Quell’eco femminista del Rojava
CURA DELLA TERRA E AUTODETERMINAZIONE Nel nord-est della Siria, devastato da
occupazione e cambiamento climatico, le donne sono al centro della rivoluzione
ecologista
Nel contesto del nord-est della Siria, segnato da anni di conflitto armato, da
un regime di sanzioni internazionali e dalla costante pressione esercitata da
confini ostili, ha preso forma un esperimento politico e sociale di democrazia
innovativa. Siamo nel Kurdistan siriano, il Rojava, e qui L’Amministrazione
Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est (Daanes), sorta in risposta
al vuoto istituzionale generato dalla guerra civile siriana e alimentata da un
lungo percorso di elaborazione teorica, si configura come un laboratorio di
autogoverno fondato sulla ridefinizione del rapporto tra società, genere e
ambiente. Nella riflessione politica di Abdullah Öcalan – teorico della
rivoluzione confederalista – la subordinazione della natura e l’oppressione
delle donne sono letti come manifestazioni interconnesse di un medesimo sistema
di dominio, dove liberazione femminile e tutela degli ecosistemi sono elementi
dello stesso processo di emancipazione.
«SONO I PILASTRI fondanti della Daanes su cui abbiamo costruito le nostre
istituzioni – spiega al manifesto Berivan Omar, la co-presidente della
municipalità di Qamishlo – A partire dal sistema elettorale e rappresentativo:
tutte le cariche istituzionali hanno la co-presidenza di un uomo e una donna».
Inoltre «ogni ente della Daanes dedica il 10% dell’introito a progetti per
l’emancipazione femminile – continua – Sono state istituite commissioni delle
donne in ogni cantone, con sezioni autonome e piena autonomia decisionale sulle
questioni che le riguardano».
Lo stesso vale per le politiche di impronta ecologista: «La Commissione per
l’Ecologia è presente in tutti i cantoni ed è trainata da un coordinamento delle
donne che ha l’obiettivo di contrastare il capitalismo estrattivo che sfrutta le
risorse naturali, noncurante delle conseguenze sociali e ambientali – spiega
Virona, co-presidente dell’Accademia dell’Ecologia di Amuda – Promuoviamo
iniziative per costruire un modello economico che antepone la giustizia sociale
al profitto».
GULISTAN ISSA, project manager di Un Ponte Per, racconta: «Nel nord-est della
Siria abbiamo avviato il primo programma di compostaggio, trasformando i rifiuti
organici domestici e di mercato in compost di qualità. Il progetto è un esempio
concreto di economia circolare e partecipazione comunitaria. Il compost
contribuisce alla salute del suolo e riduce l’uso di fertilizzanti chimici».
Parallelamente, l’organizzazione promuove campagne di sensibilizzazione per
incoraggiare la separazione dei rifiuti e migliorare le pratiche di riciclo.
«Abbiamo realizzato una piccola stazione di raccolta a Heseke – spiega Gulistan
– creando opportunità di lavoro per chi si occupa della raccolta e della
selezione dei rifiuti. Il nostro compost ha migliorato la qualità del suolo,
mentre la sensibilizzazione ha portato a un cambiamento concreto nelle abitudini
delle famiglie».
Issa racconta inoltre come, per affrontare la crescente insicurezza energetica,
Un Ponte Per abbia avviato una collaborazione con le istituzioni locali per
promuovere le fonti rinnovabili, in particolare attraverso l’installazione di
pannelli solari. L’obiettivo è ridurre la dipendenza da un sistema elettrico
instabile e garantire un accesso continuo all’energia, soprattutto in ambiti
essenziali: «In questo quadro, il progetto EcoEnergy, avviato nel 2024, ha
portato impianti solari in strutture sanitarie strategiche, assicurando la
corretta conservazione di medicinali e vaccini, il funzionamento di laboratori e
farmacie e la continuità dei servizi sanitari di base».
Dal punto di vista socio-economico, nel nord-est della Siria prevale il modello
delle cooperative: eco-comunità decentralizzate e autogestite. «Il nostro
modello economico – spiega Berivan Omar – si basa su cooperative locali attive
in agricoltura, allevamento e artigianato, con l’obiettivo di garantire
l’autosufficienza della regione. Sono monitorate per rispondere ai bisogni della
popolazione e tutelare l’ambiente».
LE DONNE HANNO assunto un ruolo centrale, puntando all’autonomia economica e
alla cura del territorio. Ma esistono altri esempi comunitari completamente
gestiti da donne: comuni eco-femministe, molte delle quali abitate solo da donne
e bambini. Il villaggio di Jinwar è la prima esperienza ad aver tracciato questo
modello negli ultimi anni. Si raggiunge in un’ora e mezza di auto dalla città di
Heseke, in una delle zone più rigogliose dell’area. «Jinwar è l’esempio vivente
della pratica eco-femminista, dove una gestione della terra comunitaria e
ecologista si unisce all’indipendenza economica e culturale da un modello
sociale patriarcale», spiega Virona.
L’idea fondante del villaggio di Jinwar consiste nel dare un posto sicuro alle
donne che vogliono rendersi autonome, imparare a lavorare la terra, gestire una
cooperativa o costruire una casa per essere psicologicamente e materialmente più
autonome una volta rientrate in società. «Le donne rimangono uno, due o tre anni
per poi costruirsi una nuova vita – racconta al manifesto Shilan, una delle
donne che abita nel villaggio – Il nostro obiettivo è quello di recuperare
l’indipendenza originaria delle donne, a partire dalla terra che coltivano.
Oltre all’agricoltura studiamo la Jineoloji (la scienza sociale che mette al
centro la donna come chiave per comprendere e trasformare la società), ci
dedichiamo a istruire i figli del villaggio e ad attività come la farmacia
naturale».
«DA QUANDO ESISTE il villaggio, questo territorio è sempre stato in guerra.
Adesso le cose potrebbero cambiare, ma è difficile fidarsi dei turchi»,
riprende. L’elemento ambientale nella strategia militare turca ha nel tempo
assunto una centralità crescente, configurandosi come uno strumento di pressione
sistemica nei confronti della Daanes. Il controllo delle acque dell’Eufrate e i
bombardamenti mirati contro infrastrutture idriche ed elettriche rappresentano
una vera e propria guerra ecologica, con gravi ricadute sulla popolazione
civile. «Gli attacchi a Serekaniye, Girespi e Efrin – dice Berivan Omar – hanno
colpito duramente l’approvvigionamento idrico, in particolare a Heseke, dove la
popolazione è rimasta a lungo senz’acqua e ha dovuto dipendere da fonti
esterne».
LE CONSEGUENZE ambientali della guerra e dell’occupazione si manifestano in
maniera profonda e trasversale, colpendo tanto gli ecosistemi quanto le
strutture sociali della zona, la qualità dei terreni e intaccando il sistema di
smaltimento dei rifiuti. In questo contesto, la resistenza ecologica si
configura come una dimensione costitutiva del processo di autodeterminazione.
«Qui le donne non solo partecipano alla formazione tecnica e alla gestione
dell’acqua e dell’energia solare nelle abitazioni, ma si assumono la
responsabilità quotidiana delle soluzioni ecologiche introdotte», racconta
Gulistan Issa. «Stiamo lavorando a leggi regionali per riportare la società
verso uno stile di vita armonico con la natura, ancora praticato in molti
villaggi», conclude Berivan Omar. In Rojava, un territorio devastato
dall’occupazione e dal cambiamento climatico, la rinascita passa dalla
connessione tra donne, terra e autogoverno.
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