Tag - Ai&Egemonia

Intelligenza artificiale, così l’Africa vuole liberarsi dai pregiudizi
(Fonte) Alberto Magnani – 20 novembre 2025 Julian Purdy, ex funzionario del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, ha sperimentato direttamente i bias dell’intelligenza artificiale mentre lavorava a un sistema che traducesse competenze militari in profili professionali civili. L’algoritmo, addestrato su dati della forza lavoro americana — storicamente sbilanciata a favore degli uomini bianchi — ha finito per produrre risultati discriminatori su base razziale e di genere, replicando le disuguaglianze strutturali presenti nel dataset. Secondo Purdy, gli sviluppatori non avevano intenzioni discriminatorie, ma l’uso di dati storicamente distorti ha perpetuato le stesse ingiustizie che il progetto mirava a contrastare. Il problema non riguarda solo gli Stati Uniti: i bias delle IA diventano ancora più gravi quando si considerano interi continenti esclusi dai benefici dell’innovazione digitale, come l’Africa. Questi temi sono stati al centro della Global Artificial Intelligence Innovation Movement and Evolution (GAIME) Conference tenutasi a Kampala, che ha messo in evidenza la necessità di una collaborazione inclusiva per affrontare le discriminazioni razziali ed euro- o asiatocentriche insite nelle tecnologie AI. In un settore dominato da Stati Uniti e Cina, l’Africa rimane ai margini del boom globale dell’intelligenza artificiale, nonostante il suo enorme potenziale economico e demografico. Secondo dati ONU, entro il 2030 l’IA potrebbe aggiungere 15.700 miliardi di dollari al PIL globale, ma quasi tutto il valore si concentrerà in Asia, Nord America ed Europa. L’Africa, invece, contribuisce in modo minimo sia al mercato sia ai finanziamenti e fornisce meno del 2% dei dati utilizzati per addestrare i modelli di IA, nonostante si avvii a superare i 2,5 miliardi di abitanti. Questo squilibrio quantitativo si traduce in un deficit qualitativo: sistemi incapaci di comprendere utenti africani. Le principali barriere sono la mancanza di rappresentanza nei dataset — che rende “invisibili” i giovani africani nei processi decisionali algoritmici — e il problema linguistico, dato il numero ridotto di lingue locali integrate nei modelli. La scarsa comprensione delle varianti linguistiche africane porta l’IA a fraintendere significati, segnalare erroneamente contenuti innocui o generare risposte irrilevanti. Sedici Paesi africani hanno già avviato strategie nazionali sull’IA, mentre l’Unione Africana sta sviluppando una propria iniziativa “Africa-centrica”. Tuttavia, le sfide infrastrutturali e finanziarie restano enormi: il continente rappresenta solo l’1% della capacità globale dei data center e meno del 40% della popolazione ha accesso a Internet. Gli investimenti in IA in Africa sono stati di 1,25 miliardi di dollari tra il 2019 e il 2024, una cifra minuscola rispetto ai 184 miliardi investiti negli Stati Uniti nel solo 2024. The post Intelligenza artificiale, così l’Africa vuole liberarsi dai pregiudizi first appeared on Lavoratrici e Lavoratori Aci Informatica.
Perché l’intelligenza artificiale cinese punta tutto sull’open source mentre gli Stati Uniti si ritirano
(Fonte) Zelin Wang – 13 agosto 2025 Nel panorama globale dell’intelligenza artificiale, si sta delineando una netta divergenza tra Cina e Stati Uniti. Mentre le grandi aziende statunitensi tendono a proteggere le proprie tecnologie con modelli closed-source, la Cina sta abbracciando con forza l’open source, posizionandosi come leader in questo settore. La svolta è apparsa chiara la scorsa settimana: poco prima del lancio di GPT-5, OpenAI ha pubblicato a sorpresa gpt-oss, il suo primo modello open-weight, presentato come complemento e non alternativa ai modelli proprietari. Intanto, Meta sembra pronta ad abbandonare l’open source, lasciando spazio a un vuoto strategico. Proprio qui si inseriscono i player cinesi, che hanno adottato in massa l’approccio aperto e stanno ridefinendo la narrativa globale dell’intelligenza artificiale open source. Nella prima metà del 2025 i giganti tech cinesi hanno impresso una forte accelerazione sull’open source. Alibaba lo utilizza come leva per attrarre sviluppatori e potenziare le vendite di Alibaba Cloud, mentre altri attori seguono strategie analoghe: Tencent ha presentato il suo primo modello Mixture of Experts (MoE), capace di ridurre i costi computazionali e velocizzare l’inferenza nei modelli di grandi dimensioni; ByteDance ha reso disponibili framework e tool per sviluppatori; Xiaomi ha lanciato il modello vocale open source MiDashengLM-7B, pensato per il settore automobilistico e la smart home. Startup come Moonshot AI e Zhipu AI  stanno guadagnando credibilità internazionale, rafforzando l’immagine globale dei LLM cinesi come alternativa concreta ai modelli occidentali. Le aziende cinesi hanno scelto l’open source come via alternativa a quella statunitense grazie all’effetto trainante di DeepSeek R1, che ha mostrato come un modello aperto potesse diventare al tempo stesso strumento di marketing globale e catalizzatore tecnologico. Il suo successo ha convinto il settore che l’“open source di alta qualità” poteva attrarre sviluppatori e investitori, aprendo la strada a modelli come Kimi K2 e Qwen3, oggi ai vertici delle classifiche internazionali. Di fatto, i migliori modelli open source mondiali sono ormai dominati da player cinesi. La stagnazione della crescita degli utenti ha spinto le aziende cinesi di IA a cercare nuovi ecosistemi. Lo sviluppo di Internet in Cina si è concentrato principalmente sui dispositivi mobili piuttosto che sui PC, con conseguente concentrazione dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale sui dispositivi mobili piuttosto che sui desktop.Tuttavia, i prodotti di intelligenza artificiale cinesi stanno incontrando ostacoli nella crescita degli utenti, — come mostrano i dati QuestMobile e i casi Kimi e ChatGLM.  Inoltre, la Cina è molto indietro rispetto agli Stati Uniti negli investimenti privati in IA (9,3 miliardi contro 109,1 nel 2024). In questo contesto, l’open source diventa la strategia inevitabile: consente di attrarre sviluppatori, ridurre costi, accelerare l’innovazione e costruire comunità attive che garantiscono visibilità e nuove opportunità anche in assenza di forte crescita di utenti finali. Nell’attuale contesto geopolitico pieno di sospetti verso la Cina, l’open source consente alle aziende cinesi di mitigare il rischio politico e costruire fiducia: l’apertura di architettura, pesi e codice riduce i sospetti sulla sicurezza dei modelli. Inoltre, le licenze permissive adottate in Cina contrastano con le restrizioni della serie Llama di Meta, rendendo i modelli cinesi più attraenti per sviluppatori e imprese interessate a usi commerciali. Mentre OpenAI blocca i suoi modelli più avanzati dietro le API, le aziende cinesi hanno scelto la strada completamente opposta: aprire completamente le proprie capacità tecniche agli sviluppatori globali. Questa scelta ha già dato a Pechino visibilità e influenza senza precedenti, ma resta aperto l’interrogativo se l’open source potrà tradursi in un vantaggio commerciale e tecnologico duraturo. The post Perché l’intelligenza artificiale cinese punta tutto sull’open source mentre gli Stati Uniti si ritirano first appeared on Lavoratrici e Lavoratori Aci Informatica.