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Giovani generazioni, periferie, salute e cura collettiva
Nelle ultime settimane sono tanti i fatti di cronaca che raccontano di episodi di violenza tra pari che riguardano i più giovani. Spesso l’argomento viene affrontato male, in chiave stigmatizzante e razzista. Resta il fatto che questi episodi sono il riflesso di problemi e contraddizioni reali, che non si possono semplicemente ignorare. Per questo, abbiamo deciso di provare a sviluppare un approfondimento sul tema, a partire da un insieme plurale di sguardi. In queste prime interviste, andate in onda nelle ultime due settimane, ci siamo confrontate con il giornalista Gabriel Seroussi e la psicologa Sarah Abd El Monem. Con Seroussi, autore del libro La Periferia vi guarda con odio (Agenzia X, 2025), abbiamo parlato della distorsione mediatica che viene alimentata in Italia verso i giovani delle periferie. Distanziandoci da un discorso di criminalizzazione, gli abbiamo chiesto di raccontarci, a partire dalla sua esperienza e dal suo lavoro, il contesto di cui tenere conto quando parliamo di episodi di violenza in situazioni di marginalizzazione. Ci racconta anche dell’importanza della creazione di spazi di confronto collettivi, che permettono di far fronte alle difficoltà circostanti a partire della propria identità e diritti. Abd El Monem, psicologa clinica con prospettiva transculturale a Milano, ha condiviso informazioni di stampo più prettamente psicologico, dati di cui raramente sentiamo parlare. Sulla base della sua esperienza con le giovani generazioni, in particolare giovani con background migratorio, dipinge un quadro in cui non sempre i servizi di sostegno sono accessibili e adeguati. Questo in situazioni in cui i giovani sono spesso costretti a crescere troppo in fretta e fanno fatica a sentirsi riconosciuti nelle loro identità plurali, elementi che possono generare, tra le tante cose, un senso di allerta costante. Post in aggiornamento con, prossimamente, l’aggiunta di ulteriori interviste e prospettive.
Libano: oltre 10 mila violazioni dalla tregua da parte di Israele
In queste settimane si sono verificati nuovi bombardamenti in Libano, in particolare nel sud, mentre si registrano droni che sorvolano la zona e che hanno lanciato esplosivi in diverse città come nel caso di Aitaroun, con la scusa di voler colpire Hezbollah. Tutto questo si inserisce in un quadro generale di un cosiddetto percorso di normalizzazione dei rapporti tra Libano e Israele il quale include l’abbandono delle armi da parte di Hezbollah e pressioni internazionali da parte degli Usa. In questo stesso contesto si inserisce la visita del papa di questi giorni. Di queste dinamiche ma anche del sentire della popolazione e delle anime che si muovono nella società a fronte di questi passaggi abbiamo parlato con Agnese Stracquadanio, reporter indipendente ora in Libano.
Brasile. La normalità della violenza poliziesca
Il 28 ottobre scorso circa 140 persone, di cui 4 agenti, sono state uccise e un centinaio sono state arrestate nel corso di un assalto condotto da 2500 membri della Polizia Civile e della Polizia Militare brasiliane, nelle favelas di Alemão e Penha a Rio de Janeiro. Gli agenti si sono serviti anche di elicotteri e mezzi blindati. Su numerosi cadaveri, alcuni con le mani legate, sono stati rinvenuti i segni di colpi esplosi alle spalle o alla nuca. Oltre alle numerose esecuzioni extragiudiziali, i testimoni parlano di perquisizioni ed irruzioni nelle abitazioni private realizzate senza mandato, di torture, di colpi sparati dagli elicotteri, di feriti morti dissanguati a causa dello stop da parte degli agenti all’intervento dei sanitari. Nelle proteste e manifestazioni organizzate da movimenti e associazioni e dagli abitanti delle favelas di Rio e di altre città, sono comparsi striscioni con la scritta “Favela Lives Matter”. Tutti denunciano «una violenza sistemica e razzista» e puntano il dito soprattutto contro le autorità locali, allineate con l’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. All’ex capo di stato, condannato a settembre a 27 anni di reclusione per il tentato golpe del gennaio 2023, è strettamente legato Claudio Castro, governatore dello stato di Rio de Janeiro e membro del “Partito Liberale” dell’ex presidente di estrema destra. Questa strage è salita agli onori delle cronache per l’enorme dispiegamento di forze e per l’elevato numero delle vittime, ma la violenza della polizia nelle aree dove vive la popolazione più povera e razzializzata è un fatto “normale”. Ne abbiamo parlato con Simone Ruini Ascolta la diretta:
La Cop nell’Amazzonia che muore
Piogge torrenziali, manifestazioni oceaniche, la pressione delle comunità indigene che ha attraversato i corridoi dei negoziati, e persino un incendio tra i padiglioni; un susseguirsi di eventi esterni ha accompagnato il vertice. Quelle fiamme divampate nei padiglioni non sono state altro che l’annuncio di una fumata nera che sarebbe arrivata poche ore dopo.  Il documento finale della COP, la Mutirao decision, denunciava che il testo in discussione era scritto di fatto dai PetroStati, grazie alle pressioni di Arabia Saudita, Stati Uniti e Russia.   Nonostante il nome simbolico del documento finale, Mutirao, che significa lavoro comunitario per conseguire un bene collettivo, questo testo farà il bene di pochi lasciando liberi i paesi ricchi di continuare a devastare.  Nel documento finale non c’è alcun riferimento ai combustibili fossili, non vengono neppure menzionati.  Il mondo si è congedato da Belém senza un piano per abbandonare gas, petrolio e carbone tornando indietro rispetto a quanto deciso a Dubai nel 2023. Le proteste e e danze indigene diventano una mera operazione i green whashing dell’amministrazione brasiliana. Ne abbiamo parlato con Andrea Merlone, Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di Scienze Polari del CNR. Ascolta la diretta:
Nato. L’ammiraglio salpa per la guerra
L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo del Comitato Militare della Nato lo ha detto senza mezzi termini: «Dovremmo essere più proattivi e aggressivi. Un attacco preventivo potrebbe essere considerato un’azione difensiva, ma attenzione: è lontano dal nostro abituale modo di pensare e comportarci». Si tratta, ha chiarito Dragone, di valutazioni, al momento. Ma valutazioni che solo a un anno fa la dottrina militare occidentale e le leggi dei paesi dell’Alleanza precludevano. «Stiamo valutando di agire in modo più aggressivo e preventivo, piuttosto che reagire». Lo scontro diretto tra Russia e Nato è sempre più vicino Ne abbiamo parlato con Antonio Mazzeo Ascolta la diretta:  
Corteo e blocco del mercato delle armi
Un grande corteo antimilitarista ha attraversato le strade di Torino sabato scorso, rompendo la cortina fumogena che avvolge l’industria bellica ed il mercato delle armi aerospaziali nella nostra città. Da oggi sino al 4 dicembre si terrà la decima edizione dell’aerospace and defence meetings, dove i maggiori player a livello mondiale sottoscriveranno accordi commerciali per le armi che distruggono intere città, massacrano civili, avvelenano terre e fiumi. Produttori, governi e organizzazioni internazionali, esponenti delle forze armate, compagnie di contractor si incontrano e fanno affari all’Oval. Quella del 29 novembre è stata un’importante giornata di lotta al militarismo e alla guerra. Alla manifestazione, indetta dall’Assemblea antimilitarista, hanno partecipato il “Coordinamento torinese contro la guerra e chi la arma” e delegazioni dalle tante lotte contro basi militari, poligoni di tiro, caserme, fabbriche di morte. La Torino antimilitarista ha dato un segnale forte e chiaro: opporsi ad un futuro per la città legato alla ricerca, produzione e commercio bellici è un modo concreto per opporsi alla guerra e a chi la a(r)ma. Al termine del corteo è stata lanciata una giornata di lotta per oggi all’Oval per inceppare il business di morte. Ne abbiamo parlato con Federico dell’Assemblea Antimilitarista Ascolta la diretta: Aggiornamento. Bloccati i mercanti d’armi all’Oval! Di seguito stralci del comunicato dell’Assemblea antimilitarista: “Nella giornata di apertura dell’Aerospace and defence meetings, il mercato dell’industria bellica aerospaziale che si svolge ogni due anni a Torino, c’erano anche gli antimilitaristi, decisi a mettersi di traverso contro la guerra e chi la arma. L’appuntamento era di fronte all’ingresso dell’Oval, dove, protetti da un ingente schieramento di polizia, dovevano entrare i partecipanti a questa convention, fiore all’occhiello della lobby armiera subalpina. Gli antimilitaristi armati di striscioni e cartelli sin dalle 11,30 hanno occupato la strada davanti al cancello del centro congressi. La polizia ha tentato senza successo di allontanare i manifestanti, che si sono messi di mezzo, intralciando l’inaugurazione dell’aerospace and defence meetings. Dopo pochi minuti le auto dirette all’Oval hanno fatto retro marcia. I partecipanti sono stati obbligati ad entrare all’Oval a piedi, alla spicciolata, da un passaggio interno al Lingotto. Per la seconda volta in 20 anni gli antimilitarist* hanno bloccato l’ingresso ai mercanti d’armi. Un fatto è certo. La narrazione istituzionale e mediatica dell’Aerospace and defence meetings e della Città dell’aerospazio continua nascondere dietro la retorica dei viaggi spaziali, delle navicelle, degli esploratori di Marte e della Luna, la realtà di un mercato e di un comparto produttivo il cui fulcro sono le armi: cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, droni, sistemi di puntamento. Queste armi sono impiegate nelle guerre di ogni dove, ma sono prodotte a due passi dalle nostre case. La cortina fumogena che nasconde la scelta di trasformare Torino in capitale delle armi è stata in parte dissipata, coinvolgendo nelle contestazioni studenti, ecologisti, lavoratori della formazione, oltre ai gruppi che da anni lottano contro l’industria bellica. La campagna lanciata dall’Assemblea Antimilitarista è riuscita a costruire un importante corteo comunicativo il 29 novembre ed è culminata con il blocco dell’ingresso alla mostra delle armi. Una bella manciata di sabbia è stata gettata negli ingranaggi di una macchina mortale. Bisognerà moltiplicare l’impegno perché la macchina sia fermata per sempre. Questo lungo mese di lotta si conclude con la consapevolezza che i mercanti di morte, gli eserciti, i produttori di armi troveranno sempre più gente disponibile a mettersi di mezzo. Fermare la guerra e chi la a(r)ma è possibile. Dipende da ciascuno di noi.”
Cisgiordania: aggressione da parte dei coloni ai danni di attivistx internazionali
Una decina di coloni israeliani, con il volto coperto, all’alba di domenica, ha fatto irruzione in un’abitazione a Ein Al-Duyuk, vicino a Jericho, che ospitava 4 attivistx internazionali che si trovano in Cisgiordania per supportare la popolazione palestinese. Dopo essere entrati, i coloni hanno aggredito le persone che stavano riposando all’interno, rubando loro i passaporti, i telefoni cellulari, e tutti i loro averi. Tre degli attivisti feriti sono cittadini italiani, mentre una quarta persona ha la cittadinanza canadese. Ascolta il racconto dell’aggressione.
Mps-Mediobanca il ruolo ambiguo del governo nel risiko bancario.
Nell’operazione MPS -Mediobanca cominciano ad emergere aspetti che rimandano ad accordi sottobanco fra soggetti come Caltagirone e Delfin di Del Vecchio ,mancate comunicazioni agli organi di controllo ,opacità nella vendita da parte del Ministero delle quote di MPS ,sospetto coinvolgimento in questa operazione di intermediari come banca Akros ,con evidenti conflitti d’interesse ,sostegno esplicito del governo per una operazione che ha come obiettivo la scalata alle Generali. Le mancate comunicazioni agli organi competenti di un controllo pregresso di più del 25% del pacchetto azionario di MPS hanno consentito a Caltagirone e Delfin di acquistare le quote di Mediobanca senza esborso di contanti con evidente vantaggio .Ma al di là degli aspetti tecnici il tema è il mutamento degli equilibri di potere all’interno del mondo finanziario dove accade che una banca con un capitale inferiore,già salvata dal fallimento dall’intervento statale possa acquisire il controllo del cosidetto salotto buono di Mediobanca al fine di controllare la cassaforte del risparmio italiano ,le Generali con l’intervento di due soggetti vicini al governo . Ne parliamo con Alessandro Volpi che scrive per Altraeconomia . > Il fantastico mondo delle banche italiane, tra scalate sospette e costante > ricerca di applausi
Messina : corteo contro l’imbroglio del ponte .
Migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione nazionale a Messina contro il progetto di costruzione del ponte ,oramai diventato un dispotivo politico finanziario per estrarre valore dai territori marginalizzati. S’impongono progetti eterodiretti ai territori con promesse fallaci di posti di lavoro e sviluppo mentre le condizioni reali di emarginazione e mancanza di infrastrutture non vengono intaccate. Questo faraonico progetto che ha già dilapidato milioni di euro senza aver mosso una zolla di terra rappresenta una manna per le consorterie mafiose che controllano il territorio in combutta con i cacicchi locali e una grande occasione di profitti per aziende come Webuild. Tra i temi evidenziati dal movimento popolare è il ruolo che WeBuild (capofila nella progettazione e costruzione del Ponte) ha nella speculazione sulla Striscia di Gaza: è una delle multinazionali in pole position per mattere mani sugli affari edilizi nei territori palestinesi, occupati illegalemente da Israele. Ne parliamo con Federico Alagna del comitato no ponte di Messina.
Processo Anan,Alì e Mansour il pm richiede pesanti condanne
Dodici anni di reclusione per Anan Yaeesh, 9 per Alì Irar e 7 per Mansour Dogmosh. Queste le richieste del pubblico ministero al termine della requisitoria nell’ambito del processo che vede all’Aquila i tre palestinesi imputati con accuse di attività di terrorismo internazionale. La sproporzione delle richieste e ancora piu’ evidente se si confronta la condanna inflitta ad Anan da un tribunale militare israeliano: 3 anni di reclusione e 5 di libertà vigilata per fatti risalenti alla seconda intifada. Invece nel caso specifico , per fatti certamente meno gravi, il pubblico ministero dell’Aquila ha chiesto 12 anni di reclusione, eludendo tutto il contesto e la possibilità di riconoscere attenuanti generiche, l’attenuante della provocazione, il fatto di aver agito per elevati valori morali e sociali ,decontestualizzando la situazione da ciò che accade in Palestina e ignorando il diritto alla resistenza del popolo palestinese. E’ sempre piu’ evidente la subordinazione della magistratura italiana alla volontà punitiva di Israele nei confronti degli esuli palestinesi ,specchio della complicità dello stato italiano nel genocidio. Ne parliamo con un compagno che ha seguito le udienze del processo .