Un colpo di mano sui diritti fotografici: un emendamento rischia di paralizzare la ricerca e gli archivi italianiDopo il pasticcio del decreto sui diritti di riproduzione dei beni culturali,
una nuova minaccia si profila per la ricerca e la valorizzazione del patrimonio
fotografico italiano. Un emendamento approvato al Senato — su spinta dei
fotoreporter e firmato da senatori della Lega — triplica da 20 a 70 anni la
durata dei diritti sulle fotografie “semplici”, cioè quelle documentarie e non
artistiche. Se la norma passasse alla Camera, interi archivi pubblici e privati
dovrebbero essere chiusi o resi a pagamento, vanificando investimenti pubblici e
fondi PNRR. Una misura miope e contraria alle tendenze europee, che rischia di
infliggere un danno irreparabile alla conoscenza e alla memoria collettiva del
Paese.
Il Ministero della Cultura circa un anno e mezzo fa aveva messo una pezza a un
Decreto Ministeriale relativo ai diritti di riproduzione dei beni culturali di
proprietà statale, che l’anno precedente aveva fatto insorgere tutte le
istituzioni culturali d’Italia. Roars se ne era occupato qui. Anche con le
modifiche migliorative il provvedimento era rimasto un’assurda complicazione con
errori ed anacronismi, ma almeno rimediava ai danni maggiori che avrebbe subito
la ricerca e l’editoria.
Ora assistiamo a una nuova puntata di questa vicenda, che ripropone il tema
sotto altra forma nel silenzio generale: su pressione dei fotoreporter alcuni
senatori della Lega Nord, con la lungimiranza culturale che li contraddistingue,
hanno fatto votare al Senato un emendamento al decreto Disposizioni per la
semplificazione e la digitalizzazione dei procedimenti in materia di attività
economiche e di servizi a favore dei cittadini e delle imprese – DDL 1184. In
sostanza la modifica sostituisce l’articolo 92 della legge 22 aprile 1941, n.
633 e porta a 70 anni dalla data di produzione dello scatto la durata del
diritto esclusivo sulle fotografie che non siano “opera fotografica”. Viene così
più che triplicato il termine precedente di 20 anni, che valeva per le
“fotografie semplici”. Per chiarezza va specificato che con quest’ultima
definizione si intendono: le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti
della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo
analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi
delle pellicole cinematografiche. Non sono comprese le fotografie di scritti,
documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili
(legge n. 633 del 1941, art. 87). Dunque, non stiamo parlando delle fotografie
artistiche e creative, i cui diritti scadono 70 anni dopo la morte dell’autore.
È evidente che, se passasse alla Camera, la norma sarebbe devastante per la
ricerca storica e la valorizzazione e divulgazione del patrimonio fotografico
nazionale. Esiste infatti nelle collezioni pubbliche e private un patrimonio
immenso di foto documentarie della vita e della storia del paese senza le quali
non sarebbe più possibile fare ricerca e divulgazione su quel che riguarda le
ultime due generazioni di italiani. Sulla base della precedente normativa –
quella che prevede una protezione di 20 anni – erano state digitalizzate,
catalogate e messe a disposizione della libera fruizione del pubblico intere
collezioni con ingente esborso di risorse pubbliche e di fondi PNRR,
investimenti che ora verrebbero completamente vanificati. I fondi degli archivi
che oggi sono liberamente fruibili dovrebbero infatti essere resi accessibili
solo a pagamento e nemmeno sarebbe chiaro come, visto che non si conosce o non è
rintracciabile l’autore di un grandissimo numero di queste fotografie. Sarebbe
di fatto la paralisi amministrativa. E ovviamente tutto ciò bloccherebbe
qualsiasi ulteriore progetto rinviandolo di due giubilei, fra 50 anni, quando
molti di noi non saranno più su questa terra. Inoltre, quale ente culturale
acquisterebbe collezioni fotografiche sapendo di non poterle toccare per mezzo
secolo? Con il rischio (diciamo la certezza) che in questa maniera interi
archivi vadano perduti o dispersi. Senza parlare di chi si occupa della storia
contemporanea del paese, che troverebbe enormi ostacoli non solo per la ricerca
accademica, ma anche per semplice la divulgazione. Questo mentre tutto il mondo
civile si sta muovendo in senso contrario verso una progressiva liberalizzazione
dell’immagine per promuovere la piena fruibilità del patrimonio storico e
culturale, e ovviamente in controtendenza – tanto per cambiare – con la
normativa europea.
In questo modo si causerebbe un danno gravissimo alla comunità per procurare un
vantaggio assai modesto ai fotografi professionisti. Sono infatti solo le foto
dell’attualità che hanno una valenza commerciale significativa, non certo quelle
di venti anni fa e più. C’è da sperare che il Ministero della Cultura si accorga
di questo assurdo autogol, motivato da una visione di straordinaria e miope
grettezza, e che si opponga fermamente a una norma che contrasterebbe gli
interessi e i progetti promossi dallo stesso Ministero.