Andrea Daniele Signorelli / AI e nuovo feudalesimo
Nel clima turbolento e cinico del Trump 2.0, Silicon Valley è diventata Big
Tech. Gettata la maschera un po’ cascante del tecno-progressismo, Google e soci
si sono calati l’elmetto, sempre accomodanti con un comparto militare che ha
trovato in Peter Thiel un nuovo dominus nella palude politica americana. Andrea
Daniele Signorelli è un giornalista esperto che su testate come “Wired”, “il
Tascabile” e “Domani” segue da vicino la scena dell’innovazione tecnologica e le
cronache incensanti della sua autonarrazione. Da questa fabula prende le mosse
anche Simulacri digitali, che, per capirsi, non è l’ennesimo agile volumetto per
chi vuole capire se le IA generative miglioreranno la sua vita o, al contrario,
la condurranno a una anticipata estinzione, ma una riflessione allargata, in
particolare, all’evoluzione dello storytelling e della tecnologia in rapporto
alle nostre società.
L’autore scomoda dalle prime pagine Jean Baudrillard e una delle sue più note
concettualizzazioni, quella di “Simulacra” – evocata entusiasticamente ma
piuttosto a vanvera anche dal classico cinematografico Matrix – domandandosi se
ai giorni nostri l’approdo trionfante del capitalismo digitale l’abbia
effettivamente realizzata. Se, in altre parole, la sua narrazione sia in grado
oggi non solo di rappresentare falsamente la propria offerta, modulando
opportunamente le nostre aspettative, ma anche di generare ipso facto, dal
nulla, la realtà stessa che volenti o nolenti siamo indotti a condividere.
Cercandone una controprova, e limitandosi all’ultimo decennio, sappiamo che non
sono certo mancati gli esempi di ciò che in un passato non troppo remoto veniva
stigmatizzato come “vaporware”: ovvero, annunci di prodotti rivoluzionari e
paradigmatici di un futuro annunciato ma mai realmente pervenuto, con cui
Silicon Valley ha potuto superare i suoi momenti di impasse scatenando la corsa
degli investitori grazie a tecnoutopie miliardarie rivelatesi dei fallimenti
che hanno lasciato dietro di sé soltanto una scia di colossali buchi neri.
Tra queste un posto d’onore spetta sicuramente alle auto autonome, annunciate a
più riprese da colossi come Google e Tesla e sempre a un passo dalla consegna,
ma anche il mitico Web3, la rete di contenuti e servizi totalmente decentrata e
abilitata dalla blockchain che secondo alcuni guru della rete avrebbe dovuto
restituire ai comuni mortali il controllo del Web (e dei propri dati personali),
sottratto alla plebe da tecno-oligarchi come Zuckerberg. Proprio al padrone di
Facebook viene fatto risalire anche il più incredibile azzardo di marketing del
decennio, quello del cosiddetto “Metaverso”, un termine ombrello pescato dal
museo cyberpunk che, mettendo disinvoltamente assieme giochi come Fortnite e
altri shooter immersivi come Overwatch o Apex Legend con una nuova generazione
di dispositivi VR come Oculus, ha ipotizzato che, grazie anche alla spinta
claustrofobica dei lockdown, la gente in futuro avrebbe preferito partecipare a
un meeting o fare la spesa in Realtà Virtuale anziché nel più familiare contesto
ibrido di “online + offline”. Un flop annunciato in cui Signorelli ravvisa
lucidamente anche un significativo distacco – e un madornale errore strategico
di Facebook – dalla tendenza dominante che, sovrapponendo e intrecciando sempre
più intimamente l’esperienza digitale con la realtà fisica, si è affermata con
successo negli ultimi tre decenni grazie alla rete mobile, a Google Map, agli
smartphone, e poi agli smartwatch: una linea evolutiva precisa, che nel prossimo
futuro potrebbe semmai convergere con esperimenti finora scarsamente gettonati,
ma non inverosimili, come la realtà aumentata.
Un discorso a parte riguarda naturalmente l’intelligenza artificiale generativa
e l’exploit dei modelli linguistici che utilizzano reti neurali avanzate,
entrati nella nostra routine quotidiana attraverso piattaforme chatbot come
Gemini o Chat GPT. Il saggio analizza in particolare il desiderio inconscio di
trasformare in senso antropomorfo anche il rapporto strumentale con comuni
oggetti quotidiani – la nostra auto, ecc. – che nella vicenda pratica della
cibernetica ha quasi sempre portato il campione umano a instaurare relazioni di
apparente “intimità” anche con bot assai più primitivi della generazione
attuale. Un impulso che bilancia, per altri versi, la robotizzazione delle
nostre posture e dei nostri gesti quotidiani nei contesti professionali e
lavorativi del neocapitalismo.
Per Signorelli, d’altro canto, si rivelano narrazioni entrambe smaccatamente
interessate sia la trama di un marketing stucchevole e ottimista alla Marc
Andersen, per lo più associato all’avvento delle IA dai media mainstream, sia,
all’estremo opposto, il pessimismo apocalittico di un filosofo come Nick Bostrom
e di altri pensatori alla moda che tendono a denunciarle, per contro, come una
“minaccia esistenziale” alla Terminator per la nostra specie. Come dimostrerebbe
anche la parabola dello stesso Elon Musk – passato in pochi anni dai sermoni
sulle AI cattive al lancio di Grok, il chatbot sboccato e senza filtri di X –
gli opposti corni del discorso tendono oggi a convergere nel concreto interesse
di una superclasse privilegiata che, grazie a una concentrazione finanziaria
senza precedenti, ammiccare sempre più apertamente a un modello di società tecno
feudale. Un ceto di intoccabili che dietro al paravento di una confusa
escatologia, fluttuante nella galassia del transumanesimo o basata
sull’altruismo Long Term, si è ormai autonominata la sola in grado di decidere
l’innovazione tecnologica anche per conto del futuro genere (post) umano.
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