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Catania, 15 dicembre: Corso di formazione “Conoscere la guerra per costruire un immaginario di pace”
LUNEDÌ, 15 DICEMBRE 2025, ORE 8:30-13:30 AULA MAGNA L.S. “E. BOGGIO LERA” DI CATANIA (INGRESSO VIA QUARTARONE) Si svolgerà lunedì 15 dicembre 2025 dalle ore 8:30 fino alle 13:30 a Catania, presso il Liceo Scientifico “Enrico Boggio Lera“, il Convegno di Formazione e Aggiornamento in presenza e online per il personale scolastico organizzato dal CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica) con la collaborazione dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università dal titolo “Conoscere la guerra per costruire un immaginario di pace“. Il Corso si svolgerà sia in presenza che on line (per chi non abita nella provincia di Catania), ma in entrambi i casi occorre iscriversi e attendere la conferma al seguente link: https://forms.gle/2P4cqNVBK7ZHRaKY6 Si ricorda che il CESP è Ente accreditato/qualificato per la formazione del personale della scuola (Dir. MIUR n. 170/2016), per cui viene rilasciato Attestato di Partecipazione valido per l’esonero dal servizio per tutto il personale Docente e Ata (art. 36 Ccnl 2019/2021). PROGRAMMA DEL CONVEGNO Introduce e coordina: Patrizia Russo (Docente, Cesp Catania) Intervengono: Antonino De Cristofaro (Docente, Cobas Scuola) Pace e guerra dopo la fine del mondo bipolare     Gabriella Falcicchio (Docente di Pedagogia, Università di Bari) L’antropologia della guerra, noi e i nemici Michele Lucivero (Docente, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università) Educare alla pace. Oltre la militarizzazione dell’istruzione Futura D’Aprile (Saggista, Giornalista free lance) Il mercato delle armi e le guerre Si allega locandina e modulo esonero dal servizio. cespboggio25Download
No al corso “su misura” all’Università di Bologna per i cadetti dell’Esercito
L’Università di Bologna è nell’occhio del ciclone per le recenti polemiche a mezzo stampa che toccano il tema dei rapporti tra mondo accademico e forze armate. La questione riguarda un corso di filosofia pensato esclusivamente per una quindicina di cadetti dell’Accademia militare di Modena, una proposta che il Dipartimento di Filosofia ha deciso di respingere. Il generale Carmine Masiello, capo di Stato maggiore dell’Esercito, ha criticato pubblicamente la decisione, lamentando che l’ateneo non voglia accogliere gli allievi militari. Mentre la ministra Bernini ha fatto eco parlando di una “rinuncia a missione formativa”. In realtà, la mancata attivazione del corso di studio dedicato non esclude in sé e per sé i cadetti dalla formazione universitaria: questi possono infatti iscriversi ai corsi già attivi presso l’Ateneo. La scelta del dipartimento mira, invece, a difendere l’autonomia dell’università e a evitare che risorse e programmi di studio vengano piegati a finalità militari o propagandistiche. Masiello stesso aveva parlato della necessità di sviluppare “linguaggi e tecniche di persuasione”, chiarendo così la natura selettiva e strumentale del nuovo percorso di studio. Non si tratta di pregiudizio: la decisione riflette una scelta etica, sostenuta anche dagli studenti, dalle studentesse e dal personale universitario che hanno ampiamente aderito agli scioperi contro guerre e per l’autodeterminazione del popolo palestinese. In un contesto di università sottofinanziate, attivare un corso di studio per un numero così esiguo di studenti è inconfutabilmente uno spreco di risorse pubbliche. Se poi pensiamo al fatto che migliaia di ricercatori precari stanno per essere espulsi dagli Atenei italiani a causa della scadenza dei loro contratti e per mezzo delle riforme volute della Ministra stessa, siamo al cospetto di una disfunzione davvero singolare: una ricerca a tempo determinato per tutte/i, contro la proposta di un nuovo corso destinato a essere replicato per anni, solo per pochi privilegiati. Il caso ha messo in luce rischi più ampi: la pressione politica o finanziaria non dovrebbe mai determinare l’offerta formativa di un Ateneo. Il tentativo di ignorare le esigenze interne per soddisfare i desiderata politici del momento, minaccia la libertà accademica e l’autonomia universitaria. La decisione del dipartimento di Filosofia va sostenuta. Si tratta infatti di un atto di responsabilità: le università devono concentrarsi su ricerca, didattica ordinaria e diritto allo studio, non su percorsi pensati per élite ristrette. Difendere questa scelta significa tutelare il sapere come bene comune e proteggere l’università dai privilegi e dalle logiche di potere nonché agire contro la militarizzazione delle università. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Vittorie contro la militarizzazione di scuole e università: ritiro delle iniziative di propaganda
Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università sin dall’inizio del nostro impegno ci siamo dati un obiettivo: rompere la normalizzazione del rapporto tra scuole e mondo militare, fare in modo cioè di cambiare di segno alla narrazione che vedeva le scuole vantarsi di progetti svolti con le forze dell’ordine o con i militari. Oggi, con grande soddisfazione, registriamo che tre di questi appuntamenti sono stati annullati a seguito delle pressioni della società civile. Un primo caso si è avuto qualche giorno fa a La Spezia dove un generale della Folgore avrebbe dovuto tenere una conferenza di geopolitica agli studenti e alle studentesse delle scuole superiori dal titolo “La storia non è finita…” (clicca qui per la denuncia). Il timore delle contestazioni annunciate e l’intervento puntuale presso le scuole e i/le docenti affinché non accompagnassero le loro classi ha ottenuto l’annullamento dell’evento, “per problemi organizzativi”, come hanno voluto dire (clicca qui per la notizia). Il secondo caso arriva invece da Udine dove in data 2 dicembre 2025 alcuni docenti della Scuola Secondaria di primo Grado “G. Ellero” avrebbero dovuto partecipare alla “simulazione di interazione tra contesto scolastico e coloro che operano in difesa dei civili in teatro estero per condurre operazioni nel settore della cooperazione civile-militare a supporto dei contingenti della NATO”. D’altra parte, questa è una precisa raccomandazione del Parlamento europeo del 26 marzo 2025, laddove si indica la necessità di formare i/le docenti sulle questioni della sicurezza e dunque si prevedeva un’esercitazione con tanto di mezzi militari nel cortile della scuola. Sulla vicenda di Udine AVS ha annunciato un’interrogazione parlamentare (clicca qui per la denuncia) e l’iniziativa è stata annullata (clicca qui per la notizia). Il terzo caso riguarda, invece, l’università, in questo caso l’Università di Bologna. Qui è accaduto che il generale Masiello abbia chiesto all’Alma Mater di avviare un corso di filosofia per un gruppo di 10-15 militari al fine di “sviluppare un pensiero laterale“, ma i docenti dell’Università di Bologna, molto avanti nel processo di consapevolezza e di smilitarizzazione dei luoghi della formazione, anche grazie alla lotta condotta dagli studenti e dalla studentesse, hanno risposto picche e il corso non si fa! Cosa ci dicono queste tre vicende? Ci parlano sicuramente di tre vittorie, per niente scontate e che infatti finora non si erano verificate. Ma ci dicono anche che la diffusione della “cultura della difesa” ha bisogno di muoversi con lentezza e senza fare rumore; il danno che le contestazioni pubbliche possono fare è enorme, i guerrafondai lo sanno benissimo e preferiscono ritirarsi quando capiscono il danno che ne potrebbero ricevere. Se la cultura della difesa per diffondersi ha bisogno di costruire un consenso lento e silenzioso, cari signori della guerra, noi continueremo a fare rumore e a gioire di ogni vostra ritirata strategica! Serena Tusini, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
IUPALS: Opportunità bloccate per student3 Palestinesi in Italia
Si conclude nel peggiore dei modi l’offerta italiana del programma del MAECI/CRUI denominato IUPALS, destinato a studenti/studentesse o laureat3 palestinesi per usufruire di borse di studio in un ateneo italiano e lasciare così l’inferno. Per dieci di queste/i 150 “aventi titolo”, che peraltro hanno superato un percorso ad ostacoli con clausole quasi vessatorie, per non dire ridicole, non è possibile portare al seguito il/la proprio figlio/a. La storia di Maha, architetta a Gaza, rimasta in Palestina col marito e il figlio, è esemplificativa di una forma “pelosa” di aiuto umanitario, ad uso e consumo dell’ufficio stampa del Ministero degli esteri più che alle persone interessate, esattamente come si è fatto con i feriti gravi che arrivati in Italia sono stati sparpagliati in varie strutture ospedaliere o di accoglienza, tanto quello che contava era raccontare che un “tot” di persone erano state salvate dall’inferno. Se poi i numeri di questo umanitarismo col freno a mano risulta risibile, o le modalità sono alquanto discutibili, per la comunicazione mainstream conta poco. Qui un approfondimento su www.pressenza.com. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Video e materiali del Convegno del 4 novembre dell’Osservatorio contro la militarizzazione
Alla fine, il Convegno dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università previsto per il 4 novembre si è svolto ugualmente con circa 600 persone collegate durante tutto lo svolgimento dell’evento e, accogliendo le richieste che ci sono pervenute da tante persone, abbiamo deciso di mettere a disposizione il materiale pubblicato e i video dei singoli interventi. I lavori, coordinati da Serena Tusini, sono stati aperti da Roberta Leoni, docente e Presidente dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, la quale, oltre a spiegare le vicissitudini relative alla pretestuosa repressione che ha colpito il Convegno, ha illustrato in quali termini l’Osservatorio parla del fenomeno della militarizzazione delle scuole, a partire dai protocolli con il Ministero della Difesa per terminare con le continue celebrazioni e ricorrenze militaristiche, compresa quella del 4 novembre. Marco Meotto, docente di storia e filosofia in un Liceo torinese, nella sua relazione dal titolo Sguardi coloniali. Il genocidio nella didattica della storia ha descritto il fenomeno del genocidio andando alle sue radici e illustrando la sua marca evidentemente occidentale, un’opzione politica strutturale che ha lo scopo di eliminare, assimilare forzatamente e confinare in territori marginali chi si ritiene estraneo alla propria cerchia e in ciò il dispositivo militare risulta estremamente necessario. Qui le slide utilizzate da Marco Meotto per illustrare il suo intervento. Sguardi coloniali_SLIDEDownload A seguire, Antonio Mazzeo, docente e peace researcher, è tornato sull’attualità con la relazione dal titolo Genocidio crimine collettivo. Verso l’israelizzazione della società italiana? in cui ha messo in evidenza il coinvolgimento dell’Italia con la nostra Marina Militare e l’industria bellica di Stato, cioè Leonardo SpA, con l’entità sionista di Israele, ma anche con l’export di armi in tutto il mondo, aggirando di fatto la legge 185/1990 che don Tonino Bello aveva a gran voce reclamato. Cristina Donattini, docente bolognese e attivista del BDS Italia, ha chiarito gli scopi e i metodi delle campagne di boicottaggio, disinvestimento e sanzionatorie nei confronti di Israele e della sua economia, un metodo di lotta nonviolenta che si oppone alla censura, che è sempre governativa perché agisce a partire dal possesso stabile del potere, a differenza del boicottaggio, che parte dal basso e non ha potere bensì forza sociale. La posizione cattolica, costante nei convegni dell’Osservatorio, è stata affidata a don Andrea Bigalli, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e referente di Libera Toscana, il quale nella sua relazione dal titolo La libertà delle coscienze e il significato della disobbedienza ha invitato i/le docenti e gli/le uditori/trici a prestare maggiore attenzione alla comunicazione perché diventa sempre più necessario contrastare l’onda negativa che si sta alzando, invitando talvoltaa a tralasciare i canali generalisti dell’informazione per pensare ad una controinformazione. Infine, ricorda Bigalli, non bisogna dimenticare che la guerra è ciò che di più classista ci sia; infatti, la dichiarano i ricchi per farla fare ai poveri. Centrale per l’Osservatorio è anche trattare la questione palestinese senza tentativi di appropriazione culturale, per cui l’invito rivolto a Mjriam Abu Samra, ricercatrice e attivista italopalestinese, è servito per tracciare nella sua relazione dal titolo Critica decoloniale dell’accademia neoliberale: la conoscenza non marcia, il perimetro delle pratiche decoloniali che si stanno svolgendo all’interno delle università, nelle quali si è levata una forte voce critica, organizzata in un movimento d’opinione e d’azione sotto lo slogan La conoscenza non marcia, sostenuto anche dall’Osservatorio. Per completare il quadro del mondo dell’istruzione, è sempre importante ascoltare la voce di chi fruisce dei processi educativi e formativi, per cui Tommaso Marcon, studente del collettivo OSA, nella sua relazione ha focalizzato l’attenzione sulle finalità della scuola di oggi, che ormai non forma più, ma addestra, addomestica, sanzionando il conflitto, che, invece, è il sale della democrazia. Leonardo Cusmai, infine, studente universitario di Cambiare Rotta, si è soffermato sui processi repressivi in atto, evidenziando il disegno che passa dal ddl Gasparri al ddl sicurezza e termina con i processi di militarizzazione, da leggere tutti nel quadro di una retorica nazionalista/sovranista alleata del complesso militare-industriale, a cui l’università è completamente asservita.
Ddl Gasparri: hasbara e israelizzazione tra assimilazione delle coscienze e repressione del dissenso
PREMESSA Il disegno di legge Gasparri, ora in corso di esame al Senato, intitolato Disposizioni per il contrasto all’antisemitismo e per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo, che equipara antisemitismo, antisionismo e critiche a Israele e commina pene detentive a coloro che, con parole e/o azioni, contravvengono a questa formulazione, è il frutto di una lunga storia che va tenuta presente per comprendere le modalità dell’attuale repressione nei confronti di coloro che, in Italia e nel mondo, manifestano la propria opposizione al genocidio, all’occupazione e all’apartheid in Palestina[1]. In estrema sintesi, si tratta di una controffensiva ideologica sionista, una hasbara[2], le cui radici risalgono alla perdita di credibilità e consenso internazionale del governo di Israele a metà degli anni Settanta, di cui fu espressione la risoluzione ONU 3379 del 1975 che dichiarò che “il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale” [Levy]. La risoluzione 3379 fu poi abolita nel 1991, nel contesto delle trattative per gli accordi di Oslo, ma nel frattempo era cominciato il percorso di ridefinizione concettuale e linguistica dell’antisemitismo, e all’inizio degli anni Duemila il governo israeliano, in particolare il Ministero della Diaspora, si impegnò in una vera e propria “controffensiva coordinata contro l’antisemitismo”, soprattutto quello di matrice arabo islamica, con l’obiettivo di attivare azioni diplomatiche efficaci [Pisanty, 69]. Nel frattempo, nel 1998, era stata fondata l’IHRA, International Holocaust Remembrance Alliance, forum intergovernativo a cui aderiscono oggi 35 paesi, che diventerà l’organismo internazionalmente riconosciuto come la fonte legittima per la attuale definizione di antisemitismo. Nel 2000 la Dichiarazione del Forum di Stoccolma sull’Olocausto, “pianificato e realizzato dai nazisti”, impegnò la comunità internazionale a tenere viva la memoria della Shoah contro ogni negazionismo, a promuoverne lo studio e a commemorarne le vittime. LA DEFINIZIONE DI ANTISEMITISMO DELL’IHRA Circa quindici anni dopo, la responsabilità politica internazionale per la memoria dell’Olocausto sancita a Stoccolma si saldò idealmente con la nuova definizione di antisemitismo, e nel 2016 a Budapest, in una seduta plenaria dell’IHRA, venne approvata la “definizione operativa” non giuridicamente vincolante di antisemitismo: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto” [definizione IHRA]. Presentata come una definizione euristica di natura descrittiva, utile per identificare e monitorare il fenomeno dell’antisemitismo, dunque senza implicazioni giuridiche, tale definizione è evidentemente vaga e priva di logica perché si fonda sulla “percezione”, che è una funzione psichica (l’atto del prendere coscienza) e sull’odio, che è una emozione o sentimento. Le azioni, i comportamenti, sono concettualizzati come “manifestazioni verbali e fisiche” di un antisemitismo percettivo ed emotivo. Ne deriva la divaricazione tra l’“antisemitismo” così inteso e la “discriminazione antisemita”, che, come tutte le discriminazioni, è una azione concreta a svantaggio di gruppi sociali o persone, in questo caso gli ebrei, ed è ascrivibile all’antisemitismo storico. In altri termini, il nuovo antisemitismo consisterebbe in percezioni e sentimenti, o stereotipi e pregiudizi, che attengono alla sfera del pensiero e della coscienza individuale, difficili da misurare scientificamente e che di per sé non sono atti concreti di discriminazione. Non è la stessa cosa dire “stereotipo antisemita”, “pregiudizio antisemita” e “antisemitismo”. Come manifestazioni di tali percezioni e sentimenti, i comportamenti normalmente sanzionabili per legge, quali i danni alle cose o alle persone, diventano, da reati comuni, reati di antisemitismo. La vera e propria discriminazione antisemita come azione rivolta alla privazione di diritti per gli ebrei viene del tutto dimenticata e sostituita dal “nuovo antisemitismo”. In teoria non c’era bisogno di alcuna nuova definizione per sanzionare comportamenti dannosi nei confronti di ebrei o anche discriminazioni antisemite nelle legislazioni nazionali. Il punto è che lo scopo ambiguo e recondito della definizione IHRA non era quello di combattere l’antisemitismo in quanto discriminazione, ma quello di silenziare le critiche al governo di Israele, equiparandole a espressioni di antisemitismo: “Le manifestazioni (di antisemitismo) possono avere come obiettivo lo Stato di Israele perché concepito come una collettività ebraica” [definizione IHRA]. Entra in gioco qui il concetto, anch’esso nuovo, di “Ebreo collettivo”, identificato con Israele e particolarmente caro al Likud, che era stato elaborato in parallelo a quello di “nuovo antisemitismo” per agganciare quest’ultimo all’antisemitismo storico [Pisanty, 67-80; Rossi, pp. 43-56]. Per chiarire le eventuali manifestazioni di antisemitismo, la definizione venne corredata dall’IHRA di undici esempi tra i quali sei riguardano esplicitamente lo Stato e il governo di Israele. Due di essi sono particolarmente eloquenti: “Negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo”; “fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei Nazisti”. Rimandando al lavoro di Valentina Pisanty [pp. 88-100] per l’analisi e il commento puntuale di tali esempi, osserviamo che negli anni seguenti la definizione IHRA venne fatta propria da numerosi documenti internazionali tra cui la Risoluzione del Parlamento europeo (1 giugno 2017) che invitò gli Stati membri ad adottarla e applicarla, sull’esempio del Regno Unito e dell’Austria. Non mancarono forti controversie per le ambiguità della definizione e per il concreto pericolo di censura della vita culturale dei paesi che, come la Germania, la avessero applicata [Della Porta; Antisemitismo in Germania]. L’ADOZIONE ITALIANA DELLA DEFINIZIONE IHRA (2020) E LA PRIMA STRATEGIA NAZIONALE DI LOTTA ALL’ANTISEMITISMO (2021) Il governo italiano adottò ufficialmente la definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA il 17 gennaio 2020 (governo Conte II) nella forma di mozione o atto di indirizzo. Nel documento l’esplicita l’equiparazione di antisemitismo e antisionismo, “inteso quest’ultimo come rifiuto della legittimità dello Stato d’Israele”, si traduce, su richiesta del “Ministro israeliano della sicurezza pubblica e degli affari strategici Gilad Erdan”, nella stigmatizzazione antisemita del movimento BDS e dei suoi sostenitori (“tra cui organizzazioni politiche come Rifondazione Comunista e Comunisti italiani, sindacali come Fiom e Ong come «Un Ponte Per…» e Servizio civile internazionale”), ai quali la Camera si impegnò a non destinare finanziamenti pubblici [XVIII LEGISLATURA, Allegato B]. Colpisce, nella narrativa della mozione, che “tali fenomeni di odio antisemita appaiono come strettamente connessi anche con le recenti e le crescenti tensioni nella Striscia di Gaza”: a quel tempo erano sotto gli occhi del mondo le proteste della Grande Marcia del Ritorno, durate 86 settimane a partire dal 30 marzo 2018, con 234 morti palestinesi, e le denunce dell’ONU e delle organizzazioni umanitarie internazionali sull’impossibilità di vita dignitosa a Gaza. Ma, va notato, Gaza e le sue “tensioni” scompariranno del tutto nei successivi documenti  italiani sull’antisemitismo. L’anno seguente (2021) l’Italia si dotò della prima Strategia nazionale di lotta all’antisemitismo, frutto dell’elaborazione di un “Gruppo tecnico di lavoro per la ricognizione sulla definizione di antisemitismo approvata dall’IHRA” coordinato da Milena Santerini, docente universitaria di Pedagogia all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e deputata dal 2013 al 2018 nel gruppo Scelta civica di Mario Monti. Benché infarcita di assunti iperbolici e a tratti islamofobi ispirati dalla definizione IHRA e dalla ampia narrazione internazionale di sostegno, la Strategia Nazionale scriveva in premessa che: “Affrontare il tema dell’antisemitismo in Italia comporta la chiara assunzione di responsabilità per l’adozione delle leggi razziste del 1938 di stampo antisemita che hanno segnato una svolta nella storia del nostro Paese” [p. 6]. “Il picco dell’intolleranza” individuato dal Gruppo tecnico concerneva infatti gli attacchi fascisti sui social e l’aggressione di Forza Nuova alla senatrice Liliana Segre, avvenuti nel 2019, a seguito dei quali fu deciso di dotarla di una scorta [p. 9]. Pertanto l’ampliamento delle norme penali raccomandate a governo e parlamento dal Gruppo tecnico riguardava in primo luogo l’apologia del fascismo[3]. E ancora, sottolineava il Gruppo tecnico, i crimini d’odio erano prevalentemente hate speach sui social e dunque si trattava di “imporre ai gestori delle piattaforme social la rimozione dei contenuti d’odio (post, video, immagini)”. Nondimeno compariva, sulla base degli esempi dell’IHRA, l’equiparazione di antisemitismo, antisionismo e critiche politiche a Israele: il “nuovo antisemitismo” ha come “sfondo la demonizzazione di Israele e la delegittimazione della sua esistenza. In questo senso, l’antisemitismo può mascherarsi da antisionismo quando si oppone alla piena esistenza di Israele come nazione libera” [p. 16]. Questo argomento, discutibile e discusso, ma leit motiv della retorica dell’hasbara israeliana, si è rafforzato nella retorica dell’hasbara italiana fino all’attuale ddl Gasparri. LE LINEE GUIDA SUL CONTRASTO ALL’ANTISEMITISMO NELLA SCUOLA (2021) E L’ADOZIONE DELLA DEFINIZIONE IHRA DA PARTE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI (2023) A seguito di questa Strategia, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, indipendente nel governo Draghi, adottò, nel novembre 2021, le Linee guida sul contrasto all’antisemitismo nella scuola, che mantenevano tuttavia un orizzonte più ampio, in quanto consideravano “tutte le forme di razzismo e di discriminazione (…) insieme a tutto ciò che esclude, disprezza e discrimina ogni essere umano, ogni gruppo sociale, ogni minoranza” [p. 3]. Le radici dell’antisemitismo venivano rintracciate, come nella Strategia nazionale, nell’antigiudaismo di matrice cristiana e di matrice islamica, nel neonazismo, nel neofascismo e nel negazionismo della Shoah, nell’odio verso Israele come “Ebreo Collettivo”. Le indicazioni didattiche raccomandavano, piuttosto sorprendentemente, quello che nelle scuole da decenni veniva praticato, e basti ricordare la Giornata della memoria, i Treni della Memoria, le letture di Anna Frank, lo studio di Primo Levi. Nel giugno del 2023, proprio pochi mesi prima del fatidico 7 ottobre, furono Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, e Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, a firmare ufficialmente la loro adesione alla definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA, cioè a decidere di autocensurarsi [De Monticelli]. Il fatto fu immediatamente esaltato nel seminario per giornalisti dal titolo 85 anni dalle leggi razziali: lotta all’antisemitismo nei media italiani (promosso dall’Ambasciata d’Israele in Italia, dall’Ordine dei Giornalisti, dalla Fondazione Museo della Shoah, dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, CDEC, dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, UCEI, dalla Comunità Ebraica di Roma, CER, e trasmesso in diretta su Radio Radicale) [Tagliacozzo], ma per il resto passò quasi sotto silenzio, e può probabilmente essere letto come una delle ragioni dissimulate della continua hasbara dei media mainstream nazionali nei lunghi mesi di stragi e genocidio a Gaza. LA SECONDA STRATEGIA NAZIONALE PER LA LOTTA ALL’ANTISEMITISMO (2025) La strategia discorsiva del governo italiano sull’antisemitismo è decisamente cambiata nel 2025, con la nuova edizione della Strategia nazionale per la lotta all’antisemitismo, il cui Coordinatore nazionale, nominato nel gennaio 2024 dall’attuale governo, è il generale di corpo d’armata dei Carabinieri Pasquale Angelosanto, dal 2017 al 2023 comandante del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri (ROS) con competenze sulla criminalità organizzata e sul terrorismo. Nel nuovo documento l’hasbara italiana si fa evidente: sotto la direzione di un militare, viene eliminato ogni riferimento all’antisemitismo di stampo nazi-fascista, la stessa parola fascismo è espunta, mentre viene data grande enfasi all’aumento dei casi di antisemitismo, che consistono prevalentemente in insulti o diffamazioni personali o sui social e nella negazione della portata della Shoah. Compare invece la parola “sicurezza” riferita agli ebrei italiani, la cui “percezione di minaccia” sarebbe, secondo “i rappresentanti delle comunità e dell’associazionismo ebraici”, tale da impedire loro di esercitare le libertà individuali e la libertà di culto [p.19]. Senza voler entrare in una analisi specifica di questo lungo documento, accenniamo alle cinque linee di azione strategica (con 22 obiettivi e 68 azioni) per il contrasto all’antisemitismo da attuare in stretta sinergia tra apparati dello Stato, Forze Armate, Forze dell’Ordine, associazioni e centri di documentazione ebraica: monitoraggio del fenomeno, formazione, cultura della memoria, garanzia di sicurezza delle comunità ebraiche, comunicazione e dimensione digitale. Al posto del fascismo, scomparso, emerge l’ordine pubblico, in quanto “in particolar modo a partire dal 7 ottobre 2023”, sembrano moltiplicarsi le “manifestazioni contro lo stato di Israele (…) espressioni di messaggi antisemiti o di inneggiamento al terrorismo. Ne sono esempi sventolii di bandiere di Hezbollah, inni ai leader di Hamas, denigrazione di figure simbolo della Shoah (come Anna Frank)” [p. 40]. Si ribadisce l’equivalenza tra antisemitismo e critiche allo Stato israeliano:  “Nel rispetto dei diritti costituzionali di libere manifestazioni e di espressioni del libero pensiero – ivi incluso il diritto di criticare le azioni del governo israeliano – appare evidente come dietro a posizioni antisioniste/anti-israeliane si celino atteggiamenti riconducibili all’antisemitismo”. Come si può evincere da queste brevi note, si tratta di una vera e propria hasbara, che per l’Italia prende forma attraverso la cancellazione di ogni riferimento alla responsabilità del fascismo e del neofascismo nella persecuzione razzista degli ebrei e negli episodi autenticamente antisemiti degli ultimi anni, che pure nel 2021 erano riconosciuti come tali dal Gruppo tecnico, e pertanto indicati come necessari destinatari di sanzione penale. Su questo sfondo assumono così un senso le stupefacenti parole della ministra Roccella, secondo cui le “gite” nei campi di concentramento sarebbero state «incoraggiate e valorizzate» perché avevano come bersaglio «una precisa area (storico-politica): il fascismo»”. Come ha scritto Carlo Greppi, il problema è l’antifascismo, non l’antisemitismo. Ma non basta. Per garantire la sicurezza delle comunità ebraiche, la quarta linea strategica prevede, alla azione 2.2., di “incrementare il presidio delle forze dell’Ordine, quando vengono preannunciate manifestazioni contro lo Stato di Israele, al fine di prevenire o contrastare espressioni antisemite o di incitamento all’odio e/o al terrorismo” [p. 41]. Infine, l’obiettivo 4 della stessa linea strategica si pone esplicitamente il fine di favorire la cooperazione nazionale e internazionale “tra i diversi attori coinvolti nella lotta al terrorismo (…) per condividere informazioni e coordinare le azioni” in particolare “tra gli apparati di intelligence, le forze di polizia e le strutture di sicurezza interna delle comunità ebraiche“. Si giunge a prevedere “tra le possibilità offerte dall’analisi di scenario (la) georeferenziazione grafica degli eventi al fine di localizzarli in maniera puntuale” [p. 25], così come è effettivamente accaduto nel settembre del 2025 da parte del Ministero israeliano per la Diaspora e la lotta all’antisemitismo, che ha schedato le piazze e i gruppi solidali con la Palestina [Rocco]. Considerando lo stretto legame tra le comunità ebraiche italiane e Tel Aviv, si intuisce il diretto intervento del governo israeliano nelle azioni di contrasto all’antisemitismo predisposte in Italia. Coordinata da un esponente delle Forze Armate, la vigente strategia italiana di lotta all’antisemitismo, dunque, riscrive la storia, collocando l’antisemitismo nell’alveo del terrorismo – sia quello internazionale di matrice islamica sia quello evocato nelle nostrane manifestazioni di piazza -, viene militarizzata e diventa una questione di ordine pubblico, adottando linguaggi e pratiche securitarie e rendendo protagoniste le Forze Armate, le Forze di polizia e le comunità ebraiche italiane nella repressione di idee, parole, scritti e manifestazioni di piazza. IL DISEGNO DI LEGGE 1627 DI CONTRASTO ALL’ANTISEMITISMO Sia la Strategia del 2021 sia quella del 2025 fanno riferimento all’art. 604 del codice penale come base normativa per estendere le pene in relazione al reato di antisemitismo. Ma nel 2021 tale estensione si riferiva, come già detto, prevalentemente alla apologia del fascismo e nel documento si metteva l’accento sul fatto che per i casi di “crimine simbolico” dettato dal pregiudizio fosse opportuna una pena “simbolica” di tipo riparativo. Nel 2025 il ricorso all’art. 604 viene esplicitato per i reati online e per “il contenimento e prevenzione dei sempre più frequenti episodi di odio e discriminazione antisemita” [pp. 41-42]. Non mi soffermo sul fatto che entrambe le Strategie nazionali dedichino ampio spazio alla formazione nelle scuole, su cui si erano espresse le Linee guida del Ministero dell’Istruzione nel 2021. La formazione è la sola altra indicazione che, insieme con il riferimento all’art. 604 del Codice penale, viene ripresa dalle Strategie nazionali nel ddl Gasparri, senatore di Forza Italia che, sia detto per inciso, nel 2000 dovette rispondere in Parlamento di commenti antisemiti comparsi sul suo sito “destra.it” [Risoluzione urgente]. Il breve testo di legge, composto di soli quattro articoli, adotta “l’integrale definizione operativa”[4] di antisemitismo dell’IHRA (art. 1), senza neppure riportarla, e la traduce in reato (art. 4), aggiungendo all’art. 604bis del Codice penale (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa), che prevede pene detentive fino a sei anni, “la propaganda, l’istigazione o l’incitamento (che) si fondano, in tutto o in parte, sull’ostilità, sull’avversione, sulla denigrazione, sulla discriminazione, sulla lotta o sulla violenza contro gli ebrei, i loro beni e pertinenze, anche di carattere religioso o culturale, nonché sulla negazione della Shoah o del diritto all’esistenza dello Stato di Israele o sulla sua distruzione”. Aggravante è considerato “l’uso, in qualsiasi forma, di segni, simboli, oggetti, immagini o riproduzioni che esprimano, direttamente o indirettamente, pregiudizio, odio, avversione, ostilità, lotta, discriminazione o violenza contro gli ebrei, la negazione della Shoah o del diritto all’esistenza dello Stato di Israele”. L’art. 2 del ddl prescrive corsi di formazione “specificamente dedicati allo studio della cultura ebraica e israeliana”, rivolti, non a caso, a docenti, militari, forze dell’ordine e magistrati. L’art. 3 individua nelle scuole e nelle università pericolosi semenzai di razzismo e antisemitismo, comminando sanzioni e provvedimenti disciplinari alle/i docenti che non li prevengano e segnalino. L’”antisemitismo”, equiparato all’antisionismo e alla critica a Israele, diventa così la clava per colpire i movimenti che nelle università e nelle scuole hanno manifestato un radicale dissenso nei due lunghi anni di guerra contro Gaza e di colonizzazione violenta e inarrestabile della Cisgiordania reclamando autodeterminazione, libertà e giustizia per il popolo palestinese. Dalla hasbara in versione italiana, cioè l’oscuramento delle responsabilità del fascismo, si passa alla vendetta e punizione, cioè alla israelizzazione, per coloro che sono scesi in piazza sventolando bandiere palestinesi, con slogan come: “Palestina libera dal fiume fino al mare”, che hanno occupato università e scuole, che stanno progettando didattica decoloniale. Già solo quello slogan o una carta geografica della Palestina su una t-shirt o su un cartello possono essere intesi come propaganda che nega il diritto all’esistenza di Israele o allude alla sua “distruzione”, dunque punibili per legge. Che oggi, come un tempo, gli eredi dei fascisti al governo, si schierino dalla parte del genocidio non stupisce. Oggi, come i loro omologhi di destra in Occidente, ne ottengono in cambio la cancellazione dalla narrazione e dal discorso pubblico delle responsabilità dei loro antenati politici nel genocidio perpetrato nei campi di distruzione nazista e l’accentuazione dell’enfasi su discorsi islamofobi che stigmatizzano le persone migranti. Possono così rivendicare, anche grazie a intellettuali e media mainstrem, un’immagine ripulita dall’antisemitismo che storicamente li connota e nel frattempo colpire la dissidenza e i gruppi di immigrati musulmani legittimando i discorsi di odio, razzismo e xenofobia che caratterizzano le loro politiche. LE PIAZZE D’AUTUNNO, LA REPRESSIONE DEL DISSENSO E GLI ANTICORPI COSTITUZIONALI Essendo stato presentato in Parlamento il 6 agosto 2025, il ddl non aveva ancora potuto tener conto dell’impatto delle manifestazioni di massa che hanno connotato l’”autunno caldo” italiano del 2025: i suoi obiettivi erano “i propal”, per due anni stigmatizzati come eversivi ed emarginati come minoranze antagoniste, e gli immigrati arabi, oggetto della propaganda di “sostituzione etnica” e squalificati come “cultura della maranza”. Ma in settembre le scuole, dove appunto da decenni si legge il Diario di Anna Frank e si studia Primo Levi, i luoghi di lavoro, le organizzazioni politiche e sindacali, le molteplici associazioni e articolazioni della società civile, sono esplose in un’unica grande protesta, per denunciare nelle piazze i crimini dell’occupazione, dell’apartheid e del genocidio. Dunque non solo gruppi radicali di “propal”, ma un numero enorme di persone e gruppi, con presidi, cortei, blocchi di autostrade, porti e aeroporti, cene di solidarietà, spettacoli teatrali, mostre, conferenze, convegni, canzoni, libri, riviste, articoli, fotografie, post, reels, film e video dovrebbero essere accusati di reati di antisemitismo in quanto Israele, implicitamente o esplicitamente, viene considerato uno Stato genocidario e razzista, responsabile di crimini contro i diritti umani e il diritto internazionale che dovrebbero essere sottoposti al giudizio delle corti internazionali. Di fronte a una ampia parte del paese schierata contro le politiche di Israele, la approvazione del ddl Gasparri non può che passare attraverso la quotidiana esasperazione della polarizzazione, con continue esternazioni di politici e intellettuali amplificate dai media (come nel caso del convegno su La storia stravolta e il futuro da ricostruire), shitstorm sui social, e plurime intimidazioni di gruppi neofascisti presso le scuole, tra cui il recente e gravissimo episodio di aggressione al Liceo Einstein di Torino. Di fronte a una opposizione di massa, è evidente che il ddl ha sia uno scopo punitivo, mirato a colpire direttamente e selettivamente i gruppi e le/i militanti più impegnate/i, sia uno scopo intimidatorio, rivolto a coloro che, in particolare nelle scuole, nelle università e nei luoghi di cultura, interpretano criticamente la storia di Israele dalle sue origini a oggi. Nella sua stessa sbrigativa formulazione, il ddl mostra dunque intenti che, come in altri paesi europei, poco hanno a che fare con il contrasto all’antisemitismo, e che mirano piuttosto alla repressione del dissenso, al silenziamento delle piazze e alla censura culturale. Nella Germania studiata da Donatella Della Porta, l’uso repressivo della definizione IHRA è stato, con le parole di Nancy Fraser, citate dalla stessa Della Porta, “un modo per mettere a tacere le persone con il pretesto di difendere gli ebrei” [Della Porta, 39]: intellettuali, artisti, accademici progressisti sono stati messi al bando per le loro critiche a Israele nonostante fossero notoriamente impegnati contro il razzismo e alcuni fossero ebrei con storie familiari di Olocausto. E non a tutti è noto che la nuova legge tedesca sulla cittadinanza (2024) impone a chi la richiede “di dichiarare la propria fede nel diritto d’esistenza d’Israele” [Pisanty, 23]. Anche nel Regno Unito, dove la definizione IHRA è stata adottata nel 2016, e dove alle università è stato imposto di adottarla nel 2020, l’impatto ha comportato la limitazione del pensiero critico, della libertà accademica di ricerca e insegnamento e della possibilità di affrontare scientificamente temi legati alla storia di Israele e della Palestina. Infatti nei 40 casi di antisemitismo denunciati dal 2017 al 2022 le accuse sono state considerate prive di fondamento (a parte due casi non ancora passati in giudicato nel 2023) e non hanno portato a sanzioni disciplinari, ma “esiste un rischio molto concreto che questo clima induca docenti e studenti all’autocensura preventiva” [Ferrara degli Uberti]. Il ddl presenta tuttavia evidenti profili di incostituzionalità, in quanto lesivo del “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21 della Costituzione), e, anche se il governo ha i voti in Parlamento per farlo approvare, e la Corte costituzionale ha tempi lunghi di intervento, questo rimane un argomento decisivo su cui fare leva per mobilitare l’opinione pubblica e l’opposizione politica. In altri termini, la Costituzione rappresenta ancora un forte anticorpo democratico a garanzia della libertà di espressione. Inoltre, allo stato attuale della ricerca, non risulta che altri paesi europei abbiano approvato leggi organiche come quella proposta in Italia per rendere punibile penalmente il reato di antisemitismo. Come già accennato, nei singoli stati (Gran Bretagna, Francia, Germania, Austria) sono state bensì intraprese diverse “vie legali” per rendere efficace la definizione IHRA attraverso misure restrittive e censure alle critiche a Israele, ma a livello europeo, in particolare presso la Commissione e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), permangono riserve in merito alla violazione della libertà di espressione di tali misure [Corsalini]. ISRAELIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ O PALESTINIZZAZIONE DEL MONDO Conculcare la libertà di pensiero, di parola e di espressione, criminalizzare arbitrariamente civili per idee e opinioni, infliggere pene detentive sproporzionate, mettere sotto controllo ideologico la scuola e la società, attribuire ai militari funzioni di natura politica e di controllo sociale come presupposti ed esiti della “lotta all’antisemitismo”, sono tutte pratiche tipiche che si osservano nell’occupazione in Palestina, forme di israelizzazione della società, insieme con l’hasbara che manipola la realtà in modo strumentale e mira ad assimilare le percezioni e le emozioni, cioè le coscienze. Significativo che anche il documento di Rearm Europe, all’art. 164, ritenga necessario “sviluppare una comprensione condivisa e un allineamento delle percezioni delle minacce in tutta Europa e (…) creare una nozione globale di difesa europea”. La politica di assimilazione delle coscienze, di “allineamento delle percezioni”, è comune a ogni hasbara, sia quella militarista sia quella sionista. Con l’espressione “israelizzazione della società”, concetto da verificare e sviluppare in campo scientifico, abbiamo voluto qui indicare non solo il controllo militare del territorio e della società, ma, in sintesi, l’insieme delle tecniche di governo che si avvalgono di precise forme di sorveglianza tecnologica e repressione, di separazione, espropriazione, espulsione e persecuzione di gruppi sociali, di riconfigurazione degli spazi e delle infrastrutture, di cancellazione culturale, di narrazione strumentale e di delegittimazione politica di gruppi dissenzienti, che sono evidenti anche nella nostra società. La sociologa brasiliana Berenice Bento usa invece l’espressione “palestinizzazione del mondo”, introdotta dal regista palestinese Elia Suleiman, per indicare, sulla scorta di Achille Mbembe, la forma di necropotere collaudata in Palestina, ma estesa al mondo, cioè “il processo articolato a livello globale in cui la violenza contro i movimenti sociali è direttamente ispirata dalla colonizzazione israeliana”. La stessa autrice introduce però anche un altro significato della “palestinizzazione del mondo”, e con questo vogliamo concludere: “Se Israele è il laboratorio della morte, esiste un contro-movimento, ispirato dalla resistenza palestinese, in cui pulsa e pulsa il desiderio di vita. Ispirati dal popolo palestinese, anche noi stiamo palestinizzando il mondo, perché abbiamo imparato che lotta e vita sono sinonimi, sono termini intercambiabili. La questione palestinese è diventata un fatto sociale e politico globale ineludibile” [Bento]. FONTI Sito dell’IHRA: https://holocaustremembrance.com/ Definizione di antisemitismo dell’IHRA con esempi, https://holocaustremembrance.com/resources/la-definizione-di-antisemitismo-dellalleanza-internazionale-per-la-memoria-dellolocausto Dichiarazione del Foro Internazionale Di Stoccolma sull’Olocausto, gennaio 2000, https://archivio.pubblica.istruzione.it/shoah-itfitalia/allegati/stoccolma_it.pdf Combating anti-semitism.European Parliament resolution of 1 June 2017 on combating anti-Semitism, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2017-0243_EN.pdf XVIII LEGISLATURA, Allegato B, Seduta di Venerdì 17 gennaio 2020, ATTI DI INDIRIZZO, https://www.camera.it/leg18/410?idSeduta=290&tipo=atti_indirizzo_controllo Strategia nazionale di lotta all’antisemitismo. Presidenza del Consiglio. Gruppo tecnico di lavoro per la ricognizione sulla definizione di antisemitismo approvata dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). Rapporto finale, 2021, https://www.governo.it/sites/governo.it/files/documenti/documenti/Presidenza/NoAntisemitismo/StrategiaNazionale/StrategiaNazionaleLottaAntisemitismo_def.pdf Linee guida sul contrasto all’antisemitismo nella scuola, novembre 2021. Ministero dell’Istruzione. Testo elaborato dal Comitato paritetico MI-PdCM- UCEI sotto la guida della Coordinatrice Nazionale per la lotta all’antisemitismo nell’ambito del Protocollo tra MI, Coordinatrice e UCEI, https://www.mim.gov.it/documents/20182/6740601/Linee+guida+antisemitismo.pdf Strategia nazionale per la lotta all’antisemitismo, Presidenza del Consiglio dei Ministri. Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. Edizione 2025, https://www.governo.it/sites/governo.it/files/documenti/documenti/Presidenza/NoAntisemitismo/StrategiaNazionale/Strategia_Nazionale_2025-IT.pdf Disegno di legge n. 1627, Senato della Repubblica. Legislatura 19°, https://www.senato.it/show-doc?leg=19&tipodoc=DDLPRES&id=1473422&idoggetto=0&part=ddlpres_ddlpres1-articolato_articolato1 Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – relazione annuale 2024, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-10-2025-0058_IT.html Informativa urgente del Governo sull’aggressione al professor Luis Marsiglia, Camera dei Deputati, Seduta n. 777 del 26/9/2000, https://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed777/s020.htm BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Antisemitismo in Germania. Accolta una norma controversa, 8 novembre 2024,  https://www.rsi.ch/info/mondo/Antisemitismo-in-Germania-accolta-una-norma-controversa–2342436.html Berenice Bento, Palestinização do mundo, https://berenicebento.com/2024/05/palestinizacao-do-mundo/ Matteo Corsalini, Pensiero e retropensiero. Limiti e legittimità della critica antisionismo al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, Rivista telematica, fascicolo n. 18 del 2023, https://riviste.unimi.it/index.php/statoechiese/article/view/22278 Roberta De Monticelli, Su Israele l’Ordine dei Giornalisti si autocensura, 15/7/2023, https://www.assopacepalestina.org/2023/07/15/su-israele-lordine-dei-giornalisti-si-autocensura/ Donatella Della Porta, Guerra all’antisemitismo? Il panico morale come strumento di repressione politica, Altreconomia, Milano, 2024. Carlotta Ferrara degli Uberti, Antisemitismo, la definizione dell’Ihra limita il pensiero critico, 14 settembre 2023, https://ilmanifesto.it/antisemitismo-la-definizione-dellihra-limita-il-pensiero-critico Carlo Greppi, Gite ad Auschwitz. Roccella e gli scheletri nell’armadio, “il Manifesto”, 13 ottobre 2023, https://ilmanifesto.it/roccella-e-gli-scheletri-nellarmadio Gideon Levy, Stracciare le prove: così Israele mantiene l’impunità globale, 23 Giugno 2022; https://www.assopacepalestina.org/2022/06/23/stracciare-le-prove-cosi-israele-mantiene-limpunita-globale/ Valentina Pisanty, Antisemita. Una parola in ostaggio, Giunti, Firenze, 2025. Federico Rocco, Israele scheda le piazze e le organizzazioni solidali con la Palestina in Italia, “Contropiano”, 25 settembre 2025, https://contropiano.org/news/politica-news/2025/09/25/israele-scheda-le-piazze-e-le-organizzazioni-solidali-con-la-palestina-in-italia-0186980 Amedeo Rossi, Antisemitismo e antisionismo. Usi e abusi, Edizioni Q, Roma, 2025. Sarah Tagliacozzo, I giornalisti e l’antisemitismo nei media italiani, 21-06-2023, https://www.shalom.it/italia/i-giornalisti-e-la-antisemitismo-nei-media-italiani-b1132491/ -------------------------------------------------------------------------------- [1] Non ci si riferisce qui alla lunga storia dell’antisemitismo, del sionismo e dell’antisionismo, ma a quella della definizione del “nuovo antisemitismo” degli ultimi decenni. Storicamente, con antisemitismo si intende una forma di razzismo: la discriminazione storica e l’esclusione degli ebrei, la privazione del diritto ad avere dei diritti (Hannah Arendt), che ha portato al loro genocidio nei campi di sterminio nazisti. Con sionismo si intende solitamente il movimento, nato in reazione all’antisemitismo, fondato nel 1897 da Theodor Herzl (1860-1904), con il progetto di costituzione di uno Stato nazionale ebraico in Palestina espropriandone ed espellendone i palestinesi (“una terra senza popolo per un popolo senza terra”). L’antisionismo si contrappone all’esclusione sionista, a sua volta razzista, dei palestinesi dal diritto ad avere dei diritti, ed è quindi antirazzista. [2] Con hasbara si intende la propaganda israeliana e la sofisticata attività di pubbliche relazioni mirata a legittimare a livello internazionale le politiche di Israele e diffondere una immagine positiva del paese. [3] Si suggeriva infatti di: “Ampliare l’ambito di rilevanza penale e le misure sanzionatorie delle condotte di apologia del fascismo. Sanzionare sia la propaganda attiva diretta dei contenuti del partito fascista o nazionalsocialista (produzione, distribuzione, diffusione o vendita di materiale propagandistico, immagini, oggettistica, gadgets, simboli) sia i comportamenti pubblici (simboli e gestualità)”, p. 20. [4] Con “integrale definizione operativa” si intende che sono adottati anche gli undici esempi, come confermato nel testo di presentazione del disegno di legge: “Il presente disegno di legge (…) è finalizzato ad adottare legislativamente la definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA, declinando, sulla scia delle esemplificazioni formulate dalla stessa organizzazione, una serie di manifestazioni di antisemitismo che si traducono in fattispecie di reato punibili a norma della legislazione vigente”. Silvestrini, Ddl GasparriDownload Maria Teresa Silvestrini, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e Scuola per la pace Torino e Piemonte
Bergamo, 27 novembre, Assemblea pubblica con Osservatorio contro la militarizzazione
GIOVEDÌ, 27 NOVEMBRE 2025, ORE 20.00 BERGAMO, CTE DEL VILLAGGIO DEGLI SPOSI, SALA FRATUS Per la prima volta l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università sarà presente insieme agli studenti e alle studentesse universitari/e, ai collettivi palestinesi e alla cittadinanza a Bergamo all’incontro promosso dai Carc, che si terrà giovedì, 27 novembre 2025 presso il CTE del Villaggio degli Sposi, alla Sala Fratus alle ore 20.00. L’incontro approfondirà la relazione tra il mondo dell’istruzione e la filiera bellica. e alcuni rappresenttanti dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università contribuiranno all’iniziativa relazionando sul proprio lavoro di monitoraggio e denuncia. 10-100-1000 Osservatori contro la militarizzazione delle scuole in ogni città! Qui il link del profilo del collettivo universitario, da cui si può scaricare con Q-code: https://www.instagram.com/p/DDxKUpoMLH1/?igsh=aW95cmRya3dqOXZz   
Verona, 23 novembre: Convegno “Dalla Flotilla alla tregua. Quale futuro per la Palestina?”
DOMENICA, 23 NOVEMBRE, ORE 17:00 SALA CONFERENZE CENTRO TOMMASOLI, VIA L. PERINI, 7, VERONA L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università organizza a Verona un evento pubblico sulla drammatica situazione della Palestina dal titolo: Dalla Global Sumud Flotilla alla “tregua”. Quale futuro per la Palestina? L’iniziativa avrà luogo domenica 23 novembre, alle ore 17:00, presso la Sala Conferenze Centro Tommasoli, via L. Perini 7. L’incontro vuol essere un’occasione di confronto sulla grave situazione della Palestina e sulla drammatica congiuntura storica nella quale il diritto internazionale e quello umanitario si stanno rivelando gravemente insufficienti di fronte alle palesi violazioni perpetrate contro la popolazione palestinese. È fondamentale continuare a parlare della Palestina: non possiamo permettere che le sue sofferenze siano dimenticate. Durante l’incontro interverranno: Miria Pericolosi (Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università – Verona) Roberta Leoni (Presidente Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università) Donia Raafat (scienziata politica e attivista per i diritti umani) Antonio Mazzeo (giornalista e scrittore impegnato nei temi della pace e del disarmo, dell’ambiente e della lotta alle criminalità mafiose) Simone Zambrin (attivista della Global Sumud Flotilla) Triestino Mariniello (docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, già nel team legale delle vittime di Gaza di fronte alla Corte penale internazionale) Greta Thunberg (attivista della Global Sumud Flotilla) Moni Ovadia (attore, regista, co-sceneggiatore, musicista) Modera Patrizia Buffa. L’evento è libero e aperto a tutte le persone interessate.
Ecco il testo di riforma della governance degli atenei: e non c’è solo il rappresentante del governo nel CdA
Ecco il testo, finora segreto, della riforma della governance delle università partorito dalla commissione presieduta da Galli Della Loggia. Le due novità più rilevanti si conoscono già: la nomina da parte del ministro di un membro del CDA degli atenei e l’estensione ad 8 anni della durata in carica del rettore. Ma di novità ce ne sono altre. La composizione del CdA è blindata. Si prevedono al massimo 11 membri, già pre-definiti: oltre al membro di nomina governativa, ci saranno il rettore, il candidato rettore che ha perso le elezioni, 5 docenti (tre nominati dal senato, due dal rettore), due componenti esterni nominati dal rettore, uno studente eletto. Con questa struttura il Rettore avrà a suo favore 5 voti, e per garantirsi sempre la maggioranza di 6 a 5 dovrà contare sul voto del membro di nomina governativa. Nel testo della riforma si prevede, non a caso, che tutti i voti avvengano a maggioranza semplice. Da notare che vengono espulsi dal CdA i membri del personale tecnico amministrativo, e viene finalmente eliminata ogni possibilità che i membri vengano eletti, come qualche ateneo ad oggi prevede nel proprio statuto. A metà mandato del rettore si prevede una elezione di conferma, in cui il rettore è l’unico candidato. E in quell’occasione si svolgeranno anche le elezioni per il rinnovo dei direttori di dipartimento, votati in concomitanza con la prima elezione del rettore. Il tutto pensato, evidentemente, per favorire la armoniosa collaborazione tra rettore e direttori. Il testo prevede anche che il rettore sia votato da docenti, personale amministrativo e studenti definendo i pesi relativi del voto. Poiché il voto dei docenti non può pesare meno del 75% e quello degli studenti non può pesare meno del 5% se ne deduce che il 20% del PTA potrà essere compresso secondo necessità, a favore di docenti e/o studenti. Il Senato perde la sua dimensione collegale per essere frammentato in comitati che si occuperanno ciascuno delle “aree di sviluppo strategico dell’ateneo definite nel piano triennale”. Last but not least, il rettore deve tenere conto nella redazione del piano strategico di Ateneo di non meglio definite linee generali di indirizzo stabilite dal Ministro. Dalle indiscrezioni emergeva un quadro preoccupate. Il documento che pubblichiamo mostra chiaramente il disegno accentratrice della riforma. Il rettore dovrà allinearsi necessariamente agli indirizzi ministeriali. Per garantirsi la maggioranza in CDA potrà far conto dei fedelissimi da lui nominati in CDA e dovrà guadagnarsi il voto del rappresentante nominato dal governo. La voce di docenti, studenti e personale amministrativo sarà sempre più flebile. Un modello feudale con i rettori (nominati quasi a vita) nelle mani del ministro, e gli atenei nelle mani dei rettori. ipotesi_testo_riforma_art.2_L.240_Galli_della_Loggia    
Incontro a Bologna contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Si è svolto a Bologna mercoledì 12 novembre un incontro tra Serena Tusini e Giuseppe Curcio dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e alcuni/e docenti e pacifisti/e della città. La questione della militarizzazione delle scuole ha suscitato interesse e molte sono state le domande del pubblico. La discussione si è allargata anche alle università, alla situazione di guerra internazionale, alle attività didattiche percorribili dentro le aule, al contributo che internamente ed esternamente alle scuole può dare chi alla guerra e alla militarizzazione vuole opporsi. L’incontro si è concluso con la volontà di proseguire il percorso sul territorio di Bologna e costruire altri appuntamenti. Qui alcuni scatti della giornata a Bologna.