Erano più di 100 i “turisti mercenari” italiani che pagavano per uccidere civili a Sarajevo
Quando l’apertura dell’inchiesta da parte del pm Alessandro Gobbis è stata resa
nota alla stampa, si parlava del coinvolgimento di “almeno cinque stranieri”
citati direttamente dalla fonte, dei quali tre sarebbero stati italiani: “Un
uomo di Torino, uno di Milano e l’ultimo di Trieste”.
Quelle sono solo le persone che sono coinvolte nell’indagine sin dall’inizio, ma
negli ultimi mesi sono state sentite molte altre persone e più fonti, riuscendo
ad avere un numero esatto.
“Posso dire che sono sicuramente più di cento gli italiani coinvolti nei safari
umani” – ha dichiarato a Fanpage.it la criminologa Martina Radice, la quale ha
lavorato insieme al giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni nell’elaborazione
dell’esposto che ha dato il via all’inchiesta della Procura di Milano sui
“turisti di guerra” che, durante l’assedio serbo, nei fine settimana si recavano
nella capitale bosniaca per sparare ai civili dietro il pagamento di elevate
somme di denaro.
L’esposto di Gavazzeni si basa su quanto affermato da un ex agente dei servizi
segreti bosniaci. L’ex 007 ha riferito di numerose persone che negli anni
dell’assedio di Sarajevo, tra il 1992 e il 1996, venivano “accompagnati a
sparare ai civili” dalle colline che circondano la capitale bosniaca.
La criminologa Radice, alla quale si è rivolta Gavazzeni oltre un anno e mezzo
fa, ha allegato all’esposto del giornalista una consulenza nella quale ha
stilato un profilo di questi soggetti, affermando:
“Parliamo di persone che oggi potrebbero avere tra i 60 e gli 80 anni, perché
all’epoca negli anni ’90 erano molto giovani, tra i 30 e i 40 anni d’età. Sono
soggetti con una elevatissima disponibilità economica, sicuramente sopra la
media, che stavano ai piani alti della società e che soprattutto avevano come
denominatore comune la passione per la caccia. Sappiamo che questi stessi
soggetti già facevano safari illegali, andando a uccidere elefanti, leoni e
altri animali di grossa taglia. Fonti sempre più certe ci hanno fornito altri
dettagli, di cui però ancora non possiamo parlare per via delle indagini. Tra di
loro si chiamavano “arcieri” e oggi possiamo definirli anche come serial killer.
(…) Il problema principale è che quando pensiamo a un serial killer, lo
immaginiamo come un soggetto ai margini della società, che ha disturbi mentali
più o meno evidenti, isolato anche dal punto di vista fisico. Qui, però, si
tratta di persone che occupano i corridoi del potere e che vivono nel lusso. Ci
sono soggetti che lavoravano come medici, magistrati, avvocati, notai e
imprenditori che dal lunedì al venerdì svolgevano normalmente la loro attività e
godevano del riconoscimento della società, poi il venerdì sera partivano e
andavano a sparare a persone inermi. Un contrasto che possiamo identificare
nella psicopatia d’élite, dove il soggetto riesce tranquillamente a vivere
entrambe le facce della stessa medaglia. Stiamo parlando di persone che potevano
spendere senza problemi anche quelli che oggi sarebbero 300mila euro in un
weekend solo. (…) Secondo me, sono soggetti che ancora oggi sono altamente
pericolosi. La domanda è proprio questa: finita la guerra in Bosnia, dove sono
andati, cosa hanno fatto? (…) È possibile, dunque, che una volta terminata la
guerra, negli anni seguenti questi soggetti abbiano commesso altri tipi di
reati. Potrebbero essere investimenti pericolosi nel mondo degli affari, o
maltrattamenti contro la compagna, o comunque episodi di violenza che non hanno
avuto grande copertura giornalistica. Comunque sia, ancora oggi il turismo di
guerra è presente. A Gaza arrivano turisti per fare picnic mentre con il
binocolo guardano le bombe esplodere e le persone morire.”
Per poter uccidere civili a Sarajevo i “turisti della guerra” sarebbero arrivati
a pagare anche 300mila euro di oggi in un solo weekend. Per questo motivo,
secondo Radice, si trattava di persone “che si trovavano tra i piani alti della
società, e che avevano la passione della caccia”, come “medici, magistrati,
avvocati, notai e imprenditori che dal lunedì al venerdì svolgevano normalmente
la loro attività e godevano del riconoscimento della società, poi il venerdì
sera partivano e andavano a sparare a persone inermi”.
Secondo Radice, questi “turisti di guerra” non sarebbero stati animati da odio
religioso o ideologie politiche, ma “solo dalla ricerca della pura adrenalina”.
Mentre la Procura di Milano ha aperto un fascicolo per omicidio volontario
plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà, dopo l’esposto presentato dal
giornalista Enzo Gavazzeni, con il supporto degli avvocati Guido Salvini e
Nicola Brigida, il dottor Gianni Tognoni torna su quei terribili anni della
guerra nell’ex Jugoslavia.
“In quelle udienze pubbliche, a un certo punto, è venuto fuori da testimonianze
dirette di esuli della Bosnia, che c’erano civili di altri Paesi, alcuni anche
dal Nord Italia, che avevano trasformato le loro cacce di selvaggina in caccia
all’uomo, organizzati e pagando” – aveva affermato a Fanpage.it il dottor Gianni
Tognoni, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli che si era
occupato nel 1995 dei crimini contro la neonata Bosnia Erzegovina, durante
l’assedio di Sarajevo (1992-fine 1995) e il massacro di Srebrenica.
“Siamo stati i primi a fare un Tribunale pubblico per quello che stava
succedendo nell’ex Jugoslavia, per esprimere un parere indipendente. Allora non
c’era ancora la Corte penale internazionale, quella guerra ci aveva fatto fare
urgentemente una sessione a Berna con il supporto dell’Unione degli avvocati
svizzeri”, ci racconta Tognoni.
“Dal punto di vista formale quello dei cecchini europei che andavano a sparare
era diventato un problema su cui indagare”, come raccontato dalle testimonianze
degli esuli bosniaci riparati in Europa. “Noi non avevamo il potere penale di
investigare – continua Tognoni – ma segnalavamo il problema. Era chiaro che
qualcuno doveva prendere in mano la cosa, per approfondire” soprattutto sugli
italiani coinvolti.
Il Tribunale Permanente dei Popoli è un organismo indipendente, nato nel 1979,
per promuovere i diritti umani. Anche grazie al lavoro svolto all’epoca da
questa organizzazione, si sono riaccesi i riflettori sui “Safari umani”
organizzati durante l’assedio di Sarajevo, quando dalle colline sulla città,
oltre ai militari e paramilitari serbi e serbi-bosniachi, anche civili arrivati
da Paesi europei avrebbero sparato sulla popolazione inerme.
L’assedio di Sarajevo, con i militari schierati sulle colline e la città
isolata, ha provocato più di diecimila vittime tra cui oltre 1500 bambini: per
questo una corte speciale, il Tribunale penale internazionale per la ex
Jugoslavia, ha condannato nel 2016, tra gli altri, l’ex presidente della Serbia
Slobodan Milosevic e il capo dei serbi-bosniaci e comandante militare Radovan
Karadzic.
I crimini commessi all’epoca non si prescrivono. E l’inchiesta di Milano
potrebbe portare all’identificazione degli autori: “Confidiamo ci siano
risultati significativi” spiega a Fanpage.it l’avvocato ed ex giudice di Milano
Guido Salvini che ha curato l’esposto.
“È possibile procedere anche in Italia – continua l’avvocato Salvini – perché
trattandosi di omicidi per motivi abietti sono punibili con l’ergastolo e sono
punibili anche se un italiano li ha commessi in altri Paesi”.
Lorenzo Poli