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Altro che “proa ttivi” : siamo già in guerra anche senza pretesti
Attenendomi alle dichiarazioni pubbliche del Comandante supremo della Nato, generale Cristopher Cavoli e sulla base della conoscenza della sintassi operativa, ho desunto che la Nato non solo in campo cyber, ma in tutti i sensi e domini, è già in guerra contro la Russia e attaccherà per prima. Sta già […] L'articolo Altro che “proa ttivi” : siamo già in guerra anche senza pretesti su Contropiano.
Piani di pace per l’Ucraina, militarizzazione della logistica, guerra ibrida@1
Il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius, che nel 2024 sosteneva che saremo in guerra con la Russia nel 2029, adesso dice che succederà forse nel 2028, anzi che “alcuni storici militari ritengono addirittura che abbiamo già avuto la nostra ultima estate di pace”. Venerdì scorso, il Generale Fabien Mandon, Capo di Stato Maggiore delle forze armate francese, ha parlato esplicitamente del rischio di “perdere i propri figli” in un futuro conflitto con la Russia e ha esortato la Francia a prepararsi a sacrifici — umani o economici — vista la crescente ambizione russa di un confronto con la NATO entro la fine del decennio. «Siamo sotto attacco: il tempo per agire è subito»: così riporta il documento redatto dal ministro della Difesa Guido Crosetto, ora al vaglio del Parlamento. A minacciare l’Occidente e l’Italia sarebbe la «guerra ibrida» portata avanti, in particolare, da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, combattuta tanto a colpi di disinformazione e pressione politica quanto di minacce cibernetiche. Per questo, l’Italia avrebbe bisogno della creazione di un’arma cyber, composta di almeno cinquemila unità tra personale civile e militare. Solamente due settimane fa, Crosetto aveva dichiarato che l’esercito italiano avrebbe bisogno di almeno trentamila soldati in più. In Polonia, in risposta agli atti di sabotaggio che hanno colpito le infrastrutture strategiche della Paese, il premier Donald Tusk ha lanciato un’operazione su larga scala, l’operazione Horizon, per aumentare i controlli sulle infrastrutture del Paese, dispiegando 10mila soldati che lavoreranno insieme a polizia, Guardia di frontiera, Servizio di protezione delle ferrovie e ad altri enti responsabili della sicurezza dello Stato. Appena una settimana fa, un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea dichiara di voler incrementare fortemente la mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica vince le guerre”. Nei primi 15 minuti, parliamo del non paper di Crosetto sulla guerra ibrida, dei piani di riarmo europeo delle infrastrutture, della logistica di guerra facendo un po’ di rassegna stampa. Successivamente approfondiamo gli stessi temi, a partire dagli ultimi sviluppi nella guerra tra Russia e Ucraina, con la bozza di Trump per un piano di pace che ha contrariato l’Europa, con lo storico Francesco Dall’Aglio, saggista, esperto di est Europa e di questioni strategico-militari, gestore del canale Telegram «War Room».- Russia, Ucraina, NATO. Citati nella puntata: Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida di Crosetto Libro bianco europeo per il 2030 Il Piano Rearm Europe
Piani di pace per l’Ucraina, militarizzazione della logistica, guerra ibrida@0
Il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius, che nel 2024 sosteneva che saremo in guerra con la Russia nel 2029, adesso dice che succederà forse nel 2028, anzi che “alcuni storici militari ritengono addirittura che abbiamo già avuto la nostra ultima estate di pace”. Venerdì scorso, il Generale Fabien Mandon, Capo di Stato Maggiore delle forze armate francese, ha parlato esplicitamente del rischio di “perdere i propri figli” in un futuro conflitto con la Russia e ha esortato la Francia a prepararsi a sacrifici — umani o economici — vista la crescente ambizione russa di un confronto con la NATO entro la fine del decennio. «Siamo sotto attacco: il tempo per agire è subito»: così riporta il documento redatto dal ministro della Difesa Guido Crosetto, ora al vaglio del Parlamento. A minacciare l’Occidente e l’Italia sarebbe la «guerra ibrida» portata avanti, in particolare, da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, combattuta tanto a colpi di disinformazione e pressione politica quanto di minacce cibernetiche. Per questo, l’Italia avrebbe bisogno della creazione di un’arma cyber, composta di almeno cinquemila unità tra personale civile e militare. Solamente due settimane fa, Crosetto aveva dichiarato che l’esercito italiano avrebbe bisogno di almeno trentamila soldati in più. In Polonia, in risposta agli atti di sabotaggio che hanno colpito le infrastrutture strategiche della Paese, il premier Donald Tusk ha lanciato un’operazione su larga scala, l’operazione Horizon, per aumentare i controlli sulle infrastrutture del Paese, dispiegando 10mila soldati che lavoreranno insieme a polizia, Guardia di frontiera, Servizio di protezione delle ferrovie e ad altri enti responsabili della sicurezza dello Stato. Appena una settimana fa, un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea dichiara di voler incrementare fortemente la mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica vince le guerre”. Nei primi 15 minuti, parliamo del non paper di Crosetto sulla guerra ibrida, dei piani di riarmo europeo delle infrastrutture, della logistica di guerra facendo un po’ di rassegna stampa. Successivamente approfondiamo gli stessi temi, a partire dagli ultimi sviluppi nella guerra tra Russia e Ucraina, con la bozza di Trump per un piano di pace che ha contrariato l’Europa, con lo storico Francesco Dall’Aglio, saggista, esperto di est Europa e di questioni strategico-militari, gestore del canale Telegram «War Room».- Russia, Ucraina, NATO. Citati nella puntata: Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida di Crosetto Libro bianco europeo per il 2030 Il Piano Rearm Europe
Contrasto alla guerra ibrida: il/la docente addestratore/trice per la guerra cognitiva
Il 17 novembre 2025 si è riunito il Consiglio Supremo di Difesa presieduto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella cui hanno partecipato, tra gli altri, il ministro della Difesa Crosetto e la prima ministra Meloni. In uno scenario in cui la narrazione ossessiva che tira acqua al mulino dei fautore dei degli investimenti in difesa in particolare nella cyber-security non poteva mancare il ruolo dell’istituzione scolastica implicata in prima persona nella formazione dei futuri “combattenti” civili contro la disinformazione e gli attacchi informatici, ovvero la cosiddetta guerra ibrida. Il paradosso, per chi non si accontenta di credere ingenuamente che il nostro paese, così come l’Occidente – per non parlare nello specifico degli USA dove Trump ha con schiettezza ribattezzato il Dipartimento della Difesa in “Dipartimento della Guerra” – siano tendenzialmente portati unicamente alla difesa,  è che sono proprio gli esperti, i consulenti o i militari informatici, di queste istituzioni a creare dei sistemi d’arma digitali, per l’AI o per gli attacchi informatici.  Quindi sono gli stessi che, mentre agiscono proattivamente nella guerra ibrida, per esempio con campagne di disinformazione, potendo contare su mass media genuflessi al 48 posto su scala mondiale, a pretendere poi di avere una società che sappia decifrarle e poi contrastarle. Da qui il ruolo della scuola, l’enfasi nauseante nei confronti dell’intelligenza artificiale, l’urgenza (indotta) di studiarla, dominarla ma in cattiva fede perché il tutto si svolgerebbe nel quadro delle grandi piattaforme proprietarie, delle grandi big-tech che grazie al Covid hanno ormai messo radici profonde in tutte le scuole e nelle menti di chi le governa. Nel cosiddetto “Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida”, l’ex-rappresentante di armi Crosetto, indica le seguenti linee-guida affinché la società tutta, a partire ovviamente dai più giovani, possa essere “resiliente”, all’interno dei futuri scenari da guerra ibrida: 1. Alfabetizzazione digitale: Le scuole dovrebbero, secondo il report, promuovere programmi di alfabetizzazione digitale per educare gli studenti a riconoscere e contrastare la disinformazione. Questo include il fact-checking diffuso e lo sviluppo del pensiero critico che quando lo si rivendicava in senso lato in ogni campo del sapere, veniva in tutti i modi osteggiato dalla standardizzazione impressa, prima di tutto dall’INVALSI ma oggi, essendo inquadrato in una simbologia bellicistica, in una situazione emergenziale, riacquista tutto il suol valore, potremmo dire a giusto titolo, “strategico”. 2. Formazione alla resilienza informativa: È necessario, si dice, che le scuole integrino nei loro curricula progetti educativi mirati a sensibilizzare gli studenti sui rischi della manipolazione informativa e sull’importanza di proteggere i valori democratici. Premesso che il concetto di democrazia, in Italia, andrebbe rimesso seriamente in discussione ma  il concetto stesso di “resilienza”, oggi tanto di moda e preferito  a quello forse troppo antagonista di “resistenza”, comporta la capacità di diventare, al momento opportuno in qualche modo insensibili, assuefatti, al bombardamento informativo nel momento in cui già lo si classifica, a priori come “disinformazione”: se si parla, appunto, di guerra ibrida e al suo interno del ruolo via via crescente della disinformazione, il rischio è che tutto ciò che viene da un potenziale “nemico” sia per definizione falso, mentre tutto ciò che rappresenta la narrazione, interna, prodotta dal nostro paese maglia nera della libertà di stampa, sia invece corrispondente alla verità. Da qui, alla costruzione, nei rispettivi paesi, del “nemico”, il passo è intuitivamente molto breve oltre che preparare il terreno a future imprese belliche.   3. Collaborazione con attori pubblici e privati: Le scuole potrebbero essere coinvolte in iniziative di co-regolamentazione dello spazio digitale, lavorando con autorità di regolazione e aziende tecnologiche per definire regole condivise: in prospettiva, quindi, non si esclude che nelle scuole arrivino esperti informatici, militari che mettono mano alle reti per renderle più “sicure” ma potendo così entrare, di fatto, in ogni singolo computer o smartphone, collegato in rete. 4. Educazione civica: Il documento sottolinea l’importanza di investire in programmi di educazione civica per aumentare la consapevolezza dei cittadini, inclusi gli studenti, sulle minacce ibride e sulla necessità di proteggere la democrazia. Si dà quindi per scontato ancora una volta che la nostra sia una democrazia e che l’educazione civica passi anche attraverso  una preparazione, appunto, alla guerra ibrida: insomma si dovrebbe insegnare ai ragazzi ad essere sempre sul piede di guerra, a discernere bene tra le varie informazioni, per poi schierarsi, ovviamente dalla parte “giusta”. 5. Coinvolgimento dei militari: qui entriamo nel vivo di ciò che contrastiamo da sempre implicitamente ed esplicitamente, in modo strutturato, da circa quattro anni con l’Osservatorio. I militari non vengono chiaramente menzionati  come possibili messaggeri di questa narrazione all’interno delle scuole. Tuttavia, il documento fa riferimento esplicito alla necessità di una “collaborazione tra istituzioni civili e militari” per rafforzare la resilienza sociale, il che potrebbe includere attività educative congiunte. In sintesi, le scuole dovrebbero adottare programmi che favoriscano la consapevolezza digitale, la resilienza informativa e la protezione dei cosiddetti valori democratici, collaborando con istituzioni e aziende per affrontare le minacce ibride: insomma si entrerebbe nello spirito di un campus di addestramento para-militare. In generale nel documento emerge chiaramente il ruolo del corpo docente in quanto chiamato a svolgere un ruolo cruciale nella formazione degli studenti per contrastare le minacce ibride. In particolare, riassumendo: 1. Promozione del pensiero critico: I professori dovrebbero educare gli studenti a sviluppare capacità di analisi critica, aiutandoli a distinguere tra informazioni vere e false, e a riconoscere le campagne di disinformazione. Si confonde quindi il pensiero critico, ovvero la capacità di analizzare i fenomeni, da diversi punti di vista e nella loro complessità, valutando i pro e i contro delle azioni sociali, i vantaggi o svantaggi degli attori in campo, con la capacità di discernere tra “vero” o “falso”. Siamo insomma agli antipodi rispetto ad una visione formativa e molto contigui ad una addestrativa. 2. Alfabetizzazione digitale: I docenti saranno fondamentali nell’insegnare agli studenti le competenze digitali necessarie per navigare in modo sicuro e consapevole nello spazio digitale, inclusa la capacità di verificare le fonti e identificare contenuti manipolativi. D’altro canto, questo approccio dovrebbe ispirare il corpo docente a prescindere da una possibile guerra ibrida: enfatizzarlo e ricordarlo in modo così ridondante non è certo rassicurante ma come è accaduto storicamente in ogni periodo prebellico è funzionale a mantenere la popolazione in uno stato di pre-allerta e di perenne emergenza 3. Educazione civica: Si dice che “i professori avranno il compito di sensibilizzare gli studenti sui valori democratici, sulla coesione sociale e sull’importanza di proteggere le istituzioni democratiche dalle interferenze esterne”. Quindi, in poche e semplici parole è riassunto il filo conduttore del nuovo approccio pedagogico della scuola italiana: Non si studia più la storia le istituzioni le lotte partigiane ho il tema dei diritti dell’uomo o della libertà di informazione nell’intento di migliorare il nostro apparato istituzionale ma in un’ottica prettamente difensiva e per di più non contro un nemico interno ma dichiaratamente esterno 4. Collaborazione con esperti: I docenti potrebbero collaborare con esperti di sicurezza informatica, fact-checking e disinformazione per integrare nei programmi scolastici contenuti specifici relativi alla guerra ibrida e alle minacce cibernetiche. D’altro La scuola è già fertilizzata da anni ed abituata alla presenza di poliziotti in divisa armati impegnata a trattare temi come il cyber-bullismo.  In conclusione, si vuole che i professori abbiano un ruolo centrale nel preparare le nuove generazioni a fronteggiare le “sfide” della guerra ibrida, attraverso l’educazione e la sensibilizzazione su temi di sicurezza digitale, disinformazione e resilienza democratica: si vuole un pensiero più o meno critico ma certamente ed efficacemente ben allenato a stanare le fake-news. Vero-falso, nero-bianco, amico-nemico: questo è, quindi, il nuovo codice binario da seguire, perfettamente in linea con l’era digitale. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
I droni stanno trasformando la medicina di guerra
Immagine in evidenza da Marek Studzinski su Unsplash C’è un aspetto dell’esperienza del combattimento bellico che, durante l’invasione dell’Ucraina, è andato via via riducendosi: le ferite d’arma da fuoco. Quella che a lungo è stata la principale causa di morte per i soldati impiegati in guerra ha lasciato spazio a un altro genere di lesione, oggi dominante: le ferite da schegge e frammenti. A determinare questo cambiamento è stata la novità tecnologica più rilevante emersa dal conflitto: il massiccio impiego di droni aerei, e in particolare la diffusione degli apparecchi FPV (first-person view: visione in soggettiva). Per la loro natura di armi di precisione di massa, questi sistemi stanno cambiando profondamente il soccorso e il trattamento dei traumi da guerra. COME I DRONI HANNO CAMBIATO LA FANTERIA In un video pubblicato sul suo canale YouTube, Civ Div – un blogger militare statunitense con un passato nel corpo dei marine degli Stati Uniti ed esperienza di combattimento in Siria e Ucraina (con le forze speciali) – descrive la realtà vissuta dalla fanteria moderna come un incubo tattico, di cui i droni sono la causa principale. Per un fante impiegato in prima linea, la presenza continua di questi dispositivi altera radicalmente la percezione dello spazio. Per lungo tempo, infatti, la fanteria ha operato in ambienti essenzialmente “bidimensionali”: trincee, tunnel, edifici, campi aperti. Qui il contatto col nemico avveniva lungo vettori orizzontali: di fronte, di lato o alle spalle. I droni hanno introdotto una terza dimensione: oggi il pericolo può arrivare dall’alto e in qualsiasi momento. Questa possibilità genera un ulteriore carico cognitivo e costringe le forze armate di tutto il mondo ad adattarsi e rivedere l’addestramento, le tattiche e le dotazioni della fanteria. Per rispondere a questa minaccia, gli eserciti hanno iniziato ad adottare diverse misure: sistemi elettronici portatili in grado di disturbare i segnali dei droni, difese a basso costo come reti, gabbie e coperture o altre contromisure fisiche. In alcuni contesti, sono anche impiegate armi leggere tradizionalmente non impiegate dalla fanteria, come i fucili a pompa: poco efficace negli scontri a fuoco contro avversari protetti da armature, questo tipo di arma si è rivelato più efficace di un fucile d’assalto per abbattere un drone in avvicinamento. Aggiungere equipaggiamento difensivo significa però aumentare il peso da trasportare, riducendo la mobilità dei fanti sia in azione sia durante le rotazioni. Un paradosso tattico che altera la routine del combattimento. La conseguenza immediata è che la maggior parte delle unità passa più tempo nascosta in rifugi sotterranei: buche, bunker e trincee coperte diventano infatti la protezione più efficace contro droni dotati di visori termici e della capacità di operare anche di notte, rendendo inefficaci i camuffamenti tradizionali come le tute o le reti mimetiche. Più che una semplice innovazione, la comparsa e la diffusione di questo genere di dispositivi ha assunto i tratti di una vera e propria rivoluzione, il cui effetto non è stato limitato al modo di combattere della fanteria, ma ha avuto importanti ripercussioni anche sulla cosiddetta medicina tattica. CHE COS’È LA MEDICINA TATTICA? Con il termine “medicina tattica” si indica l’assistenza medica fornita d’urgenza in contesti ostili e a rischio, come quelli militari o di polizia. Il suo obiettivo è salvare vite in situazioni di minaccia; compito che svolge basandosi su due principi chiave. Il primo è la golden hour, il periodo critico che segue il trauma e in cui un intervento tempestivo aumenta in modo significativo la probabilità di sopravvivenza dei feriti. Rapidità, coordinamento, cura sul campo ed evacuazione ne sono le leve fondamentali. Il secondo è il Tactical Combat Casualty Care (TCCC), un protocollo creato negli anni ’80 dall’esercito degli Stati Uniti per addestrare medici e paramedici a prestare soccorso sotto il fuoco nemico. Organizzato in tre fasi – care under fire (soccorso durante l’azione), tactical field care (stabilizzazione del ferito), tactical evacuation care (assistenza durante l’evacuazione) – il protocollo TCCC comprende diverse azioni specifiche come il controllo delle emorragie, la gestione delle vie aeree e la decompressione del torace. Fin dalla sua introduzione, il protocollo TCCC ha ridotto la mortalità. La comparsa dei droni ne sta però mettendo in discussione uno dei presupposti di base: l’esistenza di retrovie relativamente sicure e percorribili in tempi rapidi. COME I DRONI HANNO CANCELLATO LE RETROVIE SUI CAMPI DI BATTAGLIA UCRAINI Alla fine di agosto, sull’onda lunga del summit tra Trump e Putin avvenuto a ferragosto in Alaska, il presidente ucraino Zelensky ha respinto la proposta di istituire una “zona cuscinetto” tra il suo paese e la Russia, avanzata da alcuni leader europei come parte di un potenziale accordo di pace tra i due governi. Secondo Zelensky, lungo la linea del fronte esiste già una zona cuscinetto che, di fatto, separa le forze armate del suo paese da quelle del paese invasore. A crearla sono stati i droni, ed è per questo motivo che il presidente ucraino la definisce “zona morta”. Tutto ciò che si muove al suo interno diventa un potenziale bersaglio per le centinaia di droni che la sorvegliano costantemente e il cui raggio d’azione è notevolmente aumentato nel corso del conflitto. Limitato inizialmente a pochi chilometri di distanza, il raggio d’azione dei droni raggiunge oggi una media compresa tra 10 e 15 chilometri per i modelli controllati a distanza e una compresa tra 20 e 40 chilometri per quelli comandati attraverso bobine di cavi in fibra ottica. Grazie all’estensione del loro raggio d’azione, i droni hanno aumentato la profondità della linea del fronte che, fino alla loro introduzione, era determinata dalla gittata delle artiglierie da campo come mortai, obici ed MLRS (Multiple Rocket Launch System, o sistemi lanciarazzi multipli, come i famosi HIMARS). La loro comparsa ha dunque cancellato le retrovie e trasformato in bersaglio tutto ciò che si muove da e verso la linea del fronte, ridisegnandone la logistica.  Quando l’artiglieria dominava il campo di battaglia, colpire un bersaglio in movimento significava prima di tutto individuarlo, poi calcolare le coordinate del tiro e, infine, eseguirlo con il corretto tempismo. Oggi, invece, i droni sono sempre in volo per sorvegliare gli spostamenti di personale e veicoli nemici, ma possono anche essere lasciati in stand by nei pressi di una via di rifornimento per essere attivati e colpirli al loro passaggio. COME LA MEDICINA TATTICA SI ADATTA ALLA PRESENZA DEI DRONI. La scomparsa delle retrovie non solo obbliga le forze armate a modificare il modo di combattere, ma anche le modalità con cui vengono rifornite le posizioni più avanzate, ruotate le truppe o evacuati i feriti. Il trasporto dei feriti verso zone sicure, parte integrante del già citato TCCC, ora richiede più tempo e più adempimenti operativi, perché il percorso verso le retrovie si è allungato, trasformando in potenziale bersaglio chiunque abbia la necessità di attraversarlo. In una testimonianza rilasciata al giornalista David Kirichenko, il colonnello Kostiantyn Humeniuk, chirurgo capo delle forze mediche ucraine, afferma che, in questo contesto, sono proprio i droni a causare il maggior numero di vittime nella fanteria (circa il 70% del totale nel corso del 2025, secondo stime ucraine). Per adattarsi al cambiamento, le organizzazioni di medicina tattica – come il battaglione medico ucraino Hospitellers, a cui si deve l’introduzione in Ucraina di standard e pratiche mediche avanzate – hanno adottato numerose innovazioni tattiche e logistiche: l’allestimento a ridosso della linea di contatto di bunker chirurgici, dotati di strumenti per interventi di stabilizzazione rapida; l’uso di sistemi di guerra elettronica portatili per proteggere il personale impegnato sul campo; l’impiego, seppur limitato a causa della loro relativa affidabilità, di droni terrestri per estrarre feriti in sicurezza; e, in alcuni casi, l’integrazione di equipaggiamenti difensivi anche per il personale medico. Trattare i feriti in bunker all’interno della “zona morta” è una misura pragmatica: igienicamente subottimale, ma spesso la sola scelta in grado di aumentare le probabilità di sopravvivenza. Resta però un problema (ampiamente segnalato dalla stampa): i medici e il personale sanitario sono essi stessi obiettivi degli attacchi russi, perché colpirli significa erodere capacità di cura e know-how formativo. In assenza di mezzi corazzati sicuri per l’estrazione, le squadre mediche ricorrono a soluzioni di emergenza: più punti di primo soccorso, rotazione rapida delle postazioni e, ove possibile, difese elettroniche portatili. NUOVE SFIDE, VECCHI OBIETTIVI Il dominio dei droni aerei a basso costo, ampiamente disponibili e impiegabili come arma, ha quindi mutato la tipologia di ferite e anche il processo necessario per curarle in modo efficace. Lo scopo di fondo della medicina tattica non è cambiato, ma questa fondamentale pratica clinica ha dovuto ampiamente adattarsi, mentre la golden hour – principio comunque ancora valido – è diventata sempre più difficile da rispettare. A tutto questo la medicina tattica si adatta – con i bunker, le contromisure elettroniche e i droni terrestri – ma il cambiamento è strutturale: una guerra che si fa sempre più verticale trasforma la realtà della fanteria, le procedure di combattimento e le politiche di cura. Preservare vite resta un imperativo strategico non negoziabile. Come insegna la storia recente, quando una forza armata espressione di un paese democratico perde la capacità di limitare morti e feriti, la tenuta morale e politica del paese di cui rappresentano gli interessi si incrina. L'articolo I droni stanno trasformando la medicina di guerra proviene da Guerre di Rete.
La delicata fase delle frontiere UE, usata per accusare la Russia di ‘guerra ibrida’
In questi giorni ci sono stati alcuni eventi che hanno evidentemente irrigidito ulteriormente il quadro che, per ciò che riguarda la gestione delle frontiere europee, è stato denunciato da più parti e più volte: la UE è una gabbia che ha ‘esternalizzato’ a governi dal pugno di ferro, a milizie […] L'articolo La delicata fase delle frontiere UE, usata per accusare la Russia di ‘guerra ibrida’ su Contropiano.
Il mistero dei droni sugli aeroporti
Sulla questione del “mistero dei droni russi” ci siamo già espressi. questa ricognizione/analisi fatta su fonti più tecniche conferma la “stranezza” di queste “terribili minacce” di cui non si riesce ad avere nessuna prova empirica certa (un pezzo, una foto chiara e non prodotta dall’AI, ecc). Si parla moltissimo, e […] L'articolo Il mistero dei droni sugli aeroporti su Contropiano.
Il socialismo bolivariano è pace: giù le mani dal Venezuela!
La recente provocazione militare degli Stati Uniti nei confronti del Venezuela crea un pericoloso precedente di militarizzazione dei Caraibi e di tutta l’America Latina. Washington, ha inviato infatti diversi mezzi militari aereo-navali ed un notevole contingente di Marines con la scusa della lotta al narco-traffico, attribuendo in maniera paradossale responsabilità […] L'articolo Il socialismo bolivariano è pace: giù le mani dal Venezuela! su Contropiano.