Il lavoro ripudia la guerra. Manifesto per un diritto del lavoro della paceL’umanità sta attraversando un crinale della storia che rischia di essere senza
ritorno. La guerra e l’uso della forza armata sembrano costituire sempre di più
l’unico mezzo per la risoluzione dei conflitti internazionali e per il
perseguimento di miopi interessi nazionali, dimenticando che l’umanità ha un
unico comune destino.
Il piano di riarmo deciso dall’Unione europea, l’aumento oltre ogni
sostenibilità delle spese militari deciso dalla NATO, la folle corsa agli
armamenti, costituiscono di per sé una “dichiarazione di guerra”, attraverso la
sottrazione di risorse ai diritti fondamentali: la salute, la casa,
l’istruzione, la cultura, la salvaguardia dell’ambiente.
L’economia di guerra condanna per sempre i lavoratori al precariato e allo
sfruttamento ed è incompatibile con un “esistenza libera e dignitosa” (art. 36
Cost.). Essa inoltre comporta una proliferazione delle attività lavorative
connesse con la guerra; la produzione, il commercio ed il trasporto delle armi,
stanno portando ad un crescente coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici in
attività connesse direttamente o indirettamente con il settore bellico
Riteniamo che il movimento sindacale, con il sostegno delle forze della società
civile che hanno a cuore la pace e il disarmo, abbia il dovere di dare una
risposta all’altezza dei tempi al desiderio diffuso di tanti lavoratori e
lavoratrici di sottrarsi agli ordini dei propri datori di lavoro quando questi
sono in esplicito contrasto con i valori di pace e di convivenza umana: oggi più
che mai si pone per i lavoratori il tema della “non collaborazione” con una
economia di guerra e con un sistema di relazioni internazionali fondato sulla
palese violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario. Si tratta
di andare oltre il motto “non in mio nome” e proclamare con azioni concrete “non
con le mie mani, non con le mie conoscenze, non con il mio lavoro”.
Se “l’Italia ripudia la guerra” (art. 11 Cost.) e se “l’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro” (art. 1 Cost.), deve ritenersi coerente con il
dettato costituzionale la volontà dei lavoratori e delle lavoratrici di non
collaborare, di disobbedire, di non effettuare nessuna prestazione lavorativa
che abbia un’attinenza diretta o indiretta con l’economia e la cultura della
guerra, in ogni settore: industriale, della logistica e del trasporto, della
ricerca, dell’istruzione.
Questa volontà di disobbedienza deve potersi manifestare anzitutto con il libero
esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.) e di ogni azione collettiva di
lotta (art. 39 Cost) che si opponga alla guerra e alle politiche di riarmo
L’esercizio di questo diritto per essere davvero libero deve essere svincolato
da ogni controllo del potere esecutivo e della Commissione di garanzia sul
diritto di sciopero, dal momento che è di tutta evidenza che il trasporto e la
movimentazione di armi dentro e fuori il territorio nazionale (a maggior ragione
fuori dal territorio nazionale), non possono essere definiti “servizi pubblici
essenziali” non avendo alcuna attinenza con “il godimento dei diritti della
persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e
alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza
sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione” (art. 1 l. 146/1990) .
Riteniamo, al contrario, che lo sciopero contro le armi e le azioni collettive
sindacali di contrasto alla movimentazione di armamenti costituiscano lo
strumento più idoneo a garantire i principi costituzionali di rifiuto della
guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ed il
rispetto del diritto umanitario ed internazionale.
Ad un tempo riteniamo che debba essere garantito il diritto dei singoli
lavoratori e delle singole lavoratrici di qualsiasi settore o comparto, di
dichiararsi obiettori di coscienza per convincimenti morali, filosofici o
religiosi rifiutando di effettuare la propria prestazione lavorativa se questa è
connessa direttamente o indirettamente con le armi e la guerra ed essere
assegnati a mansioni alternative. Pur auspicando che tale diritto sia garantito
da una norma positiva, riteniamo sussista già nel nostro ordinamento un diritto
all’obiezione di coscienza che trova la sua fonte in principi di diritto
internazionale di diretta applicazione. La coscienza, insieme alla ragione, è
ciò che distingue gli esseri umani, come recita l’art. 1 della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali
in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire
gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”). La Convenzione EDU,
all’art. 9, prevede che “ogni persona” ha diritto alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione, senza alcuna eccezione. L’art. 2 della Costituzione
“riconosce e garantisce” i diritti inviolabili dell’uomo.
Auspichiamo che pertanto venga riconosciuto il diritto di ogni lavoratore e
lavoratrice di rifiutare per motivi di coscienza di effettuare la prestazione
lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente all’economia e
alla cultura della guerra e di essere assegnato/a ad attività alternative.
Siamo convinti che lo sciopero, la disobbedienza, l’azione collettiva ed il
rifiuto individuale da parte dei lavoratori e delle lavoratrici possano
costituire la più efficace forma di lotta nonviolenta e possano fermare i
signori della guerra e la follia del riarmo, consentendo alla Repubblica,
fondata sul lavoro, di ripudiare la guerra e bandirla dalla storia.
Per aderire: illavororipudialaguerra@gmail.com
Firmatari:
Alessandra Algostino (costituzionalista – Università Torino)- Michela Arricale
(avv. Co-Presidente CRED) – Olivia Bonardi ( giuslavorista, Università di
Milano) – Silvia Borelli (giuslavorista Università di Ferrara) -Marina Boscaino
(Portavoce dei Comitati contro ogni Autonomia differenziata) – Piera Campanella
(giuslavorista, Università di Urbino) – Giulio Centamore (giuslavorista
Università di Bologna) – Chiara Colasurdo (avv. CEING) – Andrea Danilo Conte
(avv. CEING) – Antonello Ciervo (costituzionalista) – Giorgio Cremaschi
(sindacalista) – Claudio De Fiores (Presidente Centro Riforma dello Stato,
costituzionalista) – Aurora D’Agostino (copresidente Associazione Giuristi
Democratici) – Beniamino Deidda (magistrato, ex Procuratore generale Firenze) –
Antonio Di Stasi (giuslavorista Università Politecnica delle Marche) – Riccardo
Faranda (avv. CEING) – Cristiano Fiorentini (Es. Naz. USB) – Domenico Gallo
(magistrato, già Consigliere Corte di Cassazione) – Andrea Guazzarotti
(costituzionalista Università Ferrara) -Carlo Guglielmi (avv. CEING) – Roberto
Lamacchia (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Antonio Loffredo
(giuslavorista Università di Siena) – Guido Lutrario (Es. Naz. USB) – ⁹Fabio
Marcelli (giurista internazionalista Co-Presidente CRED) – Federico Martelloni
(giuslavorista Università Bologna) – Roberto Musacchio (già parlamentare
europeo) – Valeria Nuzzo (giuslavorista Università Campania) – Giovanni
Orlandini (giuslavorista Università Siena) – Francesco Pallante
(costituzionalista Università Torino) – Paola Palmieri (Cons. Cnel per USB) –
Alberto Piccinini (Presidente Comma 2) – Giancarlo Piccinni (Presidente
Fondazione Don Tonino Bello) – Franco Russo (già parlamentare, CEING) – Giovanni
Russo Spena (già parlamentare) – Arturo Salerni (avv. CEING) – Jacobo Sanchez
(avv. CEING), Simone Siliani (Direttore Fondazione Finanza Etica) – Carlo Sorgi
(magistrato, già Presidente Tribunale Lavoro Bologna) – Francesco Staccioli (Es.
Naz. USB) – Anna Luisa Terzi (magistrato, già Consigliere Corte appello Trento)
– Associazione Comma 2 – Associazione Giuristi Democratici – Pax Christi Italia