Un incontro per riprendere il cammino con a fianco Marco Il gruppo Organizzatori “In cammino per la pace e il disarmo” si è ritrovato il
26 ottobre 2025 a Pracchia per ricordare Marco Frigerio, mente e importante
riferimento del gruppo, che se ne è andato il 7 agosto u.s. lungo il sentiero
della seconda tappa del percorso partito da Monte Sole e che avrebbe dovuto
portare il gruppo a Sant’Anna di Stazzema per la ricorrenza del 12 agosto.
L’incontro è partito proprio dalle parole di Marco che ricordavano l’emozione
dell’incontro con i ragazzi del “campo della pace”, dei 54 conflitti che
affliggono questo momento e delle pesanti responsabilità / interessi del mondo
occidentale, del suo neo colonialismo mai terminato, della necessità del ripudio
della guerra come soluzione dei conflitti, dello stretto collegamento fra
antifascismo e pacifismo, ma anche con la parità dei diritti / femminismo
intersezionale.
Il gruppo ha condiviso di partire dalla volontà di coltivare l’idea di “un’altra
memoria”, a partire dalla necessità di rinnovare la cerimonia per il ricordo
dell’eccidio a Sant’Anna di Stazzema e recuperarne il vero senso, lontano dalle
attuali parate, di aprire lo sguardo non solo a tutti gli eccidi in cui gli
italiani sono stati vittime, ma anche dove sono stati invece i carnefici, come
in Jugoslavia, Grecia, Albania…
Riportiamo un estratto delle parole di Marco Frigerio all’alba del 12 agosto
2023 alla Vacchereccia (Sant’Anna di Stazzema) che sono ancora pienamente
attuali alla luce del percorso della guerra in Ucraina e di quanto sta
succedendo in Medio Oriente e in particolare a Gaza e in Cisgiordania.
“Io faccio come sempre il primo intervento, supero la pausa del silenzio. Parto
da me: per me è stato un cammino bellissimo. Mi emoziono a pensarci. È stato
bellissima la giornata di ieri, quando sono venute qui le ragazze del campo
della pace. Probabilmente l’emozione più forte.
Vedere dei giovani e delle giovani che sono capaci di fare questa scelta, che è
una scelta politica, per la pace. Oggi in Europa, dire “io sono da parte della
pace”, pronunciare la parola utopia, è una scelta politica bellissima, che
prescinde ovviamente dai partiti, che prescinde dagli schieramenti, che diventa
quello che si vuole essere per la comunità.
In qualche modo è veramente un puntello che aiuta noi, che tutto sommato un
partner purtroppo ce l’abbiamo. Questi ragazzi che ho incontrato la prima volta
nel 2019 qui, a volte hanno, soprattutto i ragazzi tedeschi, un dubbio: quello
di essere qua in qualche modo “fuori posto”. Di essere gli eredi veramente di
quello che è successo là, qui e in tutto il distretto. E noi siamo i primi a
dirgli che non sono stati tedeschi, sono stati nazisti.
Ma è un ragionamento che si allarga perché sono stati tedeschi come sono stati
gli italiani in Croazia, i francesi in Algeria. Si può continuare in tutto il
mondo a trovare questa voglia e questo desiderio permanente di sovrapporsi agli
altri, di “sovradeterminarli”, di decidere quello che loro devono scegliere come
giusto e come sbagliato. Tra parentesi, è una cosa mia personale, io lo chiamo
anche patriarcato, ma ve lo dico dopo.
E’ la guerra che va negata. Non è questo episodio, questo popolo, questo periodo
storico. È la guerra che deve essere veramente disertata.
Siamo partiti il 6 agosto ed è l’anniversario della bomba atomica su Hiroshima.
Noi, almeno la mia generazione, l’ha sempre vissuto come il “momento della
vittoria”: 150.000 civili bruciati vivi in un attimo, vissuti come il momento
della vittoria, non sono un bel viatico per capire cos’è la pace. Oggi, diciamo
che nelle stanze del potere non lontano da qui, in Francia, si sta decidendo se
in Niger ci sarà una guerra e probabilmente se questa guerra si allargherà a
Burkina Faso, Mali, Benin, Costa d’Avorio. Stiamo creando le basi per una guerra
semicontinentale in Africa che è ancora una guerra di dominio, ancora una guerra
per avere ciò che hanno loro, però spacciandola per democrazia. C’è stato un
colpo di Stato e ci dicono che per riportare la democrazia bisogna fare la
guerra. C’è stata un’invasione in Ucraina e ci dicono che per riportare lo Stato
normale delle cose bisogna fare una guerra. La guerra è ancora la soluzione come
5.000 anni fa, come probabilmente 10.000, 100.000 anni fa. Sovrapporsi all’altro
con la violenza e con la forza. Dire “pace” oggi vuol dire anche porsi il
problema di chi, ad esempio, dal Niger arriverà sfuggendo agli stupri, sfuggendo
alla distruzione, sfuggendo alla morte, attraverserà un deserto per arrivare
fino a qui e troverà le nostre guardie di confine che sono la Tunisia e la Libia
adesso che li rimanderanno indietro, li metteranno in lager, specialità libica.
Non torneranno perché non hanno nulla a cui tornare. Hanno solo la miseria ma la
miseria più nera a cui tornare. Quindi attraverseranno il Mediterraneo e anche
lì sappiamo come va a finire. Ci si mette in un altro modo l’Europa a
determinare di chi può venire e chi no.
Ma non lo fa in un modo che spaccia per civile. Lo fa semplicemente lasciandoli
in mare a morire. Secondo me c’è un problema da porci, grosso, visto che poi
l’anno prossimo si voterà per l’Europa, su cosa sta facendo l’Europa. Io penso
che l’Europa stia facendo la guerra in Ucraina mandando armi e sostenendo solo
una parte e rifiutando tutte le proposte di pace che arrivano dal Vaticano come
dalla Cina. Nessuno ha ancora detto in Europa in modo insistente “sediamoci a un
tavolo”, “fate tacere le armi”, “parliamo finché non troviamo un accordo”.
L’Europa questa cosa neanche la prende in considerazione.
D’altra parte sta combattendo ancora per i suoi ex interessi coloniali in Africa
e non solo in Africa. Ci sono 54 conflitti attivi nel mondo e sono tutti, tutti,
tutti determinati dall’Europa, dagli Stati Uniti, dal mondo occidentale ricco,
bianco e pieno di privilegi. Un’altra cosa che dobbiamo chiederci è se non stia
facendo purtroppo da tantissimi anni la guerra ai migranti: (…) l’anno scorso
per portare qui tutti i migranti che sono arrivati in un anno sarebbe bastato un
traghetto alla settimana che partisse dalla Tunisia e li avrebbe portati qua
tutti vivi, sani, in salute, in sicurezza. Quei bambini che poi fingiamo di
piangere perché muoiono annegati a due passi da Lampedusa, sarebbero arrivati
qui tranquillamente e avrebbero trovato in Europa parenti, concittadini, vicini
di casa, persone disposte ad aiutarli e trovargli un lavoro e inserirli. Cioè,
stiamo facendo la guerra a persone che potrebbero arrivare serenamente qua come
arrivavano gli italiani nelle stesse condizioni di miseria e di dopoguerra nel
Sud America o in America meno di un secolo fa. È una cosa indecente ed è una
guerra che l’Europa sta facendo a povera gente, senza averla nemmeno dichiarata,
ma spacciandola spesso come virtù e avendone dei benefici elettorali a destra
come a sinistra, mi dispiace dirlo.
È un momentaccio e, personalmente, riparto da me: io credo che antifascismo e
pacifismo, non possono che andare a braccetto, siano le due chiavi sicuramente
per superare la logica di guerra o quantomeno per continuare a diffondere questa
malattia che cerchiamo di diffondere in tutti i modi con le bandiere, con la
partecipazione a manifestazioni con i post su Facebook.
La pace è ancora possibile. Io ci aggiungo sempre un pezzettino che è quello mio
personale, che è frutto del mio percorso sul femminismo intersezionale e vi
leggo una frase di una signora che poi è morta due anni fa si chiamava “bell
hooks”, era una signora afroamericana e si può dire proprio una signora
qualunque che ha cominciato a porsi il problema del femminismo, ha studiato, si
è laureata, poi ha scoperto che una parte delle femministe bianche che erano con
lei volevano soltanto avere una parità di diritti con i loro mariti per poter
sfruttare ancora i neri e quelli che non avevano abbastanza soldi per
difendersi. E allora ha detto no, il femminismo è un’altra cosa, è
intersezionalità: se vi risolvete il problema come donna ma non come nera e non
come povera, non avete risolto i miei problemi, mi avete soltanto cambiato il
colore del gioco e questa signora si è specializzata è diventata una femminista
meravigliosa e ha scritto questa cosa che è rivolta ovviamente soprattutto ai
maschi del gruppo, che non me ne vorranno, in parte anche alle donne perché sono
figli della stessa cultura patriarcale: “Ciò di cui c’era, e continua a esserci
bisogno, è una visione della maschilità in cui l’autostima e l’amore di sé come
esseri unici formino la base dell’identità. Le culture del dominio ledono
l’autostima sostituendola con l’idea che il proprio senso di sé provenga dal
dominio sull’altro. La maschilità patriarcale insegna agli uomini che il loro
senso di sé e la loro identità, la loro ragione d’essere consistono nella loro
capacità di dominare gli altri. Affinché ciò cambi i maschi devono criticare e
mettere in discussione il dominio maschile sul pianeta, sugli uomini meno
potenti, sulle donne e sui bambini”.
Quello della pace è un lavoro che comincia da noi: a volte, è sempre esperienza
personale, decostruendo il maschile che c’è in noi e cercando di renderlo più
umano e più di cura per tutta l’umanità.
Paolo Mazzinghi