In un mondo che brucia
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Foto Donne in Nero – Reggio Emilia (maggio 2025)
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Un susseguirsi infinito di notizie, notifiche che non si fermano mai, algoritmi
che amplificano rabbia e divisione. Nel 2025 viviamo connessi a tutto e
disconnessi da noi stessi. Guerre in tempo reale sui nostri schermi, crisi
climatica che avanza, disuguaglianze che si allargano come crepe nel cemento
delle nostre città. C’è chi chiude gli occhi, chi si rifugia nell’indifferenza,
chi grida più forte per coprire il silenzio che fa paura.
Ma c’è un’altra strada. Ce la indica una giovane donna di Amsterdam che
ottant’anni fa, nel cuore dell’orrore nazista, scelse di non spegnere la propria
luce interiore. Etty Hillesum aveva ventisette anni quando morì ad Auschwitz, ma
i suoi diari e le sue lettere parlano ancora oggi a chiunque si chieda come
restare umani quando il mondo sembra impazzito.
Non era una santa né una filosofa. Era una giovane donna che amava, dubitava, si
arrabbiava, cercava se stessa tra libri e relazioni complicate. Quando
arrivarono le leggi razziali, quando iniziarono le deportazioni, quando si trovò
prima nel campo di transito di Westerbork e poi sul treno per Auschwitz, Etty
fece una scelta rivoluzionaria: continuò a coltivare la sua vita interiore come
se fosse l’ultima cosa che le rimaneva. E forse lo era davvero.
“C’è in me un pozzo molto profondo. E in quel pozzo c’è Dio. A volte riesco a
raggiungerlo, più spesso pietre e detriti ne ostruiscono la strada, e Dio è
sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”.
Oggi, nel nostro pozzo, non ci sono solo pietre e detriti. Ci sono le notifiche
del telefono, l’ansia per il futuro, la stanchezza di chi si sente sempre in
ritardo, sempre inadeguato. Ci sono le polarizzazioni social che trasformano
ogni conversazione in battaglia, la velocità che non ci lascia mai il tempo di
fermarci davvero.
Ma il principio rimane lo stesso: in ognuno di noi c’è un pozzo profondo che
merita di essere dissotterrato. Non per fuggire dal mondo, ma per tornarci con
gli strumenti giusti. Etty lo chiamava Dio, noi possiamo chiamarlo come
vogliamo: umanità, bellezza, amore, senso. Il nome non importa. Importa
riconoscere che esiste e che va protetto. Nel 2025 questo significa, ad esempio,
spegnere il telefono per ascoltare il silenzio. Significa scegliere cosa leggere
invece di farsi trascinare dall’algoritmo. Significa guardare negli occhi chi
abbiamo vicino invece di perdere tempo in discussioni sterili online. Significa
scrivere a mano, camminare senza meta, cucinare con calma, abbracciare senza
fretta…
“Quello che mi importa non è sopravvivere a ogni costo, ma il modo in cui
sopravvivo”.
Etty non sopravvisse fisicamente, ma le sue parole attraversano il tempo e
arrivano fino a noi intatte, luminose. Il suo modo di sopravvivere era già una
forma di resistenza. Oggi anche noi possiamo scegliere il nostro modo: non solo
di sopravvivere alle crisi del presente, ma di attraversarle rimanendo interi,
umani, capaci di bellezza.
Non è ottimismo ingenuo né fuga dalla realtà. È il contrario: è guardare il
mondo esattamente per quello che è – spesso brutale, ingiusto, difficile – e
scegliere comunque di non smettere di essere chi siamo nel profondo. È
riconoscere che ogni gesto di cura verso noi stessi è già un gesto di cura verso
il mondo, perché persone più intere sanno amare meglio, ascoltare di più,
costruire invece di distruggere. In un’epoca di accelerazione permanente, la
lezione di Etty è radicale: rallenta, scendi nel pozzo, dissotterra quello che è
essenziale. Il mondo ha bisogno di persone che sanno ancora accedere alla
propria profondità, che non si lasciano travolgere dall’urgenza di tutto e dal
senso di niente.
Alla fine, forse resistere oggi significa esattamente questo: proteggere spazi
di silenzio in un mondo rumoroso, coltivare relazioni vere in un mondo virtuale,
scegliere la lentezza in un mondo veloce. Non per nostalgia del passato, ma per
costruire un futuro dove l’umano non vada perduto.
Etty lo sapeva bene: “La pace deve nascere in noi prima di poter regnare nel
mondo”. Nel caos di Westerbork, circondata dalla violenza e dall’odio,
continuava a credere che ogni persona che trova la pace dentro di sé diventa un
seme di pace per tutti gli altri. Non pace come assenza di conflitto, ma come
presenza di equilibrio interiore che si irradia verso l’esterno. Oggi, quando le
guerre si moltiplicano e le divisioni sembrano insanabili, questa intuizione di
Etty diventa ancora più preziosa. La pace nel mondo comincia da noi: da come
parliamo a chi non la pensa come noi, da come trattiamo chi è diverso, da come
scegliamo di reagire alla paura e all’incertezza. Ogni volta che scegliamo di
non alimentare l’odio, di non cedere alla vendetta, di costruire ponti invece di
muri, stiamo già costruendo pace.
Il pozzo di cui parlava Etty è ancora lì, in ognuno di noi. E dal fondo di quel
pozzo può nascere la pace di cui il mondo ha disperatamente bisogno. Basta avere
il coraggio di scendere a cercarlo.
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