Valutare e obbedire. Il Governo vuole il controllo totale di ANVUR
La proposta di riforma dell’ANVUR rende finalmente evidente ciò che da anni era
solo implicito: l’Agenzia è lo strumento con cui il governo attua il controllo
centralizzato e indirizza le attività di università e ricerca. Con la riforma,
nomine e attività di valutazione passano sotto l’iniziativa esclusiva del
Ministro, riducendo drasticamente l’indipendenza tecnica di ANVUR. La proposta è
già stata duramente bocciata dal Consiglio di Stato, che segnala contraddizioni
con la legge istitutiva e mette in dubbio la legittimità di molte novità. Tutto
ciò avviene in chiara contraddizione con i principi di libertà di ricerca e
insegnamento ancora sanciti dalla Costituzione.
Il governo intende varare la riforma del regolamento dell’Agenzia Nazionale di
Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) tramite un decreto
del Presidente della Repubblica, attualmente in discussione presso le
commissioni parlamentari (qui la documentazione).
PREAMBOLO.
Malgrado i proclami sulla sua presunta autonomia, ANVUR è già, di fatto,
controllata dal Ministero dell’Università e della Ricerca.
Il consiglio direttivo composto da 7 membri è definito dal Ministro
dell’Università e della Ricerca che li sceglie da una rosa di 15 nominativi che
gli viene sottoposta da una commissione di selezione. La commissione di
selezione è composta da quattro membri nominati da enti esterni più un quinto
membro nominato direttamente dal ministro.
Tutti i membri del consiglio direttivo ANVUR restano in carica 4 anni e il
presidente viene eletto tra di loro. Apparentemente distante, ma in realtà è il
Ministro a assumere un peso determinante nella composizione dell’Agenzia.
Tanto è vero che, attualmente, il Consiglio è incompleto: solo quattro membri,
compreso il Presidente che siede in ANVUR dal lontano 2019. La ministra Bernini
non ha infatti mai ricostituito l’organo, malgrado abbia in mano la rosa dei
nominativi scelti dalla commissione di selezione da un anno (la commissione, dei
cui lavori sui siti ministeriali non c’è traccia, era stata nominata nel 2023 e
aveva pubblicato l’avviso di selezione per i candidati nel febbraio 2024). Voci
dal MUR raccontano la rosa fosse sgradita alla ministra. In particolare sembra
che la commissione abbia bocciato il prof. Marco Mancini (il presidente ANVUR
che la ministra avrebbe desiderato). Il prof. Mancini che la ministra ha da poco
nominato Segretario Generale del MUR, e che scrive irritualmente ai rettori
chiedendo loro di tenere sotto controllo le proteste degli studenti. Lo stesso
Mancini che qualche anno fa il Giornale annoverava tra i baroni rossi, il
Mancini, sempre lo stesso, che anima da oltre un quindicennio le riunioni del
Partito Democratico su università e ricerca, che è entrato e uscito dal MUR in
vari ruoli con ministri di qualsiasi colore.
In sintesi: anche l’attuale “leggera autonomia” dell’ANVUR appare troppo
pericolosa alla ministra ed al gruppo di lavoro voluto dalla ministra e che ha
suggerito la proposta di riforma.
LA PROPOSTA DI RIFORMA
Il cuore della riforma è la modifica sostanziale della struttura dell’agenzia e
delle modalità di nomina dei membri del direttivo. Oltreché la subordinazione
dell’attività dell’agenzia alle direttive del Ministro del MUR.
Nell’articolo 7 viene modificato il processo di nomina del Presidente dell’ANVUR
destinato a restare in carica 5 anni, che passa a essere di diretta nomina
ministeriale, indipendente dal Consiglio direttivo. Con la nuova procedura, il
Ministro istituisce un comitato di selezione che propone una terna di candidati,
dalla quale il Ministro effettua la scelta finale, previa consultazione (non
vincolante) delle Commissioni parlamentari. La nomina formale avviene poi con
Decreto del Presidente della Repubblica. Il Presidente nominato può
successivamente designare un vicepresidente all’interno del Consiglio. Questa
riforma viene (orwellianamente) presentata come rafforzamento dell’indipendenza
di ANVUR.
Nell’articolo 8, la procedura di costituzione del Consiglio direttivo, la cui
durata è confermata in 4 anni, viene anch’essa sottoposta al controllo diretto
del Ministro. Il Consiglio passa da 7 a 5 membri, compreso il Presidente, e la
nomina dei componenti è ora gestita dal Ministro. Dopo la raccolta delle
candidature tramite bandi pubblici, un comitato di selezione propone terne di
candidati, che includono tre rappresentanti di altrettante macroaree CUN (una
invenzione estemporanea, che non rispecchia neanche la idiosincratica e unica al
mondo divisione del mondo tra settori bibliometrici e non bibliometrici
inventata da ANVUR anni fa) e un membro AFAM.
Cambia anche la composizione del comitato di selezione: anziché definito da enti
esterni anch’esso è scelto direttamente dal Ministro del MUR. E anche questa
modifica viene orwellianamente giustificata come una misura a tutela
dell’indipendenza dell’Agenzia.
Per le attività di valutazione che, da norma primaria, sono di iniziativa
dell’agenzia, la riforma prevede che siano assoggettate al volere del Ministro.
Come si legge nella relazione illustrativa, ANVUR deve assicurare il:
> rispetto dell’indirizzo politico dato dal Ministero dell’università e della
> ricerca, quale Ministero vigilante.
Questo si riflette, nella proposta legislativa, nella previsione che gran parte
delle attività di valutazione avvenga solo “su richiesta del Ministro”.
Queste attività sono ampliate, includendo in modo sistematico tutto il mondo
AFAM. E sono ampliate anche in profondità prevedendo adesso che ANVUR valuti:
> le competenze trasversali e disciplinari acquisite dagli studenti edalle
> studentesse e gli sbocchi occupazionali dei laureati.
La proposta di riforma toglie dai compiti di ANVUR la definizione – su richiesta
del ministro – dei parametri di riferimento per l’allocazione dei finanziamenti
statali, che torna nelle salde mani del MUR.
La riforma elimina il riferimento alla cadenza quinquennale della VQR: termine
considerato troppo rigido e troppo ampio per tenere conto della evoluzione del
sistema della ricerca.
E, infine, stabilisce (qualsiasi cosa questo significhi) che la valutazione
della qualità dei prodotti della ricerca deve essere condotta
> utilizzando criteri omogenei rispetto a quelli previsti per l’ammissione ai
> concorsi universitari, valutati, ove possibile, tramite procedimenti di
> valutazione tra pari.
IL CONSIGLIO DI STATO FA A PEZZI LA PROPOSTA DI RIFORMA
Cosa potrebbe mai andare storto se un gruppo di lavoro di iper-competenti
professori universitari è chiamato dalla Ministra a scrivere un progetto di
riforma?
Potrebbe accadere che il Consiglio di Stato faccia a pezzi la proposta di
riforma, proprio nei suoi punti chiave. Come è puntualmente avvenuto nel parere
formulato nell’adunanza del 23 settembre 2025.
Il Consiglio di Stato mette in evidenza una contraddizione: la proposta di
riforma attribuisce al Ministro, tramite regolamento, il potere esclusivo di
avviare alcune delle attività più importanti dell’ANVUR. Tuttavia, la legge
(art. 2, comma 138, del decreto-legge 262/2006) assegna queste competenze
direttamente all’ANVUR. In altre parole, la riforma toglierebbe all’Agenzia,
attribuendoli al ministro, poteri che la norma primaria le riconosce
espressamente. Il Consiglio di Stato, seppur con una fraseologia più educata, fa
capire che non è disposto a bersi la storiella che questo serve a “riallineare”
“il funzionamento [dell’ANVUR] agli standard europei (ESG)” e “a rafforzare il
ruolo tecnico-istituzionale dell’Agenzia nell’ordinamento”.
La riforma mira a subordinare l’attività dell’ANVUR alla volontà del Ministro,
attribuendogli un potere esclusivo di iniziativa sulle funzioni più rilevanti
dell’Agenzia.
Una scelta che va in aperto contrasto con la legge istitutiva dell’ANVUR, la
quale garantisce all’Agenzia autonomia organizzativa, amministrativa e
contabile. La riforma, secondo il Consiglio di Stato, va in contrasto con i
principi costituzionali di libertà di ricerca e autonomia universitaria.
Il Consiglio di Stato critica duramente la proposta di riforma anche per un
altro aspetto: la concentrazione nelle mani del Ministro della nomina dei
componenti del comitato di selezione e del Presidente dell’ANVUR.
Dietro l’apparente “semplificazione” del procedimento, la riforma finisce per
eliminare le garanzie di indipendenza che derivavano dal coinvolgimento di enti
e istituzioni diversi dal Ministero, come previsto dalla normativa vigente.
La legge istitutiva dell’ANVUR aveva voluto un sistema di nomine plurale e
bilanciato, proprio per evitare, secondo il Consiglio di Stato, che l’Agenzia
diventasse uno strumento politico. La proposta di riforma, invece, accentrando
il potere di scelta nel Ministro, riduce la trasparenza e aumenta il rischio di
nomine troppo discrezionali, basate su criteri vaghi come la generica
“esperienza pluriennale”.
Anche la nuova modalità di nomina del Presidente, non più eletto dal Consiglio
direttivo ma designato dal Ministro, rappresenta un chiaro passo indietro
rispetto all’autonomia organizzativa garantita dalla legge.
In sintesi, sotto il pretesto della semplificazione, la riforma svuota
l’indipendenza dell’ANVUR, trasformando un organismo tecnico e autonomo in uno
direttamente dipendente dalle scelte del potere politico.
Il Consiglio di Stato, con una pazienza quasi pedagogica, ricorda agli estensori
della riforma un principio elementare del diritto amministrativo: un regolamento
non può modificare una legge.
Pare però che chi ha scritto la proposta non ne sia pienamente consapevole,
visto che ha pensato bene di allungare da quattro a cinque anni la durata del
mandato del Presidente dell’ANVUR, ignorando che la legge istitutiva (art. 2,
comma 140, del d.l. 262/2006) stabilisce chiaramente una durata quadriennale per
tutti i componenti del Consiglio direttivo, Presidente compreso.
Come se non bastasse, l’interpretazione fantasiosa secondo cui il Presidente non
farebbe parte del Consiglio direttivo (e quindi non sarebbe soggetto alla stessa
durata di mandato) sfiora l’assurdo: significherebbe che il principale organo
dell’ANVUR avrebbe un Presidente “fuori organigramma”, nominato e disciplinato
dal nulla.
In sostanza, il Consiglio di Stato deve ricordare ai riformatori che le norme di
rango primario non si cambiano con un colpo di penna in un regolamento. Ma, a
quanto pare, qualcuno al Ministero ha bisogno di un rapido ripasso in merito all
gerarchia delle fonti del diritto.
La perla finale riguarda il Direttore di ANVUR che la proposta di riforma
trasforma in organo dell’agenzia e battezza Direttore generale. Il Consiglio di
Stato segnala con discreta diplomazia un curioso paradosso: la riforma che
proclama di “inasprire” le incompatibilità del Direttore generale in realtà le
smantella quasi del tutto. La norma vigente vietava ogni rapporto professionale
o pubblico potenzialmente conflittuale; la nuova versione lascia in piedi solo
un divieto residuale – non lavorare per chi l’ANVUR valuta. Eppure, nella
relazione illustrativa, questo alleggerimento viene descritto come una
“disciplina più rigorosa”. Un capolavoro di burocratese orwelliano, dove
restringere diventa ampliare e allentare diventa irrigidire.
FINALMENTE CHIAREZZA
Il Consiglio di Stato assume che l’assetto attuale dell’ANVUR garantisca già un
sufficiente equilibrio tra autonomia e vigilanza ministeriale. Noi siamo più
scettici.
L’esperienza concreta mostra che l’ANVUR da tempo opera come un braccio
amministrativo del Ministero, traducendo in “valutazioni” le linee politiche
definite altrove. La riforma, più che introdurre una novità, rende esplicito ciò
che da anni avviene nei fatti: l’Agenzia agisce su impulso politico, non come
organo indipendente.
Dietro il linguaggio neutro della “razionalizzazione” e della “trasparenza” la
riforma consolida un modello di governo centralizzato, in cui la valutazione è
il principale strumento di controllo del sistema universitario e della libertà
accademica.
Non sorprende che nel gruppo di lavoro che ha redatto la proposta siedano molti
protagonisti delle politiche universitarie degli ultimi vent’anni, mentre
mancano del tutto voci indipendenti o critiche.
La riforma, insomma, non cambia la direzione di marcia: si limita a dichiararla
apertamente. È il compimento di un processo che attraversa governi di ogni
colore e che ha progressivamente trasformato la “valutazione” in governo
politico mascherato da tecnica.
Oggi, con la proposta di riforma, cade ogni ambiguità: l’ANVUR è lo strumento
del Ministero per controllare e dirigere il mondo accademico, in aperta tensione
con quei principi di autonomia e libertà di ricerca che la Costituzione
continua, almeno sulla carta, a garantire.
Qua si può leggere l’analisi della proposta di riforma di FLC-CGIL.