6#S Milano, in piazza pro-Leonka: simbolo della riappropriazione comune degli spazi socialiDa un inserto locale milanese del Corsera riprendo degli spunti di
approfondimento sul tema dei centri sociali e la politica. Dal pezzo emergono
chiaramente le contraddizioni storiche, gli strappi e le toppe sui buchi,
malamente rabberciati. Mi interessa perché in tutta la faccenda proprio lo
sgombero di Casa Pound (in sé e per sé adesso non più procrastinabile) non
c’entra niente. Eppure è la sola ideuzza su cui si ritrova uno schieramento che
è insieme largo, ma ridotto all’osso. L’assenza di riferimento preciso (non c’è
un equivalente milanese attuale per casa Pound o una traduzione lineare tra Roma
e Milano) rende quel significante (“si sgomberi anche il covo dei fascisti”) una
parola d’ordine, una password, un significante padrone… personalmente qui mi
pare una scorciatoia, ma per fortuna non vivo da quelle parti.
> «IN CORTEO PER IL LEONKA OPPURE SARÀ ASSIST A SALA?»
>
> I TORMENTI DEI CENTRI SOCIALI
>
> IL DIBATTITO DEL MOVIMENTO SULLA MANIFESTAZIONE DEL 6 SETTEMBRE
>
> ESSERE O NON ESSERE ANTAGONISTI
Dopo lo choc per lo sgombero e la grande chiamata alla piazza per il prossimo 6
settembre con l’ambizione di un corteo nazionale a Milano per «gli spazi
sociali», a sinistra della sinistra (intesa quella che appoggia la giunta Sala)
tira già aria agitata. La stura al dibattito l’ha data una riflessione di «Off
topic», realtà che ruota intorno al centro occupato «Piano terra» di via
Confalonieri all’Isola.
Più che un appello, un contributo critico per affrontare «questioni politiche
fondamentali verso il corteo». Da un lato c’è la voglia, o la necessità, di
riportare al centro il tema della partecipazione e la rivendicazione degli spazi
sociali occupati, dall’altro il pericolo all’orizzonte di trasformare il corteo
in una «resa» alla normalizzazione della lotta sociale mediata dalla
«legalizzazione» del nuovo Leonka, percorrendo la via del bando per l’area di
via San Dionigi.
Gli «scrupolosi pignoli»
Non è questione da poco per il movimento, perché seppure fiaccato da un costante
drenaggio di militanza, in gioco c’è la sua stessa esistenza. Alcuni «scrupolosi
pignoli» (copyright del giornale autogestito Zic di Bologna) negli ultimi anni
già non consideravano il Leoncavallo «un reale soggetto antagonista», ma un
centro «che, in qualche modo, si sarebbe “compatibilizzato”» con il «suo vecchio
imprinting divorato da una stagione politica finita e che difficilmente si potrà
riaprire». Duri e puri o no, nella lunga marcia di preparazione al 6 settembre,
il tema esiste. Perché tra i militanti antagonisti c’è il timore di ritrovarsi a
sfilare in una piazza «politica» più che ribelle e il rischio concreto di fare
da «sponda» alla giunta Sala. Modello che, come ricorda ancora «Off topic»,
porta con sé anche una sorta di accettazione di altri temi politici, come la
commistione tra la giunta Sala e i «palazzinari», come emersa dalla recente
inchiesta della procura: «Negli ultimi 15 anni di governo arancio-grigio
Pisapia-Sala ci sono stati più sgomberi in città (non solo di centri sociali)
che nei 20 precedenti di centrodestra; in secondo luogo, proprio con i voti
dell’attuale destra si stava per approvare il Salva-Milano che interveniva a
tutela del contesto perfetto per cui oggi il Leo è stato sgomberato».
Per questo «o inseriamo lo sgombero nell’attuale fase politica non solo
nazionale, ma anche specificatamente milanese, oppure rischiamo di sfilare a
sostegno della giunta Sala e delle forze politiche che la compongono e
sostengono».
L’eredità No Expo
Non è un caso che lo slogan scelto per la manifestazione sia ben più ampio: «Giù
le mani dalla città». Tra i centri sociali milanesi le anime sono diverse.
L’area anarchica, ad esempio, è da decenni lontana dalla «deriva» moderata del
Leonka. Lo stesso vale per altre realtà ben più attive nel sostegno alle lotte
sociali. Le posizioni sono complesse e come sempre articolate. Come già era
accaduto nel 2015 dopo gli scontri No Expo che hanno lasciato insanabili
spaccature nel movimento. Da qui l’idea di chiarirsi prima di scendere in
piazza: «Se questo corteo vuole catalizzare una indignazione, anche tardiva, ma
esistente, potenzialmente radicale e che non si può negare verso percorsi
popolari in grado davvero di riprendersi la città, e non farsi strumentalizzare
da interessi altri, estranei alla stessa galassia relazionale che ruotava
attorno a via Watteau — scrive ancora Off topic —, allora crediamo sia urgente
sciogliere ogni ambiguità».
Il modello Milano
In queste giorni, sempre a sinistra della sinistra, s’è fatto largo anche il
tema del doppio sgombero: «Quando il governo farà lo stesso con CasaPound a
Roma?». Su questo è intervenuto uno dei politici più vicini al movimento,
Luciano Muhlbauer: «Vorrei dire sommessamente che le continue richieste di
sgombero di CasaPound che inondano i social sono una grandissima ca…ata. Lo so
che queste richieste sono frutto della giusta rabbia nei confronti di un governo
che protegge gli amici e aggredisce gli oppositori, ma non ci portano da nessuna
parte, se non in un vicolo cieco». Il Leonka, benché annacquato, resta un
simbolo. Soprattutto per la destra che ha ottenuto finalmente lo «scalpo» dello
storico nemico. Ma anche per chi, da sinistra, ragiona su un modello di città e
sui suoi spazi sociali che — secondo buona parte del movimento — non possono
prescindere dal ricorso all’occupazione o meglio alla «riappropriazione» dei
luoghi. Già con l’esperienza della giunta Pisapia (più dentro l’humus della
sinistra-sinistra) le cose non andarono bene. Il modello Sala è ben più
indigesto. Basterà il ricordo del Leonka che fu (o il suo triste commiato) a
ricompattare il movimento?
Redazione Italia