogliamo respirare» in centinaia sono scesi in piazza da inizio novembre per rivendicare il proprio diritto a respirare un’aria pulita, richiedendo alle istituzioni un piano credibile per fronteggiare l’emergenza inquinamento nella capitale arrivata a livelli ingestibili. Una protesta organizzata dal Delhi Coordination Committee for Clean Air, e animata da giovani studenti della capitale e cittadini accorsi nella zona turistica di Delhi gate per prendersi la scena uscendo dal perimetro designato dalle istituzioni locali per le manifestazioni della più periferica Jantar Mantar. La risposta delle istituzioni non si è fatta attendere. Con la zona blindata da jester e pattuglie della polizia, le forze dell’ordine hanno caricato i manifestanti su pullman diretti alle stazioni di polizia con la motivazione dell’assenza di autorizzazioni necessarie per la manifestazione. Repressione che non ha fatto demordere i manifestanti dal riscendere in piazza, che a distanza di due settimane hanno riconvocato un presidio statico a Delhi gate con le stesse rivendicazioni fronteggiando una più forte repressione. > Ventitré gli arrestati con accuse di offesa a pubblico ufficiale, > disobbedienza agli ordini di polizia, e cospirazione contro i poteri dello > Stato. Uno dei manifestanti arrestati ha dichiarato alla testata indiana “The > Wire”: «Chiedevamo forse qualcosa di illegale? Chiedevamo l’impossibile? > Stavamo semplicemente ricordando al governo il nostro diritto alla vita. > Eppure, siamo stati trattati come se stessimo incitando la gente a far > crollare il Paese». Hanno fatto scalpore le immagini di uno degli arrestati, il ventiquattrenne Akshay E R, studente della Delhi University, scaraventato a terra dalla polizia, con l’accusa di aver scandito slogan maoisti, aver rotto le barricate e aggredito poliziotti. Tra le motivazioni delle accuse a suo carico il suo attivismo nell’organizzazione Bhagat Singh Chhatra Ekta Manch, tra i collettivi promotori del coordinamento della capitale per l’aria pulita, che ha denunciato sui social le cause dell’inquinamento «aumento delle tariffe del trasporto pubblico, diminuzione del numero di autobus, mancata applicazione degli standard governativi per prevenire l’inquinamento atmosferico in oltre il 70% dei cantieri e l’esenzione concessa a una grande quantità di industrie pesanti all’interno della regione NCR di Delhi sono le ragioni di questa emergenza.» Gli esponenti del Bharatiya Janata Party non hanno risposto nel merito alle proteste cercando di spostare il focus sulla legittimità delle modalità di protesta. Un classico dell’India governata da Modi, dove il diritto al dissenso viene sempre più negato con esplicite motivazioni politiche e anche grazie a nuove norme atte a criminalizzare ogni atto di protesta. La copertina è di Peter Addor da Flickr SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Combustibili fossili in India: proteste a Delhi contro l’inquinamento proviene da DINAMOpress.
COP30, nessun accordo sulle fossili. Le richieste del Sud Globale rimangono inascoltate
La trentesima Conferenza delle Parti si è conclusa e il risultato sembra il peggiore tra quelli ottenuti finora nelle edizioni precedenti. Il documento, infatti, contiene un gran numero di dichiarazioni d’intenti, ma poche indicazioni pratiche e, di fatto, non nomina in alcun modo i combustibili fossili. Un risultato non auspicato ma atteso, dal momento che, anche quest’anno, la COP è stata dominata dalla presenza di lobbisti delle multinazionali, mentre le popolazioni del Sud globale – il più colpito dai cambiamenti climatici – non hanno avuto pari voce in capitolo. Un’implicita ammissione in questo senso è stata fatta dal presidente della COP, che ha ammesso che le speranze della società civile in merito al risultato dell’evento non sono state soddisfatte. Il segretario generale dell’ONU Guterres, dal canto suo, ha invitato popoli e organizzazioni che lottano per il clima a continuare la mobilitazione. Alla cerimonia inaugurale il presidente brasiliano Lula, il cui Paese ha ospitato l’evento, aveva detto chiaramente che la COP30 sarebbe dovuta servire per tracciare l’abbandono progressivo delle fonti fossili, una scelta alla quale alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, si sono mostrati ostili. Tanto che, nel documento finale (la Mutirao Decision) queste non vengono nemmeno nominate. Tra i risultati raggiunti vi sono il finanziamento di 1.300 miliardi di dollari entro il 2035 per l’azione per il clima, mentre ci si impegna a triplicare i finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici entro il 2035. Obiettivi finanziari decisamente ambiziosi, cui non corrisponde un adeguato piano di attuazione e di iniziative concrete. E’ stato istituito un ciclo di ricostituzione per la mobilitazione delle risorse del Fondo per la risposta alle perdite e ai danni dovuti ai cambiamenti climatici e sono state lanciate le iniziative Global Implementation Accelerator e Belém Mission to 1.5°, entrambe destinate ad aiutare i Paesi a realizzare i loro piani nazionali per il clima e l’adattamento. Una novità è rappresentata dall’impegno a lottare contro la «disinformazione sul clima» attraverso il contrasto alle «false narrazioni». L’assenza di un discorso circa i gas serra, principali responsabili del riscaldamento globale, ha allarmato molti Paesi del Sud Globale e organizzazioni della società civile. Eppure, oltre 80 Paesi avevano sostenuto la proposta del Brasile di stabilire una tabella di marcia per agire in tal senso. Secondo lo scienziato brasiliano Carlos Nobre, che ha tenuto un discorso prima della plenaria finale, è necessario azzerare l’utilizzo di fonti fossili entro il 2040-2045 per evitare che la temperatura aumenti fino a 2.5° entro metà del secolo. Se questo si realizzasse, infatti, si verificherebbero conseguenze catastrofiche sui nostri ecosistemi, con la quasi totale perdita delle barriere coralline, il collasso della foresta pluviale amazzonica e un accelerato scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia. Nel discorso di chiusura dell’evento, il presidente André Corrêa do Lago ha riconosciuto che «alcuni di voi nutrivano ambizioni più grandi per alcune delle questioni in discussione» e che «la società civile ci chiederà di fare di più per combattere il cambiamento climatico», promettendo di cercare di non deludere le aspettative durante la sua presidenza. Per tale ragione, Corrêa do Lago ha annunciato l’intenzione di creare due roadmap in merito: una per arrestare la deforestazione e invertirne la tendenza e una per abbandonare le fonti fossili in modo giusto, ordinato ed equo, mobilitando le risorse necessario in maniera «giusta e pianificata». Un messaggio analogo è arrivato dal segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che ha ammesso come in un periodo di «divisioni geopolitiche» sia complesso giungere a un accordo comune: «Non posso fingere che la COP30 abbia fornito tutto ciò che è necessario [per affrontare la crisi climatica, ndr]». Anche se la COP è conclusa, «il lavoro non è finito». Guterres ha anche esortato coloro che lottano per il clima a continuare a farlo: «non arrendetevi. La storia e le Nazioni Unite sono dalla vostra parte». L’accordo segna una nuova, profonda sconfitta per i popoli del Sud Globale, che durante il vertice aveano protestato contro la presenza delle lobby delle multinazionali fossili, accusando i governi di essere interessati a tutelare unicamente gli interessi di queste ultime, le quali hanno avuto un peso indubbiamente superiore a quello dei popoli originari durante l’evento. A questi rimangono una nuova serie di promesse e dichiarazioni d’intenti, che verosimilmente cadranno ancora una volta nel vuoto.   L'Indipendente
La Cop30 si chiude senza una tabella di marcia precisa per superare i fossili
La Cop30 di Belém, in Brasile, la prima a svolgersi dopo che il pianeta ha registrato una temperatura media globale più alta di 1,5 gradi rispetto all’epoca pre-industriale (nel 2024), la Cop che è stata definita da più parti come il momento della verità, si è infine conclusa ieri, 22 […] L'articolo La Cop30 si chiude senza una tabella di marcia precisa per superare i fossili su Contropiano.
“Nucleare in Italia: quale futuro ci aspetta?” Convegno a Milano
Un’alleanza tra Milano e territori, tra scienza e democrazia, tra etica ed economia di pace è il percorso che cerca di tracciare il convegno di sabato 22 novembre 2025 “Nucleare in Italia: quale futuro ci aspetta?” Il convegno si tiene in sala Buozzi presso la Camera del Lavoro, in Corso di Porta Vittoria 43 a Milano e si svolge in due sessioni – alla mattina dalle 10 alle 13, al pomeriggio dalle 15 alle 17:30 – ed è promosso da molte associazioni che intendono sostenere la prospettiva delle energie rinnovabili come valida alternativa sia alle fonti fossili che al rischio del ritorno del nucleare civile in Italia. Rischio da non sottovalutare, visto che l’attuale governo sta portando al voto del Parlamento un Disegno di Legge Delega che ripropone la costruzione di nuove centrali nucleari sul territorio nazionale, centrali sempre a fissione come quelle bocciate dal Referendum del 2011 e senza aver prima risolto il problema di dove collocare le scorie radioattive prodotte dalle vecchie centrali. La lotta ai cambiamenti climatici è una cosa seria ed urgente. La decarbonizzazione complessiva dell’intero sistema produttivo e dei consumi richiede l’alleanza di ampie forze sociali e la conversione all’ecologia integrale di cultura, strategia e programmi da parte delle forze politiche e delle nostre istituzioni elette. Per questo una parte del convegno è dedicata al confronto con le forze politiche che intendono impegnarsi in questa direzione. Al termine della mattinata interverranno l’on. Enrico Cappelletti del M5S, l’on. Eleonora Evi del Partito Democratico, il consigliere regionale Onorio Rosati di Alleanza Verdi Sinistra e il segretario regionale di Rifondazione Matteo Prencipe. Da segnalare tra i relatori Daniela Padoan, presidente di Libertà e Giustizia; Mario Agostinelli, presidente dell’associazione Laudato Sì – Alleanza per il clima, la cura della Terra, la giustizia sociale; Sara Asti, biologa e portavoce di Rete Ambiente Lombardia; Angelo Tartaglia, professore emerito di fisica al Politecnico di Torino; Gian Piero Godio, esperto di sistemi energetici, già tecnico Enea; avv. Veronica Dini, consulente in Diritto ambientale;  Vittorio Bardi del Comitato nazionale Sì Rinnovabili No Nucleare; Elio Pagani di “Abbasso la guerra ODV”; don Lorenzo Maggioni, teologo e docente universitario; Graziano Fortunato, Arci Milano e Arci Lombardia; Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia; Umberto Lorini, presidente di Pro Natura Piemonte; Michele Arisi, Stati generali Clima, Ambiente, Salute; Marco Pezzoni, coordinatore di Rete Ambiente Lombardia. Redazione Milano