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Spesa sanitaria pubblica: l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi del G7
Per la spesa sanitaria pubblica pro-capite il nostro Paese nel 2024 si è collocato al 14° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. Una spesa sanitaria pubblica che si è attestata al 6,3% del PIL, percentuale inferiore sia alla media OCSE (7,1%), sia a quella europea (6,9%). E per la spesa pro capite il gap con i Paesi europei è di € 43 miliardi. Sono i dati di un recente Report della Fondazione GIMBE, che ancora una volta evidenziano come il sottofinanziamento pubblico della sanità italiana sia ormai una questione strutturale che si scarica pesantemente sui cittadini, costretti a confrontarsi ogni giorno con liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali e sociali sempre più marcate e la necessità sempre più frequente a pagare di tasca propria visite e prestazioni sanitarie fino a rinunciare del tutto. Nel 2024 sono state costrette a farlo ben 5,8 milioni di persone, quasi 1 su 10. La fonte utilizzata dalla Fondazione GIMBE è il dataset OECD Health Statistics, aggiornato al 30 luglio 2025. I confronti con i paesi OCSE e con quelli europei sono stati effettuati sulla spesa sanitaria pubblica, sia in termini di percentuale del PIL che di spesa pro-capite in dollari a prezzi correnti e a parità di potere d’acquisto. È utile ricordare che la spesa sanitaria pubblica di ciascun Paese include diversi schemi di finanziamento, di cui uno generalmente prevalente: fiscalità generale (es. Italia, Regno Unito), assicurazione sociale obbligatoria (es. Germania, Francia), assicurazione privata obbligatoria (es. USA, Svizzera). Nel 2024 la spesa sanitaria pubblica pro-capite in Italia si è attestata a $ 3.835, un valore nettamente inferiore sia alla media OCSE ($ 4.625) con una differenza di $ 790, sia soprattutto alla media dei Paesi europei ($ 4.689) con una differenza di $ 854. Tra gli Stati membri dell’Unione Europea, sono 13 i Paesi che investono più dell’Italia: si va dai +$ 58 della Spagna ($ 3.893) ai +$ 4.245 della Germania ($ 8.080). Come ha sottolineato il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, “l’Italia è prima tra i paesi poveri: precede solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa Meridionale, visto che Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna investono più di noi. Fino al 2011, la spesa sanitaria pro-capite in Italia era allineata alla media europea; poi, per effetto di tagli e definanziamenti operati da tutti i Governi, il divario si è progressivamente ampliato, raggiungendo i $ 430 nel 2019. Il gap si è ulteriormente allargato durante la pandemia, quando gli altri paesi hanno investito molto più dell’Italia; il trend si è confermato nel 2023, con una spesa stabile in Italia, e nel 2024, quando l’incremento è stato inferiore alla media degli altri Paesi europei. L’entità di questo progressivo definanziamento  è imponente: al cambio corrente dollaro/euro il gap pro-capite nel 2024 ha raggiunto € 729. Applicato all’intera popolazione residente, corrisponde un divario complessivo di € 43 miliardi. Una erosione progressiva di risorse pubbliche al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, soprattutto dopo la pandemia, è sempre più in affanno”. Nel 2024 l’Italia si è quindi confermata come il fanalino di coda con una spesa pro-capite di $ 3.835, mentre la Germania l’ha più che doppiata raggiungendo i $ 8.080. Particolarmente significativo è il caso del Regno Unito, che condivide con l’Italia un modello sanitario universalistico: se fino al 2019 ha registrato una crescita modesta, a partire dalla pandemia ha progressivamente aumentato in modo consistente la spesa pubblica, superando in soli cinque anni Canada e Giappone e posizionandosi poco al di sotto della Francia. Per la Fondazione GIMBE è proprio dall’impietoso confronto con gli altri Paesi europei e del G7 che bisogna ripartire, affinché Governo e Parlamento prendano atto dell’enorme e crescente divario strutturale rispetto agli altri Paesi avanzati, senza trasformare il tema in scontro politico. È urgente pianificare un progressivo rilancio del finanziamento pubblico della sanità: non per risalire le classifiche internazionali, ma per restituire forza e dignità al SSN e garantire a tutte le persone, ovunque vivano e a prescindere dal loro reddito, l’inalienabile diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione. Perché se non investiamo sulla salute, pagheremo tutto con gli interessi: in disuguaglianze, malattia, impoverimento e perdita di futuro. Qui per approfondire: https://www.gimbe.org/pagine/341/it/comunicati-stampa.  Giovanni Caprio
Sanità: Bene solo 13 Regioni, mentre 8 peggiorano rispetto al 2022
Nel 2023 solo 13 Regioni sono risultate adempienti rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza – LEA, un numero identico a quello del 2022: Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. Sono i dati del Ministero della Salute sulle prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province Autonome devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket, che la Fondazione GIMBE  ha rielaborato e diffuso nei giorni scorsi. La Fondazione GIMBE ha elaborato anche una classifica di Regioni e Province Autonome, il cui punteggio totale evidenzia in maniera più netta il divario Nord-Sud: infatti, tra le prime 10 Regioni 6 sono del Nord, 3 del Centro e solo 1 del Sud. Nelle ultime 7 posizioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, si trovano esclusivamente Regioni del Mezzogiorno. Le prime 6 sono: Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte e Lombardia. Le ultime 6 sono invece: Sardegna, Basilicata, Abbruzzo, Calabria, Sicilia e Valle d’Aosta. Alcune Regioni (Campania, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte, Veneto, Umbria), indipendentemente dal livello delle loro performance, hanno una uniformità nell’erogazione dell’assistenza, mentre altre Regioni mostrano forti squilibri nel posizionamento tra le tre aree, che sono: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. in particolare, Calabria, Valle D’Aosta, Liguria, Provincia Autonoma di Bolzano. Si tratta di differenze che stanno ad evidenziare che anche quando si raggiunge la soglia della sufficienza, permangono squilibri troppo marcati nella qualità dell’assistenza. Come sottolinea la Fondazione GIMBE, una sanità che funziona bene soltanto in ospedale oppure esclusivamente sul territorio non si può considerare realmente efficace, né tantomeno in grado di rispondere ai bisogni delle persone. Le differenze tra gli adempimenti LEA 2022 e 2023, evidenziano come nel 2023 8 Regioni abbiano registrato un peggioramento rispetto all’anno precedente, seppure con gap di entità molto variabile: a perdere almeno 10 punti sono state il Lazio (-10), la Sicilia (-11), la Lombardia (-14) e la Basilicata (-19). Si è avuta, insomma, una riduzione delle performance anche in Regioni storicamente con una “buona sanità”, a dimostrazione che la tenuta del SSN non è più garantita nemmeno nei territori con maggiore disponibilità di risorse o reputazione sanitaria. È un ennesimo campanello d’allarme, sottolinea GIMBE, che non può essere ignorato. Sul fronte opposto, due Regioni del Mezzogiorno mostrano invece un netto miglioramento: Calabria (+41) e Sardegna (+26). “Il monitoraggio LEA 2023, ha dichiarato il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta,  certifica ancora una volta che la tutela della salute dipende in larga misura dalla Regione di residenza e che la frattura tra il Nord e il Sud del Paese non accenna a ridursi. Anzi, è più ampia di quanto i numeri lascino intendere: infatti, il set di indicatori NSG CORE, pur rappresentando la “pagella” ufficiale con cui lo Stato misura l’erogazione dei LEA, non riflette in maniera accurata la qualità dell’assistenza. Si tratta più di uno strumento di political agreement tra Governo e Regioni, basato su pochi indicatori e soglie di “promozione” troppo basse, che tendono ad appiattire le differenze tra Regioni. Per questo la Fondazione GIMBE chiede un ampliamento del numero di indicatori e una rotazione periodica di quelli utilizzati nella “pagella” ministeriale. E invoca una radicale revisione di Piani di rientro e commissariamenti: strumenti che hanno indubbiamente contribuito a riequilibrare i bilanci regionali, ma che hanno inciso poco sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione dei divari tra Nord e Sud del Paese”. Qui per approfondire: https://www.gimbe.org/index.php.   Giovanni Caprio