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USB: “C’è sciopero (del 28 novembre) e sciopero (del 12 dicembre), perché c’è piattaforma e piattaforma”
La mancata convergenza della CGIL sullo sciopero promosso da USB e altre organizzazioni sta suscitando un dibattito fondato sul nulla. A parte qualche vecchio ‘sempreverde’ che prova ad attribuirsi il ruolo di generoso pontiere, sembra che nessuno stia ragionando su questa scelta della CGIL, che pare ragionevole e giusta. Per il 28 e 29 novembre prossimi USB ha convocato uno sciopero generale e una manifestazione nazionale a Roma sulla scorta di un mandato vincolante su una piattaforma di lotta assolutamente chiara e dettagliata da parte dell’assemblea nazionale dei propri quadri e delegati riuniti a Roma il 1° novembre. Altrettanto, sembra di capire, ha fatto la CGIL con la propria assemblea nazionale e decidendo di convocare lo sciopero generale il 12 dicembre. Quindi la differenza di valutazione in ordine alla convocazione di uno sciopero generale non sta nella data ma nella piattaforma di lotta, cioè sui contenuti che si vuole far emergere attraverso il massimo strumento di lotta e di mobilitazione a disposizione dei lavoratori e delle lavoratrici. Se le piattaforme sono tanto diverse da non consentire una convergenza sulla stessa giornata è abbastanza naturale che questo non avvenga e non si realizzi quello che si è realizzato il 3 ottobre scorso e allora si è potuto realizzare unicamente perché la drammaticità del genocidio in corso del popolo Palestinese era al centro dello sciopero politico ‘fuori dalle regole’ che il Paese, oltre le sigle sindacali, ha caparbiamente voluto effettuare anche cosciente dei rischi che si correvano. Quando si convoca il 3° sciopero generale nel breve volgere di due mesi o poco più non lo si può fare a ‘cuor leggero’, come tante volte altri soggetti hanno fatto. Lo si fa perché una situazione insostenibile lo richiede e la piattaforma che lo convoca deve essere mirata esattamente sui motivi che hanno reso la situazione insostenibile e contenere proposte concrete, condivise e realizzabili come quella di partire da 2000 euro di salario netto per tutti come paga base. Una proposta ‘facile – facile’ ma che finora nessuno aveva avuto il coraggio di avanzare. Tanti sono i motivi alla base della proclamazione, ciascuno può trovarli dettagliati sul sito USB, e ciascuno si accorgerà delle profonde differenze nell’ impostazione, prima ancora che nel dettaglio, tra quelle emerse dall’assemblea USB del 1° novembre e quelle della CGIL. Bene quindi ha fatto la Cgil, evitando personalizzazioni che lasciamo alla Meloni in affanno di argomenti, a decidere di andare per la propria strada, decidendo la propria data in cui scioperare sulla propria piattaforma strutturalmente lontana anni luce da quella di USB. Un sussulto di consapevolezza che gli fa onore. Unione Sindacale di Base
Il 14 ottobre a Udine sono state commesse violazioni dei diritti umani
Report dei sei osservatori della sezione italiana di Amnesty International che erano presenti alla manifestazione nazionale ‘Show Israel the red card’ svolta in concomitanza alla partita di calcio Italia-Israele per monitorare e accertare il rispetto degli standard internazionali su diritto di raduno pacifico, libertà di espressione e uso della forza da parte della polizia. 11 novembre 2025 – Al momento della diffusione di questa dichiarazione, le autorità non avevano risposto. > Il 14 ottobre 2025, in occasione della partita di calcio Italia-Israele, si è > svolta a Udine la manifestazione nazionale Show Israel the red card contro la > normalizzazione del genocidio nella Striscia di Gaza da parte di Israele e > contro la partecipazione della nazionale di calcio israeliana alle > qualificazioni per la prossima Coppa del mondo. > > Alla manifestazione, iniziata alle 17:30, hanno preso parte persone arrivate > da tutta Italia, in una città dove Viminale e Prefettura avevano disposto un > importante dispositivo di sicurezza, visibile già dai giorni precedenti. > > Durante la manifestazione, sei osservatori di Amnesty International Italia > specializzati nel monitoraggio di situazioni pubbliche a rischio hanno > monitorato lo svolgimento della protesta per verificare che l’operato delle > forze di polizia rispettasse gli standard internazionali su diritto di raduno > pacifico, libertà di espressione e uso della forza da parte delle forze di > polizia. > > L’organizzazione ha poi intervistato 18 persone: 15 che avevano partecipato > alla manifestazione, un avvocato, un esponente del Comitato per la Palestina > di Udine (uno dei gruppi organizzatori) e un giornalista. > > Il 30 ottobre Amnesty International Italia ha infine condiviso le proprie > preoccupazioni in materia di diritti umani con la Questura di Udine al fine di > offrire la possibilità di rispondere e commentare prima della pubblicazione.   PREOCCUPAZIONE PER LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI COMMESSE IL 14 OTTOBRE A UDINE   Uso massiccio e indiscriminato di gas lacrimogeni Al termine di una manifestazione svoltasi in maniera pacifica per le strade della città di Udine, la grande maggioranza delle persone partecipanti si è concentrata nell’area concordata per la fine del corteo, piazza I Maggio. Intorno alle 20:15 un piccolo gruppo di manifestanti, composto da svariate decine di persone, ha tentato di sfondare il cordone della polizia in viale della Vittoria. Le autorità hanno risposto – senza preavviso – utilizzando prima due cannoni ad acqua a distanza ravvicinata e subito dopo gas lacrimogeni e in misura minore i manganelli. L’osservazione della task force e i video visionati da Amnesty International hanno rilevato un utilizzo massiccio e indiscriminato di munizioni e granate contenenti gas lacrimogeni; la stessa Questura di Udine riporta di averne utilizzate circa 150. L’ingente lancio di gas lacrimogeni, inizialmente in direzione di una minoranza di persone che cercava di sfondare il cordone delle forze di polizia, ha poi raggiunto anche la piazza I Maggio, dove si svolgevano gli interventi finali della manifestazione pacifica, imponendo alle realtà organizzatrici di porre fine alla stessa con un largo anticipo rispetto alle tempistiche concordate con le autorità, in modo da tutelare la sicurezza delle migliaia di persone ancora presenti, incluse persone anziane e minorenni. Le testimonianze delle persone manifestanti e degli osservatori di Amnesty International Italia e i video che Amnesty International Italia ha potuto visionare hanno confermato che il lancio dei gas lacrimogeni è durato per circa un’ora e mezzo e che in diversi casi le munizioni sono state sparate ad altezza di persona e in alcune occasioni a distanza ravvicinata anche contro persone che stavano manifestando pacificamente. Un manifestante e giornalista che stava scattando fotografie durante la protesta ha testimoniato ad Amnesty International Italia di essere stato colpito con il manganello sulla schiena e sulle braccia insieme a circa altre cinque persone, molte delle quali con le mani alzate, che si stavano nascondendo dietro una fermata dell’autobus all’angolo tra piazza I Maggio e viale delle Vittorie, nel tentativo di evitare il getto d’acqua dell’idrante. Il manifestante ha presentato denuncia in Procura per le contusioni subite e ha testimoniato che altre due persone che erano con lui sono state colpite dai manganelli dopo essere cadute a terra. Fermi e misure amministrative Dopo la conclusione della manifestazione, intorno alle 21:45, almeno 13 persone (sette uomini e sei donne) sono state fermate dalle forze di polizia e trasferite in Questura. Amnesty International Italia ha parlato con dieci di loro, che hanno testimoniato di essere state fermate in via Giosuè Carducci, a circa un chilometro dall’area del raduno in piazza I Maggio, mentre stavano rientrando a piedi dalla manifestazione. Alcune si stavano dirigendo verso l’automobile e altre verso la stazione ferroviaria. In base alle testimonianze raccolte, svariate decine di agenti in tenuta antisommossa hanno bloccato la strada in entrambe le direzioni e hanno tentato di fermare indistintamente tutte le persone che vi si trovavano in mezzo. Le persone fermate hanno raccontato di esser state afferrate bruscamente dalle forze di polizia, perquisite e poi portate in Questura a sirene spiegate per la loro identificazione. In almeno due casi, le persone hanno riferito ad Amnesty International Italia di essere state messe a terra dagli agenti e colpite dai manganelli, nonostante avessero le mani alzate; altre due manifestanti hanno raccontato di essere state prese mentre camminavano impaurite dall’ingente numero di agenti in tenuta antisommossa e di essere poi state spinte violentemente verso il muro per essere perquisite. Le persone ascoltate da Amnesty International Italia hanno affermato di aver partecipato in maniera pacifica alla manifestazione. Le persone fermate sono state trattenute per circa cinque ore in Questura: i sette uomini sono stati chiusi a chiave in una stanza a parte mentre le donne sono state tenute nel corridoio. Nessuna delle persone fermate ha potuto ottenere informazioni rispetto alle ragioni del fermo e tutte sono state private del proprio cellulare e della possibilità di effettuare telefonate. A dieci di loro è stato poi notificato il foglio di via obbligatorio di un anno dalla città di Udine. Questa misura amministrativa preventiva vieta la presenza di una persona in un territorio specifico diverso da quello di residenza ed è imposta dal questore senza un preventivo controllo giudiziario quando si ritiene che la “pericolosità sociale” di una determinata persona possa costituire una minaccia per la sicurezza pubblica. Tra le persone fermate e trattenute era presente un ragazzo che ha dichiarato di aver partecipato pacificamente alla manifestazione di piazza I Maggio insieme ai genitori. Il ragazzo ha riferito di essere stato fermato mentre stava camminando verso la stazione ferroviaria, nei pressi di piazza della Repubblica, dopo la fine della protesta, quando ha visto arrivare decine di poliziotti a bloccare tutte le strade intorno e le vie d’uscita. Anche lui è stato trasferito in Questura, dove ha ricevuto un foglio di via da Udine, nonostante avesse un lavoro che richiedeva la presenza quotidiana in città e da cui è stato costretto a dimettersi. Secondo il suo avvocato, il foglio di via obbligatorio è stato emesso in maniera frettolosa e senza le verifiche necessarie e ha pertanto presentato ricorso alla Prefettura. Un’altra persona colpita dalla misura amministrativa stava collaborando con un ufficio nella città di Udine e stava per firmare un contratto, che ha dovuto però essere sospeso a causa dell’impossibilità di recarsi sul luogo di lavoro. Amnesty International Italia ha espresso preoccupazione per il rischio che, sulla base delle testimonianze raccolte, i fogli di via obbligatori siano stati emessi illegittimamente contro persone che erano state fermate in maniera casuale e la cui “pericolosità sociale” non era stata valutata. Amnesty International Italia ha potuto visionare i documenti dei fogli di via delle persone intervistate, che confermano l’assenza di una valutazione complessiva necessaria sui soggetti colpiti dal provvedimento e l’assenza di denunce o precedenti penali o di polizia. Solo in un caso, il foglio di via rilevava precedenti denunce che non avevano condotto in alcun caso a condanne penali o amministrative né a misure di prevenzione. Amnesty International denuncia da tempo l’utilizzo abusivo dei fogli di via  in quanto misura che si basa su motivazioni vaghe e discrezionali ed è imposta dalle autorità amministrative senza una preventiva autorizzazione giudiziaria e senza le garanzie del processo penale. Misure amministrative del genere violano i principi di legalità e della presunzione di innocenza, sono in contrasto con le garanzie di un processo equo e possono anche violare i diritti alla libertà della persona e alla libertà di movimento. L’organizzazione per i diritti umani ha rilevato anche come lo strumento del foglio di via venga sempre più utilizzato come mezzo di dissuasione per impedire l’esercizio del diritto di riunione pacifica o come deterrente per la partecipazione attiva. Allo stesso tempo, la modalità per poter annullare un foglio di via obbligatorio prevede un aggravio procedurale e di spese legali rilevanti per le persone ricorrenti. Almeno cinque tra le persone colpite dal foglio di via hanno dichiarato che vorrebbero presentare ricorso contro la misura amministrativa ma che non hanno le possibilità economiche per sostenerlo. Ulteriori informazioni sull’uso delle armi meno letali Riguardo ai gas lacrimogeni, gli standard internazionali riguardanti l’uso della forza e delle armi meno letali prevedono che il loro impiego e uso debbano essere posti sotto il comando e il controllo di un ufficiale con funzioni di comando e adeguatamente formato per evitare o ridurre i danni per le persone e per garantirne un uso sicuro e appropriato. Le forze di polizia possono legittimamente usare i gas lacrimogeni solo in caso di violenza diffusa, ma mai possono ricorrervi nel caso di atti isolati di violenza e tantomeno per disperdere un’assemblea pacifica. La quantità di gas lacrimogeno erogato deve essere attentamente monitorata e controllata. È necessario evitare quantità eccessive per prevenire danni sproporzionati e limitare l’impatto sulle persone che vivono nella zona o sulle stesse persone partecipanti. Nel caso si renda necessario l’uso dei lacrimogeni, vi deve essere sempre un preavviso prima del loro impiego per permettere la dispersione delle proteste; se utilizzati, non devono mai essere lanciati direttamente contro le persone manifestanti, poiché potrebbero causare gravi lesioni o morte, né contro persone in fuga o già disperse. Secondo gli standard internazionali, l’utilizzo dei cannoni ad acqua deve essere limitato a situazioni in cui la violenza è così grave e diffusa che non è più possibile affrontare individualmente le persone violente e gli stessi non dovrebbero essere utilizzati su persone troppo vicine. I manganelli infine possono essere utilizzati solo come difesa contro attacchi violenti, dando un chiaro ordine di cessare la violenza. Ogni colpo deve essere giustificato. Non devono in nessun modo essere utilizzati per disperdere un raduno pacifico o contro persone che sono pacifiche, che oppongono solo una resistenza passiva, che sono già sotto il controllo di un agente o che stanno fuggendo. Amnesty International
La “guerra dei monumenti”: esperienza e memoria proletarie della ‘grande guerra’ rimosse da lapidi, statue,… e canzoni
«La Difesa è come l’aria, fin quando non serve non si vede, ma quando manca si capisce la sua necessità» ha detto Piero Calamandrei il 26 gennaio 1955 in un incontro con degli studenti a Milano… NOOO !!! Come ricorda chi lo sa, questa affermazione il cui soggetto è la difesa, scritta con la D maiuscola perché a definire l’attività delle forze armate a protezione della patria, distorce un’altra, celebre, che dice esattamente il contrario. Il padre della patria, un giurista che dopo la ‘caduta’ del governo fascista venne nominato rettore dell’Università di Firenze e bersagliato dal mandato di cattura della Repubblica Sociale Italiana (o di Salò) e nel 1946 fu eletto deputato dell’Assemblea Costituente, aveva detto: «La libertà è come l’aria…». Questa sua frase è stata citata, però storpiandola, dall’imprenditore piemontese, erede della fabbrica di rimorchi per l’agricoltura Agrimec fondata nel 1937, ora l’industria metalmeccanica Crosetto s.r.l. che opera anche nei settori immobiliare e turistico, nel 2003 uno dei fondatori dell’Università degli Studi di scienze gastronomiche di Pollenzo, militante di Forza Italia che presiede il ministero della difesa, di cui è stato sottosegretario nel IV governo Berlusconi. Alla cerimonia militare commemorativa del 4 NOVEMBRE celebrata quest’anno ad Ancona, Guido Crosetto ha enfaticamente proclamato che tale ricorrenza è “un giorno di memoria, di riflessione ma è anche occasione di riconoscenza verso tutti coloro che negli anni a seguire hanno difeso l’Italia e che, con il loro sacrificio, hanno poi reso possibile la nascita della nostra Repubblica” e in cui ricordare lo “status unico, quello dei nostri militari, diverso da quello di qualsiasi altro cittadino… importante, perché la Difesa è come l’aria: ci si accorge di quanto sia essenziale solo quando viene a mancare“. Questa demagogica mistificazione della verità, cioè questa affermazione che modifica una realtà fattuale, in questo caso una Weltanschauung (vocabolo tedesco che letteralmente significa visione del mondo, ovvero percezione e concezione della realtà, e storicamente introdotto nel linguaggio filosofico da Immanuel Kant nel 1790 – Critica del Giudizio), e mediante la storpiatura dei vocaboli che la esprimono e conformano rafforza un’opinione contraria e consolida un’ideologia opposta all’originale, e tante altre falsità hanno plasmato la memoria storica e la coscienza collettiva degli italiani. Che ciò sia davvero accaduto lo si osserva anche nell’iconografia imposta in Italia dal regime fascista, una narrazione che ha letteralmente ‘seppellito’ le testimonianze dei contadini e degli operai reduci della prima guerra mondiale sotto la patina, con il passare del tempo diventata una sempre più spessa e coriacea ‘corazza’, di parole e figure che rappresentano i soldati come militi aitanti, gagliardi ed eroici anche coprendo ogni iscrizione e demolendo ogni lapide e statua che mostrava i militari come erano veramente dopo i combattimenti, cioè morti, feriti, mutilati e traumatizzati. L’autore della ricerca che lo documenta e del libro in cui sono raccolte le prove è Marcello Ingrao (non parente del celebre Pietro), il 6 novembre scorso protagonista dell’iniziativa organizzata a Casale Monferrato dalla sezione ANPI locale. Nato a Novara, cresciuto a Vercelli e residente a Casale Monferrato, Marcello Ingrao ha concentrato il proprio studio nell’area piemontese, una vasta zona rurale e industriale dove in città, anche molto piccole come le minuscole frazioni formate dai cascinali, comunità e famiglie avevano inciso e scolpito il ricordo dei propri parenti e concittadini con parole e immmagini che condannavano le atrocità della carneficina. Per la generazione che l’aveva combattuta al fronte e in trincea l’esperienza della grande guerra era stata terribile fin dalle prime battaglia, tanto che il papa, Benedetto XIV, nella propria Lettera ai capi dei popoli belligeranti il 1° agosto 1917 l’aveva denominata una inutile strage. Nel Ventennio fascista il ricordo delle truppe macellate venne rimosso dai discorsi politici, dai testi di storia e anche distruggendo monumenti che raffiguravano immagini espressive, come le ‘pietà’, ovvero le donne piangenti sui corpi straziati dei figli (o mariti) e cancellando iscrizioni esplicite, come quella sulla lapide dedicata a un soldato che definiva “perenne infamia” la battaglia che l’aveva “assassinato”. Queste immagini e frasi infatti biasimavano la brutalità della guerra e, più o meno esplicitamente, condannavano i suoi artefici, cioè i ‘signori della guerra’, i padroni delle fabbriche in cui lavorano gli operai che nel periodo erano stati ‘intruppati’ nel Regio Esercito Italiano che il 24 maggio 1915 aveva varcato le frontiere con l’Impero Austro-Ungarico e combattuto nelle terre irridente fino al 4 novembre 1918 e nelle terre conquistate, in particolare in Grecia e Albania, fino al 28 giugno 1919. «Anche ne Il Piave mormorava…, cioè nella canzone iconica che ha tramandato il racconto della storia della prima guerra mondiale tra le generazioni, i fatti sono rammentati in modo diverso da come erano realmente avvenuti», ha spiegato Marcello Ingrao. La canzone, il cui titolo originale è La leggenda del Piave, venne scritto e musicato da un compositore, Giovanni Gaeta, dopo la battaglia a cui D’Annunzio diede il nome di battaglia del solstizio. Le cronache, in cui è annoverata come la seconda battaglia del Piave combattuta dal 15 al 24 giugno 1918 al Passo del Tonale, nell’altopiano dei Sette Comuni, sul monte Grappa e alle sponde del Piave, riferiscono che le forze armate italiane vi prevalsero dopo aver subito 118˙042 ‘perdite’: 11˙643 deceduti, 80˙852 feriti e 25˙547 prigionieri. «La narrazione di questo e altri episodi emblematici della grande guerra ha deliberatamente consolidato nella memoria storica omissioni, inesattezze e, soprattutto, menzogne – ha precisato Marcello Ingrao – I versi che riferiscono della disfatta di Caporetto anche come causa dell’esodo di civili in fuga dalla devastazione, vennero emendati. Nella versione che il regime ha imposto come ‘ufficiale’ questa vicenda è definita un fosco evento, mentre in quella originale il Piave ricorda che le truppe al fronte ‘parlavano’ di tradimento, cioè della folle strategia vanagloriosa dei generali. La prima rima recita che il 24 maggio 1915 l’esercito marciava per raggiunger la frontiera e per far contro il nemico una barriera, quando in realtà aveva varcato il confine, quindi attaccato l’avversario che fino a pochi giorni prima un alleato e contro cui l’Italia aveva dichiarato guerra dopo uno storico ‘voltafaccia’». Nel volume edito a cura del Circolo Internazionalista Coalizione Operaia nel catalogo di pubblicazioni del periodico Prospettiva Marxista, «IL DOLORE BOLSCEVICO NON È PIÙ». LA “GUERRA DEI MONUMENTI” E LA RIMOZIONE DELLA MEMORIA PROLETARIA DELLA GRANDE GUERRA, Marcello Ingrao descrive e illustra numerosi ‘casi’ emblematici ricordando che la ‘battaglia’ ideologica era cominciata prima dei combattimenti bellici, quando gli italiani, anche i socialisti all’interno del partito e dei sindacati, si erano scontrati tra favorevoli e contrari all’intervento della nazione nella guerra nel 1915 già mondiale, che era ‘esplosa’ il 28 luglio 1914 e, fino al coinvolgimento delle grandi potenze americane e asiatiche, denomintata europea. In Quelle proteste “dense di eventi” che hanno mostrato ciò che Gaza rappresenta nel mondo pubblicato il 4 novembre scorso, quindi alla ricorrenza celebrata come Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate e mentre in tutta Italia docenti e studenti insieme a lavoratori e attivisti si mobilitavano in una 40ina di ‘piazze’ contro la militarizzazione delle scuole e delle università, la sociologa Dontella Porta (docente di scienza politica alla sede di Firenze della Scuola Normale Superiore) osservava che nel 2025 : “Il 22 settembre … contro la complicità del governo italiano nel genocidio israeliano a Gaza … e chiedere la fine dell’economia di guerra. Fino a 500mila persone si sono mobilitate nelle strade in 90 manifestazioni sotto lo slogan Blocchiamo tutto. Il 3 ottobre 2025 … due milioni di persone si sono mobilitate nelle strade marciando, bloccando porti e stazioni ferroviarie, interrompendo il traffico e occupando scuole e università, mostrando che l’Italia lo sa da che parte stare, Palestina libera dal fiume al mare“. Inoltre, in questa occasione Donatella Porta ha riferito che a giornalisti di vari paesi europei che l’hanno interpellata chiedendo Perché adesso? E perché in Italia? ha risposto: “Penso che ci siano diverse ragioni. L’intensificazione oceanica delle mobilitazioni per la Palestina libera, in Italia e a livello globale, è un caso esemplare di come le risorse per la protesta aumentino durante le azioni stesse. Nel nostro Paese da oltre due anni un’ampia rete di organizzazioni di movimenti sociali attive nelle lotte femministe, nell’ambientalismo e nell’antirazzismo, nonché i sindacati, hanno unito le forze con attori pacifisti”. Il 3 ottobre a Milano ho ‘interrogato’ alcuni manifestanti chiedendo loro a quale altro sciopero storico poteva essere paragonato l’enorme corteo che si era formato e con Marcello Ingrao il 6 novembre scorso abbiamo ricordato insieme che nell’area delle risaie vercellesi, dove nel 1949 veniva girato il film Riso amaro, nel 1950 un sindacalista aveva composto la canzone Son la mondina… in cui il coro di donne – come le operaie che l’8 marzo 1917 a San Pietroburgo avevano scioperato e manifestato all’insegna dei cartelli con scritto “pane e pace” – recita: “lotteremo per il lavoro, per la pace, il pane e per la libertà. E creeremo un mondo nuovo di giustizia e di vera civiltà. E se qualcuno vuol far la guerra tutti quanti uniti noi lo fermerem. Vogliam la pace sulla Terra e più forti dei cannoni noi sarem!”. FONTI INFORMATIVE : «IL DOLORE BOLSCEVICO NON È PIÙ». LA “GUERRA DEI MONUMENTI” E LA RIMOZIONE DELLA MEMORIA PROLETARIA DELLA GRANDE GUERRA, di Marcello Ingrao / Prospettiva Marxista Il discorso di Piero Calamandrei agli studenti milanesi (1955) / PATRIA INDIPENDENTE – 2010 Piero Calamandrei: «La libertà è come l’aria» / COLLETTIVA – 2022 4 NOVEMBRE 2025 : * 4 Novembre: la cerimonia militare ad Ancona / MINISTERO DELLA DIFESA * Mattarella celebra la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate ad Ancona / QUIRINALE * Quelle proteste “dense di eventi” che hanno mostrato ciò che Gaza rappresenta nel mondo / ALTRAƎCONOMIA Maddalena Brunasti
Le ‘zecche’ nel mirino dei ‘maranza’, e non solo: AVS, M5S e PD chiedono risposte
Il ‘clima politico’ italiano si sta surriscaldando. Giovani e studenti che protestano contro il genocidio dei palestinesi, il riarmo europeo e il governo italiano vengono aggrediti dai squadre di neofascisti. Inoltre, mentre in parlamento si parla di abrogazione degli articoli 613- bis e 613-ter del codice penale concernenti i reati di tortura e istigazione alla tortura e delibera in merito al disegno di legge n° 1627, detto ‘Gasparri’, anziché proteggere le vittime dalle violenze verbali e fisiche dei ‘maranza’ le forze dell’ordine impediscono oppure ostacolano lo svolgimento di manifestazioni dei cittadini pacifisti e non-violenti. Eppure il 3 ottobre scorso a Milano era accaduto un fatto che tutto il mondo ha ammirato, perché emblematico dello ‘spirito che si aggira…’ nel presente, l’ideale pacifista espresso e messo in pratica nelle proteste dei giovani, e non solo, contro il genocidio dei palestinesi, contro il riarmo, contro la militarizzazione delle scuole,… e contro la repressione delle loro contestazioni Le forze dell’ordine erano intervenute per disperdere un gruppo di manifestanti che aveva bloccato la tangenziale Est. Contro i giovani, che avevano reagito lanciando sassi e bottiglie, erano stati sparati i fumogeni e, in un momento di ‘quiete dopo la tempesta’, una ragazza si è rivolta agli agenti di polizia schierati in assetto antisommossa dicendo: > Siete esseri umani esattamente come noi. Volete davvero questa cosa? Avete > scelto questo lavoro per questo? Per combattere le ‘zecche’? Ci manganellate > se noi attacchiamo? Se vogliamo passare? Sorprendentemente, la squadra di poliziotti ha abbassato gli scudi… Questa vicenda è stata documentata da FANPAGE nel video-reportage che la mostra insieme all’intervista alla protagonista, da allora soprannominata zecca. E, con la rapidità in cui accadono nel villaggio globale, immediatamente sono stati appellati zecche tutti i coetani e consimili dell’adolescente milanese, i giovani ribelli della Gen Z – ovvero Generazione Z. Nel 1997 accadeva che Internet è diventato il www, un sistema di comunicazione e interazione telematiche globale. Prima era un sistema di interconnessione tra computer della NASA elaborato da un pool di ricercatori delle facoltà di informatica delle università americane, che fornirono le proprie ‘scoperte’ alle forze armate della propria nazione senza rinunciare al diritto di fruirne e impiegarlo per usi civili. Curiosamente … in Italia invece questo fatto tanto emblematico da introdurre un neologismo nel vocabolario italiano è passato inosservato. Quel che a Milano ha detto, e con le proprie parole fatto, la prima ‘zecca’ dei nati da quando Internet è diventato un sistema di comunicazione e interazione globale, non è stato saputo o capito proprio dagli italiani, persino da molti che in questo periodo così caotico e frenetico sono tanto vigili e reattivi ai fatti che accadono nel proprio paese e nella proprie città e anche in ogni paese e città del mondo. In quei giorni di settembre e ottobre le cronache italiane ponevano all’attenzione dell’opinione pubblica gli scontri che avvenivano ad alcune, non tutte, anzi a solo poche delle tante, iniziative organizzate e promosse da molteplici associazioni e a cui partecipava una ‘marea’ di persone. Questi tafferugli provocati da pochi facinorosi che, come testimoniato dai presenti, non erano aggregati alle formazioni dei manifestanti facevano tanto scalpore, e così anziché su finalità e dimensioni delle contestazioni contro il genocidio dei palestinesi, contro il riarmo europeo e contro il governo italiano nelle giornate tra il 22 settembre e il 3 ottobre i mass-media e i social-media si sono concentrati su un dettaglio del commento di Giorgia Meloni alle proteste: durante un comizio a Lamezia Terme a sostegno del candidato di Forza Italia alle elezioni regionali, il 30 settembre la leader di Fratelli d’Italia e premier della nazione aveva dichiarato: «Le forze dell’ordine devono perdere tempo con i figli di papà dei centri sociali che stanno creando problemi alla Sapienza dove hanno sostituito la bandiera dell’Europa con quella della Palestina». Facendo esplicito riferimento alle iniziative degli studenti universitari che occupavano gli atenei chiedendo alle autorità accademiche di intervenire in soccorso degli assediati a Gaza interrompendo le collaborazioni scientifico-culturali con le istituzioni, le forze armate e il governo di Israele, Giorgia Meloni concluse: “E qui a sinistra ci sarà un cortocircuito”. I fatti hanno smentito tale previsione basata sulla ‘lettura’ della realtà della premier. Anziché andare in tilt lo schieramento ‘pro-pal’ è successo il contrario: mentre i giovani, e non solo, che contestano gli interventi del governo Meloni-Salvini nelle scuole, e non solo, e che manifestano pacificamente nelle piazze italiane, a infervorasi sono stati i ‘facinorosi’ che gravitano nell’area che si contrappone all’opposizione, cioè allo schieramento nel paese maggiormente evidente e in parlamento invece minoritario. Lo dimostrano le recenti aggressioni di neo-fascisti agli studenti che volantinano e manifestano davanti alle scuole (al Liceo Einstein di Torino, al Liceo Curie di Pinerolo – anche imbrattato con la scritta “Zecche rosse per voi le fosse”) e nelle scuole occupate (il Liceo Leonardo da Vinci di Genova, a Roma il Liceo Bramante e il Liceo Righi), inoltre le intimidazioni di neo-nazisti al reporter che a Novara documentava un’iniziativa organizzata dai gruppi aderenti al Comitato Remigrazione e Riconquista,… e il licenziamento del giornalista che ha domandato alla portavoce della Commissione Europea di riferire in merito alla ricostruizione di Gaza come dell’Ucraina. Curiosamente… il 3 gennaio 1925 all’interrogazione parlamentare sul delitto Matteotti, cioè l’assassinio del socialista che stava pubblicando il secondo ‘bilancio’ del primo anno del governo fascista e una decina di giorni prima alla Camera aveva contestato i risultati delle elezioni appena svolte e denunciato illegalità, abusi e violenze commessi dai fascisti, Benito Mussolini proclamò: > dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo > italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica > di tutto quanto è avvenuto… Se tutte le violenze sono state il risultato di un > determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di > questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una > propaganda che va dall’intervento ad oggi Memori di questi fatti accaduti cent’anni fa, in questi giorni alcuni deputati hanno posto la questione all’attenzione dei propri colleghi parlamentari e degli attuali governanti con i seguenti interventi: Grimaldi, AVS : “Giorni a parlare delle vetrine rotte a Milano, non una parola sulle nefandezze fasciste” Colucci, M5S : “Aggressioni squadriste alle scuole. Episodi gravissimi, Meloni venga in Aula”  Casu, PD : “Tre giorni di raid fascisti al liceo Righi. Fatti gravi, Meloni condanni chiaramente”   Maddalena Brunasti
“Tremate, tremate, le streghe son tornate…” a sostegno di Francesca Albanese e del popolo palestinese
“TUTT3 DALLA PARTE DELLE STREGHE, CON LA PALESTINA LIBERA!”, esorta il Global Movement to Gaza Italia. L’invito rivolto a manifestanti e attivisti è di mobilitarsi in questi giorni in solidarietà con la giurista italiana e con il popolo palestinese e, specialmente nella giornata del 31 ottobre, esprimersi con la rappresentazione del sostegno mediante la scenografica impersonificazione delle figure emblematiche dell’emancipazione femminile. Un’esperta di diritto internazionale e specializzata in diritti umani che il Committee on the Exercise of the Inalienable Rights of the Palestinian People ha incaricato, con ripetute conferme della sua autorevolezza, recentemente Francesca Albanese ha riferito, presentando la documentazione e le testimonianze raccolte nei rapporti elaborati allo scopo, in merito alla Situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati alla 59ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani riunito a Ginevra dal 16 giugno al 9 luglio 2025 e il 20 ottobre scorso all’Assamblea Generale dell’ONU riunita in concomitanza con l’80° anniversario dell’entrata in vigore della Carta (Statuto) delle Nazioni Unite. A seguito dei fatti accaduti in questa occasione, il 30 ottobre  Global Movement to Gaza Italia ha lanciato questo appello: > Commentando alle Nazioni Unite l’ultimo rapporto sul genocidio pubblicato dal > gruppo di ricerca della relatrice speciale per la Palestina occupata *, il > rappresentante di Israele all’ONU, Danny Danon, ha detto che Francesca > Albanese è una “strega fallita”: > > Signora Albanese, lei è una strega. Questo rapporto è un’altra pagina del suo > libro degli incantesimi. Ogni accusa è un incantesimo che non funziona, perché > lei è una strega fallita. […] Possiamo solo sperare che la sua stregoneria > fallisca ancora una volta. Possano le sue maledizioni continuare a ritorcersi > contro > > Manco a dirlo è un uomo che dà della strega a una donna, quando vuole > squalificare il suo pensiero. Un meccanismo vecchio secoli, per fortuna oggi > ri-significato dal transfemminismo fin dai tempi del Witches are back **. > > Non ci sorprendono le “accuse di stregoneria” da parte di chi è convinto di > essere proprietario della terra palestinese per volontà divina. Ancora una > volta non permetteremo che venga demonizzato chi indaga sulla verità del > genocidio a Gaza, chi denuncia con prove e puntualità la pulizia etnica, il > regime di apartheid e l’occupazione illegittima della Palestina. > > Per questo lanciamo un appello a chi in questi giorni scenderà in piazza per > le mobilitazioni contro il genocidio organizzate in tante città italiane, e > anche a chi semplicemente attraverserà le strade e le piazze delle città per > la serata di Halloween: indossiamo tutti e tutte un cappello da strega, come > forma di complicità e vicinanza a Francesca Albanese, e soprattutto al popolo > palestinese che si trova in una condizione lontana anni luce dalla pace. > > Dimostriamo ancora che gli italiani e le italiane sono al fianco della > Palestina Libera, in ogni occasione, evento e momento della quotidianità, > compresi quelli di socialità e di festa. > > Mostriamo ancora una volta a Israele e ai governi complici come quello > italiano che ogni atto di bullizzazione politica e ostilità violenta nei > confronti di Francesca Albanese verrà sanzionato dalla popolazione. > > Global Movement to Gaza Italia   * GAZA: A COLLECTIVE CRIME (UN General Assembly, 2025 – A/80/492) – (SUMMARY) The ongoing genocide in Gaza is a collective crime, sustained by the complicity of influential Third States that have enabled longstanding systemic violations of international law by Israel. Framed by colonial narratives that dehumanize the Palestinians, this live- streamed atrocity has been facilitated through Third States’ direct support, material aid, diplomatic protection and, in some cases, active participation. It has exposed an unprecedented chasm between peoples and their governments, betraying the trust on which global peace and security rest. The world now stands on a knife-edge between the collapse of the international rule of law and hope for renewal. Renewal is only possible if complicity is confronted, responsibilities are met and justice is upheld. ** Otto marzo 1972: tremate tremate le streghe son tornate – … c’è anche Jane Fonda, nota come attrice ma soprattutto per l’impegno sui diritti civili, femminista: prende la parola brevemente “infiammando” la manifestazione. La grande partecipazione di quell’otto marzo nasce da una straordinaria capacità di tutte quelle donne di mettersi insieme pur con idee e pensieri differenti, col comune obiettivo di costruire la forza di ognuna e quindi di tutte “per cambiare il mondo”. C’è una carica della polizia, immotivata se non da alcuni slogan “trasgressivi” ma pacifici delle manifestanti; insultate invece da un gruppo di maschi non solo di destra. Alcune donne sono ferite, anche Alma Sabatini lo è: con una manganellata in testa e il ricovero in ospedale. Redazione Italia
Un appello dei COBAS a Cgil e sindacati di base: facciamo come il 3 ottobre
Riceviamo e volentieri diffondiamo Per uno sciopero unitario il 28 novembre contro la Finanziaria Nei giorni trascorsi dopo i due milioni di presenze in piazza il 3 ottobre scorso, in occasione dello sciopero nazionale più unitario che mai, abbiamo maturato alcune radicate convinzioni. Il 3 ottobre sono successe cose mai viste prima. La principale è stata – come mai accaduto nei circa quaranta anni dalla nascita del sindacalismo di base – l’indizione comune dello sciopero fatta da Cgil e sindacati di base, con una conferenza stampa comune e con l’invio delle convocazioni altrettanto comune. Nostra convinzione è che quella unità d’azione, che centinaia di migliaia di militanti/attivisti ci chiedevano da anni, abbia costituito il moltiplicatore delle presenze, che in media sono state al di sopra di ogni altra partecipazione a scioperi del passato. Le due ulteriori novità sono state: a) a differenza di quel che succede di solito negli scioperi “tradizionali” (dieci scioperano e uno/a va in piazza), la gran parte degli scioperanti è andata a manifestare; b) si è realizzata un’”eccedenza” di presenze, ben oltre il classico lavoro dipendente sindacalizzato: in generale; nei cortei gli spezzoni “sociali” sono stati anche più numerosi e partecipati di quelli delle strutture sindacali “tradizionali”. Ci pare indubbio che tutto questo si sia realizzato per essere riusciti, per la prima volta in quasi 40 anni, a mettere in campo, unito, tutto il sindacalismo “di sinistra”. La conclusione che ne abbiamo tratto per costruire lo sciopero generale verso la Finanziaria del governo Meloni – che non potrà avere come unico elemento trainante la Palestina o la guerra, ma che dovrà dare grande rilievo anche alle tematiche del lavoro, dei servizi pubblici e sociali, del salario, del precariato, delle pensioni, della scuola, sanità ecc. – è che esso non può retrocedere dall’unità realizzata il 3 ottobre. Ci siamo posti il problema della assoluta necessità di mettere in sinergia il sindacalismo di base, le aree sociali ampiamente mobilitatesi il 3, ma cercando di trovare un soddisfacente punto di incontro (sciopero nello stesso giorno e manifestazioni comuni) anche con la Cgil. Riterremmo dunque assai positivo che anche la Cgil promuovesse lo sciopero generale per il 28 novembre, data quasi obbligata, visti i tempi della Finanziaria e il calendario di scioperi di categoria e settore già proclamati. Qualora la Cgil facesse questa auspicabile scelta, riteniamo che sarebbe altrettanto importante promuovere unitariamente le manifestazioni territoriali per il 28 novembre. Tante aree sociali, movimenti, reti e associazioni, dove operano congiuntamente militanti Cgil, Fiom e dei sindacati di base, parteciperebbero da protagonisti e molto volentieri a manifestazioni unitarie; mentre, se dovessero dividersi tra cortei separati, probabilmente si sentirebbero ben meno motivati ad impegnarsi per la miglior riuscita della giornata. Potremmo concordare una prossima Assemblea nazionale, per ragionare congiuntamente su come costruire al meglio l’unità di sciopero e di piazza; o comunque, trovare luoghi e modi per dialogare al fine di ottenere il miglior risultato possibile nello sciopero contro questa Finanziaria e sugli altri temi internazionali in campo. Esecutivo Nazionale Confederazione COBAS       Redazione Italia
Migliaia di persone alla marcia per la pace Perugia-Assisi
Enorme partecipazione alla Marcia Perugia-Assisi, che quest’anno ha scelto  lo slogan “Imagine all the people”, tratto dall’immortale canzone di John Lennon. Secondo Flavio Lotti, tra gli organizzatori dell’evento, non si vedeva così tanta gente dalla marcia del 2001, pochi giorni dopo l’invasione dell’Afghanistan seguita all’attacco alle Torri gemelle.” Il no al riarmo, all’aumento delle spese militari, alle guerre e al genocidio a Gaza sono i temi ricorrenti e più necessari che mai in questo travagliato momento storico. Segui la diretta. Di seguito alcune immagini (in aggiornamento), a partire dalla messa officiata da Don Ciotti nella Basilica di San Pietro a Perugia e dall’omelia di Padre Alex Zanotelli. Un fiume di gente si è poi messo in marcia diretto ad Assisi. Tra i partecipanti anche Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu sui territori palestinesi occupati, che ha definito la marcia “bella, con tanta gente e consapevole.” Commentando il recente piano di pace proposto da Trump e Netanyahu ha sollevato una questione basilare, ossia l’assenza di una parte fondamentale: “Dove sono i palestinesi? Dov’è la Cisgiordania e dov’è la giustizia?” ha chiesto. “Quello che è stato fatto a Gaza non è l’esito di un terremoto, ma è frutto di un piano intenzionale voluto ed eseguito al fine di distruggerla. Tutto questo non c’è. Si parla di una ricostruzione sulle macerie e sulle fosse comuni, ma non di ricucire lo strappo fatto all’anima di quel popolo. Sono molto preoccupata” ha concluso.   Redazione Italia
Cinema senza diritti: rassegna di cinema palestinese a Venezia, nona edizione
Inizia il 16 ottobre la nona edizione di Cinema senza diritti, rassegna di cinematografia palestinese che si svolge a Venezia presso il circolo Arci Luigi Nono nell’isola della Giudecca. Ingresso libero. Un’occasione per assistere alla presentazione di film inediti che non circolano nelle sale commerciali, perché la Palestina è senza diritti anche sotto questo aspetto. Le opere cinematografiche palestinesi arrivano raramente al grande pubblico, oppure solo  perché coprodotte con registi israeliani. La rassegna offre l’opportunità di conoscere meglio la storia e la realtà attuale del popolo palestinese, di approfondire il contesto che ha portato al genocidio e di ascoltare una volta tanto la voce dei diretti interessati. Documentari e fiction di gran valore artistico si alternano nel programma di quest’anno. Ad aprire il primo incontro il 16 ottobre si svolgerà una performance musicale a cura di Daniele Diliberto con la voce di Marta Maderna che canteranno “A urgent call for Palestine”, canzone di lotta degli anni ’70. Seguirà The Palestine exception di Jan Haaken, Jennifer Ruth- 2024 – doc. 60 min. Il documentario testimonia la discriminazione sistemica della libertà di espressione, di manifestazione e di ricerca accademica riguardo la questione palestinese e le rivolte studentesche nelle università americane a partire dal 2023. 23/10 – Between Heaven and earth di Najwa Najjar – 2019 – Palestina – 92 min. Basato sulla storia vera di una giovane coppia dei Territori Occupati che per ottenere il divorzio deve recarsi in Israele. Una volta ottenuti i permessi per andare a Nazaret scopriranno una verità che cambierà le loro vite. 30/10 – State of passion di Carol Mansour – 2025 – Palestina – doc. 75 min. La storia del medico Abu Sitta, chirurgo plastico di fama internazionale, che da anni lascia il suo studio di Londra per aiutare i palestinesi di Gaza bombardati da Israele. 6/11 – Upshot di Maha Naj – 2024 – Palestina – 34 min. Struggente vicenda di due anziani coniugi: per sopravvivere alle conseguenze dell’occupazione e della guerra la psiche umana elabora disperati meccanismi di difesa. A seguire il cortometraggio Haneen di Ossama Bawardi – 2020 – Palestina – 20 min. Poetica e nostalgica rievocazione di un mondo perduto. Attrice protagonista la scrittrice Suada Amiry. 13/11 – Innocentes di Guy David – 2022 – Israele – doc. 100 min. In Israele la leva militare è obbligatoria per uomini e donne, ma il reclutamento inizia fin dall’infanzia. Dal regista di Five Broken Camera,  una spietata critica al suo Paese. Un film indispensabile per conoscere un aspetto taciuto della società israeliana. Dopo le proiezioni dibattito e aperitivo. In sala anche una selezione di libri dedicati alla Palestina. La rassegna è organizzata da CINEMA SENZA DIRITTI, COMITATO PERMANENTE CONTRO GUERRE E RAZZISMO DI MARGHERA, CIRCOLO ARCI LUIGI NONO, PALESTINIAN MUSEUM – USA, AL ARD FILM FESTIVAL DI CAGLIARI Redazione Italia
Il “battello di pace” che ha unito le sponde del Lago Maggiore
Nella giornata di sabato 11 ottobre al mattino il battello degli “Artigiani della pace” è salpato da Angera, ha approdato ad Arona, accolto da sindaci, associazioni, sindacati, insegnanti e studenti, a mezzogiorno ha attraccato a Baveno, dove lo attendevano pranzo, musica dal vivo, reading, testimonianze e interventi istituzionali ed è infine giunto a Verbania. Il percorso di navigazione ha tracciato una rotta simbolica verso la pace, che unisce tutti i territori e ogni coscienza. Con questa iniziativa, l’equipaggio e i passeggeri del battello di pace hanno testimoniato il proprio impegno per “denunciare il riarmo, la guerra e l’economia armata, perorare il cessate il fuoco a Gaza e in ogni luogo di guerra, chiedere giustizia e imparare a costruire la pace nelle scelte di ogni giorno”. Non solo un viaggio, anche un cammino condiviso, a bordo del battello, mentre “si ascoltano voci, si intrecciano storie, si cercano parole nuove per dire giustizia e fraternità” e in ciascuna tappa dell’itinerario, con le attività svolte dai partecipanti per attirare l’attenzione della gente. All’iniziativa hanno aderito vari Comuni e numerose associazioni, Comuni e aggregazioni della provincia del Verbano Cusio Ossola. A Verbania il battello è stato accolto da un applauso caloroso e da una folla che andava dai giovani scout, alle famiglie con i bambini ad attivisti più anziani, con bandiere della pace e della Palestina. Tutti gli interventi sono stati delle toccanti testimonianze, a cominciare da quello di Don Renato Sacco, che ha sottolineato il bisogno e la voglia di credere nella pace e di costruire ponti e non muri. Ci si è poi spostati in corteo fino al magnifico parco di Villa Maioni, sede della biblioteca, dove sono ripresi gli interventi. Dopo il saluto di un rappresentante dell’amministrazione comunale, Don Angelo Nigro, parroco di Ghiffa, ha rievocato i viaggi che gli hanno cambiato la vita, a cominciare da quello in Brasile, dove incontrare persone che letteralmente morivano di fame ha acceso in lui la fiamma della giustizia, fino ai numerosi soggiorni in Terrasanta, che sono stati un risveglio degli occhi e del cuore. Ha dedicato il suo discorso a gente conosciuta a Nablus e a Betlemme e a un ragazzino ucraino, descrivendo le loro drammatiche esperienze e ha così riempito di un significato umano e profondo frasi come Basta guerre, basta miliardi gettati nelle armi invece che spesi nelle cure, finendo con un invito a portare la pace dentro di noi, per un cambiamento personale più che mai necessario. Anche il giornalista Raffaele Crocco è partito dalla sua esperienza personale, da ragazzo convinto che in certi casi la violenza possa servire a cambiare le cose al toccare con mano il fatto che in guerra ci sono solo vittime e carnefici. Ha ricordato le tante guerre dimenticate che sono in corso oggi e concluso con la necessità di riempire di significato la parola pace, creando un mondo più giusto e intelligente. La lettura di due comunicati di Emergency ha permesso di rivivere il percorso fatto dopo la seconda guerra mondiale, con le convenzioni e le dichiarazioni sui diritti umani basate su quell’imperativo “Mai più” che purtroppo non è stato rispettato, fino ad arrivare all’impressionante livello di crudeltà visto a Gaza, dove l’associazione è presente con una clinica in cui cura malati e feriti con “pochi mezzi e un’empatia infinita.” I canti della pace eseguiti dal coro di San Martino di Vignone hanno concluso un evento che è riuscito a mantenere un tono gioioso, leggero e commovente nonostante il tema drammatico che ha spinto tante persone, istituzioni e associazioni a unirsi in un comune cammino. Tutte le informazioni sull’iniziativa e chi l’ha sostenuta si trovano nel sito https://www.battellodipace.it Anna Polo
Appello di BBS per una “Settimana di azione contro gli F-35”, dal 13 al 18 ottobre
Il Comitato Nazionale Palestinese BDS (BNC), la più grande coalizione della società civile palestinese che guida il movimento globale BDS, invita i movimenti di base e le persone di coscienza di tutto il mondo a intensificare la pressione, comprese azioni pacifiche di disturbo, contro gli Stati, le aziende e le istituzioni complici del programma F-35 partecipando alla Settimana di azione contro gli F-35 dal 13 al 18 ottobre. LASCIAMO A TERRA I CACCIA F-35 USATI NEL GENOCIDIO COMPIUTO DA ISRAELE! I caccia F-35 sono fondamentali per Israele per portare avanti il genocidio contro i 2,3 milioni di palestinesi a Gaza. I numerosi paesi coinvolti nella costruzione e nell’acquisto dei caccia F-35 prodotti dagli Stati Uniti sono complici del genocidio, dell’apartheid e dell’occupazione illegale da parte di Israele. Nel giugno 2024, un rapporto delle Nazioni Unite ha identificato l’uso di F-35, prodotti da Lockheed Martin come casi “emblematici” di attacchi indiscriminati e sproporzionati su Gaza che “hanno causato un elevato numero di vittime civili e la distruzione diffusa di beni civili”. Il 2 settembre 2024, l’ONG danese Danwatch ha rivelato che le forze israeliane hanno utilizzato un F-35 nel mese di luglio per sganciare tre bombe da 900 chilogrammi in un attacco contro una cosiddetta “zona sicura” ad Al-Mawasi, Khan Younis, uccidendo 90 palestinesi. Gli F-35 sono stati utilizzati da Israele anche per commettere gravi violazioni dei diritti umani in massa in Cisgiordania per diversi anni e, più recentemente, per attaccare altri Stati come il Qatar e lo Yemen. Gli Stati partner del programma F-35 non hanno rispettato il diritto internazionale fornendo e acquistando da Israele e dalla sua industria militare. Interrompiamo la catena globale di complicità che rende possibili questi crimini israeliani. IL RUOLO DELL’ITALIA Leonardo S.p.A., principale azienda italiana nel settore della difesa e dell’aerospazio di proprietà statale al 30,2%, svolge un ruolo chiave nel programma dei caccia F-35. Presso la base militare di Cameri (Novara) si trova la FACO (Final Assembly and Check Out), l’unico stabilimento di assemblaggio e collaudo degli F-35 presente in Europa, realizzato in collaborazione con la statunitense Lockheed Martin. Qui vengono prodotti e assemblati gli F-35 destinati all’Aeronautica e alla Marina Militare italiane, oltre a quelli commissionati dai Paesi Bassi. La FACO di Cameri ospita anche il centro europeo di manutenzione, riparazione e aggiornamento (MRO&U) dei velivoli, consolidando il ruolo dell’Italia come secondo partner internazionale del programma dopo il Regno Unito. Leonardo è inoltre responsabile della produzione delle ali dell’F-35, con un impegno stimato di circa 800 esemplari tra il 2014 e il 2028. L’azienda cura anche la formazione dei piloti militari attraverso l’International Flight Training School di Galatina (Lecce), centro di addestramento avanzato riconosciuto a livello mondiale. Queste attività legano Leonardo e il governo italiano alla filiera internazionale degli armamenti impiegati utilizzati da Israele nei bombardamenti su Gaza e in altre operazioni militari contro la popolazione palestinese, e rappresentano un esempio concreto delle complicità (in)dirette dell’industria bellica italiana nel genocidio e nei crimini di guerra commessi con queste tecnologie. La produzione e il supporto logistico forniti da Leonardo contribuiscono inoltre al mantenimento di un sistema militare globale che alimenta violenze e violazioni del diritto internazionale. LE COMPLICITÀ GLOBALI Tredici stati producono componenti specifici per questi jet F-35: Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada, Norvegia, Paesi Bassi, Italia, Giappone, Danimarca, Belgio, Lussemburgo, Germania e Israele. Le principali aziende partner nella produzione sono: BAE Systems, Raytheon, Northrop Grumman, Collins Aerospace e molti altri fornitori minori. I componenti che producono vengono poi inviati agli stabilimenti Lockheed Martin e Pratt & Whitney negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove vengono assemblati e da lì gli F-35I, realizzati appositamente per Israele, vengono inviati allo stato genocida. Finora nessun fornitore ha ottemperato all’obbligo previsto dal diritto internazionale di garantire che i propri componenti non vengano utilizzati nel genocidio in corso. Questi componenti fanno parte dei jet F-35I che consentono a Israele di uccidere quotidianamente donne, uomini e bambini palestinesi e di distruggere le loro case, gli ospedali, le scuole e altre infrastrutture vitali. La conformità dell’utente finale è un obbligo per tutti i produttori di parti dell’F-35, come per tutti gli altri materiali militari utilizzati per commettere gravi violazioni dei diritti umani, in particolare crimini di atrocità. Inoltre, almeno 19 stati utilizzano attualmente i caccia F-35 e diversi stati hanno recentemente firmato accordi per acquistarli. Tra questi figurano Stati Uniti, Belgio, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Germania, Corea del Sud, Singapore, Polonia, Romania e Svizzera. Questi stati non possono garantire che i caccia che acquistano non contengano componenti fabbricati in Israele e quindi testati su civili palestinesi e altri civili arabi. Ogni stato che acquista un F-35 e ogni stato o azienda che produce parti e assembla un F-35 è fondamentale per mantenere la produzione di questi caccia. Ai sensi della Convenzione sul genocidio e del Trattato sul commercio delle armi (ATT), gli stati hanno l’obbligo di impedire il trasferimento diretto e indiretto di attrezzature e tecnologie militari, comprese parti, componenti e articoli a duplice uso, laddove sussista un rischio prevalente che tali attrezzature e tecnologie possano essere utilizzate per commettere o facilitare una grave violazione del diritto internazionale. L’anno scorso, adottando la sentenza della Corte internazionale di giustizia sull’illegalità dell’occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, gli stati hanno votato a stragrande maggioranza a favore della risoluzione A/ES-10/L.31 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che chiede agli stati che “adottino misure volte a cessare […] la fornitura o il trasferimento di armi, munizioni e attrezzature correlate a Israele, la potenza occupante, in tutti i casi in cui vi siano motivi ragionevoli per sospettare che possano essere utilizzate nel territorio palestinese occupato”. Dobbiamo fare in modo che gli stati, le aziende produttrici di armi e l’intera catena di fornitura dell’F-35 siano chiamati a rispondere del loro ruolo nel genocidio perpetrato da Israele a Gaza. È una questione di vita o di morte, per cui vi chiediamo con urgenza di ostacolare questa complicità e di adoperarvi affinché vengano interrotti e non continuino come se nulla fosse i rapporti commerciali con uno stato canaglia che pratica l’apartheid e il genocidio in diretta streaming. CHIEDIAMO CHE VENGA ESERCITATA PRESSIONE SUGLI STATI AFFINCHÉ PONGANO FINE ALLA LORO COMPLICITÀ NEL RUOLO DI ISRAELE NEL PROGRAMMA F-35. Ciò significa: * Le aziende e gli stati che forniscono componenti per gli F-35 smettano di vendere queste parti alle aziende che assemblano o manutengono i jet fino a quando non potranno garantire che nessun componente finisca nei jet F-35 di Israele e che Israele sia completamente escluso dal progetto F-35. * Le aziende e gli stati che assemblano gli F-35 smettano di vendere questi jet a Israele. * Gli stati smettano di acquistare gli F-35 se non possono garantire che non includano componenti di fabbricazione israeliana. Chiediamo ai movimenti di base, ai sindacati e alle altre organizzazioni della società civile di intensificare la pressione pacifica, anche attraverso azioni di disturbo pacifiche e proteste di massa, rivolte a ministeri, parlamenti e aziende manifatturiere complici. A tal fine, chiediamo di organizzare scioperi e interruzioni del lavoro, ove possibile e ragionevole, e di lanciare e sostenere campagne intersezionali, spingendo le università, i sindacati, gli ospedali e i consigli comunali a disinvestire dalle aziende che traggono profitto dalla guerra. Il movimento BDS, con i suoi decine di milioni di sostenitori in oltre 120 paesi in tutto il mondo, non si fermerà finché non porremo fine al genocidio perpetrato da Israele e finché i palestinesi ovunque non potranno esercitare il diritto all’autodeterminazione e godere di libertà, giustizia e uguaglianza. Per ulteriori informazioni o per partecipare, contattare bdsitalia@gmail.com e ilham@bdsmovement.net Lasciamo a terra i caccia F-35 usati nel genocidio compiuto da Israele / comunicato BDS – 8 OTTOBRE 2025 Redazione Italia