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Bullismo e cyberbullismo nei rapporti tra i ragazzi
Le relazioni tra i ragazzi possono essere difficili e non di rado i rapporti risultano caratterizzati da interazioni tra una “vittima” e uno o più “prepotenti”. Si tratta del cosiddetto fenomeno del bullismo, dove la prevaricazione dell’uno, o dei più, sull’altro avviene in maniera intenzionale e persistente nel tempo attraverso atti aggressivi di natura fisica e/o verbale e/o psicologica. L’indagine “Bambini e ragazzi: comportamenti, atteggiamenti e progetti futuri”, condotta dall’ISTAT nel 2023, i cui risultati sono stati resi noti nei giorni scorsi, ha raccolto informazioni sui comportamenti offensivi e aggressivi tra i ragazzi, coinvolgendo un campione di 39.214 individui, rappresentativo dei 5 milioni e 140mila ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 19 anni residenti in Italia. Il 68,5% dei ragazzi 11-19enni dichiara di aver subìto, nei 12 mesi precedenti, un qualche episodio offensivo, aggressivo, diffamatorio o di esclusione sia online che offline. Ad avere subìto questi atti più volte al mese è il 21% dei ragazzi; inoltre, per circa l’8% la frequenza è stata quanto meno settimanale. I maschi dichiarano di aver subìto atti di bullismo più delle femmine (21,5% contro 20,5%). La cadenza più che mensile degli eventi vessatori subìti si riscontra soprattutto tra i giovanissimi (ne è stato vittima il 23,7% degli 11-13enni) piuttosto che tra i 14-19enni (19,8%). I ragazzi residenti nel Mezzogiorno che dichiarano di non aver mai subìto, nell’anno precedente, comportamenti offensivi, non rispettosi e/o violenti è più alta rispetto ai ragazzi del Nord-ovest (il 33,5% contro il 29%). Specularmente, spostando l’attenzione su quanti hanno subìto episodi di bullismo, sono le regioni del Nord a presentare le quote maggiori di ragazzi che denunciano di aver subìto una qualche forma di atto vessatorio in maniera continuativa, ossia più volte al mese. Nel dettaglio: gli atti di bullismo hanno interessato il 22,1% dei ragazzi del Nord-est, il 21,6% di quelli del Nord-ovest e il 21% di quelli del Centro; più contenuta la quota tra i giovani residenti nel Mezzogiorno (20%). I maschi sono di solito offesi e insultati, le femmine, invece, sono escluse. Le azioni vessatorie sono tradizionalmente classificate in “dirette” e “indirette”. Il bullismo diretto è caratterizzato da un attacco frontale del bullo verso la vittima; in quello indiretto le azioni vessatorie non sono invece visibili, venendo meno il contatto tra i soggetti. All’interno di questa prima suddivisione è possibile individuare due ulteriori sottocategorie, l’una riferita agli attacchi “verbali”, l’altra agli attacchi “fisici”. Le azioni dirette possono così consistere in “offese” o “minacce/aggressioni fisiche” volte a svilire la vittima provocando in essa sofferenza e vergogna, mentre le azioni indirette sono volte a “diffamare” con pettegolezzi e calunnie o a “escludere” la vittima dal gruppo dei pari. “Di fatto, sottolinea l’ISTAT, sono le azioni dirette, nella forma delle offese e degli insulti, ad essere denunciate più frequentemente dagli 11-19enni. Più della metà dei ragazzi (55,7%) si è sentita, almeno una volta, offesa o insultata nell’anno precedente mentre le minacce e le aggressioni hanno riguardato circa 11 ragazzi su 100. Tra le forme indirette spicca l’esclusione/emarginazione che è avvertita almeno una volta dal 43% dei giovani; la diffamazione ha riguardato, invece, quasi un ragazzo su quattro”. Per quanto riguarda la ripetitività degli atti, le offese e gli insulti sono avvenuti con cadenza più che mensile per oltre il 14% degli 11-19enni, mentre l’esclusione ha coinvolto con frequenza quotidiana oltre un giovane su 10. I maschi vittime di offese continue sono il 16% (contro il 12,3% riscontrato tra le ragazze), mentre le 11-19enni ripetutamente escluse durante l’anno sono il 12,2% (i ragazzi lo sono nell’8,5% dei casi). Il confronto tra gli 11-13enni e i 14-19enni evidenzia altre peculiarità: i primi subiscono maggiormente forme vessatorie di tipo verbale, come le offese e gli insulti sperimentati almeno una volta nell’anno dal 58% di questo collettivo o la diffamazione da oltre uno su quattro. Viceversa, i 14-19enni risultano afflitti soprattutto dai comportamenti di natura fisica: minacce e aggressioni raggiungono l’11,2% del collettivo (contro il 10% riscontrato tra gli 11-13enni), mentre atteggiamenti di esclusione colpiscono una quota del 43,4% (contro il 42,3% tra gli 11-13enni). Relativamente al cyberbullismo, per il 9% dei maschi l’oltraggio online è ripetuto nel tempo. L’essere connessi oggi rappresenta un’esperienza connaturata alla quotidianità e gli adolescenti sono i maggiori fruitori di questa tecnologia: oltre il 90% dei giovani 11-19enni ha dichiarato di trascorrere almeno un paio di ore al giorno su internet. Il cyberbullismo è una particolare forma di bullismo che si avvale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (invio di messaggi offensivi, insulti o di foto umilianti tramite sms, e-mail, chat o social network) per molestare una persona per un periodo più o meno lungo. Un aspetto che differenzia il cyberbullismo dal bullismo offline (cioè in presenza) consiste nell’assenza, nel momento in cui avviene l’oltraggio, di un contatto faccia a faccia tra vittima e aggressore. Tuttavia, non si può escludere che gli atti oltraggiosi online precedano, o siano preceduti, da quelli offline. L’Istat certifica come il 30,1% degli 11-19enni abbia dichiarato di aver subìto atti vessatori sia offline sia online. Ad essere stato vittima di atti esclusivamente online è il 3,8% dei ragazzi. Da ciò deriva che i ragazzi che hanno dichiarato di aver subìto, nel corso del 2023, un qualche comportamento oltraggioso online ammontano a circa il 34%: decisamente più i maschi che le femmine, con una differenza di 7 punti percentuali. “I dati sul bullismo e il cyberbullismo tra i giovani presentati da ISTAT presentano un fenomeno allarmante, ma parziale. La rilevazione, infatti, si riferisce al 2023, ma è evidente che sono in fortissimo aumento tutte le forme di cyberbullismo e di violenza digitale in rete. Tutto questo, rende lo scenario molto più complicato rispetto a quello analizzato dal report, dal momento che si assiste ad un forte spostamento del fenomeno sul digitale, ha dichiarato Ernesto Caffo, Presidente di Telefono Azzurro. Occorre considerare che molto dipende dalle capacità di rilevazione che vengono attivate. Ci sono contesti, infatti, dove la paura di segnalare episodi di bullismo è ancora molto alta. Di conseguenza esistono fenomeni sommersi e nascosti che fanno fatica a trovare riscontro nei numeri”. Le segnalazioni arrivate alla linea d’ascolto del 114– Emergenza Infanzia, il servizio di pubblica utilità istituto e promosso dal Dipartimento per le Politiche della Famiglia – Presidenza del Consiglio dei Ministri e gestito da Telefono Azzurro, evidenziano infatti come soltanto nel 2024, siano stati gestiti ben 104 casi di bullismo e 14 casi di cyberbullismo. Tra i minori coinvolti i più piccoli avevano soltanto 5 anni, con una maggioranza di richieste d’aiuto arrivate dal Lazio, Toscana, Sicilia e Veneto. Qui il Report: Bullismo-e-cyberbullismo-nei-rapporti-tra-i-ragazzi.   Giovanni Caprio
Bullismo, cyberbullismo e violenza di genere, Carabinieri in cattedra a Pachino(SR)
Bullismo, cyberbullismo, uso inconsapevole e imprudente dei social network e i rischi connessi alla pubblicazione di foto e dati sensibili, questi alcuni dei temi affrontati mercoledì 9 aprile scorso con studentesse e studenti delle seconde e terze classi dell’I.S. “M. Bartolo” e delle classi quinte della Scuola Primaria Verga “S. Mallia” di Pachino (SR), in cattedra i Carabinieri della Stazione di Pachino(SR) che hanno completato la “speciale lezione” accompagnando gli alunni e alunne delle scuole primarie a conoscere e salire bordo delle gazzelle in dotazione all’Arma “e provare le diverse strumentazioni di cui sono dotate”. Oltre al bullismo e cyberbullismo con studentesse e studenti di Pachino si è inoltre affrontato il tema della violenza di genere focalizzato con la distribuzione di un “Violenzametro”, “..un segnalibro realizzato dall’Arma dei Carabinieri per stimolare e diffondere una maggiore consapevolezza sui segnali di rischio e sui comportamenti che possano nascondere i sintomi di una relazione tossica”. Ancora una volta accogliamo una delle numerose segnalazioni giunte da tutta Italia in merito ad attività svolte da militari all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, personale in divisa che sostituisce gli e le insegnanti e in molti casi anche altri esperte/i esterni in discipline specifiche quali l’ambito medico, psicologico, pedagogico, legale, o di prima accoglienza come il personale dei centri antiviolenza. Anche in questo caso, come già accaduto in molte altre iniziative organizzate e proposte a scuola con le medesime modalità ci chiediamo quale possa essere il valore aggiunto di un approccio prettamente e formalmente di tipo repressivo, quale è senza dubbio quello fornito da personale militare o delle forze dell’ordine su tematiche così delicate. D’altra parte appare ormai acclarato, studi scientifici lo confermano, che il contrasto a fenomeni come bullismo, cyberbullismo e violenza di genere ma anche l’educazione ad un uso più consapevole della dimensione on line nella nostra vita debbano essere compresi ed affrontati fornendo a ragazze e ragazzi non soltanto nozioni tecniche e statistiche ma chiavi di lettura decisamente più centrate sull’essere umano e sul riconoscimento di sentimenti, pulsioni, stati d’animo che tali accadimenti sono destinati a scatenare. In altre parole un lavoro di sensibilizzazione e prevenzione che parta dagli effetti, troppo spesso deleteri, generati da situazioni di abuso e violenza di ogni tipo, in ambito virtuale così come nella vita reale, per avviare nelle nuove generazioni un necessario cambiamento culturale. Nella fattispecie l’incontro in questione si inquadra nell’ambito del progetto di diffusione della cultura della legalità tra i giovani, promosso dal Comando Generale dell’Arma in collaborazione con il MIUR.Un legame sin troppo stretto e, come dicevamo, dal dubbio valore didattico quello tra i due dicasteri (Istruzione e Difesa), pesantemente stigmatizzato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università che da tre anni a questa parte raccoglie e denuncia, facendole emergere, le centinaia di segnalazioni pervenute su innumerevoli modalità di propaganda militarista diffusa nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado e nelle università italiane. Parliamo di protocolli d’intesa tra uffici scolastici provinciali, regionali e forze armate o forze dell’ordine, corsi di formazione di ogni tipo e sui temi più disparati tenuti da personale militare, merchandising con gadgets militari ed infine ma non ultime per pervasività, offerte formative per ragazze e ragazzi delle superiori di orientamento alla carriera militare. Ad accomunare tutte queste attività, come dimostra l’evoluzione dei conflitti di ogni epoca, il tentativo di normalizzazione e diffusione di una “cultura della difesa” secondo la quale l’altro da se viene visto non come risorsa ma come nemico di cui diffidare e persino temere, peggio ancora se straniero. È veramente questo il messaggio che vogliamo infondere nei futuri cittadini e cittadine del nostro Paese? Un messaggio dedito alla ricerca della performance a tutti i costi, in un ambiente che seleziona le menti più brillanti lasciando indietro chi non regge il passo, privilegiando la competizione fine a se stessa? La nostra risposta è un secco NO. Ribadiamo con forza il valore educativo-formativo della scuola, non solo come fornitrice di contenuti/competenze ma come agente di cambiamento nella crescita culturale e sociale di chi la frequenta, un cambiamento orientato alla formazione di menti critiche e divergenti, in un ambiente che non lasci indietro nessun3 e che si orienti verso valori di pace e non violenza.