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Salute e genere nella migrazione: vulnerabilità costruite
Le donne rappresentano circa la metà della popolazione migrante a livello globale, eppure l’immigrazione femminile continua ad essere meno approfondita rispetto a quella maschile, pur presentando vulnerabilità specifiche legate alla condizione di genere.  Tali vulnerabilità, spesso evocate dalle istituzioni, vengono raramente descritte per quello che sono realmente: la vulnerabilità non è una condizione ontologica, ma il risultato concreto di politiche escludenti, leggi inadeguate e servizi inefficienti. La combinazione di discriminazione intersezionale e vulnerabilità sistemica rende le donne migranti uno dei gruppi più a rischio di marginalizzazione nell’Europa contemporanea 1. Questo articolo si occuperà di delineare la rilevanza del genere in ambito migratorio quando si affronta il tema della salute. Risulta dunque essenziale analizzare l’ordinamento giuridico italiano per valutare quanto lo Stato sia effettivamente garante del diritto alla salute, in particolare per le donne migranti 2. Ma cosa si intende per salute? L’organizzazione mondiale della sanità la definisce come “una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità 3”. La Costituzione italiana all’art. 32 stabilisce che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, garantendo cure gratuite agli indigenti e vietando trattamenti sanitari obbligatori se non previsti dalla legge e nel rispetto della dignità umana. Il diritto alla salute, in quanto universale ed equo, è garantito anche agli individui irregolari attraverso l’accesso alle cure urgenti o essenziali, ovvero quelle prestazioni che non possono essere rinviate senza mettere in pericolo la salute o aggravare una malattia 4. Nell’esperienza concreta invece, si osservano profonde crepe sull’universalità del sistema, forti discrepanze nell’accesso ai servizi sanitari, gli ostacoli variano e si moltiplicano a seconda di fattori come età, etnia, religione, disabilità, istruzione, alfabetizzazione, orientamento sessuale o status giuridico. Le barriere linguistiche, culturali, religiose e giuridiche, unite a una forte disomogeneità territoriale nei servizi sanitari, rendono spesso inaccessibili i diritti sopra delineati. Ad esempio, le donne immigrate irregolari solo nel caso in cui siano in un accertato stato di gravidanza hanno diritto ad un permesso di soggiorno temporaneo, valido dal sesto mese di gravidanza fino al sesto mese di vita del/della bambino/a, che permette loro di iscriversi al SSN per quel periodo.  I PERCORSI DI ACCESSO DELLE DONNE MIGRANTI IN EUROPA E LE POSSIBILI CONSEGUENZE SULLA SALUTE I dati del Dossier Statico Immigrazione 5 mostrano che una larga parte dell’immigrazione femminile in Italia avviene attraverso il ricongiungimento familiare 6. Tuttavia, molte donne intraprendono autonomamente il percorso migratorio, senza il supporto di familiari o partner. Il loro percorso si distingue dalla componente maschile per alcune specifiche caratteristiche poiché, il più delle volte, è segnato da esperienze di violenza, sfruttamento, stupri, tratta, abusi e ricatti di varia natura a partire dal Paese d’origine, fino alle nostre città che le continuano a coinvolgere e ricattare. Le donne sole spesso vengono inglobate nel mercato del lavoro di cura, regolare o irregolare, settori ad alta usura fisica e bassa tutela contrattuale. Anche il procedimento del ricongiungimento familiare può però trasformarsi in una trappola per molte donne, legate al partner non solo economicamente ma anche giuridicamente. Questa dipendenza rende più difficile denunciare eventuali abusi e forme di segregazione sociale, mettendo a dura prova la loro salute psico-fisica. Le donne che accedono a questo canale entrano stabilmente nei sistemi sanitari dei Paesi europei, rendendo urgente una risposta strutturata e non solo emergenziale alla loro salute.  Anche la percezione della salute delle donne è generalmente diversa da quella degli uomini. La relazione tra genere e salute si potrebbe facilmente chiarire attraverso questa frase: “Il tipo e il ritmo di lavoro degli uomini minaccia la loro vita, mentre il tipo e il ritmo di lavoro del lavoro domestico femminile mette a rischio la qualità della vita delle donne 7”.  La percezione del lavoro domestico è, per cause indubbiamente patriarcali, notevolmente distorta poiché sottovaluta la pesantezza e la pericolosità, sia sul piano emotivo che psicologico, nonché in termini di inclusione sociale, di quel genere di professione, soprattutto se praticato da una donna migrante con un passato e un presente di violenze, traumi e segregazione.  Per l’uomo, immigrato e non, un importante fattore di rischio riguarda il lavoro, in quanto la componente migrante maschile è considerata in primis come risorsa economica; la donna invece è da sempre presa in considerazione in quanto moglie e madre, e, se facente parte del mercato del lavoro, come lavoratrice domestica, quindi, non a rischio. Questo viene confermato anche dal fatto che la protezione sanitaria specializzata che la donna ottiene è principalmente legata alla sfera della salute riproduttiva, alla gravidanza. Come sostiene infatti anche Francesca Alice Vianello, professoressa di sociologia del lavoro all’Università di Padova, la donna migrante viene spesso affiancata alla sola immagine di donna legata alla riproduzione biologica e di tutto l’insieme di professioni in Italia ancora genderizzate. La donna in Italia è utile unicamente a “produrre e riprodurre gli individui e la qualità della loro vita socio relazionale 8”, relegandola sempre più ad una sfera emotiva, astratta, poco tangibile e riconoscibile, che non ha nulla a che vedere con la produttività economica.  CORPO COME STRUMENTO DI EMANCIPAZIONE E LUOGO DI SOFFERENZA Le studiose Veronica Redini e Francesca Alice Vianello, parlano inoltre della centralità del corpo: un corpo doppiamente protagonista, sia come strumento di lavoro che come luogo dove la fatica si manifesta. È un corpo che cura, ma che spesso non può curarsi adeguatamente; un corpo che denuncia, attraverso dolori e malattie, la propria condizione di marginalità sociale ma che non viene riconosciuto, se non come riproduttivo 9. Le donne migranti, frequentemente, non sono adeguatamente informate sui propri diritti e sulle risorse sanitarie disponibili. Le differenze culturali si riflettono in vari aspetti della loro vita, inclusi gli stili di vita familiare, le pratiche quotidiane, le credenze e le modalità di interazione con i servizi sanitari. Queste differenze nascono da concezioni diverse del concetto di salute, dalle esperienze pregresse in altri sistemi sanitari e dalla conoscenza di pratiche tradizionali o alternative. La rappresentazione del corpo e della mente, il significato di “normalità” e le preferenze per determinati rimedi variano significativamente tra le diverse culture 10. In conclusione, parlare della salute delle donne migranti non può ridursi alla “sola” questione della violenza: affrontare questa realtà richiede un cambiamento di paradigma nelle politiche europee e nazionali, occorre superare la neutralità apparente delle leggi e costruire strumenti giuridici e sociali capaci di riconoscere la complessità delle identità e delle esperienze. Occorre, inoltre, non perpetuare le violenze già enormemente subite da soggettività femminili, riconoscendo i loro corpi e gli spazi che attraversano, investendo in una comunicazione chiara e inclusiva, che garantisca l’accesso e l’informazione adeguata a tutte le persone, non limitandosi a considerare il benessere relegato solo ad una dimensione fisica ma anche mentale, superando i confini delle case in cui vivono segregate. 1. Si veda i report: Il doppio ostacolo delle donne straniere nel percorso di emancipazione – Openpolis, 8 marzo 2024; Donne migranti protagoniste, ma svilite. Lo studio – Integrazionemigranti.gov.it, 23 febbraio 2023 ↩︎ 2. L’espressione ‘donna‘ si riferisce esclusivamente alle persone socializzate come tali, senza tener conto dell’identità di genere individuale di ciascun individuo ↩︎ 3. Preambolo alla costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, entrato in vigore il  7 aprile 1948 ↩︎ 4. Legge n. 833/1978 ↩︎ 5. Scheda di sintesi del Dossier ↩︎ 6. Direttiva 2003/86/CE ↩︎ 7. Tognetti Bordogna, 2008. ↩︎ 8. Francesca Alice Vianello, Veronica Redini, Federica Zaccagnini, Il lavoro che usura. Migrazioni femminili e salute occupazionale, 2022. ↩︎ 9. Ibidem. ↩︎ 10. Veronica Redini, Francesca Alice Vianello, Il dibattito socio-antropologico sulla salute delle e dei migranti, 2020 ↩︎
Maternità sotto accusa
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università di Trento Master in Diritto e Politiche delle Migrazioni MATERNITÀ SOTTO ACCUSA MADRI MIGRANTI E VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA: UN’ANALISI DELLA PROCEDURA DI VALUTAZIONE DELL’IDONEITÀ GENITORIALE Tesi di master di Gemma Martini (A.A. 2024/2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE La tesi analizza in chiave critica le modalità con cui viene valutata l’idoneità genitoriale delle madri migranti nei contesti istituzionali, evidenziando il rischio concreto di una vittimizzazione secondaria. Tale rischio emerge quando le donne, già vulnerabili per ragioni socioeconomiche, culturali o legate al percorso migratorio, si trovano a dover affrontare procedure valutative che, anziché riconoscere la complessità della loro condizione, ne accentuano la marginalizzazione. Il lavoro si apre con una ricostruzione teorica dei concetti di genitorialità, migrazione e bias culturale, osservandone l’impatto sulla condizione delle madri migranti. Viene quindi approfondita la cornice normativa e operativa entro cui i servizi sociali e i giudici italiani operano nelle valutazioni dell’idoneità genitoriale, con riferimento ai casi in cui le famiglie sono coinvolte in percorsi di tutela minorile. Attraverso l’analisi di documenti istituzionali, linee guida, casi di studio e letteratura scientifica nazionale e internazionale, la tesi evidenzia come il vissuto migratorio, la precarietà abitativa e lavorativa, le barriere linguistiche e i differenti modelli educativi possano essere letti dagli operatori come segnali di inadeguatezza genitoriale, piuttosto che come elementi contestuali da comprendere, accompagnare e sostenere. Questa lettura rischia di rafforzare stereotipi e pratiche valutative implicitamente discriminatorie, producendo forme di vittimizzazione secondaria istituzionalizzata. Particolare attenzione è riservata alla posizione delle madri migranti, spesso esposte a un duplice giudizio: in quanto madri e in quanto straniere. Le prassi valutative tendono a mettere in discussione la loro competenza educativa sulla base di criteri etnocentrici e culturalmente orientati, senza considerare adeguatamente le differenze culturali e i differenti approcci educativi. La tesi si conclude con una riflessione sui possibili approcci alternativi, attenti alla dimensione interculturale e alla valorizzazione dell’interdisciplinarità orientata alla costruzione di interventi realmente emancipanti. Viene proposta una maggiore integrazione tra servizi sociali, mediazione culturale e reti comunitarie, al fine di favorire una valutazione più equa e rispettosa dei diritti delle madri migranti e dei loro figli.