Alla radice dell’educazione militarizzata nelle MarcheAbbiamo rappresentato, negli articoli scorsi, il proliferare di iniziative
“educative” tra le forze dell’ordine, in particolare Polizia di Stato e
Carabinieri e le diocesi marchigiane, che coinvolgevano bambin3 e ragazz3
frequentanti i centri estivi. Ora abbiamo il documento che dichiara nero su
bianco tutti gli obiettivi che il governo si pone, appunto, sul piano educativo
visto principalmente in un’ottica di “educazione alla legalità”.
Il rispetto delle regole è ciò che compare nelle prime righe di questo patto in
cui figurano oltre alla prefettura di Ancona, le diocesi e diverse istituzioni
che vanno da quelle che rappresentano la tutela dell’ordine pubblico fino
all’assistenza sanitaria per finire con i tribunali tra i quali, in particolare,
quello dei minori.
Anche se il documento presenta, come potenzialità dichiarata, la “collaborazione
con” e “il contributo di” tanti enti, dal terzo settore fino ai vari enti
pubblici e privati interessati, compresi gli ordini professionali, la cabina di
regia è costituita in seno alla Prefettura e prevede fondamentalmente la
partecipazione attiva di una rappresentanza di questi soli sei soggetti
pubblici: Regione e Provincia (in rappresentanza di diversi comuni), Tribunale e
Procura, Ufficio Scolastico Regionale, Rappresentanza ecclesiale, Aziende
sanitarie.
L’incipit del “patto educativo” (o rieducativo, vista l’impostazione
legalitaria!) parla molto chiaro e spiega in modo coerente il perché di una
visita alla stazione dei carabinieri o la visione coinvolgente del cane
poliziotto alle prese con esplosivi nascosti nei trolley: «Il rispetto delle
regole e l’educazione alla legalità riguardano complessivamente tutta la
comunità e costituiscono un obiettivo primario ed una componente indispensabile
per un equilibrato ed armonico sviluppo della società e del territorio, che
favorisca il sorgere delle condizioni per consentire a tutti i consociati di
godere di una vita dignitosa in linea con le proprie aspettative».
Al di là di tanta fuffa retorica o di alcune linee di principio a prima vista
condivisibili, ciò che balza agli occhi è questa visione del diritto che non
nasce come autoregolazione democratica per il benessere di ognuno in quanto
parte di una società, ma come tutela della libera autodeterminazione del
singolo, la cui unicità va preservata ed incentivata, a patto che non leda i
diritti dei più deboli o svantaggiati. Nei confronti di questi ultimi c’è sempre
l’intervento caritatevole e compassionevole tipico di una cultura cattolica
conservatrice, ma anche di una tipica visione liberista in economia e liberale
in politica.
Nel documento nessun riferimento viene fatto rispetto alla cultura patriarcale o
alla parità di genere. Quest’ultima potrebbe, invece, essere promossa proprio
nelle fasce de3 bambin3 più piccol3 prima che stereotipi e pregiudizi, dai quali
non sono immuni nemmeno le maestre di scuola dell’infanzia, o della scuola
primaria, più progressiste (vd. E. Abbatecola, L. Stagi, The Pink is the new
black), peraltro, appunto al 90% donne e proprio in un’ottica preventiva del
femminicidio o anche “solo” degli atti di violenza.
Non possiamo pretendere che la singola prefettura né tantomeno questo governo
neofascista al potere, si ispiri alle idee di Tommaso d’Aquino o di Martin
Luther King, rispetto ad una visione relativista, secondo cui una legge può
essere anche fondamentalmente ingiusta, ma indottrinare le nuove leve come tanti
soldatini addestrati al rispetto delle regole ci sembra il contrario dei
principi pedagogici che dovrebbero improntarsi ad una società egualitaria e
democratica nei propri processi decisionali.
Se il diritto al dissenso, o, come viene citato nel documento, ad una
“cittadinanza attiva”, può essere esercitato, ma solo all’interno di paletti
giuridici che aumentano di anno in anno e fisicamente, all’interno di un
“recinto” controllato a vista, dove poter fare sfogare le proprie bandiere e
suonare fischietti, ci sembra un po’ poco! Eppure, la tanto citata “cittadinanza
attiva” se interpretata come processo produttivo di regole poi applicate
effettivamente a tutta la popolazione, anche se solo di una certa fascia di età,
potrebbe essere esercitata istituendo, per esempio, un “mini parlamento de3
bambin3” all’interno di un Comune; o ancora promuovendo analoghe
mini-istituzioni nelle scuole primarie per la gestione condivisa del bene
comune.
In estrema sintesi il documento stride platealmente rispetto alla realtà dei
fatti, ovvero in presenza un governo votato da poco più della metà, della metà
degli aventi diritto al voto che promulga leggi per lo più tramite decretazione
d’urgenza sulle quali viene posto il voto di fiducia per promulgare norme
liberticide, sia contro il fronte del dissenso interno, sia di quello esterno
alla fortezza Europa. Sempre nel testo si citano gli onnipresenti concetti di
inclusione sociale e dialogo interculturale: a3 bambin3, invece, andrebbe detto
che per ogni bambin3 dalla pelle scura o di un’altra etnia ce n’è un3 che non ha
potuto sedersi a quel banco di scuola perché mort3 annegat3 nel più grande
cimitero del mondo sotto il mare, il Mediterraneo.
Andrebbe detto che l’Italia è complice di questo così come del genocidio a Gaza
e del flusso continuo di armi prodotte da noi o dai nostri alleati che
transitano nei nostri porti con destinazione Asia o Africa.
patto_educativo_provinciale_ancona_firmato_firmato(1)Download
Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università