Tag - Comitato Varesino per la Palestina

Varese, la manifestazione ‘Rompiamo il silenzio’ si sposta al sabato dalle 18 in poi in Piazza Podestà
Il Comitato Varesino per la Palestina informa che, a motivo dell’avanzare della stagione e dell’avvio dei mercatini natalizi tradizionalmente ospitati in Piazza Montegrappa,  si è reso necessario rimodulare la manifestazione ‘Rompiamo il silenzio’ per sede, data e orario. Vi aspettiamo dunque Sabato 8 novembre (e tutti i sabati successivi), a partire dalle ore 18 in Piazza del Garibaldino (Piazza Podestà) per continuare a fare rumore con pentole e padelle dalle 19 alle 19:15 . Continuiamo ad agire insieme finché il genocidio non sarà fermato, finché l’oppressione non avrà fine. Lottiamo per la Giustizia e la Liberazione finché non si realizzerà una pace vera (che possa durare). Non fermiamoci se vogliamo fermarli … Comitato Varesino per la Palestina Dal 2002 attivi sul territorio per diffondere consapevolezza sulla condizione del popolo palestinese   Redazione Varese
La tregua è una menzogna
Anche a Varese, come in altre città d’Italia non si crede nella Pace proclamata da Trump tra Israele e i palestinesi. Il Collettivo da Varese a Gaza (https://www.instagram.com/da_varese_a_gaza/) ha organizzato per venerdì 31 ottobre un presidio per mantenere alta l’attenzione su quello che sta ancora accadendo. Da quando è stata siglata la tregua a Sharm El Sheik, in realtà Israele ha violato più volte gli accordi e ad oggi sono state uccise più di duecento persone, tra cui donne e bambini. La prevista consegna di viveri e medicinali è bloccata ai valichi, la raccolta delle olive in Cisgiordania è impedita dai coloni israeliani. Molti prigionieri palestinesi rilasciati, sono stati deportati in Egitto, senza poter fare ritorno alle loro case. Taqua, la cui famiglia e gli amici sono ora a Gaza, ha testimoniato che si parla della tregua come una parola vuota, dato che viene vista come una pausa fragile destinata a spezzarsi perché il cibo entra a singhiozzo e con il contagocce e ci sono centinaia di migliaia di persone che non sanno dove andare perché è tutto distrutto. Come sottolinea Michela, una degli organizzatori del Collettivo, questa non è pace, ma una menzogna. Fino a quando i palestinesi non saranno coinvolti direttamente, non si tratterà di pace, ma di colonialismo, di spartizione delle terre e degli affari per la ricostruzione tra i governi USA, Israele e i Paesi Arabi limitrofi. In piazza non c’era tantissima gente, ma questo non ha scoraggiato gli organizzatori della serata che hanno rivolto a tutti l’invito a partecipare al presidio con corteo che si terrà sabato 8 novembre a Varese cercando di diffondere la voce e coinvolgere più gente possibile. Davanti al monumento del Garibaldino non c’erano solo le streghe di Halloween, ma anche quelle streghe, donne comuni con cappelli appuntiti, che hanno portato la loro vicinanza a Francesca Albanese, che è stata apostrofata dal delegato di Israele all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, Danny Danon, membro del partito Likud, come una “Strega fallita”. Letizia ha spiegato cosa succede quando una donna come Francesca Albanese viene chiamata strega: semplicemente si cerca di delegittimarne l’operato in quanto donna coraggiosa, determinata e che, nonostante le sanzioni personali che stanno condizionando pesantemente la sua vita, continua a dire quello che ha documentato, usando il linguaggio del Diritto per chiedere conto ai colpevoli di quello che stanno facendo. La risposta di Albanese è stata pronta e concreta: “Se allora la cosa peggiore di cui mi può accusare è la stregoneria, la accetto. Ma stia certo che, se avessi il potere di fare incantesimi, non lo userei per vendetta. Lo userei per fermare i vostri crimini una volta per tutte e per assicurarmi che i responsabili finiscano dietro le sbarre”. Anche a Varese non fanno paura le streghe, ma chi le mette al rogo, come purtroppo è già accaduto nella Storia. Durante la serata è intervenuto Nicola, che ha parlato di come in Italia ci siano circa 120 insediamenti militari USA sparsi per tutto il territorio nazionale e circa 12’000 soldati americani, così come previsto negli anni successivi al termine della Seconda Guerra Mondiale per dare un posizionamento strategico agli USA nel bacino del Mediterraneo. Dall’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), l’istituto internazionale indipendente dedicato alla ricerca su conflitti, armamenti pesanti e disarmo, l’Italia è passata dalla decima alla sesta posizione nella classifica dei paesi esportatori di armi, con un aumento del 138% nel quinquennio 2020-2024, rispetto a quello del 2015-2019 e l’esportazione ha riguardato principalmente il Medioriente. E nella manovra di Bilancio che il Governo Meloni sta preparando si stanno incrementando ulteriormente i fondi per le spese militari. Per chi si chiede se le proteste servano a qualcosa, Michelangelo e Manuela hanno sottolineato come le proteste dei mesi scorsi hanno dato uno scossone alle fondamenta dei governi occidentali che si sono accorti che il consenso inizia a sgretolarsi. Non è un caso che dopo le tante manifestazioni nel mondo, etichettate dai governi come inutili, faziose, e criticate sulla stampa mainstream, dagli USA si sia resa necessaria un’azione per ripristinare lo status quo, quel torpore della gente, quell’indifferenza che serve a silenziare le proteste, con la farsa di un accordo di Pace. Se viene attaccato il diritto a manifestare e gli attivisti che protestano vengono arrestati o silenziati, vuol dire che la protesta sta funzionando. Ed è per questo che si deve continuare a scendere in piazza per non essere complici. Durante la serata sono stati dati anche suggerimenti per azioni concrete che ognuno di noi può fare quotidianamente con costanza e non solo durante le emergenze. Ghassan ha proposto di dare potere al proprio portafoglio, con il boicottaggio di prodotti di aziende che fanno affari con Israele e di supermercati, aiutandoci anche con l’applicazione “No Thanks!” e seguendo il movimento BDS. Un altro atto concreto può essere la scelta consapevole della propria banca, scegliendo istituti che non finanziano l’economia di guerra, come può essere “Banca Etica” ma anche società energetiche etiche per l’energia che consumiamo. Si può essere concreti sostenitori del popolo palestinese anche informandosi, diffondendo informazioni reali, protestando, firmando petizioni, donando e sostenendo, insomma partecipando. È stato ricordato anche che a Varese sono attualmente presenti studenti e famiglie gazawi che hanno necessità di supporto materiale, legale, per la lingua, vicinanza emotiva. Si può informarsi presso le associazioni di Varese per sostenerle e portare il proprio contributo. Un’altra testimonianza che è stata portata in piazza è stata quella di Marco che è docente presso un istituto tecnico di Gallarate e ha parlato di come recentemente le disposizioni interne negli istituti scolastici siano quelle di non parlare di Palestina, perché non è opportuno portare la politica nelle scuole, poiché ci vuole neutralità, ma la neutralità davanti ad un genocidio è complicità. La scuola dovrebbe formare esseri pensanti e una scuola che censura educa all’obbedienza e non alla libertà. L’invito di Marco è di costruire una scuola viva, ribelle e che non ha paura! Oltre al Collettivo da Varese a Gaza ieri sera erano presenti anche rappresentanti del Comitato Varesino per la Palestina che hanno ricordato che il 2 novembre sarà l’ultima domenica di ritrovo per il “Rumore in piazza” alle 20:00 in Piazza Montegrappa e che, dall’ 8 novembre, il rumore verrà spostato al sabato sera dalle 18:00 alle 20:00 in Piazza Podestà. L’invito è a resistere e continuare a partecipare per cui l’appuntamento è per sabato 8 novembre alle 15:00 a Varese e per restare informati seguire le pagine Instagram e Facebook del Collettivo “Da Varese a Gaza”.         Redazione Italia
Palestina: diritto internazionale e decolonizzazione, incontro a Varese
Mercoledì alle 18:00 la Sala Kolbe di Varese ha ospitato un incontro veramente interessante organizzato dal Comitato Varesino per la Palestina. Filippo Bianchetti, medico e attivista, ha presentato la serata e gli ospiti: Ugo Giannangeli, avvocato penalista e membro del collettivo GAP (Giuristi e Avvocati per la Palestina) e il Professor Federico Lastaria, ex docente al Politecnico di Milano, studioso e attivista per la Palestina. Entrambi, insieme ad altri esperti, sono stati coautori del libro “Palestina. Pulizia etnica e Resistenza” pubblicato nel 2010 da Zambon. Ugo Giannangeli ha affrontato il tema del Diritto Internazionale con un intervento intitolato “Dalla difesa dei diritti umani alla criminalizzazione dei difensori”, mentre il tema approfondito da Federico Lastaria è stato “Verso un progetto di decolonizzazione”. La sala era piena di gente, che ha assistito a due lezioni di diritto e di storia ricche di spunti di riflessione. Sono stati distribuiti volantini dal Comitato Varesino per la Palestina e il Dottor Bianchetti ha ricordato i prossimi appuntamenti: * Oggi, 16 ottobre, verrà inaugurata la mostra sulla storia della Palestina “Al Nakba” presso l’Informagiovani, in via Como, 19 a Varese * Lunedì 20 ottobre, alle 20:45 presso il Circolo Coop di Viale Belforte si riuniranno i gruppi e le associazioni che hanno curato il progetto “Una tenda per la Palestina”, ospitato dal Comune di Varese per tre settimane. Chi fosse interessato a organizzare un futuro presidio è invitato a partecipare alla riunione. L’avvocato Giannangeli ha fatto una rapida premessa, prendendo spunto dal libro “Nessuna voce è più forte della voce dell’Intifada – Appelli del Comando Nazionale Unificato dell’Intifada nei Territori Occupati Stato di Palestina” scritto a Damasco nel 1989. Questo libro, già 36 anni fa riportava la richiesta di ascolto da parte del popolo palestinese, che allora come oggi è caduta nel vuoto. Negli accordi di pace firmati a Sharm El Sheik dagli Stati Uniti e dagli altri Stati coinvolti, non c’è spazio per il popolo palestinese. Volendo darne una chiave di lettura giuridica, ci si rende conto della sua illegalità, poiché un accordo sotto coercizione di una delle due parti è nullo; il diritto all’autodeterminazione non è negoziabile e le fasi di transizione e il loro futuro non sono discussi direttamente dai palestinesi. Questo piano sostituisce l’occupazione israeliana dei territori palestinesi con altri occupanti: gli Stati Uniti e l’ISF, cioè una non ben identificata forza di stabilizzazione internazionale. Ancora una volta non si parla di popolo palestinese. L’avvocato Giannangeli ha parlato anche della Global Sumud Flotilla e della Freedom Flotilla. Entrambe hanno svolto un ruolo di supplenza dello Stato, poiché la società civile è intervenuta dove questo si è rivelato assente, ignorando gli obblighi sanciti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Israele ha attaccato le due spedizioni via mare, in acque internazionali, solo per dimostrare la sua forza e la sua arroganza nei confronti del Diritto internazionale, mentre lo Stato italiano ha mandato a difesa della Global Sumud Flotilla una nave che poi si è ritirata a 150 miglia dalla costa, lasciando che proseguisse da sola verso Gaza. Il 16 settembre 2025, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est e Israele, ha pubblicato il rapporto contenente l’Analisi giuridica della condotta di Israele a Gaza, concludendo  che “lo Stato di Israele è responsabile per non aver impedito il genocidio, per aver commesso genocidio e per non aver punito il genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza”. Il gruppo “Giuristi e avvocati per la Palestina” di cui Giannangeli fa parte, ha depositato una denuncia presso la Corte Penale Internazionale contro il governo italiano, nelle figure del Presidente del Consiglio Meloni, il Ministro degli Esteri Tajani e il Ministro della Difesa Crosetto oltre a Cingolani, AD di Leonardo per complicità in crimini di guerra e genocidio. Le manifestazioni in Italia del 22 settembre, del 3 e del 4 ottobre hanno riportato alla memoria le piazze che si attivarono ai tempi della guerra in Vietnam con le stesse motivazioni: la lotta del popolo contro il colonialismo e l’imperialismo dell’Occidente. Al grido di “Blocchiamo tutto” sono stati bloccati porti, stazioni, tangenziali e scuole. I singoli dovranno risponderne legalmente, ma tutto questo è un segnale importante di azioni collettive e pacifiche per la resistenza. L’insofferenza dalla gente è partita dall’indignazione per quanto stava accadendo in Palestina, ma è diventata anche un grido contro il riarmo e contro il governo complice di Israele. Giannangeli ha spronato a stare attenti anche in Italia ai segnali che vengono da un governo che frena il dissenso nelle dichiarazioni e nei fatti. Alcuni professori hanno denunciato circolari interne con indicazione di non affrontare in classe le questioni del genocidio di Gaza, ma c’è resistenza a queste pratiche che vengono fatte passare come questioni organizzative e amministrative, e non politiche. Tornando a Israele, è stata posta l’attenzione sulla militarizzazione della società e l’osmosi tra scuola ed esercito, che parte dall’educazione all’odio verso il diverso, e in primis verso l’arabo, già nelle scuole e passa dal servizio militare obbligatorio dai 18 ai 21 anni, usando come collante la narrazione dell’essere costantemente sotto minaccia. Non a caso le recenti manifestazioni di protesta da parte degli israeliani sono state per il rilascio degli ostaggi, per contrastare Netanyahu, ma non contro il genocidio dei palestinesi. In diverse parti del mondo si sta cercando di mettere sotto scacco giuridico la protesta verso il genocidio perpetrato da Israele: negli USA il presidente Trump vorrebbe dichiarare gli Antifa un’organizzazione terrorista, dopo l’uccisione dell’attivista conservatore Charlie Kirk, la Gran Bretagna ha messo al bando Palestine Action, in diversi Stati da tempo si cerca di legiferare contro il boicottaggio BDS e gli Stati Uniti hanno sottoposto a pesanti sanzioni Francesca Albanese. Il Diritto Internazionale funziona solo se c’è la volontà politica degli Stati. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, con la memoria fresca della catastrofe appena conclusa erano nate associazioni internazionali basate sulla convinzione che ci si dovesse dare delle regole per convivere pacificamente e i valori erano diversi da quelli che nel corso del tempo si sono trasformati in valori puramente economici. Gli equilibri del mondo stanno cambiando e gli Stati del cosiddetto Sud globale cercano un riscatto nei confronti dell’Occidente. Oggi si abusa di termini come terrorismo e resistenza, ma è importante capire il loro significato giuridico: Terrorismo: atti compiuti con l’intento di diffondere il terrore nella popolazione o di costringere poteri pubblici o organizzazioni internazionali a fare o a non fare qualcosa. Questi atti, spesso violenti, hanno finalità politiche o ideologiche e mirano ad arrecare grave danno a un Paese o a destabilizzarne le strutture. La definizione si basa su una combinazione di scopi specifici (es. intimidazione, costrizione) e di atti concreti (es. uso di esplosivi, violenza contro civili o non combattenti). Diritto di resistenza: un principio di legittimità costituzionale, di natura morale e politica (in alcuni ordinamenti ammesso come ultima ratio), che permette ai cittadini di opporsi a un potere ritenuto illegittimo. Dovremmo fare una riflessione su come e per chi vengono usati questi termini. Esistono diverse Risoluzioni Onu relative alla resistenza palestinese già dal 1948 e dal 1967, risoluzioni che sono state disattese fino ad arrivare ai giorni nostri. Giannangeli ha lanciato un messaggio importante: nei giorni scorsi molta gente è scesa in piazza a protestare indignata per la morte e la distruzione viste in diretta nelle nostre case che hanno mosso le coscienze. Oggi è ancora più importante mantenere l’attenzione sul tema della Palestina, per non lasciare che gli oppressori si spartiscano quel che resta di quella terra e del popolo che dovrebbe abitarla legittimamente. Il Professor Lastaria ha poi trattato il tema del Sionismo e della Decolonizzazione. Il colonialismo classico ha sempre avuto lo scopo di sfruttare risorse e manodopera, come hanno fatto gli europei nelle terre americane e africane, mentre il colonialismo sionista viene concretizzato già nel 1944 con il trasferimento in Palestina degli ebrei sparsi nel mondo e nel 1948 con la cacciata dei palestinesi verso i Paesi arabi vicini. Non si trattò solo di occupare lo spazio, ma anche di sostituirsi al popolo arabo che viveva in quella terra. L’occupazione però non è solo fisica, ma anche mentale. Si dovrebbe iniziare a pensare diversamente per poter arrivare a una decolonizzazione reale. L’intervento ha poi approfondito un’analisi storica del Sionismo, che non ha radici ebraiche, ma cristiane evangeliche protestanti. Già del 1850 nasce in Europa l’esigenza di creare uno Stato basato sulle scritture religiose, secondo cui solo nella Terra Santa poteva concretizzarsi l’arrivo del Messia. A fine ‘800 si realizza il progetto del movimento nazionalista ebraico per dare una terra agli ebrei. Il collante di questo progetto era la narrazione religiosa. A sostegno del movimento sionista vi era la Gran Bretagna, che cercava uno spazio di opportunità economica in Medio Oriente con la narrazione della “National home” (un focolare) per gli ebrei, già inserita nella controversa dichiarazione Balfour del 1917, che prevedeva la spartizione del futuro Impero Ottomano ormai in dissoluzione. Già qui nasce la confusione tra la religione e la nazionalità. Gli ebrei ridefiniscono la religione giudaica come nazionalismo, concetto che dovrebbe essere giuridico-politico. La serata è proseguita sotto la spinta a riflettere su vari concetti che spesso sentiamo dichiarare o controbattere e che dovrebbero farci pensare a come il nostro pensiero sia condizionato da una narrazione ultracentenaria. I temi sono diversi e il Professor Lastaria ne ha analizzati alcuni, lasciandone altri alle riflessioni personali, perché smantellando la decolonizzazione bisogna fare i conti con la nostra cultura europea. Lo stato di Israele è una democrazia? Israele non ha una Costituzione e giuridicamente distingue tra cittadinanza (estesa ai non ebrei) e nazionalità (riservata agli ebrei), stabilendo una doppia legislazione. La memoria della Shoa è celebrata, ma la memoria della Nakba, che ricorre il 15 maggio, è proibita per legge, mentre il 16 maggio si celebra la nascita di Israele. Una terra senza popolo per un popolo senza terra. Questo slogan ripreso dal passato presuppone che quando il popolo ebreo si è insediato in Palestina con l’occhio del colonizzatore bianco occidentale, si riteneva che la gente che viveva in quella terra non avesse diritto ad abitarla, che fosse appunto una terra senza popolo. La Striscia di Gaza. Anche questo è un concetto astratto creato a tavolino per dare uno spazio ai profughi arabi dopo l’occupazione ebraica del 1948, quando alcuni si spostarono a nord, altri verso la Cisgiordania e gli altri, rimasti senza abitazione, furono collocati forzatamente nella Striscia di Gaza. Un conflitto tra due nazionalismi. La soluzione dei due Stati non porta alla decolonizzazione. Chi è ebreo? Si tratta di un concetto complesso, poco chiaro e ingannevole, che induce a fare confusione tra i concetti di religione, nazione, etica e cultura. Il Diritto al ritorno e gli infiltrati. Così venivano chiamati i legittimi proprietari delle abitazioni espropriate, che negli anni Cinquanta del ‘900 cercavano di fare ritorno alle loro case. Queste e altre riflessioni restano aperte, ma una cosa è certa: per decolonizzare la Palestina dovremmo iniziare a decolonizzare la nostra cultura.   Redazione Varese
A Varese ogni domenica sera da due mesi si fa rumore per Gaza
Anche domenica 14 settembre 2025 a Varese, come accade ogni domenica sera da due mesi si è rotto il silenzio. In piazza Montegrappa si sono radunate circa 300 persone, di tutte le età, uomini, donne e bambini, di diverse provenienze, tutte munite di pentole, sonagli, tamburelli e svariati strumenti per la produzione di rumore. L’iniziativa lanciata dal Comitato varesino per la Palestina – ma subito accolta da varie associazioni, gruppi e singoli cittadini e famiglie – nasce per non rimanere in silenzio di fronte alla terribile strage che lo Stato criminale di Israele sta perpetrando nella Striscia di Gaza e non solo, perché ricordiamo bene che l’occupazione riguarda tutta la Palestina. Alle 21.00 la piazza ha cominciato ad animarsi, la gente si è incontrata e hanno cominciato a sventolare bandiere della Palestina e della pace in mezzo ai saluti, ai cenni e agli abbracci: sì, perché la piazza è il luogo delle persone, dei cittadini e delle cittadine che con i loro corpi si riprendono gli spazi pubblici, luoghi di autodeterminazione e di dialogo. È stato allestito, come ormai di abitudine, lo spazio per i bambini e le bambine: una tovaglia distesa a terra e diversi fogli e colori per dare spazio alla loro fantasia e al loro modo di comunicare solidarietà ai piccoli di Gaza. Novità di quest’ultima domenica è stato l’Arabic corner, iniziativa in collaborazione con Language Nights Varese che si è rivelata tutt’altro che “angolo”, data la partecipazione di moltissime persone della piazza. Con l’aiuto di alcune ragazze di madrelingua araba di diversi dialetti (marocchino, egiziano, libanese e palestinese) si sono allestiti alcuni tavolini e un tappeto a terra con l’invito alle persone ad avvicinarsi e imparare qualche parola di arabo, familiarizzare con suoni che non sono facili per chi è italofono, suoni che talvolta ad alcuni suscitano diffidenza e addirittura spavento. Questo momento d’incontro invece è stato un luogo caldo e accogliente in cui cominciare ad abbattere tutti quei costrutti che spesso ci vengono imposti da una società che ci vuole separati e isolati, un luogo dove sperimentarsi e rigiocarsi; imparare parole in arabo è utile per intuire gli slogan durante le manifestazioni, ma anche semplicemente per salutare i commercianti arabi quando si entra nei negozi della città di Varese. Il microfono e la cassa sono stati a disposizione del pubblico, da parte degli organizzatori c’è stato un breve momento introduttivo in cui si è fatto il resoconto dei fatti della settimana, di ciò che è successo in Palestina e poi chi desiderava dire qualcosa ha chiesto di parlare. Anche questa domenica, come spesso accade, si è avvicinata una bimba che ha lanciato il coro “Free Free Palestine”. Alle 22.00 è cominciato il rumore: tutte le persone hanno battuto per 15 minuti le pentole, i mestoli e gli strumenti per risvegliare le coscienze anche più addormentate su quello che sta accadendo a Gaza e, per ricordare alla società civile che non è possibile rimanere immobili e subire, soltanto subire le decisioni dei potenti: noi cittadini e cittadine possiamo fare qualcosa, in primis… RUMORE! Alle persone presenti in piazza è stato poi proposto di anticipare l’incontro alle ore 20.00 per permettere anche a chi va a scuola il lunedì mattina di partecipare all’iniziativa, che andrà avanti anche durante i prossimi mesi. Cosa ci si augura ora rispetto a questa iniziativa? La diffusione: si chiede a tutti i Comuni, a tutte le amministrazioni e alle parrocchie, in tutta Italia e anche oltre, che nelle maggiori piazze di ogni città e paese si battano le pentole, si suonino le campane e si produca il rumore che faccia eco alla popolazione di Gaza, con cadenza regolare, finché a Gaza non cesserà il genocidio, finché la Palestina non sarà libera. fare Ci vediamo quindi domenica 21 settembre, alle ore 20.00, in piazza Montegrappa a Varese! Per informazioni, per chi volesse supporto per replicare nelle proprie città l’iniziativa scrivete a: comitatovaresinopalestina@gmail.com o sui social Instagram e Facebook: Comitato varesino per la Palestina Redazione Varese
A Gaza la fame è indotta
“Rumore! Finché a Gaza non cesserà il genocidio, finché la Palestina non sarà libera!” Ecco ciò che si urla in piazza Montegrappa a Varese tutte le domeniche sera da circa due mesi. L’iniziativa consiste nel creare 15 minuti di grande baccano, solitamente dalle 22.00 alle 22.15, per risvegliare le coscienze, anche le più addormentate, su quello che sta accadendo a Gaza e per ricordare alla società civile che non è possibile rimanere immobili e subire, soltanto subire le decisioni dei potenti: noi cittadini e cittadine possiamo fare qualcosa. Ecco che per reinventare il classico e troppo discreto minuto di silenzio ci si ritrova in piazza a produrre rumore con pentole, coperchi, fischietti, strumenti e tutto ciò che può essere efficace.  Durante la manifestazione le persone presenti portano striscioni, bandiere palestinesi e sventolano la kefiah, si fanno alcuni brevi interventi e viene allestito anche uno spazio per i più piccoli, per permettere loro di disegnare per i bambini palestinesi. L’iniziativa lanciata dal Comitato varesino per la Palestina – ma subito accolta da varie associazioni, gruppi, singoli cittadini e famiglie- nasce per non rimanere in silenzio di fronte alla terribile strage che Israele sta perpetrando nella Striscia di Gaza e non solo, perché si sottolinea con forza che l’occupazione riguarda tutta la Palestina. Perché battere le pentole? Le locandine degli eventi mostrano sempre in primo piano pentole vuote, quelle che a Gaza rimangono tali perché l’entità sionista non lascia entrare aiuti umanitari sufficienti per sfamare la popolazione che, ricordiamo, dopo quasi due anni di massacro è allo stremo delle forze. Immaginiamo quindi il suono di centinaia e centinaia di recipienti vuoti nelle varie città della Striscia, persone in fila per ricevere quel poco cibo che è possibile ottenere, immaginiamo quelle madri che non hanno di che sfamare i figli, quei bambini che piangono per la fame, quei padri che impotenti guardano i loro famigliari perdere inesorabilmente peso e persino morire. Sì! Morire di fame! Anzi uccisi dalla fame. La fame come arma di guerra è una nota strategia: è ciò che sta utilizzando il governo israeliano, insieme all’esercito, alle bombe, ai cecchini e a tutte le armi, anche quelle proibite dal diritto di guerra (vedasi l’uso del fosforo bianco, documentato anche in questo massacro), per operare quello che ormai da vari esperti ed esperte di diritto internazionale è dichiaratamente indicato come genocidio e pulizia etnica. Cosa ci si augura ora rispetto a questa iniziativa? La diffusione: si chiede a tutti i Comuni, a tutte le amministrazioni e alle parrocchie, in tutta Italia e anche oltre, che nelle maggiori piazze di ogni città e paese si battano le pentole, si suonino le campane e si produca un rumore che faccia eco alla popolazione di Gaza, con cadenza regolare, finché a Gaza non cesserà il genocidio, finché la Palestina non sarà libera. Ci vediamo in Piazza Montegrappa domenica 7 settembre, dalle 21.00. Per le comunicazioni inerenti questa e altre iniziative seguite i profili social del Comitato varesino per la Palestina: Instagram: https://www.instagram.com/comitatovaresinopalestina?igsh=MTFpY2J2Z3MxZW5n Facebook:  https://www.facebook.com/profile.php?id=100064724618688 Redazione Italia