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Nessuna discriminazione tra cittadini italiani “statici” e “mobili” in tema di permesso FAMIT
Una recente decisione, ottenuta dall’avvocato Giovanni Barbariol nell’ambito del progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare”, ha fatto emergere una discriminazione specifica sul riconoscimento del diritto all’unità familiare. La vicenda di una coppia gay convivente tra cittadino italiano ed extraUE ha messo in evidenza come le persone LGBTQ+ possano incontrare ostacoli ulteriori nel vedersi riconosciuti diritti fondamentali. Il Tribunale di Trento ha accolto il ricorso cautelare presentato da un cittadino colombiano che aveva chiesto un permesso di soggiorno per motivi familiari in quanto convivente con il partner italiano. La Questura di Trento aveva respinto la sua domanda sostenendo che la convivenza di fatto non fosse equiparabile al matrimonio o all’unione civile, e che dunque il richiedente non potesse ottenere un titolo di soggiorno familiare, in particolare dopo le modifiche normative del 2023 che introducono la distinzione tra familiare di cittadino statico e dinamico. Inoltre, aveva ritenuto inammissibile la coesistenza di una precedente sua domanda di asilo e di una domanda per di permesso per motivi familiari. Il giudice, però, ha rigettato questa interpretazione. Nella decisione si sottolinea che la direttiva europea 2004/38/CE e il d.lgs. 30/2007 mirano a “garantire l’unità familiare, agevolando l’ingresso anche ai soggetti che, pur condividendo un progetto di vita caratterizzato da stabile assistenza morale e materiale, non abbiano formalizzato la loro unione con il matrimonio o con l’unione civile, purché la relazione sia debitamente attestata con documentazione ufficiale”. In questo senso, il contratto di convivenza stipulato e registrato dai due partner, uno cittadino extracomunitario l’altro cittadino italiano è ritenuto dal Tribunale pienamente valido: “Deve riconoscersi che il contratto di convivenza sottoscritto […] abbia i requisiti della documentazione ufficiale richiesta ai fini dell’iscrizione anagrafica” ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.lgs. 30/07. Quanto all’interpretazione dell’art. 23, comma 1-bis, introdotto nel 2023, il Giudice chiarisce che non può essere usato per restringere i diritti dei familiari di cittadini italiani “statici”: il rinvio al Testo Unico Immigrazione riguarda solo le modalità tecniche di rilascio, non la sostanza del diritto. Diversamente, spiega l’ordinanza, si produrrebbe “una discriminazione dei cittadini italiani statici rispetto ai cittadini europei e ai cittadini italiani mobili, non supportata da adeguata giustificazione”. Infine, viene escluso che la pendenza di una domanda di protezione internazionale impedisca quella per motivi familiari. Il pericolo di espulsione, dato il rigetto della prima richiesta d’asilo e l’incertezza sulla seconda, rende urgente la tutela. Per queste ragioni, il Tribunale ha ordinato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari con dicitura “Familiare cittadino italiano” (denominato FAMIT), accertando il diritto del ricorrente all’unità familiare. Tribunale di Trento, ordinanza del 26 luglio 2025 “Annick. Per il diritto all’unità familiare” è un progetto a cura di Melting Pot ODV in collaborazione con Circolo Arci Pietralata e il supporto dei legali dell’Associazione Spazi Circolari, dedicato ad Annick Mireille Blandine. E’ stato finanziato nel corso del 2024 da ActionAid International Italia E.T.S e Fondazione Realizza il Cambiamento nell’ambito del progetto “THE CARE – Civil Actors for Rights and Empowerment” cofinanziato dall’Unione Europea. Il contenuto di questo articolo rappresenta l’opinione degli autori che ne sono esclusivamente responsabili. Né L’Unione europea né l’EACEA possono ritenersi responsabili per le informazioni che contiene né per l’uso che ne venga fatto. Analogamente non possono ritenersi responsabili ActionAid International Italia E.T.S. e Fondazione Realizza il Cambiamento.
Status di rifugiata alla richiedente asilo LGBTQ+ di etnia rom con cittadinanza serba
Il Tribunale di Napoli riconosce lo status di rifugiata alla richiedente asilo di etnia rom appartenente al gruppo sociale LGBTQ+ e con cittadinanza serba. La Commissione Territoriale pur riconoscendo i presupposti per il riconoscimento dello status, applicava l’art. 12 lett. c) d.lgs 251/07 in quanto la richiedente era gravata da plurime sentenze di condanna definitive per reati ostativi (tra cui 624-bis c.p.), scontate in regime detentivo per 7 anni e poi in affidamento al servizio sociale (sosteneva infatti l’audizione con autorizzazione del Tribunale di Sorveglianza).  Il Tribunale riconosce l’ineccepibile reinserimento sociale della ricorrente e conclude nel senso che: “(…) la conclusione che precede non può essere revocata dalle vicende giudiziarie della ricorrente, le quali non suggeriscono l’esistenza di ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica ostative alla permanenza sul territorio italiano. Sul punto, è appena il caso di osservare che il fatto di reato rientra tra quelli di cui all’art. 5, comma 5 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 (…) E’ noto però che il giudizio di pericolosità del richiedente rispetto all’ordine pubblico non può farsi discendere in via automatica dalla mera esistenza della sentenza di condanna (…) Una conclusione diversa non solo si scontra con il chiaro disposto normativo, ma finirebbe altresì per configurare il diniego di riconoscimento alla stregua di una pena accessoria, conseguente alla sentenza penale di condanna, in contrasto con il principio di legalità”. Tribunale di Napoli, decreto del 19 giugno 2025 Si ringraziano le avv.te Martina Stefanile e Stella Arena per la segnalazione e il commento. Il caso è stato seguito con l’avv. Vincenzo Sabatino. * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali”
Colombia – Status di rifugiato fondato sull’orientamento sessuale: nel Paese persiste una discriminazione di fatto nella sfera sociale
Il Tribunale di Torino riconosce lo status di rifugiata ad un richiedente asilo colombiano che aveva riferito discriminazioni per orientamento sessuale. Interessante il fatto che, nel caso in esame, non era in dubbio l’orientamento del ricorrente bensì la sussistenza di una discriminazione effettiva in Colombia, paese con una legislazione molto aperta: il Collegio offre però una bella disamina di COI nella quale, superando i problemi di credibilità soggettiva, rileva un contrasto tra presunti avanzamenti normativi e discriminazioni a livello privato/sociale. Secondo il Tribunale “sebbene si rileva che le vicende poste alla base dell’espatrio siano state rese in termini generici, il Collegio ritiene plausibile che, in caso di rimpatrio, il ricorrente possa essere oggetto di persecuzione per il suo orientamento sessuale, considerando sia le COI sul Paese di origine del ricorrente sia l’orientamento sessuale dello stesso, la cui credibilità è stata riconosciuta anche dall’organo ministeriale. […] La Colombia rappresenta un caso paradigmatico di contrasto tra avanzamenti legislativi all’avanguardia e persistenti sfide sociali per la comunità LGBT. Nonostante sia riconosciuta come una delle nazioni più progressiste dell’America Latina in materia di diritti civili – con il matrimonio egualitario legalizzato nel 2016, l’adozione per coppie omosessuali approvata nel 2015, e una solida protezione costituzionale contro le discriminazioni – i dati sulle violenze rivelano una realtà complessa“. Tribunale di Torino, decreto del 23 marzo 2025 Si ringrazia l’Avv. Elena Garelli del Foro di Torino per la segnalazione e il commento. -------------------------------------------------------------------------------- * Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini/e della Colombia * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali” VEDI LE SENTENZE * Status di rifugiato * Protezione sussidiaria * Permesso di soggiorno per protezione speciale