Il governo di Tripoli arresta il torturatore Almasri liberato dal governo Meloni
1. Su espressa richiesta della Corte Penale Internazionale, e su ordine della
Procura generale di Tripoli, forze di sicurezza legate al “governo provvisorio”
guidato dal premier Dbeibah hanno arrestato il torturatore Almasri, già capo
della polizia giudiziaria libica, dopo che lo scorso gennaio il governo
Meloni, con la complicità della Corte di Appello di Roma, lo aveva rimesso in
libertà per cavilli formali privi di base legale, per rimandarlo in Libia con un
volo di Stato, malgrado il mandato di cattura internazionale pendente sul suo
capo. Un arresto che viene dopo il recente pronunciamento della Camera
preliminare della Corte dell’Aja per la violazione da parte dell’Italia degli
obblighi internazionali di cooperazione sanciti dall’art. 87(7) dello Statuto di
Roma.
L’arresto di Almasri potrebbe essere inquadrato nell’ambito di un ennesimo
regolamento di conti tra le milizie libiche che nel tempo hanno sostenuto
Dbeibah, con il consenso della comunità internazionale. In particolare la
milizia RADA, Forza Speciale di Deterrenza per la Lotta al Terrorismo e alla
Criminalità Organizzata, alla quale appartiene Almasri, era in contatto diretto
con le autorità italiane, in quella che si definisce come “lotta
all’immigrazione illegale”, anche se si rivolge verso richiedenti asilo e
persone vulnerabili che in Libia, tanto in Tripolitania, che nel Fezzan e nella
Cirenaica, governate da diverse entità politiche e militari, sono soggette ad
ogni tipo di abuso.
Come avvertivano, ancora pochi mesi fa, i servizi segreti italiani, nel corso
dell’indagine del Tribunale dei ministri, anticipando una linea sulla quale è
ancora attestato il governo Meloni, la liberazione di Almasri era imposta
dall’esigenza di non mettere a rischio la «collaborazione molto proficua» in
campo giudiziario che l’Aise ha con la Rada per il contrasto ai «traffici di
esseri umani, oli, combustibili e stupefacenti, o attività terroristiche».
2. Le più recenti dichiarazioni del governo italian, che afferma di essere a
conoscenza da gennaio di un mandato di cattura a carico di Almasri emesso dalle
autorità di Tripoli, sono una conferma delle menzogne e delle contraddizioni
sulle quali si è basato il rifiuto del Parlamento di fronte alla richiesta di
autorizzazione a procedere richiesta del Tribunale dei ministri nei confronti
dei politici che avevano liberato Almasri e con la loro inerzia ne avevano
favorito il rientro in Libia da trionfatore. Successivamente la missione delle
Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) aveva chiesto alle autorità tripoline “di
arrestarlo e di aprire un’indagine su questi crimini per garantire la piena
responsabilità, oppure di trasferirlo alla CPI”.
A luglio la Corte penale internazionale emetteva un mandato di cattura per “Al
Buti”, altro capo-milizia libico, che veniva arrestato dalla polizia tedesca a
Francoforte per i crimini commessi in Libia al fianco del generale Almasri.
Mentre in Italia si cercava di bloccare, ed alla fine si chiudeva con un voto
del Parlamento, esclusa la posizione di una funzionaria ministeriale, l’indagine
del Tribunale dei ministri sui possibili reati commessi da membri del governo
italiano che avevano contribuito al ritorno di Almasri, a piede libero, a
Tripoli.
3. La Corte d’appello di Roma ha sollevato questione di legittimità
costituzionale sul ruolo attribuito al ministro della Giustizia dalla legge
italiana di recepimento dello statuto della Corte penale internazionale (la
237/2012). Si attende anche il pronunciamento della Corte
Costituzionale, investita per opposte ragioni, dal governo italiano e da una
vittima del torturatore libico, per risolvere un grave conflitto di
attribuzioni determinato dal voto del Parlamento su un caso che andava rimesso
all’esame dell’autorità giudiziaria italiana. Anche perché il reato di tortura è
un reato universale, che può essere perseguito in base al codice penale italiano
(art. 613 c.p.), ovunque sua stato commesso.
Nel frattempo una vittima di Almasri, detenuta illegalmente in Libia, ha
presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro l’Italia per
la mancata cooperazione alle indagini e al procedimento avviato dalla Corte
Penale Internazionale (CPI). Anche se la giustizia italiana sarà costretta a
bloccare le sue indagini per ragioni politiche, si può attendere che le
giurisdizioni internazionali chiariscano tutte le responsabilità e le
complicità che hanno prodotto in centinaia di casi sparizioni forzate, torture,
estorsioni e ricatti incrociati che hanno raggiunto, per sua stessa ammissione,
persino il governo italiano. Almasri avrà sicuramente molte nefandezze da
raccontare, e potrebbe essere scoperta una fitta rete di contatti a livello
internazionale, che ne hanno favorito le attività illegali, se sarà consegnato
alla Corte Penale internazionale.
Altrimenti, se resterà in custodia a Tripoli, qualcuno potrebbe chiudergli
definitivamente la bocca, come hanno fatto lo scorso maggio con il capo milizia
Abdel Ghani al-Kikli, altro alleato dell’Italia, come capo dell’Apparato di
supporto alla stabilità (SSA), prima vicino al premier Dbeibah, nel contrasto
all’immigrazione irregolare (anche lui accusato di gravi violazioni dei diritti
umani), ucciso al suo rientro in Libia, dopo un soggiorno a Roma, ed anche dopo
la rottura dei suoi rapporti con il governo di Tripoli.
4. La proroga del Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli si
presenta così come una ennesima ratifica di un modello di esternalizzazione dei
controlli di frontiera che produce illegalità, un modello di cooperazione di
polizia che parte da lontano, addirittura dal Protocollo aggiuntivo
tecnico-operativo del 2007 (governo Prodi) poi recepito dal Trattato di amicizia
tra Berlusconi e Gheddafi del 2008, e che ha ampiamente dimostrato di produrre
migliaia di vittime innocenti, nei territori libici ed in acque internazionali,
e di favorire la proliferazione di milizie criminali che utilizzano i corpi dei
migranti per guadagnare vantaggi politici e utilità economiche. Con la
complicità dell’Unione Europea, sempre più impegnata nella collaborazione con i
libici attraverso l’agenzia Frontex, che adesso sta aprendo anche al generale
Haftar, ma soprattutto con la connivenza delle autorità italiane che hanno
collaborato e continuano a collaborare in Libia con soggetti accusati di avere
commesso gravissimi reati, veri e propri crimini contro l’umanità.
La situazione di costante violazione dei diritti umani caratterizza anche la
parte del territorio libico controllata dal generale Haftar, corteggiato dal
governo italiano e dalle cancellerie europee malgrado la sua dipendenza dalla
Russia ed i crimini contro l’umanità che gli vengono contestati. Il generale,
spalleggiato dai figli, ha persino bandito l’Agenzia delle Nazioni Unite per i
rifugiati (UNHCR).
Secondo quanto comunicato dall’agenzia NOVA, l’Agenzia di sicurezza interna
della Libia (Asi), legata alle autoproclamate Forze armate arabe libiche (Faal),
una entità militare operante nell’est e nel sud del paese, guidata adesso
da Ousama Al-Dressi ed in passato da Saddam Haftar, figlio del generale Khalifa
Haftar, storicamente vicino alla Russia, una agenza di sicurezza riconosciuta
con la stessa denominazione anche dal governo di Tripoli, ha annunciato la
“sospensione” delle attività di dieci organizzazioni non governative
internazionali, tra cui anche diverse ONG italiane, e dell’Alto commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr)
L’Asi accusa queste entità di “attività ostili” volte a minare la sovranità
dello Stato libico, alterarne l’equilibrio demografico e favorire il radicamento
dei migranti irregolari nel Paese. Sul piano delle violazioni e degli abusi
commessi ai danni delle persone migranti entrambi i governi paralleli che si
dividono la Libia sembrano trovare una intesa armata, dietro una apparente
legalità.
5. Le dichiarazioni del premier libico Dbeibah di volere ripristinare lo Stato
di diritto e di bloccare le milizie che gestiscono centri di detenzione
extragiudiziaria non corrispondono ai fatti, perché anche nei centri
“governativi” continuano gravissimi abusi ai danni delle persone migranti. Le
attività di ricerca e salvataggio che sarebbero delegate alla sedicente Guardia
costiera libica assumono sempre più il caratterere di intercettazioni violente,
se non di aggressioni vere e proprie in acque internazionali, come testimoniano
inequivocabilmente i corpi dei migranti che riescono ad essere soccorsi dalle
ONG o che raggiungono in autonomia Lampedusa, mentre l’impegno degli assetti
navali italiani si limita ormai alle acque territoriali ed a una parte della
zona SAR di loro competenza. Per non parlare della sistematica omissione di
soccorso imputabile alle autorità maltesi, sulla base di accordi di polizia
marittima in cooperazione con i libici.
Negli ultimi mesi in diverse occasioni i guardiacoste libici hanno aperto il
fuoco sui barconi e sulle navi umanitarie per uccidere, e si stratta di forze
direttamente collegate al governo di Tripoli guidato da Dbeibah che adesso si
erge a paladino della legalità. La Corte di Appello di Catanzaro ha annullato
definitivamente un fermo amministrativo imposto ad una ONG in base al decreto
Piantedosi del 2023, affermando che “la Guardia Costiera libica non è un
soggetto legittimo per le operazioni SAR“. Ma quella stessa Guardia costiera è
un pilastro fondamentale del governo di Tripoli nella gestione dei rapporti
politici ed economici con l’Italia e con l’Unione europea.
Non stupisce che in questa situazione anche le autorità di Tripoli
abbiano imposto ad organizzazioni umanitarie come Medici senza frontiere (MSF)
di abbandonare il paese, circostanza che conferma come l’arresto di Almasri non
corrisponda affatto ad un ripristino della legalità in Libia, o quantomeno nella
Tripolitania.
E bene hanno fatto le Organizzazioni non governative che operano attività di
soccorso nel Mediterraneo centrale a creare finalmente un fronte
unico, avvertendo che da oggi in poi non comunicheranno più con la sedicente
Guardia costiera libica, responsabile nelle sue diverse articolazioni di avere
intercettato in acque internazionali decine di migliaia di persone, e di averle
rigettate nelle mani di criminali come Almasri e Al-Kikli, con la complicità
manifesta delle autorità europee ed italiane.
Fulvio Vassallo Paleologo