La riforma enigmistica: unire i puntini
Il gioco di questa legislatura si chiama “Unisci i puntini”. Si corre con un
tratto di penna dal disegno di legge costituzionale sul premierato a quello
sulla separazione delle carriere, passando per il decreto sicurezza e
l’autonomia differenziata. L’ultimo “puntino” è quello dei provvedimenti in
materia di università, su cui sono in preparazione tre atti normativi: 1) un
disegno di legge all’esame del Senato che modifica il sistema di selezione e
reclutamento; 2) uno schema di regolamento governativo che interviene sulla
composizione e le garanzie di indipendenza dell’Anvur; 3) un terzo provvedimento
che, in violazione dell’autonomia universitaria prevista in Costituzione,
prefigura consigli di amministrazione con componenti di nomina politica e
rettori che agiscono sotto l’occhiuta vigilanza del ministro. Unendo i punti, il
profilo che esce è una figura dai tratti autoritari: riduzione del pluralismo
costituzionale, mortificazione dei diritti individuali, crescente
verticalizzazione del potere. Quale futuro per la nostra collettività se
venissero meno i pochi luoghi in cui si invitano i giovani a liberamente
pensare, dissentire, criticare, e, in definitiva, a immaginare un futuro
differente?
Il gioco di questa legislatura, che forse non tutti hanno ancora provato a fare,
si chiama “Unisci i puntini”. Si corre con un tratto di penna dal ddl
costituzionale sul premierato a quello sulla separazione delle carriere,
passando per il decreto sicurezza e l’autonomia differenziata, e il profilo che
esce è una figura dai tratti autoritari: la riduzione del pluralismo
costituzionale, fatto di equilibrio tra poteri e tra Stato ed autonomie, la
mortificazione dei diritti individuali, la crescente verticalizzazione del
potere.
L’ultimo “puntino”, che a breve andrà ad unirsi agli altri, è quello dei
provvedimenti in materia di università, su cui sono in preparazione tre atti
normativi.
Col primo, un ddl all’esame del Senato, si modifica il sistema di selezione e
reclutamento di professori e ricercatori, abbandonando qualsiasi tentativo – pur
insoddisfacente e perfettibile come l’attuale – di trasparenza e oggettività, e
si ritorna ai concorsi locali, dove il nepotismo e gli abusi sono stati per anni
alla radice di un diffuso malcostume accademico che troppo spesso esclude dalla
docenza universitaria chi è fuori dalle cordate. Ciò avverrà in spregio ai
principi costituzionali in tema di trasparenza, buon andamento
dell’amministrazione, parità di chances, oltre che al principio di legalità.
Oltretutto, senza risolvere il problema dei precari, che ammontano ormai a metà
del corpo docente italiano.
Nel secondo progetto, uno schema di regolamento governativo, si interviene sulla
già discussa composizione e sulle garanzie di indipendenza dell’Anvur, la
costosissima agenzia di valutazione a tutela della “meritocrazia” del sistema
universitario. L’Anvur negli ultimi quindici anni ha iper-burocratizzato
l’attività di chi fa ricerca, divenendo l’incubo di chiunque lavori negli
atenei, costringendo i professori a dedicare larga parte del tempo a redigere
montagne di carte inutili, anziché occuparsi di didattica e ricerca. Ciò che non
si poteva immaginare è che la proposta ampliandone i poteri e rivedendo la
composizione dell’Anvur, riducendo il numero dei componenti, avrebbe inciso
ulteriormente sul pluralismo scientifico e culturale presente in seno
all’organismo. Da anni si lamenta quanto siano flebili le garanzie di
indipendenza dell’Anvur a fronte di compiti che incidono sulla libertà di
ricerca prevista dall’art. 33 della Costituzione, visto che sulla base delle sue
procedure e decisioni, non sempre trasparenti e inattaccabili, si erogano i
finanziamenti agli atenei e si valuta la ricerca e il reclutamento di docenti e
ricercatori. A fronte di ciò, l’unico organo di rappresentanza plurale ed
elettiva del sistema universitario, il Consiglio Universitario nazionale, il
CUN, che il Ministro dovrebbe consultare (soprattutto in momenti di così intenso
lavoro legislativo), vede metà dei suoi componenti scaduti da undici mesi e non
si ha notizia di una regolare ripresa delle votazioni per rinnovarne la
composizione.
Dulcis in fundo, nel terzo provvedimento, preparato da un tavolo di lavoro di
nomina ministeriale, sembra prepararsi la stretta definitiva sul sistema
universitario, già pesantemente condizionato dalla legge Gelmini del 2010. In
violazione dell’autonomia universitaria prevista in Costituzione, funzionale
alle libertà di ricerca e insegnamento che tutelano docenti e studenti, si
prefigura una governance delle università di diretta derivazione governativa:
Cda con componenti di nomina politica, rettori che agiscono sotto l’occhiuta
vigilanza del ministro e da cui dipenderanno a catena tutte le cariche interne
agli atenei (i cui mandati vengono allineati alla durata di quello dei rettori).
Sta maturando, insomma, il passaggio dalla visione neoliberale di un’università
azienda, incaricata di produrre il capitale umano necessario al mercato del
lavoro, che già tradiva la missione costituzionale di offrire ai più giovani
strumenti per la lettura critica del reale, a un’università che sembra
preannunciarsi destinata a finire sotto il tacco del ministro di turno,
gerarchizzata e sempre meno libera, come purtroppo inizia a trasparire dalle
lettere con cui nelle scorse settimane, dalle stanze del ministero, si sono
invitati i rettori a vigilare sul rispetto delle leggi da parte di studenti e
personale accademico. Dalle università in molti hanno replicato auspicando, con
tutto il rispetto, che al ministero si faccia altrettanto, prestando attenzione
al rispetto della legalità, compresa quella costituzionale.
Resta la preoccupazione su quale futuro si prospetti per la nostra collettività
se i timori qui espressi fossero fondati, e venissero meno i pochi luoghi in cui
si invita a liberamente pensare, dissentire, criticare, e stimolare le giovani
menti a ragionare, creare, in definitiva immaginare un futuro differente.
Pubblicato sul Fatto Quotidiano del 7 novembre 2025