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Il Museo della Campagna di Alfabetizzazione a Cuba, un’epopea rivoluzionaria
Quando, in occasione dell’ultima edizione della Conferenza internazionale del Programma martiano “Per l’equilibrio del mondo”, all’Avana, si è aperto il dibattito con intellettuali e docenti cubani a seguito della presentazione del paper su “I Musei per la pace nella prospettiva ecomuseale. Spazi di partecipazione, di umanità, di pace”, il primo intervento ha subito introdotto un riferimento preciso: oltre a quelli oggetto dello studio, il Museo Civico di Playa Girón, il Museo “Casa dei Martiri del Moncada” a Colón, e lo straordinario Museo “Alla battaglia delle idee” a Cárdenas, tre veri e propri Musei per la pace, non sarebbe potuto mancare il riferimento a un quarto museo, non un vero e proprio Museo per la pace, ma, come e diversamente da quelli, capace di rappresentare un’istituzione integrale per la pace a tutti gli effetti, e, in particolare, per la «pace positiva», legata al conseguimento dei diritti umani fondamentali e alla realizzazione della giustizia sociale. Si tratta del Museo della Campagna di Alfabetizzazione. Il museo si articola in cinque sale espositive che illustrano la storia, un’autentica epopea contemporanea, della Campagna di Alfabetizzazione condotta a Cuba nel 1961 e considerata, al tempo stesso, uno tratti più eloquenti e rappresentativi della forza della Rivoluzione e una delle pagine più straordinarie e impressionanti dell’intera storia del Novecento nell’emisfero occidentale. Il museo è stato inaugurato il 29 dicembre 1964 ed è, letteralmente, un museo unico, a Cuba e nel mondo. Ha come oggetto la leggendaria Campagna di alfabetizzazione che, nel 1961, eliminò l’analfabetismo e aprì la strada all’accesso universale, completo e gratuito a tutti i livelli di istruzione per il popolo cubano. La campagna fu lanciata nella cornice di una politica dell’educazione integrale in cui tutti i media dell’epoca svolsero un ruolo fondamentale per diffondere conoscenze in tutti gli ambiti della vita delle persone, igiene, salute, economia, questioni agricole e produttive, tematiche legate all’arte, alla cultura e alla letteratura; forniva informazioni e portava gli adulti a imparare a leggere, scrivere e fare di conto. In questo spaccato della trasformazione rivoluzionaria di Cuba, il 1961 si confermava dunque un anno decisivo: la vittoria di Playa Girón e la dichiarazione del carattere socialista della Rivoluzione furono seguite, alla fine della Campagna, dalla proclamazione, avvenuta il 22 dicembre di quel 1961, di Cuba come Territorio Libero dall’Analfabetismo. Si ampliavano gli strumenti della Rivoluzione: non solo la difesa, ma anche l’istruzione e la cultura. Teniamo a mente i nostri tempi, quando ricordiamo che il 28 gennaio 1961 Fidel Castro inaugurò la conversione civile dell’ex fortezza militare di Santa Clara che da fortezza si convertì in scuola – da fortezza in scuola. Nel suo discorso, ribadì che l’alfabetizzazione è una delle più grandi battaglie mai combattute: “Una battaglia epica, a cui dovrà partecipare tutto il popolo”. Pertanto, “dobbiamo iniziare a organizzare centomila giovani insegnanti di alfabetizzazione che abbiano completato almeno la sesta elementare e che abbiano almeno 13 anni”. Quasi un milione di cubani ha imparato a leggere e scrivere, riducendo il tasso di analfabetismo al 3.9% della popolazione totale (quando appena nel 1958 il tasso di analfabetismo a Cuba era pari all’11% nelle città e addirittura al 42% nelle campagne, il che peraltro lascia chiaramente intendere quale fosse la condizione della campagna e dei contadini nella Cuba prerivoluzionaria), portando Cuba ad essere tra i Paesi con il tasso di analfabetismo più basso al mondo, una conquista straordinaria riconosciuta dall’Unesco e da tutte le organizzazioni internazionali. Questa impresa rivoluzionaria fu il frutto del lavoro di una forza di massa, composta da 121 mila maestri di alfabetizzazione popolare; 100 mila membri della Brigata “Conrado Benítez”; 15 mila membri della Brigata “Patria o Muerte”; e 35 mila insegnanti volontari, per un totale di 271 mila educatori. Il che, sommato ai dirigenti, ai quadri politici, ai funzionari e al personale amministrativo, porta i partecipanti alla campagna all’impressionante cifra di oltre 300 mila persone attive, tutte dedite alla causa della campagna. Le collezioni del Museo della Campagna di Alfabetizzazione rappresentano dunque questa storia e questo patrimonio e sono costituite principalmente da oggetti appartenuti a insegnanti di alfabetizzazione e caduti nella campagna stessa, nonché documenti, quali le lettere degli insegnanti, foto, poster, relazioni, volumi delle sezioni della Campagna, relazioni della Scuola Nazionale dei Pescatori, e i due Manuali di alfabetizzazione, il “Venceremos” e l’ “Alfabeticemos”. Per quanto possa sorprendere, questa istituzione è anche un museo della memoria, la memoria dei caduti nella campagna di alfabetizzazione: al dicembre 1961 si contano infatti 21 morti in atti terroristici contro l’alfabetizzazione, 47 scuole date alle fiamme e 48 persone ferite nel sabotaggio di cinema, teatri e centri culturali, ad opera di residui della dittatura di Batista che vedevano come il fumo negli occhi la possibilità per i contadini di imparare a leggere e scrivere, di istruirsi e, quindi, di emanciparsi. Tra gli obiettivi di questa importante istituzione museale vi sono evidentemente anche quelli di preservare e diffondere questa collezione storica e patrimoniale e contribuire alla formazione storica, politica, culturale e ideologica della società cubana e internazionale in merito alla lotta contro l’analfabetismo. Una lotta che non è solo, purtroppo, storica, e che è tutta politica: nel mondo, al 2025, si stimano ancora 750 milioni di adulti e oltre 600 milioni di bambini e bambine che non sanno né leggere né scrivere; sono non meno di dieci i Paesi del mondo in cui il tasso di alfabetizzazione è ancora drammaticamente inferiore al 50%. Il Museo cubano si compone di cinque sale: nella prima, la foto originale del discorso di Fidel Castro del 26 settembre 1960 alle Nazioni Unite, in cui dichiarò al mondo che Cuba sarebbe stato “il primo Paese delle Americhe che, entro pochi mesi, potrà dire di non avere un solo analfabeta”, nonché la bandiera della Campagna e la lanterna a olio, necessaria per l’alfabetizzazione di sterminate campagne e territori ancora privi di elettricità. Nella seconda sala sono illustrati vari momenti delle attività degli insegnanti di alfabetizzazione ed alcuni effetti personali dei caduti, con oggetti di interesse, tra i quali i risultati dell’esame medico legale sui corpi di Conrado Benítez García e Manuel Ascunce Domenech; nella terza sala, una raffigurazione di José Martí, le cui idee educative alimentarono la campagna (celebre il suo motto, ripreso da Fidel: «Conoscere è l’unico modo per essere liberi»), e dipinti dei martiri Conrado Benítez García, Delfín Sen Cedré e Manuel Ascunce Domenech. Nella quarta, la sala della “Vittoria”, vi sono le foto del ritorno degli insegnanti di alfabetizzazione nel dicembre 1961, così come della cerimonia in Plaza de la Revolución del 22 dicembre, nonché foto del Programma post-alfabetizzazione. Infine, nella quinta, la sala della “Solidarietà”, si trovano oggetti e materiali didattici utilizzati in altri Paesi con cui Cuba ha collaborato nelle rispettive campagne di alfabetizzazione, con una mostra dedicata al programma cubano di alfabetizzazione “Yo, sì puedo”, realizzato in oltre 21 Paesi in tutto il mondo con la collaborazione di consulenti cubani, che ha fornito un contribuito insostituibile nella lotta contro l’analfabetismo a livello mondiale e che è uno dei titoli del prestigio che circonda Cuba e la Rivoluzione in così tante parti del mondo. Gianmarco Pisa
“Un tempo sconcertante e imprevedibile”. Lectio magistralis a Cuba di Ignacio Ramonet
Tra i momenti più rilevanti del III Incontro Internazionale delle Pubblicazioni Teoriche della Sinistra, tenuto all’Avana, presso l’Università del Partito Comunista di Cuba Ñico Lopez, tra il 15 e il 17 ottobre scorsi, va annoverata senza dubbio la lectio magistralis tenuta da Ignacio Ramonet sul tema della “Informazione, comunicazione e propaganda di fronte alla sfida dell’Intelligenza Artificiale”. Ignacio Ramonet è, senza dubbio, figura di primo piano di quel vasto campo politico e culturale che va sotto il nome di sinistra di alternativa e di trasformazione: scrittore, giornalista, analista internazionale, docente emerito di Teoria della comunicazione a Paris VII, è stato direttore de “Le Monde Diplomatique” e tra i principali ispiratori a livello internazionale del movimento altermondialista. Proprio da qui, dalla proiezione sulla fase internazionale, prende le mosse la sua riflessione, che potremmo schematizzare intorno ai temi salienti da lui trattati. In primo luogo, uno sguardo sull’attualità: viviamo un’epoca, infatti, che al tempo stesso è possibile definire “sconcertante” e “imprevedibile”. È in corso una vera e propria rottura tecnologica che assume le caratteristiche e la portata di una vera e propria “rottura” (Bachelard), dal momento che cambia il paradigma, porta con sé l’affermazione di nuove, potenti, forze egemoniche e impone, di conseguenza, una rinnovata battaglia per la libertà. Il contenuto che si fa vettore di questa “rottura” è dunque proprio l’Intelligenza Artificiale Generativa, in relazione alla quale pare evidente che la materia prima, la risorsa fondamentale principale, oggi, siano i “dati”, che rappresentano infatti i contenuti di apprendimento della stessa intelligenza artificiale. Questa non è priva di una sua connotazione positiva, legata alla capacità di elaborazione e alla possibilità di espandere i contenuti di conoscenza; tuttavia ha più che evidenti impatti negativi sul piano sociale (sperequazione e digital divide), culturale (appropriazione di dati) ed ecologico (estrazione di risorse strategiche e consumo di acqua per il raffreddamento delle macchine), e in particolare sul piano dell’informazione, sotto il profilo della manipolazione (il caso, tra gli altri, dei cosiddetti deep fake) e della polarizzazione (con la diffusione di contenuti fortemente polarizzanti e con una torsione della polarizzazione sociale del tutto funzionale alla conservazione degli assetti dominanti). Oltre novanta milioni, secondo dati Onu, sono i posti di lavoro che rischiano di essere cancellati dall’impiego dell’intelligenza artificiale, al punto che, secondo alcune stime, oltre il 20% del totale dei posti di lavoro, in prospettiva, rischia letteralmente di scomparire, ponendo, al tempo stesso, l’interrogativo angosciante della sparizione del lavoro umano e della sua trasformazione in lavoro puramente esecutivo al servizio del funzionamento e dell’ottimizzazione della macchina, riaffermando e ridislocando,insieme,la dialettica marxiana tra lavoro vivo (l’applicazione produttiva della forza lavoro umana) e lavoro morto (il lavoro incorporato nella macchina) ed evidentemente le questioni della sussunzione (il totale assoggettamento del lavoro, quindi della creatività umana, al capitale) e dell’alienazione (l’estraneazione e la disumanizzazione della persona umana nel processo di produzione e accumulazione capitalistica). Una riflessione, chiaramente, non per alimentare tentazioni luddiste, se non addirittura reazionarie, ma, al contrario, per ispirare nuovo pensiero critico. È nota la grande attenzione che lo stesso Karl Marx ha dedicato alla macchina e allo sviluppo delle moderne tecnologie. Fidel Castro, a propria volta, ha dedicato sempre un’attenzione prioritaria allo sviluppo delle nuove tecnologie, concependo l’innovazione al servizio del progresso, dell’avanzamento della condizione umana. D’altra parte è noto, da Marx in avanti, che la tecnologia nel contesto della società divisa in classi e quindi in regime capitalistico, serve essenzialmente a migliorare e incrementare l’accumulazione e quindi la formazione del profitto; il capitale ha interesse nello sviluppo della tecnologia nella misura in cui questa serve gli scopi dell’accumulazione, con conseguenze catastrofiche sul piano sociale e sul piano umano. L’automatizzazione in regime capitalistico porta con sé direttamente una crescente proletarizzazione e sotto-proletarizzazione, in termini di espulsione del lavoratore dal ciclo produttivo e proletarizzazione dei quadri e dei tecnici inferiori, come mostrano ampiamente i casi della Rust Belt, della proletarizzazione dei ceti medi e degli effetti della disoccupazione di massa nelle cinture industriali storiche degli Stati Uniti. La questione dunque non è semplicemente la tecnologia in quanto tale (chi potrebbe essere contrario al progresso tecnologico ai fini del miglioramento delle condizioni materiali di esistenza?) ma specificamente l’appropriazione capitalistica della tecnologia che la rende un prodotto umano al servizio dell’accumulazione e delle logiche del capitale. L’intelligenza artificiale ha un effetto gigantesco nella modifica e nella creazione non solo di nuove forme economiche ma anche di nuovi immaginari culturali; la “guerra cognitiva” è oggi uno strumento fondamentale dei poteri dominanti, al punto che si è giunti a parlare di “guerra ibrida” e di guerra di quarta o di quinta generazione, dove il controllo dei media, la manipolazione dell’informazione, la scomparsa dei fatti, la costruzione della narrazione e il condizionamento degli immaginari diventano potenti strumenti di guerra. Si veda, su tutti, il caso della Hasbara israeliana («costruzione di immagine» e, pertanto, propaganda) contro le mobilitazioni di massa, in tutto il mondo, per la fine del genocidio del popolo palestinese, una contrapposizione, quest’ultima, che è un esempio di conflittualità aperta sul canovaccio della “guerra cognitiva”. Israele, com’è noto, impiega infatti migliaia di agenti attivi nella promozione della propria propaganda in tutto il mondo. In questo campo, le reti sociali sono ormai sempre più una “trincea comunicazionale” della destra. Il motore di ricerca di Google propone automaticamente la modalità di ricerca “Intelligenza artificiale” e fornisce in molti casi, come primo risultato della ricerca ordinaria, un testo sul modello dei chatbot di Chat Gpt. Come conseguenza immediata, in una settimana di implementazione di questa nuova modalità di ricerca di Google, Wikipedia ha già perso, si calcola, circa il 30% delle consultazioni. Siamo dunque già nella nuova era della I.A. E la sinistra? La sinistra deve conoscere questi nuovi fenomeni e dare fiducia alle speranze di cambiamento che muovono tanti attivisti e volontari, tanti e tante giovani in tutto il mondo: utilizzare consapevolmente le reti sociali e creare proprie reti sociali; creare competenze e formare quadri politici in grado di interagire con le dinamiche proprie dell’I.A.; aggiornare la teoria e generare una prassi che sia adeguata e appropriata, all’altezza delle sfide poste dal tempo presente, a partire dall’ancoraggio, fondamentale e attuale, al marxismo. Gianmarco Pisa
Comunicazione politica e dimensione umana nell’era dell’algoritmo. Seminario a Cuba.
Si sono conclusi ieri, 17 ottobre 2025, all’Avana, Cuba, i lavori del III Incontro Internazionale delle Riviste Teoriche della Sinistra, uno spazio di relazione e approfondimento che coinvolge le pubblicazioni teoriche del campo della sinistra, delle forze democratiche avanzate, progressiste, marxiste, e che si propone di attrezzare il lavoro politico e culturale e sviluppare il coordinamento, orientato all’azione, delle riviste politico-culturali soprattutto nella direzione di tre grandi obiettivi di iniziativa: contro il fascismo, il neofascismo e il tecnofascismo; contro la guerra ibrida e comunicazionale, la guerra di “quinta generazione”; e, in definitiva, contro ogni forma di colonialismo culturale. Ricchissimo il programma della tre giorni, tra seminari, conferenze magistrali, tavoli di lavoro; tre in particolare: la “battaglia delle idee” nell’era digitale; la teoria rivoluzionaria di fronte alle nuove sfide e al fascismo di tipo nuovo; l’intelligenza artificiale in relazione alle lotte dei movimenti di progresso e di trasformazione. Quest’ultimo ha trovato poi una sua declinazione specifica nel trattare della “Comunicazione politica nell’era dell’algoritmo”, intorno a tre assi tematici (pensiero critico; mobilitazione digitale; e sovranità tecnologica), fornendo, nell’ampia relazione magistrale di Miguel Pérez Pirela, filosofo, scrittore ed esperto di comunicazione e nuovi media, alcuni spunti di notevole interesse, sia, in generale, per l’impegno della comunicazione in prospettiva emancipatrice e trasformatrice, sia, in particolare, nel senso del «giornalismo di pace».  Il punto di partenza, secondo Pérez Pirela, è la “conquista dell’attenzione”: il campo di battaglia comunicazionale attuale è proprio la conquista dell’attenzione, e questa contesa si svolge nella forma di una disputa per i 7 secondi, vale a dire, l’attuale durata media dell’attenzione – sette secondi. Questo è il punto da cui partire per individuare i fattori che sono alla base della logica comunicazionale (e mediatica) dominante: espansionismo, imperialismo, neofascismo e, in definitiva, suprematismo; sono, al tempo stesso, gli elementi che permettono di esercitare una vera e propria “dittatura dell’attenzione”, perché intorno a queste categorie si cattura, si monopolizza e si polarizza l’attenzione pubblica, esercizio nel quale la destra politica e mediatica è maestra, nonché gli elementi che consentono di monopolizzare la comunicazione, ambito nel quale, tra gli altri, il presidente statunitense, Donald Trump, è campione, come dimostra il fatto che catalizza l’attenzione su di sé e tutti sono portati a parlare di ciò che dice e ciò che fa. Occorre ribellarsi a tale stato di cose – ma come, e con quale efficacia? La nuova logica mediatica non passa più per le dichiarazioni ufficiali, ma per comunicazioni (30 secondi) brevi e messaggi (7 secondi) ancora più brevi, un tweet o un reel; la dimensione mediatica che fa da sfondo a questa logica mediatica è la virtualità, lo spazio virtuale (l’ecosistema virtuale, lo spazio online, i social media, la messaggistica istantanea, le varie e diverse applicazioni dell’intelligenza artificiale generativa).  Viene dunque meno l’oggettività perché i fatti stessi contano sempre meno (e non è un fattore di poco conto, sia dal punto di vista deontologico, in merito alla qualità e all’affidabilità dell’informazione, sia dal punto di vista politico, dal momento che, ad esempio, il pensiero-prassi della sinistra, basato sulla dinamica di struttura e sovrastruttura, si basa propriamente su contenuti fattuali, sulla materialità delle condizioni di vita, sulla realtà, è cioè un pensiero-prassi del reale e della sua trasformazione). Così, la narrazione sostituisce il fatto e si fa punta di diamante del discorso dominante, delle diverse forme di suprematismo. Si dipana, così, un vero e proprio “doppio fronte”: la dittatura dell’attenzione sostenuta dalla dittatura dell’algoritmo. Dunque, se questo è vero, il problema non è (solo) tecnico ma (soprattutto) politico, perché non riguarda in particolare la definizione dell’algoritmo e il calcolo dei dati, ma, eminentemente, la riduzione dell’umanità e il ridimensionamento del fattore umano, accompagnati in particolare, in questo campo, da una vera e propria analfabetizzazione di massa (immediatezza di testi e immagini; assenza di approfondimento e di argomentazione; uso di forme grafiche elementari anziché di esposizioni logiche articolate, al limite, stickers anziché parole). Tende sempre più a decadere, di conseguenza, la funzione intellettuale fondamentale, vale a dire l’associazione, pertinente ed efficace, della parola alla cosa. È anche un disegno politico, in definitiva, al tempo stesso profondamente anti-progressista e intrinsecamente anti-umanista. Vanno quindi rimesse al centro la «dimensione propriamente umana dell’umano» e la questione fondamentale della liberazione umana; occorrono mezzi di comunicazione – e approcci alla comunicazione – umanizzanti. La missione della sinistra in questo campo, se può essere racchiusa in due sole parole, è proprio quella della emancipazione umana e dell’avanzamento dei popoli.  Che fare, dunque? Se è vero che «riscattare la dimensione dell’umanità è un salvacondotto per la libertà», occorre attivare strumenti propriamente umani: leggere e scrivere; conoscere e argomentare; difendere la pace e i diritti umani, come “tutti i diritti umani per tutti e per tutte”; porre gli strumenti della tecnologia al servizio dell’umanità. Difendere, in sostanza, le conquiste dell’umanità, comunicazione umana, democrazia, welfare, relazioni, stato sociale e giustizia sociale, dignità e libertà. In pratica: creare un vero e proprio “ecosistema di comunicazione”; formare “nostre” reti sociali e reti di integrazione; potenziare la literacy, l’educazione letteraria, umanistica, scientifica, su base umana; sviluppare conoscenze, capacità, competenze; attrezzare una propria “sovranità tecnologica”, con un ruolo cruciale, in questo senso, della Repubblica popolare cinese e delle reti di integrazione del Sud Globale, non ultimi i Brics. Il tutto per un progetto che, appunto, non è algoritmico, ma politico, proprio perché riguarda e interessa profondamente lo spazio dell’umanità e delle relazioni.  Riferimenti: Unesco, What you need to know about literacy, 05.09.2025: https://www.unesco.org/en/literacy/need-know Johann Rossi Mason, La dittatura dell’attenzione: come l’inquinamento cognitivo sta saturando la nostra mente, Huffington Post, 27.01.2025: https://www.huffingtonpost.it/blog/2025/01/27/news/la_dittatura_dellattenzione_come_linquinamento_cognitivo_sta_saturando_la_nostra_mente-18279682 Madeleine Sautié Rodríguez, Fidel e la cultura, l’eterna battaglia, Granma, 11.08.2025: https://it.granma.cu/cultura/2025-08-11/fidel-e-la-cultura-leterna-battaglia    Gianmarco Pisa