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Indulto in Bolivia: alleggerite le carceri, mancano piani di reinserimento
Qalauma, centro di reinserimento sociale per giovani di età compresa fra i 18 e i 28 anni, La Paz, Bolivia. Sono seduta nel mio ufficio, sto sistemando delle interviste fatte ai ragazzi che lavorano all’interno dei laboratori produttivi, quando mi sento chiamare: «Lice, Lice» – è C., che in modo irruento entra nello stanzino. Lo guardo sorpresa: di solito è molto pacato, riservato, tranquillo. Mi fissa con un timido sorriso sul volto. Ricambio lo sguardo con fare interrogativo. Mi dice che è passata: la legge sull’indulto è stata approvata, presto uscirà dal centro penitenziario. Gli chiedo come si senta e mi risponde che non lo sa, che dopo quattro anni da encerrado (recluso), sarà difficile riprendere la sua vita fuori. Vorrebbe continuare a studiare sociologia, ma sa che dovrà anche lavorare per mantenersi e per non gravare sulla famiglia. Nella sua voce si sente tutta l’emozione per la notizia, ma anche una punta di preoccupazione, quasi a dire: «E ora?». Obrajes, centro di orientazione femminile, La Paz, Bolivia. Mi trovo nella corte interna del centro penitenziario, in attesa delle due ragazze con cui devo svolgere alcune attività. Mi piomba davanti una donna con i suoi capelli biondo platino (strana visione e strano colore in questo paese – penso fra me e me), mi chiede se ho con me il cellulare e se posso cercare un’informazione per lei. Tiro fuori cautamente il mio telefono e le chiedo cosa io debba digitare su google. Mi risponde: «qualcosa sull’indulto, qua girano voci che sia stato approvato il decreto, voglio verificarlo, voglio saperlo con certezza». Leggiamo la notizia insieme: è vero. Il suo volto si illumina, mi ringrazia calorosamente, come se questa legge l’avessi approvata io. Mi saluta dicendomi: «devo correre a dirlo alle mie amiche, presto potremo uscire da questo posto». > A ottobre in Bolivia è stata approvata la legge sull’indulto, un provvedimento > che assolve totalmente o parzialmente la pena delle persone private di > libertà, il cui caso rispetti e segua determinati requisiti giuridici ed > umanitari. «Abbiano approvato questa legge di indulto, un decreto presidenzialer che entrerè in vigore, notivo per cui è imopostante socializzare uk sui contenuti, Ka si sta imolementando proiprio poer lottare contro il sovraffollamento delle carceri e perché ci soni moilti privati della libertà che ancora aspettano la revisione dei loro processi». Così si è espressa Olivia Guachalla (MAS – IPSP), presidentessa della Comisión de Constitución, Legislación y Sistema Electoral in Bolivia. La deputata ha chiarito che la legge è stata approvata per rispondere alla grave crisi di sovraffollamento dei centri penitenziari del paese. Questa crisi è data anche, e forse soprattutto, dal fatto che in Bolivia molte persone vengono detenute in maniera preventiva, ma non è presente un sistema giuridico rapido ed efficace che permetta poi di snellire le pratiche in tempi brevi. Così donne, uomini e giovani di età superiore a 18 anni si ritrovano spesso a passare anni e anni nei centri penitenziari senza avere una sentenza definitiva e certa. A oggi, le persone detenute in maniera preventiva superano il 67%, stando a quanto detto dalla deputata del MAS, Betty Yañìquez. È anche per questo motivo che le condizioni all’interno delle carceri sono pessime: non solo non ci sono posti letti e coperte a sufficienza, ma nemmeno bagni e docce che rispettino condizioni igieniche umane e che soddisfino i bisogni di ciascuna persona che ci vive. In conseguenza a tutto ciò e dopo mesi di trattative, proteste all’interno dei recinti penitenziari e discussioni politiche,  il 22 settembre 2025 il presidente Luis Arce ha promulgato il Decreto Supremo No 5460, che ha come obiettivo quello di concedere l’indulto alle persone private di libertà che rispettino alcuni criteri prestabiliti. Affinché la norma si applichi, però, doveva essere approvata definitivamente dall’Assemblea Legislativa. Per questo motivo giovedì 16 ottobre, nel pomeriggio, si sono riuniti senatori e deputati del paese per discutere, fra le varie tematiche, quella della “Concessione di indulto” e definirne i termini e l’esecuzione. Il risultato della riunione è stato favorevole e la risoluzione è stata approvata da due terzi dei partecipanti all’assemblea. Sono stati chiarificati i parametri che consentiranno alle persone di beneficiare o meno dell’indulto. Fra essi: avere una condanna di 10 o meno anni, di 12 anni e averne compiuta un terzo, di 15 anni e averne scontata almeno la metà. Sono escluse, invece, tutte quelle persone sentenziate per genocidio, terrorismo, assassinio, femminicidio, traffico di armi e/o persone, delitti finanziari e corruzione, delitti le cui vittime siano persone minori di età. Non potranno accedere all’indulto neanche le persone che siano reticenti nei loro crimini. > Nelle prossime settimane si prevede, quindi, un grande alleggerimento della > popolazione carceraria. Si stima che i centri penitenziari si svuoteranno. A > La Paz, per esempio, si pensa che circa la metà delle persone private di > libertà usciranno dalle carceri perché rispettano i criteri prestabiliti. C’è > grande fermento per la notizia. Ciò che il decreto legge non prevede però sono programmi post-penitenziari, piani di reinserimento sociale, familiare e lavorativo per le persone che, magari dopo anni, usciranno dal sistema carcerario. Non ci sono, infatti, in Bolivia, progetti che mirino all’accompagnamento delle persone private di libertà nel momento della loro fuoriuscita. Non c’è sensibilizzazione su come molte delle persone all’interno delle carceri intraprendano percorsi attraverso laboratori creativi, ricreativi e produttivi, grazie ai quali imparano a conoscere se stesse e nuovi lavori. Non c’è l’intenzione di guidare queste persone in un mondo che cambia molto rapidamente e dal quale sono state emarginate, escluse, ignorate. Si pensi, per esempio, che in Bolivia il 19 ottobre si sono tenute le elezioni presidenziali e i giovani di Qalauma non hanno potuto votare perché nessuno li ha presi in considerazione e si è mobilitato affinché essi potessero accedere a questo diritto. Sono persone dimenticate.                                 Il decreto mira quindi ad alleggerire i centri penitenziari, a fare giustizia e chiarezza nei confronti di persone private di libertà in maniera frettolosa, senza che ci fossero prove concrete o evidenti, ad aggirare in un qualche modo la corruzione che dilaga in questo paese, in cui vige la “legge del denaro”. Non menziona, però, altre necessità che dovrebbero essere chiamate in causa parallelamente: il bisogno che l’esterno includa umanamente all’interno della comunità tutti coloro che potranno beneficiare dell’indulto, che vi siano opportunità e orizzonti lavorativi, sociali ed educativi favorevoli per queste persone, che vi sia l’intento di combattere le critiche sterili delle persone che non sanno, di contrastare l’ignoranza e l’indifferenza e che vi sia la voglia di riconoscere che le persone sbagliano, ma devono essere coinvolte in seconde opportunità. Non tiene in conto, infine, della necessità che vi sia una giustizia sociale ed umana, ancora prima di quella legale. Allora la domanda che sorge spontanea è: la società civile boliviana è pronta ad accogliere e reinserire queste persone all’interno del tessuto urbano? Si è lavorato per questo? Si riusciranno a lasciare da parte giudizi e discriminazioni? Si riuscirà a trattare queste persone in quanto tali o verranno lette e presentate solamente in base al loro delitto, alla loro pena o agli anni trascorsi in un centro penitenziario? E, quindi, ritorniamo all’iniziale interrogativo di C., 22 enne, nel centro penitenziario di Qalauma da 4 anni: «E ora?». Foto nell’articolo a cura dell’autrice SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Indulto in Bolivia: alleggerite le carceri, mancano piani di reinserimento proviene da DINAMOpress.
Ballottaggio in Bolivia: un voto contro la destra radicale
Il primo turno delle elezioni presidenziali del 2025 in Bolivia ha segnato una sconfitta storica per la sinistra, rappresentata dal Movimento per il Socialismo (MAS), che ha governato da solo per gli ultimi 20 anni. Tuttavia, la tanto annunciata svolta verso la destra radicale non si è concretizzata. L’inaspettato ballottaggio, tenutosi il 19 ottobre (il primo nella storia democratica della Bolivia), ha dato la vittoria a una coalizione di centro ancora  ancora larga e indefinita, tendente verso destra, rappresentata dal senatore Rodrigo Paz Pereira e dall’ex agente di polizia Edman Lara. Un binomio accidentale, che secondo i risultati ufficiali ha vinto le elezioni con il 54,96% dei voti con un partito preso in prestito [PDC, Partito Cristiano Democratico della Bolivia – ndt]. Prima del 17 agosto nessuno si aspettava che potessero vincere. Paz e Lara hanno sconfitto il candidato neoliberista e conservatore di destra, l’ex presidente Jorge “Tuto” Quiroga, la cui la propaganda allarmistica e la campagna elettorale milionaria, che includeva un’intensa guerra mediatica diffamatoria contro i propri oppositori, non sono riuscite a deviare la volontà dell’elettorato. In un contesto di profonda incertezza, il nuovo governo, che entrerà in carica l’8 novembre, dovrà costruire accordi di maggioranza nell’Assemblea Legislativa e gestire la governabilità dei territori per affrontare una grave crisi economica e una persistente polarizzazione politica, etnica e regionale. > Il primo turno elettorale ha segnato la fine del ciclo ventennale del MAS come > partito dominante. Dopo aver ottenuto quattro vittorie consecutive con la > maggioranza assoluta (nel 2005, 2009 e 2014 con Evo Morales e nel 2020 con > Luis Arce), il MAS è finito in poco tempo relegato ai margini della politica. Le divisioni interne, lo scontro per la rielezione, la cattiva amministrazione di Arce, l’impedimento per Morales (che ha poi invocato il voto nullo) a partecipare al voto e, soprattutto, la stanchezza per il cosiddetto «Processo del Cambiamento» [iniziato da Morales nel 2006 – ndt] hanno lasciato il MAS non soltanto fuori dal ballottaggio, ma anche quasi privo di rappresentanza politica istituzionale. Un partito che ha governato con larghe maggioranze (raggiungendo addirittura i due terzi del Parlamento) che ha costruito un’egemonia politica senza precedenti si è improvvisamente ritrovato quai senza presenza nel nuovo Parlamento: il blocco del MAS, che si è presentato diviso alle elezioni, potrà contare su un totale di dieci parlamentari su 130 e non avrà alcuna rappresentanza al Senato. Una sconfitta in gran parte autoinflitta, che si è tradotta in un «collasso ssenza infamia e senza lode». > Questa volta le urne hanno assegnato un’ampia maggioranza a forze politiche e > candidati in un arco politico che spazia  dal centro alla destra radicale. > C’era una forte richiesta di cambiamento e la sinistra rappresentava la > continuità. Al primo turno del 17 agosto hanno partecipato otto forze politiche, tra cui tre partiti provenienti dal MAS: quella dell’attuale presidente Luis Arce, che ha mantenuto illegalmente la sigla MAS, ha ottenuto il 3,2% dei voti, appena sufficiente per assicurarsi due deputati; quella del Presidente del Senato Andrónico Rodríguez, giovane leader dei cocaleros [AP, Alianza Popular, sostiene i coltivatori di coca – ndt] che rappresentava il rinnovamento del movimento, ha raggiunto l’8,5% e otto seggi, ben lontano da alcune previsioni che lo davano al secondo turno; e quella dell’ex presidente Evo Morales [EVO Pueblo – ndt], che, dopo essere stato squalificato dalle elezioni, ha lanciato una campagna per il voto nullo ottenendo un non trascurabile 19,9% (rispetto a una media storica di voti nulli del 3,7%). Questa divisione da caudillo, unita al voto di protesta contro il governo di Arce e alla crisi economica in corso, ha portato al collasso elettorale del più forte movimento politico nella storia democratica boliviana. Ma il cambiamento dello scenario politico ha le sue sfumature. Da un lato, i boliviani hanno votato contro l’opzione di estrema destra che avrebbe allineato il Paese al governo di Javier Milei e altre destre reazionarie. Dall’altro, Paz e Lara hanno vinto grazie al voto degli ex elettori del MAS. La maggior parte di chi nel recente passato aveva votato per Evo Morales si è distolta verso Paz, e quei voti sono stati decisivi per la sua vittoria. Non è stata un’ adesione ideologica né tanto meno identitaria, ma piuttosto una serie di circostanze. Mentre il capitano Lara (un carismatico ex-agente di polizia con il ruolo di capitano, licenziato per aver denunciato la corruzione all’interno delle forze dell’ordine) è entrato in sintonia con il mondo campesino, e il voto popolare si è rivelato essere principalmente un voto contro “Tuto” Quiroga, visto come il pericolo maggiore. «Paz e Lara hanno vinto con il voto degli elettori di EVO Pueblo, con il voto degli indignati per la proscrizione e l’esclusione elettorale», ha dichiarato categoricamente l’ex presidente Evo Morales in un post sui social media riferendosi alla sua impossibilità a partecipare a queste elezioni. Se al primo turno Morales ha insistito nel chiedere agli elettori di annullare il voto, al ballottaggio non ha promosso abbastanza questa strategia, e le schede bianche, di fatto, sono andate in massa a favore della candidatura di Paz. Secondo Morales, il voto nullo avrebbe costretto il nuovo presidente a non distruggere lo Stato Plurinazionale né le sue conquiste sociali, a non attuare misure neoliberiste né a sottomettersi all’«imperialismo», a non criminalizzare la proteste e a governare consultando il popolo. Era una sorta di nostalgia di un governo del MAS, ma senza il MAS. Per ora, Lara ha strizzato l’occhio a questa idea nella sua prima conferenza stampa da vicepresidente eletto: «Rispetteremo sempre lo Stato Plurinazionale». Foto da Nueva Sociedad L’accoppiata Paz-Lara, oltre alle zone rurali, ha raccolto voti dai quartieri più popolari e periferici delle città, così come dalle province, vincendo in sei dei nove dipartimenti. Ha ottenuto larghe vittorie a La Paz, Cochabamba, Potosí e Oruro (con oltre il 60% dei voti) e maggioranze superiori al 50% a Pando e Chuquisaca. Da parte sua, Quiroga ha vinto nelle capitali, tra la classe media e nella sua roccaforte di Santa Cruz, una regione agroindustriale tradizionalmente avversa al MAS, e con una percentuale inferiore nel dipartimento settentrionale di Beni. C’è stato quasi un pareggio nel dipartimento di Tarija, al confine con l’Argentina, terra dove Rodrigo Paz ha sviluppato la sua carriera politica e dove vive suo padre, l’ex-presidente della Bolivia Jaime Paz Zamora (1989 – 1993). Questa divisione territoriale è simile a quella delle elezioni del 2005. Il binomio Paz-Lara ha espresso meglio la richiesta di cambiamento, ma senza una restaurazione oligarchica conservatrice. Questo processo elettorale, quindi, lascia i seguenti risultati immediati: (a) un nuovo governo (debole), che per la prima volta dal 2005 non è del MAS, ma piuttosto di centro-destra, e che dovrà realizzare un incerto aggiustamento economico; (b) una riconfigurazione del campo politico, con tre forze minoritarie «che contano» nel nuovo scenario (il PDC, Partito Democratico Cristiano di Paz, Libre di Quiroga e Unidad dell’imprenditore Samuel Doria Medina, il favorito che alla fine ha ottenuto il terzo posto al primo turno); (c) una prevedibile mutazione del modello economico, che cesserà di essere incentrato sullo stato e si orienterà maggiormente verso il mercato e gli investimenti privati; (d) una conversione elettorale del campo «nazional-popolare» che per due decenni si è identificato alle urne con il MAS e oggi pende, per ragioni pragmatiche, verso la promessa di Paz di un «capitalismo per tutti»; (e) una polarizzazione persistente che solleva interrogativi sull’unità nazionale. Si tratta di una transizione nella quale la Bolivia popolare ha reagito in modo flessibile all’implosione del MAS (finora considerato il suo «strumento politico») attraverso patti con i partiti tradizionali a cui erano abituati prima dell’arrivo di Morales al potere. Ora, al di là delle elezioni e dei loro effetti politici, qual è l’orizzonte di questa nuova fase? Ci troviamo di fronte a una combinazione di un’immagine di rinnovamento (sebbene Rodrigo Paz sia impegnato in politica e nella pubblica amministrazione da oltre due decenni, non ne è stato una figura centrale); un programma di riforme che non può tralasciare la potente economia popolare e informale; un’attenzione alla lotta alla corruzione (soprattutto sulla base della storia personale del capitano Lara); una narrazione religiosa e conservatrice (Dio e la famiglia al primo posto); e una sfida nazionale alle élite escludenti e discriminatorie. Resta da vedere se tutto ciò sarà sufficiente per garantire un governo stabile. > In questo contesto, il nuovo ciclo guidato dal presidente eletto Rodrigo Paz > si trova ad affrontare un’agenda complessa con compiti e tempi diversi. Il più > urgente, senza dubbio, riguarda la crisi economica, che si manifesta in > inflazione, deficit fiscale e mancanza di beni (carburante, dollari e > medicinali). Paz ha promesso che avrebbe normalizzato fin dal primo giorno del suo mandato la fornitura di benzina e gasolio, che attualmente causa interminabili code alle stazioni di servizio,. Non sembra facile se non si tiene in conto la valuta sufficiente a coprire, ancora per un po’, le ingenti sovvenzioni pubbliche che nemmeno Morales è riuscito a controvertire. In realtà, ancora non è chiaro il percorso critico di questo cambiamento, inizialmente concepito come graduale, che il nuovo governo metterà in campo. L’agenda per combattere la crisi economica, che prevede anche la necessaria riforma normativa, richiederà una maggioranza parlamentare. Questo non sembra essere troppo complicato. La somma aritmetica dei membri di di maggioranza e di quelli di Unidad di Doria Medina, che hanno già espresso la loro disponibilità a collaborare con il nuovo governo, garantirebbe al nuovo presidente la maggioranza in entrambe le Camere. Per ottenere i due terzi, dovrà cercare accordi con  il blocco di “Tuto” Quiroga. Questo scongiura il pericolo di un’impasse istituzionale. Forse l’aspetto più impegnativo sarà mantenere la coesione all’interno dello stesso blocco del PDC, acronimo utilizzato da diversi candidati e che comprende diverse fazioni e leader, tra cui il nuovo vicepresidente, Edman Lara, che avrà un proprio programma e un protagonismo particolare. Molto popolare su TikTok, è una figura dalla personalità complessa, come si è potuto constatare in diversi momenti di tensione con lo stesso candidato alla presidenza. La storia democratica boliviana, però, soprattutto durante l’era della cosiddetta «democrazia pattata« degli anni ’80 e ’90, ha ampiamente dimostrato che i patti parlamentari, e persino le coalizioni di governo multipartitiche, sono insufficienti a garantire la governabilità nelle strade. Nel 2003, il presidente neoliberista Gonzalo Sánchez de Lozada godeva del sostegno di diversi partiti che insieme detenevano oltre i due terzi dei seggi al Congresso, ma è finito con il dimettersi nel mezzo della cosiddetta «guerra del gas» [proteste popolari del 2003 contro le politiche di sfruttamento di un giacimento di gas scoperto nel dipartimento di Tarija – ndt] e fuggire negli Stati Uniti. Pertanto, Paz dovrà ottenere larghe intese con i settori sociali e con le organizzazioni di base che lo hanno votato, e con attori territoriali come Santa Cruz, che in maggior parte non lo ha sostenuto. Questo compito è più arduo, soprattutto considerando il programma di aggiustamento economico, i suoi costi sociali e i prevedibili scenari di conflitto. Nelle loro prime apparizioni pubbliche la sera delle elezioni, Paz e Lara hanno lanciato messaggi di unità e riconciliazione. «La campagna elettorale è finita, la nostra bandiera è la Bolivia», ha dichiarato Lara. «Oggi, da questa vittoria, tendiamo la mano per governare con tutti», ha aggiunto Paz. Tuttavia, questo messaggio si scontra con un contesto di polarizzazione e divisione. Nonostante lo sconfitto Quiroga abbia riconosciuto il risultato e si sia congratulato con Paz, i suoi sostenitori più radicali hanno rapidamente fomentato accuse di brogli con retorica divisiva, incitamento all’odio, espressioni razziste e, seppur isolati, atti di violenza. Questo è andato a aggiungersi a diversi tweet pubblicati dal candidato alla vicepresidenza di Libre, Juan Pablo Velasco, in cui chiedeva di uccidere i collas» [nome con il quale sono definiti gli abitanti delle zone di confine con Perù e Argentina – ndt]. Indigeni e cholos hanno bloccato ancora una volta le aspirazioni di un settore della élite percepito come revanchista. Ma c’è un altro programma che, pur non essendo in prima linea tra le questioni urgenti, è strategico e deve essere affrontato il prima possibile in questo nuovo ciclo: il programma di riforme politiche e istituzionali, a partire da una trasformazione completa del sistema giudiziario, attualmente in uno stato di crisi terminale. Oltre alla crisi economica, principale preoccupazione dell’opinione pubblica al centro della campagna elettorale, si sta verificando una sorta di débacle istituzionale che richiede una serie di riforme, tra cui possibilmente un cambiamento costituzionale. Tra le altre cose, sono in agenda riforme riguardanti la rielettività, l’iperpresidenzialismo, la mancata elezione popolare delle alte autorità giudiziarie, la struttura delle istituzioni pubbliche, la natura della Corte Costituzionale e la rappresentanza politica diretta delle organizzazioni indigene. Sono necessari anche adeguamenti nell’organizzazione territoriale dello Stato e nel modello autonomo, nonché nel sistema economico. Per ora, è salutare che il duo eletto non abbia aderito alla falsa e inutile bandiera del «ritorno alla Repubblica» al posto dello Stato Plurinazionale (che equivarrebbe a una repubblica senza indios né diritti collettivi), come fatto invece da “Tuto” Quiroga e dal candidato della destra Manfred Reyes Villa (quinto dopo il voto del primo turno) [con il partito APB, Autonomia Per la Bolivia – ndt] Cosa succederà dopo il ballottaggio e il cambiamento politico consumato, senza un partito dominante o un progetto egemonico? Se la gestione del governo e le future politiche pubbliche propendessero maggiormente verso un approccio «nazional-populista», Paz e Lara potrebbero formare un governo di cambiamento con una visione verso il futuro e non soltanto di transizione. Per raggiungere questo obiettivo, dovranno affrontare la pressione delle élite, soprattutto quelle di Santa Cruz, e un contesto regionale e internazionale avverso. Se, invece, propendessero maggiormente verso un’agenda restauratrice, è probabile che si sfaldino dall’interno. Dovranno rendere conto a chi li ha votati, anche se soltanto per pragmatismo, proprio per evitare questo epilogo. Per ora, la cosa più importante è fornire segnali di certezza e ricostruire la fiducia (nella politica e nell’economia). In ogni caso, a prescindere dal percorso intrapreso da questo nuovo governo di centro-destra, l’enorme questione di come ricostituire la sinistra popolare plurinazionale rimane ancora aperta. Questo richiede qualcosa rimasto in sospeso fin dalla congiuntura critica e dalla sollevazione civico-poliziesca del 2019: autocritica. Ovviamente, è anche urgente far emergere nuove leadership e rigenerare le organizzazioni sociali (attualmente divise e soggette a logiche di cooptazione statale), insieme a una visione per il futuro: non è più sufficiente proporre un ritorno all’età d’oro del MAS, quando l’economia cresceva del 5% annuo e la Banca Centrale traboccava di riserve. Tuttavia, l’implosione del MAS tra feroci lotte interne, rimanda per ora questo progetto, mentre va ridefinendosi il ruolo di Evo Morales nella politica boliviana, ora«autoesiliatosi» nella regione di coltivazione della coca del Chapare. Articolo pubblicato originariamente sulla rivista Nueva Sociedad, che ringraziamo per la gentile concessione. Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Ballottaggio in Bolivia: un voto contro la destra radicale proviene da DINAMOpress.
“LATINOAMERICA”. SECONDA PUNTATA: BOLIVIA, ECUADOR, PERU’…E LA STORIA DEL POPOLO MAPUCHE
LatinoAmerica, trasmissione quindicinale di Radio Onda d’Urto. Ogni due settimane, 30 minuti in volo libero e ribelle…tra il border di Tijuana e gli orizzonti sconfinati della Patagonia. 30 minuti su Radio Onda d’Urto, dentro il ciclo della “Cassetta degli Attrezzi”: appuntamento ogni due lunedì, alle ore 18.45, e in replica il giorno dopo, il martedì, alle ore 6.30. La puntata di lunedì 20 ottobre 2025 ci porta in: * Perù: scontri di piazza e stato di emergenza (con coprifuoco) imposto nella capitale Lima dal neopresidente, il contestatissimo Josè Jeri; * Bolivia: dopo quasi 20 anni, finisce la parabola del MAS – Movimento Al Socialismo – al potere. Il neopresidente è il liberista Rodrigo Paz; * Ecuador: proseguono le proteste del paro nacional contro il liberismo ultraconservatore del presidente Daniel Noboa; * Mapuche: da Operazione Colomba, un approfondimento dedicato alla storia del popolo Mapuche, stretto suo malgrado tra i territori degli attuali Cile e Argentina. Ascolta LatinoAmerica, su Radio Onda d’Urto, con la puntata di lunedì 20 ottobre 2025. Ascolta o scarica
BOLIVIA: NEL BALLOTTAGGIO PRESIDENZIALE TUTTO A DESTRA LA SPUNTA IL SENATORE PAZ. DOPO 20 ANNI, SI CHIUDE LA PARABOLA DEL MAS.
Finisce l’era del MAS – Movimento Al Socialismo – al potere in Bolivia. Dopo quasi 20 anni di governo, gli ultimi dei quali trascorsi tra lotte fratricide tra Morales e Arce e ripetuti scontri, sia legali che nelle piazze, il MAS (scivolato a poco più del 3% nel primo turno) lascia i palazzi del potere di La Paz e di Sucre alla destra. Il senatore Rodrigo Paz ha vinto il secondo turno delle presidenziali in Bolivia; il suo Partito democratico-cristiano ha ottenuto il 55%, mentre l’ex presidente Jorge Quiroga (in carica dal 2001 al 2002), candidato dell’estrema destra in salsa Milei-Trump, si è fermato al 45%. A spingere Paz alla vittoria anche la popolarità del suo numero due, il 40enne ex capo della Polizia Edmand Lara, conosciutissimo sui social con il nickname “Capitan Lara”. Dopo la vittoria Paz ha diffuso un breve messaggio riassumendo la sua visione della Bolivia con la formula «Dio, patria e famiglia», ribadendo di volere applicare fin da subito il proprio programma elettorale liberista, chiamato “capitalismo per tutti”. Paz ha poi espresso “gratitudine per il sostegno offerto dagli Stati Uniti, attraverso il vicesegretario di Stato Usa, Christopher Landau, per poter mantenere uno stretto rapporto con uno dei governi più importanti del mondo”. Nel suo programma elettorale, Paz ha promesso “decentralizzazione economica attraverso la redistribuzione delle entrate fiscali” oltre all’introduzione di “un programma di prestiti agevolati e agevolazioni fiscali per sostenere le piccole e medie imprese”. Sul piano estero, il neopresidente punta a “rafforzare i legami internazionali della Bolivia, dando priorità  allo sviluppo della cooperazione regionale nel Mercosur…e al ripristino delle relazioni con gli Stati Uniti”. Proprio da Washington brinda al risultato il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, che ha voluto “congratularsi  con il popolo boliviano per questo momento storico per il Paese… gli Stati Uniti sono pronti a collaborare con la Bolivia su priorità condivise, tra cui porre fine all’immigrazione illegale, migliorare l’accesso al mercato per gli investimenti bilaterali e combattere le organizzazioni criminali transnazionali per rafforzare la sicurezza regionale” Su Radio Onda d’Urto l’intervista a Julio Cesar, compagno boliviano del MAS da anni in Italia. Ascolta o scarica
9 OTTOBRE 1967 – 9 OTTOBRE 2025: 58 ANNI FA, LA CATTURA IN BOLIVIA DI ERNESTO “CHE” GUEVARA
58 anni fa – 8 ottobre 1967 – la cattura in Bolivia del rivoluzionario argentino (e cubano) Ernesto Guevara de la Serna, il Che. Era l’8 ottobre 1967 e già da giorni 17 combattenti (boliviani, cubani e peruviani), ossia cioè che restava dell’Esercito di Liberazione Nazionale Boliviano dopo un anno di attività, si stavano spostando senza guida tra le aride montagne vicine a La Higuera. Braccati nella zona montuosa della Quebrada del Yuro, sulle Ande centro-meridionali della Bolivia, Dopo una serie di scontri a fuoco – impari, per mezzi e numeri – contro 3000 soldati dell’esercito boliviano – supportato da forze speciali della Cia – il Che venne ferito a una gamba e catturato. Sarà tenuto prigioniero nella scuola del minuscolo villaggio di La Higuera fino alla mattina dopo, il 9 ottobre, quando l’allora 39enne rivoluzionario fu giustiziato dal soldato Mario Teràn. Dopo l’esecuzione, il Che fu macabramente fotografato ancora con gli occhi aperti, le mani mozzate. Il cadavere, legato ai pattini di un elicottero, fu portato nel capoluogo della provincia, Vallegrande, e sepolto – in segreto – vicino alla pista dell’aeroporto locale, gettato in fretta e furia in una fossa comune. Solo 30 anni dopo, nel 1997, fu recuperato da una missione di antropologi forensi argentini e cubani. Da allora il Che riposa nel mausoleo di Santa Clara di Cuba. A 58 anni dalla cattura del Che, su Radio Onda d’Urto l’intervento di Rodrigo Andrea Rivas, esule in Italia dal Cile a seguito del golpe di Pinochet, giornalista, analista di questioni internazionali (e sudamericane in particolare) oltre che nostro storico collaboratore. Ascolta o scarica  
BOLIVIA: AL BALLOTTAGGIO DELLE PRESIDENZIALI SCONTRO TUTTO A DESTRA, CROLLA IL MAS.
Bolivia. I risultati ufficiali – seppur parziali – confermano che saranno un senatore di destra e un ex presidente pure lui di destra a contendersi la presidenza della Bolivia dopo il primo turno delle elezioni, che segna la fine di due decenni di governo di sinistra, quelli del MAS, il Movimento Al Socialismo, dilaniato dalle correnti e dal dualismo tra Luis Arce ed Evo Morales. Il voto del primo turno vede il senatore Rodrigo Paz in testa a sorpresa con il 32,15% davanti all’ex presidente di destra Jorge ‘Tuto’ Quiroga con il 26,87%. Terzo l’imprenditore milionario Samuel Doria Medina (19,86%), pure lui di destra, che appoggerà Paz. Solo quarto il principale candidato di sinistra, il presidente del Senato Andronico Rodríguez. Su Radio Onda d’Urto le valutazioni a caldo ai nostri microfoni di Andrea Cegna, curatore della newsletter Il Finestrino e nostro collaboratore. Ascolta o scarica