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Bandiere della pace fuori dalle scuole, rimuoverle è atto politico!
Un mese fa il sindaco di Inverigo (Como) ha fatto rimuovere dai cancelli esterni di una scuola primaria uno striscione rosso con la parola “pace” scritta in bianco, a sua detta «per evitare strumentalizzazioni politiche e per motivi di sicurezza». Era stato affisso lo stesso giorno dello sciopero generale di settembre, ma lo striscione non conteneva simboli partitici, solo la parola “pace”, ed era il frutto di un progetto didattico che aveva coinvolto i bambini e le bambine della classe quarta della scuola primaria. Ad aumentare l’assurdo di questa vicenda ci sarebbe che alle domande del sindaco per ricevere spiegazioni per lo striscione, la dirigente scolastica abbia declinato ogni sua responsabilità dicendo «Hanno fatto tutto le maestre!», e le maestre «Sono stati i bambini!».   Quello che come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università sappiamo è che contrasti di questo genere ci sono e ci sono stati in molte altre scuole. Non sempre i media locali ne hanno scritto e neanche noi (qui e qui due vicende simili) Il livello simbolico però ha una grande importanza. Perché uno striscione innocuo diventa motivo di disputa tra adulti e pubblici ufficiali? Come può la pace diventare un tema controverso? A scuola poi, dove il valore della pace dovrebbe essere esplicitato, e non nascosto come causa di vergogna o di colpa. Tutto questo è successo per quel famoso motto a scuola non si deve fare politica che non trova appoggi nel nostro Osservatorio perché si equivoca sul termine politica. A scuola si devono fornire gli strumenti per abitare il mondo presente con la maggiore consapevolezza possibile. Le richieste di rimozione dei simboli della pace dagli edifici pubblici, quelle sì che sono politiche! Sono il segno della direzione presa dalla politica economica di questo Paese e di tutta Europa. Dalla scuola dell’infanzia fino all’università, che si faccia in termini di empatia con i più piccoli o in termini astratti e complessi con i più grandi, va insegnato che la guerra porta solo distruzione, dolore, rancore. Va insegnato che la gestione nonviolenta dei conflitti non si improvvisa, richiede competenza, che prima si comincia e meglio è. E va insegnato che quando si parla di pace forse si sta promuovendo una pacificazione che non è la stessa cosa.  Intanto, che le bandiere e i simboli di pace restino ai cancelli delle nostre scuole a salutare l’ingresso di chi le frequenta e a ricordare al mondo fuori che ad esse è affidato il suo stesso futuro.  Maria Pastore, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università