Il piano “Gaza Riviera”: gentrificare il genocidio israeliano
di Muhammad Shehada,
The New Arab, 16 settembre 2025.
Il piano “Gaza Riviera” usa il linguaggio degli investimenti e della
riqualificazione per far passare come innovazione il genocidio dei palestinesi
da parte di Israele.
Il cosiddetto piano “Gaza Riviera” non è tanto una visione del futuro quanto un
necrologio scritto nel linguaggio del lusso.
Avvolto in presentazioni patinate e commercializzato come un balzo in avanti
verso il progresso, è in realtà il culmine di anni di deliberata devastazione:
un piano per cancellare i palestinesi da Gaza e rinominare la loro assenza come
innovazione.
Ciò che viene presentato come investimento e rigenerazione è, in realtà, il
riciclaggio del genocidio in uno spettacolo, una copertura estetica per un
progetto politico le cui fondamenta sono le macerie di Gaza e il silenzio dei
suoi abitanti espulsi.
Perché Israele non ha mai sviluppato un piano postbellico a Gaza
Il piano “Gaza Riviera”, pur ampiamente condannato, viene presentato come la
trasformazione di un’enclave completamente distrutta in una serie di megalopoli
balneari futuristiche e high-tech, ed arriva vestito con il linguaggio degli
investimenti e della modernità.
Ma guardando oltre i rendering e le presentazioni per gli investitori, emerge
una verità più cruda: non si tratta di una strategia diplomatica, ma di
un’estetica della scomparsa. Questo spiega perché, per due anni, non ci sia
stato alcun piano politico israeliano coerente per Gaza al di là della
distruzione di massa, dello sterminio di massa e della fame di massa; la
cancellazione di Gaza è stata fin dall’inizio il vero piano.
La coreografia politica delle ultime settimane tradisce le priorità di questo
piano. Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, suo genero Jared
Kushner, Tony Blair e gli inviati israeliani si riunivano per immaginare il
futuro di Gaza senza un solo palestinese nella stanza, il genocidio continuava,
spogliando la Striscia di ciò che resta della sua densità urbana e del suo
tessuto sociale.
La conclusione è che la cancellazione di Gaza non è un ostacolo al piano, ma la
sua condizione preliminare.
Il piano di Netanyahu fin dall’inizio
I contorni fondamentali del piano Riviera sono venuti alla luce in documenti
trapelati di recente che descrivono le proposte di porre Gaza sotto
l’amministrazione fiduciaria degli Stati Uniti per circa un decennio, spopolare
completamente l’enclave dei suoi abitanti palestinesi e commercializzare la
costa come un futuristico polo turistico-tecnologico: “la Riviera del Medio
Oriente”.
Nulla di tutto questo, tuttavia, è nuovo. Il progetto originale di questo
promesso centro fantascientifico, costruito su fosse comuni e città rase al
suolo, è stato creato dallo stesso Benjamin Netanyahu diversi mesi prima che
Trump fosse eletto.
La “Visione Gaza 2035” del primo ministro israeliano, rivelata nel maggio 2024,
immaginava l’enclave, da tempo sotto assedio, come una zona industriale e di
libero scambio simile a Dubai e utilizzava le stesse immagini generate
dall’intelligenza artificiale che vengono ora utilizzate nel piano Riviera.
Non è una coincidenza che entrambi i piani abbiano un’introduzione quasi
identica. “Da una [Gaza] distrutta a un prospero alleato di Abramo”, recita il
piano Riviera, mentre Netanyahu ha sottolineato la “ricostruzione dal nulla”.
Sono implicite le stesse due condizioni preliminari: Gaza deve essere
completamente rasa al suolo senza lasciare nulla e deve essere svuotata della
sua popolazione per trasformarla in una tela bianca da sviluppare partendo da
zero.
Il piano “Gaza Riviera”, ampiamente condannato, reinterpreta il genocidio come
rigenerazione. [Getty]
Questo era il piano di Netanyahu fin dall’inizio, quando il primo giorno di
guerra ha ordinato alla popolazione civile di Gaza di “andarsene subito” prima
che una distruzione senza precedenti colpisse “ogni luogo”. Netanyahu ha poi
raddoppiato la posta in gioco quando il suo ministero dell’intelligence ha
prodotto un piano dettagliato per l’espulsione di massa e il trasferimento
forzato della popolazione di Gaza.
Gli israeliani hanno persino convinto l’allora Segretario di Stato americano
Anthony Blinken a visitare paesi arabi come l’Egitto e l’Arabia Saudita per
promuovere l’idea del “trasferimento temporaneo” della popolazione di Gaza nel
Sinai. All’epoca questa impresa fallì e Israele non riuscì a trovare un pubblico
disposto ad accettare il futuristico complotto su Gaza.
Netanyahu ha continuato ad aspettare il momento opportuno fino all’insediamento
di Trump, quando si è precipitato a Washington per convincere il presidente
americano a presentare l’idea della pulizia etnica e della conquista di Gaza
come se fosse una sua idea.
Da allora, Netanyahu ha continuato a riferirsi alla sistematica espulsione di
massa da Gaza da parte di Israele come “attuazione del piano Trump” per
scaricare sull’alleato la colpa di questa politica genocida.
La copertura di Netanyahu – e il pubblico a cui è destinata
Gli esperti hanno ripetutamente criticato il Piano Riviera di Gaza definendolo
“folle”, irrealistico, impraticabile e pieno di ostacoli legali e morali che
renderebbero chiunque lo promuovesse complice di crimini di guerra e crimini
contro l’umanità.
Ecco perché il Boston Consulting Group si è affrettato a sconfessare i propri
consulenti senior quando questi hanno elaborato un piano dettagliato per rendere
operativo il trasferimento di massa della popolazione di Gaza, includendo
scenari modellizzati e fogli di calcolo che quantificavano il costo della
pulizia etnica. Chiunque voglia contribuire a questo abominio sarà esposto a
cause legali e procedimenti penali per decenni a venire.
Ma la fantasia futuristica di Trump sul Mediterraneo potrebbe non essere intesa
come un piano serio fin dall’inizio. È semplicemente una storia con un “lieto
fine” artificiale al genocidio e alla pulizia etnica che Israele racconta ai
suoi complici.
La vera utilità per Netanyahu di questa idea stravagante è la gestione della
narrativa. Mentre il governo israeliano porta avanti una campagna che
riorganizza la geografia e la topografia di Gaza e la rende inabitabile –
radendo al suolo quartieri, espellendo in massa centinaia di migliaia di persone
nei campi di concentramento, bruciando case e facendo morire di fame i bambini –
le diapositive della Riviera forniscono un alibi al futuro.
Alla destra di Netanyahu, sussurrano il vecchio sogno di insediamenti
esclusivamente ebraici che tornano a Gaza; ai suoi alleati all’estero, offrono
un ottimismo su cui si può investire. Alla base di Trump, vendono la favola
definitiva del MAGA: “Faremo fiorire il deserto e lo renderemo nostro”.
Lo sfarzo è il punto; il piano che circola alla Casa Bianca è persino chiamato
formalmente GREAT (abbreviazione di Gaza Reconstitution, Economic Acceleration,
and Transformation, ovvero Ricostruzione, Accelerazione Economica e
Trasformazione di Gaza). Per il marchio politico di Trump, la promessa di
trasformare le rovine in resort è un classico espediente teatrale.
La “Riviera di Gaza” non è una deviazione dalle politiche di assedio e massacri
degli ultimi due decenni di Israele a Gaza, ma piuttosto il loro culmine.
[Getty]
I paesaggi urbani patinati aiutano a vendere al mondo MAGA e ai venture
capitalist l’immagine di Gaza come una tela bianca in attesa di geni esterni che
la dipingano, mentre, sul campo, il genocidio procede ininterrottamente e senza
restrizioni verso la sua fase finale.
In questo senso, la fantasia della Riviera non è una deviazione dagli ultimi due
decenni di politiche draconiane di assedio e massacri a Gaza da parte di
Israele, ma piuttosto il loro culmine.
È un gioco di parole per camuffare l’indifendibile; la distruzione diventa
“preparazione del sito”, lo sfollamento diventa “pianificazione urbana”, lo
sterminio diventa un trampolino di lancio verso profitti e opportunità
commerciali inesplorate.
Questo è ciò che rende le rappresentazioni della Riviera di Gaza un potente
strumento di propaganda, perché invertono la realtà. Propongono spiagge senza
persone, torri senza inquilini, porti senza politica. Fanno sembrare l’assenza
dei palestinesi un progresso.
Israele sta promettendo Gaza ai coloni, non a futuristici investitori
È illogico che Israele faccia di tutto per compiere un genocidio a Gaza, spenda
quasi 90 miliardi di dollari in questa guerra, perda oltre 900 soldati, diventi
uno stato paria, solo per poi consegnare Gaza su un piatto d’argento al governo
statunitense e ai magnati americani della tecnologia e del settore immobiliare.
Yehuda Shaul, cofondatore di Breaking the Silence, ha dichiarato a The New Arab
che secondo lui il piano della Riviera di Gaza “non è collegato allo sforzo
principale del movimento dei coloni [israeliani]”, che sta spingendo per un
ritorno a Gaza.
“Il piano originale delle organizzazioni dei coloni, che si adatta anche alla
geografia di base di Gaza, è quello di tornare a quello che un tempo era
chiamato ‘il recinto settentrionale’, ovvero i tre insediamenti nel nord di
Gaza: Elei Sinai, Nisanit e Dugit”, ha aggiunto Yehuda.
“Questi sono gli insediamenti che un tempo si trovavano a nord di Beit Lahia.
Questo è ciò a cui mirano i coloni”.
Shaul ha spiegato che i commentatori israeliani della destra come Amit Segal
hanno spinto questa idea sui media mainstream. “Viene venduta come una
‘semplice’ espansione dei confini [di Israele] invece che come un’annessione di
parti significative della Striscia di Gaza”.
La promessa di grattacieli e porti turistici su una costa spopolata non è un
piano di pace, ma un teatro di espropriazione, una storia scritta per gli
investitori stranieri, i comizi di MAGA e le fantasie dei coloni.
La “Riviera di Gaza” non indica un domani di convivenza o prosperità; rimanda
alla più antica logica coloniale di trasformare le vite altrui in ostacoli e la
loro cancellazione in opportunità.
Muhammad Shehada è uno scrittore e analista palestinese di Gaza e responsabile
degli affari europei presso Euro-Med Human Rights Monitor
https://www.newarab.com/analysis/gaza-riviera-plan-gentrifying-israels-genocide
Traduzione a cura di AssopacePalestina
Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma
pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.