Militarizzazione della Sardegna, nuove fabbriche di morte in arrivo
È arrivato il tempo per le leggi di Bilancio nazionali che dovranno rispecchiare
gli impegni assunti a livello comunitario e nella NATO, stiamo parlando di
impegni di guerra con aumento delle spese militari e della ricerca connessa a
nuovi sistemi di arma.
L’Europa è ancora divisa su come realizzare la difesa comune e l’autonomia
strategica dagli USA, ma le aziende del vecchio continente sono decisamente
avanti e fanno da apripista per la politica, costruiscono alleanze e join
venture da tempo per la realizzazione di nuove armi, cercano di guadagnarsi
spazi nel grandi business del riarmo e con un occhio guardano a Gaza, dove
colossali interessi si muoveranno attorno alla cosiddetta ricostruzione.
Il colosso tedesco Rheinmetall annuncia di produrre munizioni e “droni kamikaze”
in due stabilimenti siti in Sardegna, regione da tempo oggetto di servitù
militari, con ampie aree della macchia mediterranea ad uso esclusivo delle forze
armate e in attesa di costosissime opere di bonifica mai oggetto di previsione
nei capitoli di spesa.
La Sardegna è ancora una volta terreno di conquista, al pari di tante aree
coloniali, presenta uno dei più alti tassi di disoccupazione d’Europa e lanciare
due industrie di armi potrebbe presentarsi anche come un concreto aiuto alla
popolazione.
Tuttavia, non si tratta solo di collaborazione tra aziende tedesche e italiane
(la RWM), Scenari Economici parla della attiva presenza della società israeliana
UVision, specialista del settore dei droni e quindi si confermano le attive
collaborazioni in campo militare con un paese accusato di genocidio. Nell’area
industrialmente desertificata del Sulcis sorgerà la produzione di droni con ben
due stabilimenti, uno a Musei e l’altro a Domusnovas già tristemente famoso per
altre produzioni, così facendo la area del Sulcis diventerà presto un hub
militare dentro una Regione già di per sé militarizzata, verranno prodotti droni
di varie dimensioni e potenza per tutti i Paesi NATO e non solo, parliamo di
sistemi non di sorveglianza come impropriamente scritto da alcune testate ma di
un sistema offensivo che potrà svolgere il controllo del territorio e allo
stesso tempo lanciare dei missili, sistemi di alta flessibilità che si
adatteranno a vari contesti di guerra.
La Sardegna ha già al suo interno gli stabilimenti RWM, presto diventerà zona di
guerra a tutti gli effetti ospitando addestramenti, esercitazioni e nuove
fabbriche di morte.
Il popolo sardo non vuole le aziende produttrici di armi sul suo territorio, non
da loro passi il rilancio di una economia da tempo in crisi proprio per le
politiche di devastazione ambientale adottate contro il volere della
popolazione.
Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università