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Zohran Mamdani e la rivolta contro l’impero dell’arroganza
L’ascesa di Zohran Mamdani nella politica newyorkese non è un caso: è un atto di fede collettiva da parte di una generazione che rifiuta di arrendersi. Contro una marea di miliardari, cinici opinionisti e media mainstream dai toni degradatori, la sua campagna è diventata una rivoluzione silenziosa. Sulla metropolitana e nelle case popolari, nelle sedi sindacali e nei parchi comunitari, il sussurro si è trasformato in un coro: “Questa città appartiene di nuovo a noi”.  L’Impero colpisce ancora Quel sussurro ha terrorizzato il vecchio ordine. L’establishment politico, la stessa macchina ben oliata che per decenni ha scambiato favori e giuramenti di fedeltà tra i partiti, ora vede Mamdani non solo come un rivale politico, ma anche come una minaccia esistenziale. Sono i guardiani del grande mito americano, secondo cui la crescita infinita è una virtù, il denaro equivale al merito e il socialismo è una malattia. Per loro, figure come Andrew Cuomo e Eric Adams non sono individui, ma incarnazioni di una struttura di potere in decadenza, un meccanismo costruito per preservare il controllo, sterilizzare il dissenso e punire la speranza. Queste forze scateneranno tutte le armi a loro disposizione: titoli distorti, indignazione selettiva, sussurri di “eleggibilità” e telefonate da parte di donatori che “vogliono solo mantenere la stabilità della città”. L’ironia, ovviamente, è che la loro definizione di stabilità significa mantenere un sistema che rende instabili milioni di persone oberate di lavoro, sottopagate e inascoltate. L’autostrada pericolosa Stamattina, mentre tornavo da Long Island a Brooklyn lungo la Jackie Robinson Parkway, ho visto tre o quattro auto sfrecciare tra le corsie a velocità folle, uno spettacolo comune a New York. Il limite di velocità era di quarantacinque miglia all’ora, ma questi conducenti andavano tranquillamente a settanta, forse anche di più. Su un’autostrada con il limite di 65 miglia, sarebbero arrivate fino a 100 se non ci fossero state pattuglie della polizia in vista. Alcuni si vantano addirittura di sfidare la legge: per loro è un motivo di orgoglio. Cosa succede a causa di questa arroganza? Noi altri ci irrigidiamo, stringiamo più forte il volante e preghiamo che il caos passi senza tragedie. La paura ci paralizza. Obbediamo alla legge, restiamo nella nostra corsia e speriamo che quella potenza spericolata non invada il nostro spazio. Eppure, quando arriva l’inevitabile incidente, raramente sono i pirati della strada a soffrirne, ma le famiglie, i conducenti prudenti, i bambini seduti dietro con la cintura di sicurezza. Il sistema politico ed economico americano funziona più o meno allo stesso modo. L’1%, quelli che guidano i motori dell’avidità, della manipolazione dei media e del consumo senza fine, sfrecciano sull’autostrada della vita senza curarsi delle conseguenze. Giocano d’azzardo con il sostentamento delle persone, le nostre scuole, la nostra aria, la nostra stessa democrazia. E quando arriva l’incidente, quando l’economia crolla o il pianeta brucia, non sono mai le élite spericolate a pagare il prezzo. Sono i lavoratori, gli affittuari, le persone comuni che cercano semplicemente di rimanere nella loro corsia. La politica di Zohran Mamdani sfida alla radice questa cultura del potere sfrenato. La sua campagna è una richiesta di frenare, di ritrovare la sanità mentale, l’equità e la decenza. Egli rappresenta i milioni di persone che non ne possono più di guidare nella paura. Che cosa rappresenta Mamdani La candidatura di Mamdani non riguarda solo la riduzione degli affitti o la riforma del trasporto pubblico. Riguarda la dignità umana in una città che ha dimenticato cosa significhi. Il suo calore, la sua concretezza e la sua insistenza sul fatto che nessun newyorkese sia sacrificabile lo rendono pericoloso per un establishment che prospera sulla divisione. I giovani di ogni provenienza – immigrati, attivisti queer, sindacalisti, informatici, venditori ambulanti – vedono in lui non un salvatore, ma uno specchio del loro io migliore. La sua campagna incarna la chiarezza morale che un tempo definiva le migliori tradizioni americane: equità, coraggio e integrità al posto della paura, dell’avidità e dell’ipocrisia. L’appello New York si trova ora a un bivio. La scelta non è tra destra e sinistra, ma tra coscienza e corruzione, tra verità e menzogne televisive. L’alleanza Cuomo-Adams-Wall Street non si fermerà davanti a nulla per far deragliare questo movimento, ma la storia dimostra che quando la gente comune si unisce, anche gli imperi più scintillanti crollano. Per ogni elettore convinto che l’onestà conti ancora, per ogni giovane lavoratore che sogna una città costruita sulla cura invece che sul timore, è venuto il momento di agire. L’establishment lo definirà ingenuo, avventato, persino antiamericano. Lasciamoli fare. Il vero patriottismo non è obbedienza, è coraggio. Una New York rinata La campagna di Mamdani ha già cambiato il clima politico di New York. Che l’élite al potere lo accetti o meno, una turbinio di coscienza ha cominciato a formarsi. È il vento che si alza dopo troppi anni di silenzio, lo stesso vento che un tempo ha soffiato con Frederick Douglass, Emma Goldman, Eleanor Roosevelt, Bayard Rustin, Bella Abzug e Bernie Sanders. Se quel vento si intensificherà, se troverà il suo ritmo attraverso i quartieri e le generazioni, spazzerà via l’arroganza di coloro che hanno dimenticato che la democrazia non è mai stata concepita come un club privato. Ricorderà all’America che il potere, come la guida, richiede responsabilità e che la giustizia non è un lusso, ma la strada stessa.  Fonti: * New York Times, “Progressives Eye City Hall as Zohran Mamdani’s Movement Grows,” Sept 2025. * The Indypendent, “How Zohran Mamdani Reframed NYC Politics Around Care.” * The Wire, Partha Banerjee, “Patriot or Traitor? Gandhi, Dissent, and the Meaning of Democracy,” Oct 2025. * Jacobín, “Socialism Is Not a Crime: The Rise of a New Generation of American Left.” * Brooklyn For Peace, “Pathmakers of Conscience: From King to Mamdani.” Traduzione dall’inglese di Anna Polo   Partha Banerjee
NEPAL: INTERVISTA DA KATMANDU CON NAVYO ELLER, “MAI VISTA UNA RIVOLUZIONE COSì VELOCE, NETTA E SENZA COMPROMESSI”
È tornata la calma nel paese himalayano dopo le durissime quanto rapide proteste della scorsa settimana a Katmandu e in molti altri centri del Nepal. Il nuovo governo di transizione, votato dal popolo in rivolta e guidato da Sushila Karki, prima donna premier nella storia del paese, dovrà organizzare le elezioni tra sei mesi. Ieri la nazione era in lutto per i morti durante le recenti manifestazioni, nel frattempo le scuole hanno riaperto e tutto sembra tornato alla normalità. Decine di migliaia di giovani erano scesi in piazza l’8 settembre nella capitale e in tutto il paese, per manifestare contro la corruzione e l’arroganza del potere. Alla decisione di bloccare temporaneamente i social network, sono scoppiati pesanti disordini: dati alle fiamme uffici e ministeri, il Parlamento, il palazzo del Governo, quello della Corte Suprema, le case del ministro degli interni e dell’ex premier. La repressione della polizia è stata violentissima, ha provocato decine di morti e centinaia di feriti, spingendo ampie fette della popolazione ad unirsi agli agitatori della protesta, la GenZ, giovanissimi tra i 15 e i 20 anni. In meno di due giorni, dato anche l’assenza di interventi da parte dell’esercito, il governo in carica si è dimesso. Navyo Eller, cittadino italiano da oltre trent’anni in Nepal, ha dichiarato ai nostri microfoni di “non aver mai visto una rivoluzione così veloce, netta e senza compromesso”. Ascolta o scarica